Eustachio Chita
Eustachio Paolo Chita, detto Chitaridd (piccolo Chita) per la sua bassa statura (Matera, 30 novembre 1862 – Matera, 26 aprile 1896), è stato un brigante italiano, uno degli ultimi operanti in Basilicata. Con lui si concluse il fenomeno del brigantaggio postunitario mentre il banditismo nel XX secolo assunse in Italia risvolti sociali e politici
Biografia
Per l'epoca, quella di origine di Chita poteva dirsi una famiglia agiata: i genitori, Michele e Maria Giuditta Caione, coltivavano diversi tomoli di terreno e possedevano un centinaio di pecore. Tuttavia a causa della scelleratezza del padre, uomo frustrato e violento, la condizione economica della famiglia precipitò rapidamente fino a quando tutta la sua proprietà venne sequestrata e venduta all'asta per soddisfare i creditori. La vita della famiglia inoltre, fu sempre condizionata pesantemente dall'indole crudele del padre; lo stesso Eustachio veniva spesso picchiato, bastonato e lasciato digiuno a sorvegliare le pecore, fu anche ferito al capo da una pietra e colpito da una scure al torace. La madre dal canto suo fu colpita da una forma maniacale religiosa.La situazione familiare insopportabile spinse Eustachio ad andar via da casa vivendo come un vagabondo in cerca di lavoro dovunque capitasse nelle campagne lucane e pugliesi. Il Chita è considerato atipico perché operava come bandito solitario piuttosto che con una banda. In realtà sebbene le scorrerie dei briganti fossero state represse negli anni 1861-1865, anni in cui Chita era bambino, l'esistenza del brigantaggio continuava a costituire un problema per il nuovo Stato italiano.
Negli anni Chita fu accusato di diversi omicidi, rapine ed estorsioni; braccato dalle autorità, fu costretto a nascondersi in una grotta, che ancora oggi porta il nome del bandito, nelle Murge, vicino allo Jazzo Vecchio, sul costone della Gravina di Matera dove il brigante dimorò fino al termine della sua vita.
Le circostanze della sua morte sono poco chiare: sebbene risulti che sia stato ucciso durante una colluttazione con dei pastori che lo avevano sorpreso nel suo rifugio tuttavia durante il successivo processo si sospettò che gli stessi uccisori fossero suoi complici che temevano che una volta catturato il Chita li avrebbe traditi. Nella grotta di Chita furono rinvenuti tra gli altri i seguenti oggetti: un fucile a due canne con retrocarica, un fucile ad una canna, due pistole a due canne, una pistola ad una canna, un coltello lungo da macellaio, un coltello da pastore con fodero in legno, un punteruolo, una lima col manico, un coltello a serramanico, tre scuri ben affilate, un portafogli di pelle contenente 40 Lire.
Nel 1900 i resti di Chita vennero riesumati e spediti a Torino dove furono analizzati dal professor Cesare Lombroso che li sottopose ad esami di fisiognomica, finalizzata a dimostrare un legame tra dimensioni del cranio e comportamenti antisociali. Ancora oggi le ossa del brigante materano si dovrebbero trovare nella città piemontese e alcuni discendenti lucani di Chitaridd, tra cui Michele Chita, si stanno battendo per restituirle alla sua terra di origine.
Matera rivuole il suo brigante
Ucciso nel 1896 in Basilicata, il cadavere è introvabile. "Lombroso lo portò a Torino per studiarlo, ora ridatecelo"
08/09/2008 LA STAMPA
Chiunque avesse notizie dello scheletro del signor Eustachio
Chita, detto Chitaridd, è cortesemente pregato di contattare i suoi
discendenti a Matera. Al momento non è stata prevista alcuna ricompensa.
Ma si potrebbe essere ricordati per aver risolto un curioso enigma che
da ben 112 anni, quattro mesi e due settimane collega la città lucana a
un piccolo museo di Torino.
L’oggetto dell’enigma è proprio lui, Chitaridd (o quel che ne rimane): uno dei più celebri briganti della Basilicata di fine Ottocento, ucciso nell’aprile 1896 nella grotta in cui era latitante, e successivamente portato nella città sabauda per essere analizzato e catalogato da Cesare Lombroso. Da allora di lui non si sa più nulla, se non che i suoi resti dovrebbero essere tuttora conservati nel museo che porta il nome del pioniere della criminologia.
Dovrebbero. Perché - in realtà - delle ossa del brigante non sembra esserci più traccia nonostante oggi un gruppo di pronipoti e attivisti da Matera insista per riaverle, e per restituire alla Basilicata, uno dei suoi briganti più rappresentativi.
Dalle parti del Sasso Caveoso, si trovano bancarelle che espongono magliette con la foto del brigante e attivisti pronti a raccontare con passione le vicissitudini.
Eustachio Chita nacque a Matera nel 1862 da una famiglia di pastori, ereditando il soprannome Chitaridd («piccolo Chita» in dialetto) a causa della bassa statura. Fin da piccolo seguì le orme del padre Michele, un uomo frustrato dalla vita e di indole violenta, capace in più di un’occasione di avventarsi sul figlio e di massacrarlo di botte con bastoni e pietre durante le lunghe camminate per seguire i pascoli.
Chitaridd fuggì molto presto di casa, rifugiandosi nelle campagne lucane, dove cominciò la sua vita di brigante. Gli furono attribuiti quattro omicidi, due tentativi di omicidio e diversi furti ed estorsioni ai danni degli abitanti dell’agro materano. Viene descritto come un tizio inaffidabile, poco socievole e religiosissimo, capace di passare da uno stato di allegria euforica a periodi di lunghi silenzi, ma che non aveva vizi etilici e non andava a donne.
L’ultimo rifugioBraccato dalle autorità, il brigante si rifugiò in una delle grotte a ridosso della gravina di Murgecchia, dove rimase nascosto fino all’aprile del 1896, quando un giovane pastore scoprì per caso il suo rifugio e riferì la cosa a due cugini di Chitaridd, Paolo Francesco Falcone e Paolo Francesco Nicoletti, che gli tesero un’imboscata, uccidendolo con un colpo di scure in piena fronte.
Il rapporto dei carabinieri sostiene che nella grotta del brigante fu ritrovato un vero e proprio arsenale: «Un fucile a due canne a retrocarica, un fucile a una canna vecchio sistema, una pistola a due canne regolarmente manifatturata, una pistola a una canna vecchio sistema, un'altra pistola a due canne, un coltello lungo da macellaio, un coltello da pastore, una lima lunga senza manico, un coltello serra-manico, polvere pirica, palle di piombo, cartucce». E infine un pezzo di carta con una frase sgrammaticata scarabocchiata a matita, forse un «pizzino» con un messaggio in codice a un amico scritto durante la latitanza.
Un ghigno grottesco
Il viso barbuto di Chitaridd, aperto a metà dalla fenditura dell'ascia, conserva un ghigno grottesco. Qualcuno gli fa una foto (l’unica che lo ritrae). E a questo punto la storia si tinge di giallo: che fine fa il cadavere del brigante? L’unica traccia che rimane è uno scambio epistolare tra un certo dottor Raffaele Sarra di Matera e il personale dell’istituto di medicina legale di Torino diretto da Cesare Lombroso. Dalle lettere dell’aprile 1900 sembra che il corpo di Chitaridd abbia attraversato l’Italia per finire tra le mani dello studioso della fisiognomica, che misurava i crani dei criminali per dimostrare l’ereditarietà dei loro tratti anti-sociali.
Tuttavia gli archivisti del museo Lombroso sostengono di non avere trovato altro che qualche documento. Il professor Paolo Tappero, curatore del museo Lombroso, snocciola un breve elenco di reperti biologici: «Abbiamo alcuni encefali di alienati, anche se non dell’epoca, e poi scheletri e crani identificati e non. Ci sono un mucchio di crani appartenenti a briganti anonimi sardi. Ma di questo Chitaridd non risulta esserci nulla».
Il caso politicoIl grosso dei reperti, in effetti, è costituito da oggetti appartenuti a criminali, più che dai criminali stessi. Parte della documentazione che identificava crani e scheletri potrebbe essere andata perduta. Lo stesso Eustachio Chita a Torino risulta chiamarsi Chito, per un probabile errore di trascrizione dell’epoca. Oltretutto il museo è stato smantellato, in attesa del trasferimento al reparto di anatomia, dove dovrebbe riaprire l’anno prossimo.
Un particolare, tuttavia, potrebbe aiutare all’identificazione del teschio di Chitaridd, che presenta una profonda fenditura da colpo d’ascia sulla fronte.
«Dovrebbero cercare meglio», sostiene Michele Chita, 34 anni, discendente di Chitaridd. Da ragazzino lo sfottevano, sostenendo che fosse il pronipote di un brigante. Ma Michele ha trasformato la vergogna in orgoglio. Oggi, per mestiere, guida i turisti tra i sassi di Matera, e nel tempo libero, guida la campagna per la restituzione delle spoglie del suo antenato insieme ai ragazzi del Comitato spontaneo autogestito di Vico Solitario.
La loro petizione (cui è seguita persino un’interrogazione parlamentare) inviata al sindaco di Matera Nicola Buccico un anno fa non ha ottenuto risposte. «Il brigantaggio fa parte della nostra identità e non va visto solo in ottica negativa», continua Michele. «Chitaridd ha commesso degli sbagli, ma è anche un uomo che ha sofferto molto. Lo rivogliamo portare a casa».
L'anno scorso, dopo quasi un secolo, la Basilicata ha riavuto i resti di Giovanni Passannante, l’anarchico repubblicano incarcerato per l'attentato a re Umberto I e in seguito oggetto di studi del Lombroso. Ora aspettano le spoglie del brigante Chita, morto povero e incompreso.
L’oggetto dell’enigma è proprio lui, Chitaridd (o quel che ne rimane): uno dei più celebri briganti della Basilicata di fine Ottocento, ucciso nell’aprile 1896 nella grotta in cui era latitante, e successivamente portato nella città sabauda per essere analizzato e catalogato da Cesare Lombroso. Da allora di lui non si sa più nulla, se non che i suoi resti dovrebbero essere tuttora conservati nel museo che porta il nome del pioniere della criminologia.
Dovrebbero. Perché - in realtà - delle ossa del brigante non sembra esserci più traccia nonostante oggi un gruppo di pronipoti e attivisti da Matera insista per riaverle, e per restituire alla Basilicata, uno dei suoi briganti più rappresentativi.
Dalle parti del Sasso Caveoso, si trovano bancarelle che espongono magliette con la foto del brigante e attivisti pronti a raccontare con passione le vicissitudini.
Eustachio Chita nacque a Matera nel 1862 da una famiglia di pastori, ereditando il soprannome Chitaridd («piccolo Chita» in dialetto) a causa della bassa statura. Fin da piccolo seguì le orme del padre Michele, un uomo frustrato dalla vita e di indole violenta, capace in più di un’occasione di avventarsi sul figlio e di massacrarlo di botte con bastoni e pietre durante le lunghe camminate per seguire i pascoli.
Chitaridd fuggì molto presto di casa, rifugiandosi nelle campagne lucane, dove cominciò la sua vita di brigante. Gli furono attribuiti quattro omicidi, due tentativi di omicidio e diversi furti ed estorsioni ai danni degli abitanti dell’agro materano. Viene descritto come un tizio inaffidabile, poco socievole e religiosissimo, capace di passare da uno stato di allegria euforica a periodi di lunghi silenzi, ma che non aveva vizi etilici e non andava a donne.
L’ultimo rifugioBraccato dalle autorità, il brigante si rifugiò in una delle grotte a ridosso della gravina di Murgecchia, dove rimase nascosto fino all’aprile del 1896, quando un giovane pastore scoprì per caso il suo rifugio e riferì la cosa a due cugini di Chitaridd, Paolo Francesco Falcone e Paolo Francesco Nicoletti, che gli tesero un’imboscata, uccidendolo con un colpo di scure in piena fronte.
Il rapporto dei carabinieri sostiene che nella grotta del brigante fu ritrovato un vero e proprio arsenale: «Un fucile a due canne a retrocarica, un fucile a una canna vecchio sistema, una pistola a due canne regolarmente manifatturata, una pistola a una canna vecchio sistema, un'altra pistola a due canne, un coltello lungo da macellaio, un coltello da pastore, una lima lunga senza manico, un coltello serra-manico, polvere pirica, palle di piombo, cartucce». E infine un pezzo di carta con una frase sgrammaticata scarabocchiata a matita, forse un «pizzino» con un messaggio in codice a un amico scritto durante la latitanza.
Un ghigno grottesco
Il viso barbuto di Chitaridd, aperto a metà dalla fenditura dell'ascia, conserva un ghigno grottesco. Qualcuno gli fa una foto (l’unica che lo ritrae). E a questo punto la storia si tinge di giallo: che fine fa il cadavere del brigante? L’unica traccia che rimane è uno scambio epistolare tra un certo dottor Raffaele Sarra di Matera e il personale dell’istituto di medicina legale di Torino diretto da Cesare Lombroso. Dalle lettere dell’aprile 1900 sembra che il corpo di Chitaridd abbia attraversato l’Italia per finire tra le mani dello studioso della fisiognomica, che misurava i crani dei criminali per dimostrare l’ereditarietà dei loro tratti anti-sociali.
Tuttavia gli archivisti del museo Lombroso sostengono di non avere trovato altro che qualche documento. Il professor Paolo Tappero, curatore del museo Lombroso, snocciola un breve elenco di reperti biologici: «Abbiamo alcuni encefali di alienati, anche se non dell’epoca, e poi scheletri e crani identificati e non. Ci sono un mucchio di crani appartenenti a briganti anonimi sardi. Ma di questo Chitaridd non risulta esserci nulla».
Il caso politicoIl grosso dei reperti, in effetti, è costituito da oggetti appartenuti a criminali, più che dai criminali stessi. Parte della documentazione che identificava crani e scheletri potrebbe essere andata perduta. Lo stesso Eustachio Chita a Torino risulta chiamarsi Chito, per un probabile errore di trascrizione dell’epoca. Oltretutto il museo è stato smantellato, in attesa del trasferimento al reparto di anatomia, dove dovrebbe riaprire l’anno prossimo.
Un particolare, tuttavia, potrebbe aiutare all’identificazione del teschio di Chitaridd, che presenta una profonda fenditura da colpo d’ascia sulla fronte.
«Dovrebbero cercare meglio», sostiene Michele Chita, 34 anni, discendente di Chitaridd. Da ragazzino lo sfottevano, sostenendo che fosse il pronipote di un brigante. Ma Michele ha trasformato la vergogna in orgoglio. Oggi, per mestiere, guida i turisti tra i sassi di Matera, e nel tempo libero, guida la campagna per la restituzione delle spoglie del suo antenato insieme ai ragazzi del Comitato spontaneo autogestito di Vico Solitario.
La loro petizione (cui è seguita persino un’interrogazione parlamentare) inviata al sindaco di Matera Nicola Buccico un anno fa non ha ottenuto risposte. «Il brigantaggio fa parte della nostra identità e non va visto solo in ottica negativa», continua Michele. «Chitaridd ha commesso degli sbagli, ma è anche un uomo che ha sofferto molto. Lo rivogliamo portare a casa».
L'anno scorso, dopo quasi un secolo, la Basilicata ha riavuto i resti di Giovanni Passannante, l’anarchico repubblicano incarcerato per l'attentato a re Umberto I e in seguito oggetto di studi del Lombroso. Ora aspettano le spoglie del brigante Chita, morto povero e incompreso.
Oggetti ritrovati nella grotta
Nella grotta furono rinvenuti i seguenti oggetti:
testualmente dal libro di Niccolò de Ruggieri
testualmente dal libro di Niccolò de Ruggieri
-un fucile a due canne con retrocarica;
-un fucile ad una canna del vecchio sistema;
-due pistole a due canne;
-una pistola ad una canna del vecchio sistema;
-un coltello lungo da macellaio;
-un coltello da pastore con fodero in legno;
-un punteruolo;
-una lima col manico;
-due lesine;
-un coltello a serramanico;
-una scatola di latta contenete polvere;
-una borsetta di panno per uso portapolvere;
-un portapolvere di latta;
-un fiaschetto di latta per uso portapolvere;
-un portapolvere in legno;
-una borsetta contenente palle ed altro piombo;
-una borsa contenente altro piombo detto straccioni;
-un sacchetto di tela contenente piombo;
-n. 39 cartucce a retrocarica, delle quali n. 32 cariche e n. 7 scariche;
-un sacchetto di tela contenente polvere;
-un pezzo di canna per misurare la polvere;
-una borsa da cacciatore;
-due robuste mazze da pastore;
-tre scuri ben affilate;
-un orologio di oro a ripetizione*
-una catena dello stesso metallo con ciondolo;
-un portafoglio di pelle marrò contenente 8 biglietti da L. 5 ciascuno, in tutto L. 40
* ndr: è un regolatore di velocità che permette di distanziare tra di loro i colpi del martello sul timbro.
A seguito di tali ritrovamenti, furono attribuiti a Chitaridd i seguenti reati:
testualmente dal libro di Niccolò de Ruggieri
testualmente dal libro di Niccolò de Ruggieri
Omicidio a scopo di furto commesso il 22 luglio 1895, in contrada Le Reni, in agro di Matera, in persona di Carlucci Lorenzo;
Doppio omicidio a scopo di furto commesso il 4 agosto 1895, agro di Santeramo, in persona di Geremia Petrera e Pasquale Intrito;
Mancato omicidio a scopo di furto commesso in agro di Laterza il giorno 8 ottobre 1895, in persona di Vavalla Antonio e Pantaleo Michele;
Mancato omicidio a scopo di furto commesso in contrada San Vito, agro di Matera, la sera del 22 dicembre 1895, in persona di Savoia Filomeno;
Estorsione a mano armata commessa il giorno 8 febbraio 1896, in contrada San Giuliano, agro di Matera. in pregiudizio di Lopergolo Antonio;
Omicidio a scopo di rapina, commesso il 20 marzo 1896 nell'abitato di Matera in persona di Marone Francesco Nicola
Doppio omicidio a scopo di furto commesso il 4 agosto 1895, agro di Santeramo, in persona di Geremia Petrera e Pasquale Intrito;
Mancato omicidio a scopo di furto commesso in agro di Laterza il giorno 8 ottobre 1895, in persona di Vavalla Antonio e Pantaleo Michele;
Mancato omicidio a scopo di furto commesso in contrada San Vito, agro di Matera, la sera del 22 dicembre 1895, in persona di Savoia Filomeno;
Estorsione a mano armata commessa il giorno 8 febbraio 1896, in contrada San Giuliano, agro di Matera. in pregiudizio di Lopergolo Antonio;
Omicidio a scopo di rapina, commesso il 20 marzo 1896 nell'abitato di Matera in persona di Marone Francesco Nicola
L'avvocato Niccolò de Ruggieri, autore
del libro dal quale abbiamo attinto le notizie pubblicate in questa
pagina, si sorprende che il Giudice istruttore "escluse dagli addebiti i
delitti di mancato omicidio in danno di Mininni Filippo e degli omicidi
volontari nelle persone di Cristalli Eustachio, di don Giuseppe
Caropreso e di Festa Maria Teresa", in quanto "se è vero che per i tre
episodi criminosi di Cristalli Eustachio, Mininni Filippo e Festa Maria
Teresa si raccolsero solo prove congetturali, processualmente
irrilevanti, è vero altresì che per il delitto Caropreso si era in
presenza di una pluralità di indizi, fondati su circostanze gravi,
idonee a prefigurare un giudizio di responsabilità nei confronti di
Chita Eustachio."
Finalmente, la conclusione del processo e la morte del "mostro" avevano riportato tranquillità e sicurezza nella popolazione. La fama di brigante e di crudele bandito solitario, ormai sconfitto, spinse moltissimi materani a recarsi al cimitero nei tre giorni successivi all'uccisione, per vedere di persona il cadavere di Chitaridd trafitto dalle coltellate e dalla scure.
Finalmente, la conclusione del processo e la morte del "mostro" avevano riportato tranquillità e sicurezza nella popolazione. La fama di brigante e di crudele bandito solitario, ormai sconfitto, spinse moltissimi materani a recarsi al cimitero nei tre giorni successivi all'uccisione, per vedere di persona il cadavere di Chitaridd trafitto dalle coltellate e dalla scure.
DUBBI E SOSPETTI
A parte quanto è ufficialmente emerso dal processo, nella gente rimase il dubbio che le cose non fossero andate proprio così, infatti, si riteneva attendibile la circostanza che i tre fossero a conoscenza da tempo della presenza di Chita nella zona, non solo, si pensava che fossero suoi complici e che l'avessero ucciso a seguito di una lite oppure perchè ritenevano che fosse imminente la sua cattura e che, una volta tratto in arresto, avrebbe potuto svelare tanti scomodi segreti...
A parte quanto è ufficialmente emerso dal processo, nella gente rimase il dubbio che le cose non fossero andate proprio così, infatti, si riteneva attendibile la circostanza che i tre fossero a conoscenza da tempo della presenza di Chita nella zona, non solo, si pensava che fossero suoi complici e che l'avessero ucciso a seguito di una lite oppure perchè ritenevano che fosse imminente la sua cattura e che, una volta tratto in arresto, avrebbe potuto svelare tanti scomodi segreti...
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