Visualizzazioni totali

giovedì 1 settembre 2016

Severino Di Giovanni (Chieti, 17 marzo 1901 - Buenos Aires, 1 febbraio 1931) Anarchico

Severino Di Giovanni

Severino Di Giovanni (Chieti, 17 marzo 1901 - Buenos Aires, 1 febbraio 1931), è stato un anarchico insurrezionalista e "illegalista" emigrato dall'Italia all' Argentina per sfuggire alla repressione fascista.

Biografia

Severino Di Giovanni nasce a Chieti il 17 marzo 1901. In gioventù subisce le conseguenze del periodo post-bellico (prima guerra mondiale): fame, povertà  difficoltà , lutti, ecc. Da quel momento odierà  ogni tipo di autorità .

Il periodo italiano: l'anarchismo

Di professione tipografo, si avvicina così, sin da giovanissimo, alle idee anarchiche: legge Bakunin, Malatesta, Proudhon ed altri. Nel 1921 diventa membro attivo del movimento anarchico. Nel 1922, quando il fascismo conquista il potere dando inizio alle persecuzioni degli anarchici e di tutti i dissidenti, Severino, insieme alla moglie Teresa Mascullo e ai suoi tre figli, decide di emigrare in Argentina.

L'arrivo in Argentina

In questa terra, a 24 anni, s'innamora di una giovane ragazza quindicenne, America Josefina Scarfò. La famiglia Scarfò appartiene alla classe media argentina e certo non è favorevole a quell'amore, ma grazie alla complicità  di alcuni compagni e dei fratelli di America (Paulino e Alejandro), pure loro anarchici e appartenenti alla banda Di Giovanni, i due riescono a convivere per un lungo periodo. A Buenos Aires entra in contatto con l'anarchico calabrese Francesco Barbieri, che entrerà  a far parte della sua banda occupandosi principalmente degli esplosivi.

Attività  insurrezionale

In Argentina, grazie ad una nutrita presenza di anarchici italiani (Camillo Daleffe, Aldo Aguzzi, Luigi Tibiletti, Carlo Fontana, Pasquale Caporaletti, Giacomo Sabbatini, Luigi Zanetti, Giuseppe Pellegrini, Romeo Gentile, Clemente Daglia, Carlo Marchesi, ecc), Severino Di Giovanni prosegue il suo attivismo anarchico. Di Giovanni è prevalentemente un uomo d'azione: teorizza le rapine alle banche come mezzo di finanziamento e l'assalto alle centrali di polizia, dove notoriamente venivano torturati i comunisti e gli anarchici (a lui è pure attribuita una bomba al Consolato italiano a Buenos Aires che provocò diversi morti). Soprattutto durante il concitato periodo delle grandi manifestazioni di solidarietà  a Sacco e Vanzetti si verificano alcune clamorose rapine e manifestazioni pratiche di azione diretta. La polizia argentina arresta una prima volta l'anarchico italiano quando, dagli spalti del teatro Colon di Buenos Aires, lancia diversi volantini antifascisti in favore del deputato Giacomo Matteoti, assassinato dal fascista Dumini, urlando: «Abbasso il fascismo!». Il volantino riportava il seguente testo:
« Santificatori della monarchia Sabauda avete dimenticato che proprio sotto il regno di Vittorio Emanuele III, per grazia di Dio e volonà di pochi Re d'Italia; sorse, si alimenta nel sangue, quell'accozzaglia di briganti che si chiamano i FASCISTI con tutti i suoi Dumini, i Filippelli, i Rossi, i De Vecchi, i Regazzi, i Farinacci e che trova in Benito Mussolini la più precisa e perfetta raffigurazione di tutte le infamie
Glorificatori della Monarchia appuntellata dal pugnale dei Dumini scrivete nella storia della Casa Savoia questo nome glorioso:
Matteotti!
Ricordate i 700 assassinati nel 1898 dai cannoni di Umberto il Buono. W la mano di Bresci!...» (Volantino lanciato dagli anarchici dal loggione del teatro Colòn, Buenos Aires, 6 giugno 1925) 

La collaborazione con «Culmine»

Pur essendo "uomo d'azione" Di Giovanni non nega l'importanza della teoria. Pubblica numerosi testi anarchici e il giornale «Il culmine» (il primo numero uscà nell'agosto del 1925), che si pone l'obiettivo di:
  • diffondere le idee anarchiche tra i lavoratori italiani.
  • contrastare la propaganda dei partiti politici pseudo-rivoluzionari, che fanno dell'antifascismo una speculazione per le loro future conquiste elettorali.
  • iniziare tra i lavoratori italiani agitazioni di carattere esclusivamente libertario per mantenere vivo lo spirito di avversione al Fascismo. *stabilire un’intensa ed attiva collaborazione tra i gruppi anarchici italiani e il movimento anarchico locale.
«Il culmine» diffonde molti appelli in favore di prigionieri politici (es. Sacco e Vanzetti), contro il fascismo in Italia e nel resto del mondo, contro la repressione argentina e anche contro lo stalinismo (una rubrica del periodico si intitolava «Dall'inferno bolscevico»).

Azioni dirette, cattura e morte

Diviso tra teoria e pratica DiGiovanni continua a compiere molte azioni dirette, compresa la clamorosa uccisione di Emilio Lopez Arango, direttore del giornale anarchico avversario «La protesta», che provoca l'isolamento del suo gruppo rispetto al movimento anarchico argentino. Il gruppo di Severinoè dove militavano anche i due fratelli di America, Paulino e Alejandro - continua rapinare banche e a colpire i simboli del fascismo italiano, anche se i suoi compagni cadono ad uno ad uno (Alejandro Scarfò, fratello di America, fu arrestato e rinchiuso nel manicomio criminale di Vieytes).
Il 29 gennaio 1931 la tipografia di Severino viene circondata dalla polizia. I componenti del gruppo cercano di fuggire, uccidono due poliziotti ma alla fine Di Giovanni, sentendosi perduto, tenta invano il suicidio. Ormai moribondo Severino viene fermato dalla polizia e condotto velocemente in ospedale dove i medici gli "salvano" la vita, affinchè sia poi lo Stato argentino a condannarlo a morte. Il 1° febbraio 1931, poche ore dopo il suo arresto, viene condannato alla fucilazione insieme al fratello di America Paulino Scarfò.

I contrasti con il movimento anarchico

Le azioni di Severino Di Giovanni e della sua banda furono spesso mal sopportate dal movimento anarchico, sino addirittura arrivare al suo isolamento a causa di una serie di azioni ritenute eccessivamente cruente. Già  dopo la bomba al consolato italiano di Buenos Aires - che essendo collocata all'ingresso dell'edificio determinò la morte di 9 persone, molte delle quali erano là solo in attesa di un visto - gran parte degli anarchici espressero il loro sdegno. Successivamente, dopo l'attentato alla "National City Bank" (due morti e ventitre feriti), altre accuse furono rovesciate addosso a Di Giovanni e alla sua banda. Egli cercò di difendersi attraverso una serie di articoli pubblicati su «Il culmine» e attraverso una lettera alla «L'Adunata dei Refrattari» (organo degli anarco-individualisti italiani negli Stati Uniti), in cui chiedeva l'istituzione di una commissione anarchica internazionale che giudicasse i fatti. Luigi Fabbri e Vincenzo Capuana mostrarono attenzione ai suoi scritti, inducendo Di Giovanni a credere che si trattasse di una specie di assenso alle sue azioni.
I successivi attentati - una bomba ai danni di una cattedrale (un morto), una bomba fu collocata in un bastimento insieme a Buenaventura Durruti (esule in Argentina durante quegli anni) e infine l'uccisione del compagno anarchico Emilio Lopez Arango, nuovo direttore del giornale anarchico avversario «La protesta», determinarono il totale isolamento di Severino Di Giovanni e della sua banda.

In omaggio a Severino Di Giovanni

In Italia è stato attivo un Archivio Severino Di Giovanni, che ha curato l'edizione di libri e articoli.
Attualmente è attivo in Cile un gruppo anarchico, fautore dell'insurrezionalismo e dell'azione diretta, a cui vengono attrbuiti numerosi attentati contro lo Stato cileno, banche e istituzioni varie.

el anarquista expropriador italiano radicado na Argentina Severino di Giovanni
Unknown
Severino Di Giovanni (Chieti, Italy, 17 March 1901 – Buenos Aires, Argentina, 1 February 1931), was an Italian anarchist who immigrated to Argentina, where he became the best-known anarchist figure in that country for his campaign of violence in support of Sacco and Vanzetti and antifascism.

Italy

Di Giovanni was born on 17 March 1901, in Chieti, Abruzzo. Raised right after World War I in a period of deprivations, such as hunger and poverty, his upbringing had a huge impact on his politics. He followed courses to become a teacher, and soon started teaching, before graduating, in a school of his town. He learnt by his own the art of typography and read, on his free time, Mikhail Bakunin, Malatesta, Proudhon, and Élisée Reclus.
Di Giovanni started rebelling against authority at a very young age. At the age of 19 he was orphaned, and at the age of twenty (1921), fully embraced the anarchist movement. He married his cousin Teresa Masciulli in 1922, the same year Benito Mussolini's Black Shirts took power during the March on Rome. Giovanni and Teresa decided to exile themselves to Argentina, where they immediately became involved with anarchists and antifascist movements. Severino and Teresa had three children.[citation needed]

Arrival in Argentina

Di Giovanni arrived in Buenos Aires with the last big wave of Italian immigrants before World War II. He lived in Morón and travelled daily to Buenos Aires Capital to participate in meetings and plan actions against fascism and Italian fascist supporters in Argentina. Di Giovanni's ideology was close to the radical factions of the anarchist movement in Argentina, gathered around the magazine La Antorcha, then to the Argentine Regional Workers' Federation (FORA), and the historical newspaper La Protesta. During the 1920s, Argentina was led by the moderate left UCR Party, headed successively by Presidents Hipólito Yrigoyen and Marcelo Torcuato de Alvear.[citation needed]
An anarchist, Di Giovanni had nothing but contempt for the UCR, which he saw as a pale reflection of more right-wing and fascist elements in Argentine politics. Severino Di Giovanni's first direct action took place on 6 June 1925, during the celebration of the 25th anniversary of Victor Emmanuel III's accession to the Italian throne, which took place at the Teatro Colón. President Alvear, his wife, opera singer Regina Pacini, and Count Luigi Aldrovandi Marescotti, ambassador of Fascist Italy, were present at the act, as well as numerous Black shirts put in place by Marescotti to prevent any disorder. When the orchestra started the Italian hymn, Giovanni and his companions threw leaflets around, at the cries of "Assassins! thieves!" The Black shirts managed to overcome them, and hand them over to the police.

Culmine, Sacco & Vanzetti, and Propaganda of the Deed

After being quickly released, Di Giovanni took part in international protests against the arrest and trial of Sacco and Vanzetti, members of the Galleanist anarchist group, who were accused of a robbery and murder of two payroll guards. At the time, Di Giovanni was in Argentina one of the most active anarchists in Argentina defending the two Italian immigrants, writing in various newspapers, including his own, founded in August 1925 and titled Culmine, and in the New York publication L' Adunata dei refrattari. Culmine advocated direct action and propaganda of the deed. Di Giovanni worked at it at nighttime, supporting his activism and family by working in factories and as a typesetter. He summarized Culmine's objectives:
  • To spread anarchist ideals among Italian workers;
  • To fight the propaganda of pseudo-revolutionary political parties, which use fake anti-fascism as a tool for winning political elections;
  • To start anarchist agitation among Italian workers and keep anti-fascism alive;
  • To interest Italian workers in Argentina in protest and expropriation;
  • To establish an intense and active collaboration between anarchist groups, isolated partners and the regional anarchist movement.
On 16 May 1926, several hours after Sacco and Vanzetti's death sentence was announced, Di Giovanni bombed the U.S. embassy in Buenos Aires, destroying the front of the building. The following day, President Alvear ordered several police searches of those suspected in the attack, and the police requested assistance from the Italian embassy in order to identify suspects. The embassy immediately named Giovanni, who had disturbed the celebrations of the Teatro Colón. He was soon arrested by the police and tortured for 5 days, but would not provide information. Di Giovanni was released for lack of evidence.
Meanwhile, in Massachusetts, the defense counsel for Sacco and Vanzetti managed to postpone their executions until 23 August 1927. A movement in support of the Galleanist anarchists continued to agitate for their pardon and release. On 21 July 1927, the U.S. embassy published an article in the conservative newspaper La Nación, which described the two Italian anarchists as common-law delinquents. On the following day, Di Giovanni and two of his anarchist comrades, Alejandro and Paulino Scarfó, blew up a statue of George Washington in Palermo, Buenos Aires, and several hours later, exploded a bomb at the Ford Motor Company. Confronted with evidence of anarchist involvement in the bombings, on 15 August 1927, Eduardo Santiago, the Federal Police officer in charge of the investigation, claimed that everything was under control and that no anarchist in the world would defeat him. On the following day, Santiago barely escaped from the bombing of his house by Di Giovanni and his group, having gone to buy cigarettes a few minutes before.
On 23 August 1927, Sacco and Vanzetti were executed; in response, a 24-hour general strike was proclaimed in Buenos Aires, as well as many other capitals of the world. Several days after the executions, Di Giovanni received a letter from Sacco's widow, which thanked him for his work, and informing him that the director of the tobacco firm Combinados had proposed her a contract to produce a cigarette brand named "Sacco & Vanzetti". On 26 November 1927, Di Giovanni and his comrades duly bombed Bernardo Gurevich's tobacco shop Combinados on Rivadavia 2279. Di Giovanni and his comrades continued their anti-U.S. campaign of terror. The headquarters of Citibank and the Bank of Boston were severely damaged in a bombing on 24 December 1927, killing two people and injuring twenty-three others.
At the beginning of 1928, the Italian liberal newspaper from Buenos Aires, L'Italia del Popolo, denounced the Italian consul, Italo Capil, as an informer and supporter of fascist elements in the Federal Police. Upon being told that the consul would visit the new consulate, along with the new ambassador, Giovanni and the Scarfó brothers bombed the Italian consulate on 23 May 1928, killing nine fascists and injuring 34 others. At the time, the Italian consulate bombing was the deadliest bombing ever to take place in Argentina. Opponents of the Italian fascist government claimed derisively that the funerals of the consular employees were performed in accordance with the "fascist funeral rite", in the presence of the ambassador, the state delegate of Italian fascists in Argentina (Romualdo Matarelli), President Alvear (and his wife, Regina), and General Agustín P. Justo. On the same day, Di Giovanni attempted to bomb Benjamín Mastronardi's pharmacy, in La Boca. Mastronardi was the president of the Fascist Committee of La Boca. The bomb was deactivated by Mastronardi's son.
Giovanni's penchant for 'propaganda by the deed' triggered fierce debates inside the anarchist community; some anarchist leaders argued that Di Giovanni's actions were counterproductive, and could only result in a military coup and a victory for fascist forces. Anarchist journals such as La Antorcha and La Protesta criticized Di Giovanni's methods of direct action and indiscriminate violence. La Protesta, edited by a fierce opponent of Di Giovanni, the anarcho-syndicalist Diego Abad de Santillán, took an openly anti-Di Giovanni line, which hardened as the bombings got more indiscriminate. La Antorcha was more ambiguous in its criticism. Neither paper pleased Di Giovanni, and both were denounced by Culmine. The war of words escalated. On 25 October 1929 someone assassinated Emilio López Arango, an editor of La Protesta. At first a group of bakers who were members of the same union as Arango were suspected of the killing but were never charged with the crime. Di Giovanni and his group were reportedly the prime suspects in the assassination.
La Protesta immediately denounced the bombing of the Italian consulate. The criticism had no effect. Three days after the Italian consulate bombing, Di Giovanni struck again in Caballito, bombing the home of Cesare Afeltra, a member of Mussolini's secret police. Alfeltra was accused by Italian anarchist exiles of having practiced torture on members of various radical anarchist and anti-fascist groups in Italy. U.S. President-elect Herbert Hoover visited Argentina in December 1928. Di Giovanni wanted to bomb Hoover's train in revenge for the execution of Sacco and Vanzetti, but the bomber, Alejandro Scarfó, was detained shortly before installing the explosives on the rails.
This debacle led Di Giovanni to suspend his bombing campaign; he focused instead on his journal Culmine. In 1929, he wrote:
Spending monotonous hours among the common people, the resigned ones, the collaborators, the conformists – isn't living; it's a vegetative existence, simply the transport, in ambulatory form, of a mass of flesh and bones. Life needs the exquisite and sublime experience of rebellion in action as well as thought.
Following the September 1930 military coup, which overthrew Hipólito Yrigoyen, replaced by General José Félix Uriburu and Agustín P. Justo, Giovanni made plans to free his comrade Alejandro Scarfó from prison. Needing funds in order to bribe the prison guards, he assaulted Obras Sanitarias de la Nación on 2 October 1930, achieving the most important robbery until then in Argentina, taking with him 286,000 pesos. However, the planned breakout never took place, and Scarfó remained in prison.

Capture and execution

In 1927, Giovanni left his wife, and commenced an affair with América Josefina ("Fina") Scarfó, the 15-year-old sister of the Scarfó brothers, Alejandro and Paulino. Fina had married anarchist Silvio Astolfi to remain with Giovanni, but was promptly cut off from all contact with her family. At the beginning of the Infamous Decade initiated by the military coup, Di Giovanni passed long periods of his time in reclusion, working on Elisée Reclus's complete works. The police attempted to arrest him at a printing shop, but Di Giovanni managed to escape during a gun battle in which one policeman was killed and another injured. In January 1931, Di Giovanni was arrested after being seriously injured in yet another gun battle, along with Fina and Paulino Scarfó. Two other anarchists were killed in the firefight. Di Giovanni announced that the 300 chickens found in their house were to be given to the poor of Burzaco.
The military junta publicized the arrests as a victory of the new regime, and immediately organized a military tribunal. Di Giovanni was ably defended by his appointed defense counsel, Lieutenant Juan Carlos Franco, who spoke out in favor of the independence of the judicial system, and alleged that Di Giovanni had been tortured by the police. Lt. Franco's spirited defense of his client caused his own arrest after the trial; he was later dismissed from the ranks of the armed forces and briefly imprisoned before his deportation from Argentina. It was to no avail; the evidence against Di Giovanni was overwhelming. Both he and Paulino Scarfó were sentenced to death; Fina, being underage, was freed.
Severino Di Giovanni was executed by firing squad on 1 February 1931; he was 29 years old. He shouted "Evviva l'Anarchia!" (Long live Anarchy!), before being hit by at least eight 7.65 mm Mauser rifle bullets. After exchanging a final farewell, Paulino Scarfó was also executed few hours later. Di Giovanni's body was to be buried secretly, on orders of the Interior Minister Matías Sánchez Sorondo, in La Chacarita. However, on the following day his grave was anonymously decorated with flowers.

Postscript

After Di Giovanni's execution, Fina abandoned her husband Silvio Astolfi, and eventually remarried, settling down to a quiet life in Buenos Aires. After serving a lengthy prison term, Astolfi returned to Europe and carried on with his antifascist activity: he was later killed during the civil war in Spain. On 28 July 1999, Fina Scarfó obtained the love letters which Di Giovanni had sent to her from prison decades earlier, but which had been seized by the police.
Fina died on 19 August 2006, at age 93. Teresa Masciulli, Di Giovanni's widow, remarried, and Di Giovanni's children changed their names. Alejandro Scarfó, after serving a term of imprisonment for the attempted assassination of President Hoover, was released from prison in 1935. Abandoned by his relatives and even his fiancée, he vanished into obscurity, embittered and resentful.
Severino Di Giovanni in un momento processuale circa  1930

Severino Di Giovanni
La figura di Di Giovanni ha sempre messo in luce una profonda divisione all’interno del movimento anarchico, divisione che va molto oltre i limiti degli avvenimenti specifici durante la sua vita. Da prima della attività di Di Giovanni, fino a oggi, ci sono sempre stati compagni che includono i metodi di azione diretta, lotta armata e esproprio nella lotta contro lo sfruttamento. D’altro canto, ci sono sempre stati quelli contrari a questi metodi, e a favore soltanto della propaganda e dell’educazionismo libertario. Quest’ultima è la posizione tenuta dagli anarchici argentini riuniti, all’epoca di Di Giovanni, attorno al quotidiano anarchico "La protesta". Anche oggi ci sono molti che mantengono questa posizione e che sicuramente avrebbero preferito lasciare Di Giovanni, e ciò che rappresenta, in una relativa oscurità.
Per com’è questo libro [O. Bayer, Anarchism and Violence. Severino Di Giovanni in Argentina. 1923-1931, London 1986] contiene certi difetti che devono essere indicati e che esamineremo più avanti. Il lavoro di Bayer è un tentativo onesto e oggettivo, lontano dagli stereotipi così cari alla stampa borghese. Racconti contemporanei alle sue attività riempirono colonne e colonne, dipingendo Di Giovanni come bombarolo, bandito e assassino.
Non solo la stampa dei padroni, come si dice, ma anche quella parte della stampa dalla quale ci si aspetterebbe di meglio, hanno insistito nel vedere Di Giovanni immerso in una realtà brutale e omicida, nella quale viveva e portava avanti la sua lotta, distaccato dal movimento anarchico di cui invece faceva parte.
Per esempio, l’autore della Prefazione all’edizione spagnola di questo libro, José Luis Moreno, dice: «Di Giovanni voleva dalla violenza ciò che la borghesia voleva dalla legge: uno strumento per ottenere uno scopo finale, che naturalmente in ambedue i casi erano diversi e antagonisti. Di Giovanni credeva di potere combattere la borghesia con le sue stesse proprie armi». E più avanti: « […] Egli utilizzava il suo arsenale di guerra come uno strumento di base, relegando i problemi ideologici al secondo posto. Per lui, come per molti anarchici, è questo che significava azione diretta». E ancora: «In realtà fu un romantico. Paradossalmente come potrebbe sembrare, e citando Bayer, diremo che fu un romantico della violenza, l’amore e la violenza sono veri scopi, e per lui non ce ne furono altri».
Potrebbe essere difficile al primo sguardo fare una distinzione tra la violenza proletaria della difesa e l’opprimente terroristica violenza dello Stato. Ma questa distinzione può e deve essere fatta. Attaccando le istituzioni, armi in mano, Di Giovanni non stava usando le stesse armi della borghesia, ma quelle, completamente diverse della liberazione e della rivendicazione popolare, e dove mai l’autore della Prefazione all’edizione spagnola ha letto che Di Giovanni ha messo i problemi ideologici in secondo piano? Forse avrebbe fatto meglio lui, al posto di Di Giovanni braccato, inseguito dalla polizia come un animale selvaggio, ma nonostante ciò lo stesso curando in tipografia numerose pubblicazioni anarchiche, compreso un giornale quindicinale: "Culmine", e una edizione degli Scritti sociali di Reclus? E, in fine, perché definirlo un romantico? Quando sappiamo benissimo che oggi la storiografia lega questo termine agli aspetti decadenti della poetica romantica, quelli che sono lontani dalla realtà? Utilizzare questo termine oggi può solo confondere il lettore. Esisteva per Di Giovanni molto di più dell’amore e della violenza: la lotta contro il fascismo, la lotta sindacale, la lotta per una società nuova, la lotta per l’anarchia. Tutte queste lotte furono intraprese nella piena coscienza del bisogno di utilizzare mezzi pericolosi, mezzi giustificati solo dalla guerra aperta, dichiarata da quelli al potere.
Per tornare al libro. Come abbiamo detto è una ricostruzione oggettiva lontana dal sensazionalismo dell’epoca di Di Giovanni. Lo sviluppo dell’attività di Di Giovanni. è stato seguito attentamente attraverso la consultazione di giornali contemporanei, documenti e testimonianze. Dagli avvenimenti al Teatro Colon, al momento finale, davanti al plotone di esecuzione, incontriamo Di Giovanni attraverso un miscuglio di distanza e simpatia. Non avendo accesso alle fonti utilizzate, possiamo solo accettare le conclusioni raggiunte dallo storico e considerare il suo lavoro come positivo. Sono altri aspetti del libro che ci danno preoccupazione, particolarmente il frequente ricorso a giudizi di valore tutti legati ad una visione, "romantica e idealistica" dell’attività rivoluzionaria di Di Giovanni.
Non è nostra intenzione privare il lettore del piacere di leggere il racconto ricco che Bayer fornisce, allora non cercheremo di riassumere qui l’attività di Di Giovanni. Sentiamo comunque che è necessario indicare la mancanza di fondamento alle conclusioni teoriche di Bayer.
Per esempio scrive: «Da buon autodidatta, Di Giovanni crede, nella sua tragica ingenuità, che la teoria è fatta per essere applicata. Bakunin e Kropotkin avevano detto che tutti i mezzi sono leciti per giungere alla rivoluzione e per conquistare la libertà».
È in tali passaggi che ci si rende conto che Bayer. per quanto un ricercatore coscienzioso, o non ha letto, o ha capito poco del pensiero anarchico. Dove mai ha trovato l’affermazione che Bakunin e Kropotkin dicono che tutti i mezzi sono giustificabili? Dove mai ha letto che utilizzare la teoria anarchica acriticamente è tipico degli autodidatti? Dove ha saputo che la teoria anarchica è teoria fatta solo per restare sulla carta. Di Giovanni era uomo coerente, non è vero che qualunque mezzo fosse buono per lui. Sceglieva sempre i mezzi in rapporto alla violenza terroristica delle strutture del potere, ed è rimasto su questa strada fino alla fine. Chiedersi, come fa il nostro autore, la psicologia del suo rapporto con la teoria anarchica non ha senso. Faccia a faccia col nemico, il famoso volume di Galleani, è anche il titolo di una sezione del giornale di Di Giovanni "Culmine", e dimostra la vera sostanza del rapporto tra teoria e pratica. Di Giovanni sapeva che l’attacco contro l’oppressione doveva usare certi mezzi, ma sapeva anche che gli altri mezzi, la propaganda, le pubblicazioni anarchiche erano di grande valore perché servivano a preparare il campo per l’intervento attivo rivoluzionario. Ma, affinché questo scambio tra teoria e pratica potesse verificarsi, occorreva che in futuro la prima fosse sviluppata in una certa direzione, e non diventasse ostacolo nella strada dell’azione diretta come nel caso degli editori de "La protesta".
Un’altra interessante interpretazione fatta da Bayer di Di Giovanni è quella che lo identifica con l’individualismo nicciano. Questo è un problema interessante. Bayer individua a più riprese la presenza del filosofo tedesco nel pensiero di Di Giovanni. E, in effetti, questa influenza non può essere negata. Bayer ci dice: «È percepibile in Di Giovanni l’immensa l’influenza di Nietzsche (nel perquisire la sua biblioteca a Burzaco vennero trovati dei cartelli esposti alle pareti, con frasi dell’autore di Zarathustra». E in una lettera dell’22 ottobre 1928, egli stesso scrive: «Oh, quanti problemi si affacciano sulla scarpata della mia giovane esistenza, travolto da mille turbini del male! Eppure l’angelo della mia mente mi ha detto tante volte che solo nel male vi è la vita. Ed io vivo tutta la mia vita. Il regno della mia esistenza si è perduto in essa: nel male? Il male mi fa amare il più puro degli angeli. Faccio io male? Ma se essa mi guida? Nel male vi è l’affermazione più alta della vita. E stando in essa, sono equivocato? Oh, problema dell’ignoto, perché non ti risolvi? […]». Per questo Bayer. conclude: «Tenerezza che, presto, quando gli toccherà di agire, si convertirà in crudeltà. Era evidentemente un uomo spontaneo, completo nei suoi sentimenti, che agiva come ubriacato di tutta la gamma di colori, di lotte, di contraddizioni, di bellezze, di generosità, di tradimenti che la vita ci presenta. Vale a dire un autentico nicciano».
Leggere Nietzsche costituisce un impatto per molti, e probabilmente anche per Di Giovanni. Ma da questo, arrivare a definire l’uomo e le sue azioni come nicciani, sembra un passo troppo grande. Anche la presenza di alcune frasi dell’opera di Nietzsche nella biblioteca del nostro compagno, sembra essere un elemento troppo modesto per giustificare l’affermazione che lui era un dichiarato seguace delle dottrine del filosofo, L’approfondimento delle radici filosofiche è un problema molto serio e può avere un effetto su tutte le azioni dell’anarchismo che insiste sull’azione diretta, e che pur non negando l’importanza e i valori della propaganda, dell’educazione libertaria, accentua l’importanza dell’attacco contro l’oppressione.
Non è vero che Di Giovanni «agisse come ubriacato da tutta una gamma di colori, di lotte e di contraddizioni […]». La pienezza della sua concezione di vita non aveva niente della violenza improvvisata che si confonde con la forza vitale nella dimensione filosofica di Nietzsche. Non dobbiamo dimenticare la visione del filosofo tedesco riguardo l’essenza del mondo e della storia, né la sua ammirazione per l’ideale del "superuomo", qui l’elemento deterministico dell’eterno ritorno interagisce con l’elemento volontaristico e mistico della volontà di potenza. Queste tendenze opposte fanno dire delle cose interessanti al filosofo riguardo il nazionalismo, la religione e la guerra; ma anche delle affermazioni assurde e pericolose che nella bocca dei seguaci del nazionalsocialismo hanno a torto fatto di lui un filosofo di "destra". La lettura di Nietzsche come quella di Stirner è un lavoro abbastanza difficile, ed è quasi sempre stato fatto male. Ma esiste una divisione netta tra la lettura che Di Giovanni fa dei libri di Nietzsche e la sua attività anarchica, rivoluzionaria. L’aspetto volontaristico della sua attività non aveva mai lo scopo di creare un mito, o di seguire il modello del "superuomo". Aveva sempre in mente una precisa situazione di lotta, che emergeva dallo sfruttamento di classe e dall’oppressione fascista. Questa situazione venne da lui continuamente verificata, a livello teorico, nel suo giornale "Culmine".
Non si dovrebbe essere stornati dalla prosa fiorita e traboccante, una volta abbastanza comune fra gli scrittori libertari, Galleani ne è un esempio. Quando dice che "solo nel male c’è vita", il riferimento letterario si rapporta direttamente a una contraddizione che è abbastanza evidente in un uomo che ha scelto la strada dell’ "outsider". Se la dimensione borghese della vita è ciò che ognuno definisce "buono", allora solo nel "male" esiste vera vita, solo rompendo il cerchio dell’ipocrisia e il falso amore del bene è possibile trovare un differente e più essenziale bene, l’unico capace di fondare la società di domani attraverso il dolore e la sofferenza di oggi. Anche nel suo rapporto con la giovanissima compagna Josefina, egli è cosciente che dal punto di vista borghese la sua azione potrebbe essere condannata e considerata "male": ma è precisamente questo male che gli fa sentire di avere ragione e di affermare la vita. Non rimane allora null’altro da fare che accantonare le parole, guardare la realtà in faccia, e agire.
Allora arriviamo al terzo problema, che emerge da una lettura di questo libro, quello del terrorismo. Ancora una volta Bayer dà sfogo a giudizi di valore e si perde in affermazioni assurde e infondate: «Di Giovanni fu un eroe sfortunato, un giovane uomo che prese sul serio ciò che i libri della sua ideologia dicevano. Ideologia questa che, secondo come la si interpreta, può passare dalla bontà e dal rispetto per la condizione umana in tutti i suoi aspetti, alla più disperata e violenta azione soggiogatrice, giustificata con l’ideale di voler instaurare la libertà assoluta per tutti». È dunque indispensabile che il lettore tenga in mente la totale mancanza di comprensione da parte di Bayer riguardo che cos’è l’anarchismo. E, più di tutto, su che cosa significarono e significano le azioni di Di Giovanni.
Ma il nostro problema è ancora leggermente diverso. Assieme ai suoi compagni, Di Giovanni ha eseguito delle azioni che normalmente vengono definite "terroristiche", egli stesso ha scritto: «In eterna lotta contro lo Stato ed i suoi puntelli, l’anarchico che sente su se stesso tutto il peso della sua funzione e dei suoi scopi emananti dall’ideale che professa e della concezione che ha dell’azione, non può molte volte prevedere che quella valanga che fra poco andrà a far rotolare per la china dovrà necessariamente urtare il gomito del vicino in astrattiva contemplazione delle stelle o calpestare un callo di un altro che s’impunta in non smuoversi avvenga quello che avvenga intorno a lui».
In primo luogo deve essere detto chiaramente che cos’è terrorismo. La propaganda di Stato fatta dai soliti inservienti pagati della stampa borghese ha sempre chiamato terrorismo le azioni di individui o gruppi contro i responsabili dello sfruttamento, contro la proprietà, le istituzioni dello Stato e l’ordine costituito. L’altro terrorismo, il vero terrorismo, eseguito dallo Stato direttamente utilizzando l’esercito in tempo di guerra, o i padroni sul posto di lavoro, non è mai stato considerato terrorismo. E migliaia di operai uccisi, feriti ogni anno, solo in questo paese. I dolci avvelenati, i gas allucinogeni, i defoglianti e ogni genere di arma batteriologia nel Vietnam, ormai patrimonio di tutti gli Stati in guerra. Al tempo di Di Giovanni lo sport preferito della borghesia argentina era la "caccia" nella Terra del Fuego durante la quale i nativi delle foreste venivano colpiti a morte. Le stesse persone che ammazzavano questi "selvaggi" a sangue freddo per il piacere della caccia, furono fra i più decisi nel condannare le azioni di Di Giovanni. Evidentemente quando il terrore viene praticato contro gli altri non disturba il palato della borghesia. Ma quando la minaccia appare vicino casa, allora essa cambia opinione.
È giusto, dunque, che possiamo parlare di terrore solo quando parliamo di violenza repressiva, mai quando parliamo della violenza degli sfruttati. L’uso di tale termine riguardo azioni concernenti il loro diritto di difesa, diventa causa di malcomprensione, e di lunghe e inutili discussioni.
E le azioni di Di Giovanni non erano mai violente per il piacere di esserlo, non erano mai applicate indiscriminatamente per creare una tensione che avrebbe solo favorito il potere e la sua politica di consolidamento. Le azioni di Di Giovanni erano sempre guidate da uno preciso ragionamento rivoluzionario: colpire i centri del potere con azioni punitive che trovano la propria giustificazione nella violenza di Stato e che hanno lo scopo di spingere la massa verso un obiettivo rivoluzionario. Di Giovanni ha sempre tenuto conto della situazione di massa, anche se spesso è stato accusato del contrario. È anche stato accusato di avere contribuito alla repressione, scatenandola contro il movimento anarchico. Tale accusa non ha senso. La repressione poliziesca uccide un movimento rivoluzionario solo quando questo è già morto nella sua componente essenziale di attacco contro il potere. In altre parole, se un movimento rivoluzionario, in una situazione democratica, si illude che esiste solo perché vegeta all’ombra della tolleranza governativa, è logico che un’ondata di repressione finirà sempre per distruggerlo. Ma, nei fatti, questa repressione uccide solo un cadavere senza vita, qualcosa che si illudeva di essere vivo perché come una pianta buttava solo pochi semi o generava un numero di gruppi che diffondevano nient’altro che opinioni. È necessario interpretare l’attività di Di Giovanni e il suo rapporto con il movimento anarchico argentino in questo contesto.
In ultimo, è necessario dire qualcosa riguardo i possibili "incidenti" che ogni rivoluzionario deve cercare, per quanto possibile, di evitare nel corso dell’attacco contro il potere. Questi incidenti sono sempre deplorevoli, perché vengono subito visti in una luce negativa dalla massa degli sfruttati e perché mettono in pericolo la vita di persone che prese individualmente non sono responsabili per un particolare atto di repressione. Ma una volta che l’atto violento, deciso da un militante o gruppo di militanti, viene eseguito con opportuna analisi e garanzia; quando la sua opportunità politica è stata considerata ed esso viene eseguito in modo da renderlo quanto più chiaro possibile alla massa; e il militante o gruppo sono veramente parte della minoranza armata degli sfruttati: allora se l’azione causa un "incidente" e qualcuno muore durante il suo corso, non possiamo condannare l’azione, né i compagni che l’hanno eseguita.
In ogni caso, anche quando non siamo d’accordo con una particolare azione, e una critica ci sembra giustificata, dobbiamo sempre tenere in mente che la nostra critica non può andare oltre quell’azione specifica. Trarre principi generali da essa — per quanto logici questi possano sembrare — è sempre gratuito e pericoloso dal punto di vista rivoluzionario.
Molti importanti problemi riguardanti Di Giovanni non avrebbero avuto senso se i compagni che li hanno sollevati, nel passato come oggi, non avessero iniziato con delle malcomprensioni riguardo la funzione e gli scopi dell’azione rivoluzionaria.
Alfredo M. Bonanno
[Introduzione a: Osvaldo Bayer, Anarchism and Violence. Severino Di Giovanni in Argentina. 1923-1931, Elephant Editions, London 1986, pp. 7-17. In italiano su: Alfredo M. Bonanno, A mano armata, Anarchismo, Catania 1998]

Severino Di Giovanni

“ho la febbre in tutto il corpo”, una lettera a Josefina Scarfò *
Domenica 19 agosto 1928.

Mia amica. Ho la febbre in tutto il corpo. Il tuo contatto mi ha riempito di tutte le dolcezze.

Mai come in questi lunghissimi giorni, ho tanto centellinato i sorsi della vita.

Prima vivevo le ore tranquille di Tantalo ed ora, oggi, l'oggi eterno che ci ha uniti, vivo, senza saziarmi, tutti i sentiti armoniosi dell'amore tanto cari a Shelley ed alla George Sand. Ti dissi -in quell'amplesso espansivo -quanto tempo ti amavo, ma vorrei dirti anche quanto ti amerò, perché il pane della mente che sa materializzare tutte le idealità elette dell'esistenza umana,ci sarà la guida più esperì a ,pieno di tante abilità, risolutrice di tutti i problemi nostri, che - e te lo dico con tutta la sincerità di un amico, di un amante di un compagno il nostro unisono bene sarà bello e lungo, godente e pieno di tutti i sentimenti, grande e sconfinatamente eterno. Quando ti parlo di eternità - tutto ciò che il cuore ha voluto ed amato è eterno - voglio alludere all'eternità dell'amore. L'amore mai muore. L'amore che ha germogliato lontano dal vizio e dal pregiudizio, è puro e nella sua purezza non si può contaminare e l'incontaminato è dell'eternità.Vorrei potermi esprimere sempre nel tuo idioma (Fina gli scriveva sempre in Castigliano, n.d.r.)per cantarti ogni attimo del tempo la dolce canzone dell'anima mia, farti comprendere i palpiti che percuote fortemente il cuore, le delicate figurazioni del pensiero mio che di tè invaghitesi non potrà mai dare il "finis" della sua elegia.

Ma d'altra parte -io che credo che il mio amore è da te contraccambiato con tutta la possanza della tua gioventù ancora in bocciolo, l'ho letto tante volte sulle tue nere pupille - mi contento nel sapere che per comprendere queste linee debbono essere rilette più di una volta da tè. Tu non avrai tempo di scrivermi. Tu devi ancora dedicarti allo studio. Baciami come io ti bacio.

Rendimi duplicato il mio bene che ti voglio. Sappi che ti penso sempre, sempre, sempre. Sei l'angelo celestiale che mi accompagna in tutte le ore tristi e liete di questa mia vita refrattaria e ribelle. Con te, ora e sempre
 Severino, Severino aquel héroe ya olvidado.
Fueron los milicos que te fusilaron
Severino, Severino el pueblo lloró tu muerte.
en los años treinta sobre aquel amanecer
(en los años treinta… sobre aquel amanecer)

Severino, con tu lucha hasta la muerte
Muy enamorado de tu América,
la bella muchacha,
Muchachita que siempre esperó y seguirá esperando.
Severino, libertario… dinamita y corazón.
En los años treinta… sobre aquel amanecer
En los años treinta… siempre te verán volver

Severino con tus libros y con tu palabra impresa
con todas las armas luchaste por un ideal
y caíste ante el tirano defensor de aquel sistema
En los años treinta sobre aquel amanecer,
En los años treinta… siempre te verán volver

En los años treinta sobre aquel amanecer,
En los años treinta… siempre te verán volver

inviata da Bartleby - 9/9/2011 - 08:48

SEVERINO DI GIOVANNI

Severino di Giovanni (1901-1931), militante anarquista italiano, radicado en Argentina, conocido por su accionar violento, apodado "el Robin Hood moderno".

Infancia y Juventud
Nació el 17 de marzo de 1901 en la región de los Abruzzos, Italia, a 180 kilómetros del este de Roma. Durante su infancia se vio fuertemente impactado por las imágenes de posguerra (Primera Guerra Mundial): hambre, pobreza y soldados mendigando en las calles. Severino empezó a rebelarse desde pequeño a cualquier tipo de autoridad. Autodidacta, en Italia ejerció de maestro sin título y tipógrafo. Se inició de joven en las ideas anarquistas con lecturas de Bakunin, Malatesta, Proudhon, Kropotkin y Eliseo Reclus. A la edad de diecinueve años quedó huérfano y en 1921 -a los veinte años- se entregó por entero a la militancia anarquista. En 1922 el fascismo de Mussolini se impuso en Italia y la censura y las persecuciones a los anarquistas obligaron a Severino a exiliarse con su familia a la Argentina.

Argentina
Llega a Buenos Aires en la última gran oleada de inmigrantes italianos, en su mayoría gente muy pobre y analfabeta. A ellos dirigiría Severino la mayor parte de su propaganda política y escritos, principalmente a través su diario más célebre 'Culmine', que escribía durante las noches ya que trabajaba como tipógrafo y obrero durante el día. Fue un momento propicio ya que muchos otros anarquistas italianos se organizaban en Argentina, siendo el país sudamericano donde las ideas libertarias más se propagaron. Los eventos retratados en La Patagonia Rebelde, película basada en el libro de Osvaldo Bayer, muestran la respuesta del gobierno a los insurgentes: la masacre. Di Giovanni también participa y protesta en actos en solidaridad por el arresto y homicidio de Sacco y Vanzetti en 1927. Gran parte de su estadía en Argentina la pasó prófugo, debiendo mudarse continuamente de un lugar a otro del país con su familia para evitar ser apresado.

Culmine
Periódico anarquista. Lo comenzó en agosto de 1925. Así sintetizaba Di Giovanni el objetivo de 'Culmine':
Difundir las ideas anarquistas entre los trabajadores italianos Contrarrestar la propaganda de los partidos políticos seudorevolucionarios, que hacen del antifascismo una especulación para sus futuras conquistas por sufragio. Iniciar en el medio de los trabajadores italianos agitaciones de carácter exclusivamente libertario para mantener vivo el espíritu de aversión al fascismo. Interesar a los trabajadores italianos en todas las agitaciones proletarias de Argentina. Establecer una intensa y activa colaboración entre los grupos anarquistas italianos, los compañeros aislados y el movimiento anarquista regional.

 Acción y bombas
Di Giovanni no se quedó en la teoría y los panfletos y no fueron sus escritos los que lo volvieron famoso sino su accionar violento. Él creía que era necesaria la 'revolución violenta' como se puede comprobar en este extracto del último mensaje que escribió en su celda pocas horas antes de ser asesinado:
[...]No busqué afirmación social, ni una vida acomodada, ni tampoco una vida tranquila. Para mí elegi la lucha. Vivir en monotonía las horas mohosas de lo adocenado, de los resignados, de los acomodados, de las conveniencias, no es vivir , es solamente vegetar y transportar en forma ambulante una masa de carne y de huesos. A la vida es necesario brindarle la elevación exquisita del brazo y de la mente. Enfrenté a la sociedad con sus mismas armas, sin inclinar la cabeza, por eso me consideran, y soy, un hombre peligroso.
Dentro de los atentados asociados a él, se encuentran: la voladura de la embajada de EE.UU. en Argentina (como consecuencia del asesinato de Sacco y Vanzetti), la voladura del "City Bank" en el centro porteño, y la voladura del consulado italiano en Buenos Aires (donde se hallaban reunidos los mejores hombres de Mussolini en Argentina) donde murieron siete fascistas, lo que provocó gran parte de la antipatía del resto de los grupos anarquistas y su condena en los periódicos. También participó en robos e hirió severamente a un policía desfigurándolo de un tiro en la cara. El mayor robo del que participó fue a un camión pagador por 286.000 pesos, lo que le permitió realizar su sueño de abrir su propia imprenta.

 Captura y muerte
En su último panfleto Di Giovannni escribió
``Sepan Uriburu y su horda fusiladora que nuestras balas buscarán sus cuerpos. Sepa el comercio, la industria, la banca, los terratenientes y hacendados que sus vidas y posesiones serán quemadas y destruidas´´.
Esa fue la gota que colmó el vaso. A las pocas horas de su detención se dictaminó su sentencia y fue fusilado el día siguiente, el primero de febrero de 1931.
Pocas horas antes de ser fusilado pide un café dulce desde su celda. Lo rechaza al probar el primer sorbo: "Pedí con mucha azúcar... No importa, será la próxima vez" dice con humor ácido. Muere fusilado al grito de Evviva l'Anarchia! (Viva la Anarquía!).
Severino reposa actualmente en el Cementerio de la Chacarita


Del Diario Clarín.(27/7/99)

DESPUES DE 68 AÑOS, DEVUELVEN ESCRITOS DEL ANARQUISTA A SU COMPAÑERA
Las cartas de amor de Severino Di GiovanniJosefa América Scarfó las recibirá hoy en la Casa de Gobierno

No voy a ir a pedir nada, sino a recuperar algo que me pertenece. Esta será la actitud con que Josefa América Scarfó -según le confesó a Clarín- recibirá mañana a las cinco de la tarde de manos del ministro del Interior, Carlos Corach, las cartas de amor que hace más de 60 años le escribió su compañero, el anarquista Severino Di Giovanni.A los 86 años, Scarfó sigue siendo una mujer intransigente. Para quien a los quince años rozó por primera vez la tradición anarquista -ideas que ya como mujer madura difundió por medio de una editorial-, tratar con el poder político no es una cuestión menor. Esta es una historia muy dolorosa y sólo yo sé cuánto me va a costar reencontrarme con esas cartas, dice.
Esta historia se volvió dolorosa el 1 de febrero de 1931. Ese día, en la Penitenciaría de la calle Las Heras -donde hoy está el parque-, un pelotón de fusilamiento cumplió con la orden del presidente José Félix Uriburu. Di Giovanni no quiso que le cubrieran la cara. Segundos antes del estampido de los balazos, en el patio de la cárcel se escuchó el grito de ­evviva lanarchia!.Scarfó se resiste a mirar el trágico episodio como parte de la historia argentina. Las cartas ya fueron divulgadas en libros, hubo transcripciones periodísticas y todo el mundo habla de ellas; yo no lo voy a hacer. Pertenecen a mi mundo privado y a nadie más, le dijo también ayer a Clarín.
El 30 de enero de 1931, en una requisa, los policías dieron vuelta la quinta Ana María, en Burzaco, donde Scarfó alcanzó a convivir con Di Giovanni sólo diez meses. Se llevaron desde panfletos que exhortaban a la insurreción de la clase obrera hasta las cartas de amor del anarquista.Desde entonces, hasta hace quince días, cuando fueron entregadas al Ministerio del Interior, las cartas dormían en el Museo de la Policía Federal.Antes de morir quiero tener las cartas de amor y poder apretarlas contra mi pecho, le dijo América Scarfó, hace unos seis años, al escritor y periodista Osvaldo Bayer, quien ayer habló con Clarín desde Alemania.Fue precisamente a través de Bayer que la mujer se enteró de que aquellas cartas -la mayoría escrita en italiano, algunas en francés- no habían sido destruidas.
En Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia, escrito entre 1968 y 1970, Bayer reprodujo las cartas.Como estudioso del anarquismo, Bayer calificó a Di Giovanni como un autodidacta en el terreno literario. Había sido maestro en Italia, pero sus estudios no eran universitarios. Jamás integró un círculo de intelectuales, y sus lecturas eran verdaderamente anárquicas: leía mucho, todo lo que le caía en las manos, cuenta Bayer.El anarquista conoció a Scarfó en terreno de ella. Los hermanos de la chica, Alejandro y Paulino, habían quedado impresionados por el discurso encendido del anarquista. Pese a ser de una familia católica y de clase media, los tres jóvenes se hicieron anarquistas.
Di Giovanni, perseguido por la Policía, aceptó la invitación para instalarse en una habitación de la casa de los Scarfó, en Villa Ortuzar. Di Giovanni llegó allí con su esposa Teresa Mascullo y sus hijos. Allí, Di Giovanni, de 24 años, se enamoró de la chica, de 15.Esta relación no fue ajena a la polémica. El escritor Alvaro Abós censuró a Di Giovanni por haber abandonado a su mujer y sus tres hijos. También consideró la relación como una fijación narcisista propia de una personalidad inmadura.Bayer acude a las cartas para definir ese amor. Hablaban de un amor que podríamos calificar de puro, profundo, pero casi sin referencias de tipo carnal o sexual. Para Bayer, estos escritos destilan la moral anarquista de Di Giovanni: Sus cartas tenían ese tono porque, por sus ideas, sentía un gran respeto por el género femenino. Y asegura que Di Giovanni se separó en buenos términos de su mujer, y que recién afianzó su relación con Scarfó tres años después de haberla conocido.Según la periodista María Luisa Magagnoli, autora del libro Un café muy dulce -que narra la vida de Scarfó-, el primer diálogo del anarquista con la adolescente fue en el jardín de la casa. ¿Cómo están las begonias?, preguntó Di Giovanni. Están tristes, respondió ella.Según la periodista, el anarquista le decía soy tu rubio malo. La chica le contestaba mi rubio adorado.El 22 de junio pasado, después de una gestión que Bayer llevó adelante a través de Miguel Unamuno, el director del Archivo General de la Nación, el ministro Corach recibió a Scarfó y al periodista.Corach dijo que no habría problemas en devolver las cartas, cuenta Bayer.
 Mañana, las cartas del anarquista regresarán a su primera lectora.

Estaban en el Museo de la Policía Federal desde 1931 (Ese año el anarquista fue fusilado)
    El fusilamiento de Severino Di Giovanni
 por Roberto Arlt  

 El 1º de febrero de 1931 fue fusilado el anarquista expropiador de origen italiano Severino Di Giovanni, quien con asaltos y atentados, logró tener  en jaque a la policía del país durante seis años. Tras despedirse de su familia, Di Giovanni fue ejecutado en el patio de la penitenciaría de la calle Las Heras ante varios testigos, entre los que se encontraba el escritor Roberto Arlt, quien en un artículo –transcripto a continuación- narró los últimos momentos de vida del anarquista.  
 ( Fuente: ARLT, Roberto, Obras completas, Buenos Aires, Omeba, 1981, en PIGNA, Felipe, Los Mitos de la Historia Argentina 3, Buenos Aires, Planeta, 2006. )
 
“El condenado camina como un pato. Los pies aherrojados con una barra de hierro a las esposas que amarran las manos. Atraviesa la franja de adoquinado rústico. Algunos espectadores se ríen. ¿Zoncera? ¿Nerviosidad? ¡Quién sabe! El reo se sienta reposadamente en el banquillo. Apoya la espalda y saca pecho. Mira arriba. Luego se inclina y parece, con las manos abandonadas entre las rodillas abiertas, un hombre que cuida el fuego mientras se calienta agua para tomar el mate. Permanece así cuatro segundos. Un suboficial le cruza una soga al pecho, para que cuando los proyectiles lo maten no ruede por tierra. Di Giovanni gira la cabeza de derecha a izquierda y se deja amarrar. Ha formado el blanco pelotón fusilero. El suboficial quiere vendar al condenado. Éste grita: “Venda no”.
”Mira tiesamente a los ejecutores. Emana voluntad. Si sufre o no, es un secreto. Pero permanece así, tieso, orgulloso. Di Giovanni permanece recto, apoyada la espalda en el respaldar. Sobre su cabeza, en una franja de muralla gris, se mueven piernas de soldados. Saca pecho. ¿Será para recibir las balas?
— Pelotón, firme. Apunten.
La voz del reo estalla metálica, vibrante:
— ¡Viva la anarquía!— ¡Fuego!
”Resplandor subitáneo. Un cuerpo recio se ha convertido en una doblada lámina de papel. Las balas rompen la soga. El cuerpo cae de cabeza y queda en el pasto verde con las manos tocando las rodillas. Fogonazo del tiro de gracia.
”Las balas han escrito la última palabra en el cuerpo del reo. El rostro permanece sereno. Pálido. Los ojos entreabiertos. Un herrero martillea a los pies del cadáver. Quita los remaches del grillete y de la barra de hierro. Un médico lo observa. Certifica que el condenado ha muerto. Un señor, que ha venido de frac y con zapatos de baile, se retira con la galera en la coronilla. Parece que saliera del cabaret. Otro dice una mala palabra.
”Veo cuatro muchachos pálidos como muertos y desfigurados que se muerden los labios; son: Gauna, de La Razón, Álvarez, de Última Hora, Enrique González Tuñón, de Crítica y Gómez de El Mundo. Yo estoy como borracho. Pienso en los que se reían. Pienso que a la entrada de la Penitenciaría debería ponerse un cartel que rezara:
— Está prohibido reírse.— Está prohibido concurrir con zapatos de baile”.

Bibliografía
Bayer, Osvaldo. Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia. Buenos Aires: Galerna, 1970.
Noble, Cristina. Severino Di Giovanni, Pasión Anarquista. Buenos Aires: Ed. Capital Intelectual, 2006

* Extraido de historia anarquista


 
 






Date fiori ai ribelli caduti



"Severino Di Giovanni rimase un pericolo pubblico anche quando era cadavere. Seppellito durante la notte, in fretta e furia, nel cimitero della Chacarita in una tomba senza nome, la polizia scoprì con orrore che quella tomba, la mattina dopo, era completamente ricoperta di rose rosse. Allora il ministero dell'interno dispose che il corpo fosse rimosso e buttato in una delle fosse comuni. Ma anche allora, per giorni e giorni, ogni mattina, gli agenti trovarono la fossa ricoperta di rose rosse. Non si riuscì mai a scoprire la misteriosa persona che portava i fiori durante la notte."

Nico Francalanci
L'anarchico che cade nelle mie mani deve aver litigato con la vita se continia a essere anarchico Robin Edizioni 2007 - 10 euri

 AMERICA
 América Scarfó

Nessun commento:

Posta un commento