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giovedì 9 giugno 2016

Domenico Straface

Domenico Straface

Domenico Straface, detto Palma (Longobucco, 16 agosto 1831 – Bosco di Macchia Sacra, 12 luglio 1869) è stato un brigante italiano.

 

La vita

Figlio di Maria Straface e di padre ignoto, Domenico era uno dei numerosi braccianti poveri[senza fonte] della Calabria ottocentesca. La sua vita prese una piega inaspettata quando, nel 1847, appena sedicenne finì coinvolto in un'aggressione fisica ai danni di un galantuomo di Rossano, alla prepotenza del quale il giovane Domenico si era ribellato. Per sfuggire all'arresto lo Straface si rifugiò tra i boschi della Sila, aggregandosi alla banda Faccione, con la quale venne notato tempo dopo a Cosenza. In questo periodo, probabilmente, gli venne dato il soprannome di "Palma". Qualche anno dopo fondò una banda propria, composta da dodici compagni fidati che egli sceglieva personalmente.
Il "suo" territorio si estendeva dalla Sila alla costa jonica, senza farsi mancare qualche incursione nella vicina Basilicata.
Autori vecchi e nuovi, attraverso i loro scritti, ne hanno tramandato l'immagine. Michele Falcone, sequestrato dalla banda Monaco nel 1863, lo descrive come una persona di statura media, robusto e di bell'aspetto, con un modo di vestire piuttosto stravagante. Il colonnello Bernardino Mìlon, invece, ne sottolinea la somiglianza con un "fabbricante di birra inglese".

Maria R. Calderoni, su Liberazione del 30 luglio 2002, riferisce che Palma era considerato un brigante gentiluomo, un eroe-contadino che ruba ai ricchi per dare ai poveri, amato dal popolino che lo proteggeva e benediceva, arrivando persino a far celebrare delle messe per invocare su di lui la protezione divina. È Vincenzo Padula, però, che dalle pagine del suo giornale Il Bruzio, stampato a Cosenza tra il 1864 e il 1865, narra le gesta del brigante.

Le attività brigantesche

La "guerra santa" di Palma è una lotta contadina contro nobili e borghesi arricchiti. È lo stesso Padula a confermarlo dalle pagine del suo giornale quando, nell'agosto del 1864, parla dell'uccisione di 458 capi di bestiame avvenuta nel comune di Campana da parte delle bande Palma e Capalbo, ai danni di due ricchi possidenti del luogo.
La Calderoni riferisce anche che nel 1860 Palma, probabilmente nel tentativo di rifarsi una vita, abbia cercato di offrirsi come informatore ai nuovi governanti piemontesi ma la sua richiesta venne respinta e il brigante se ne tornò alla macchia.
Il 26 marzo 1865 Palma e compagni, accerchiati dalle truppe in Sila, con la complicità di un vaccaro, riescono a passare inosservati tra 440 soldati sabaudi. Durante un altro inseguimento tra i boschi il brigante riesce a fuggire uccidendo quattro squadriglieri. Sfuggì ancora una volta alla cattura quando il brigante Giuseppe Scrivano, che collaborava segretamente con i piemontesi, riuscì ad infiltrarsi nella banda di Palma, ma finì ucciso per errore dai carabinieri.
È ancora Padula a pubblicare, sul suo giornale, una lettera di Palma alla popolazione di Rossano. Tralasciando i toni minacciosi della lettera Padula, pur essendo avverso al brigantaggio, ne loda la qualità definendola un capolavoro del vernacolo calabrese.
Nel 1868 venne inviato in Calabria il colonnello Bernardino Mìlon con il compito di annientare le ultime bande presenti sul territorio. Per "sfidare" il governo Palma sequestrò il giovane barone Alessandro De Rosis di Corigliano Calabro. Il ragazzo restò nelle mani dei briganti per più di un mese, poi venne liberato in seguito al pagamento di un riscatto di circa 60mila ducati.

La fine

Il 12 luglio 1869, Palma venne sorpreso nel bosco di Macchia Sacra da un gruppo di carabinieri, che erano sulle sue tracce guidati da Pietro Librandi. Egli era un guardiano del barone Guzzolino ed era attratto dalla taglia di diecimila lire che pendeva sulla testa del brigante. Palma si dette alla fuga ma Librandi gli sparò riuscendo a ferirlo; benché sanguinante, il brigante riuscì a ripararsi in un fosso poi, all'alba, un carabiniere lo finì. Com'era d'uso in quel periodo nelle montagne calabresi, Palma venne decapitato dal barbiere di Macchia Sacra e la sua testa consegnata al colonnello Mìlon.

Domenico STRAFACE alias PALMA (palma da Parmina nome della madre): nacque a Longobucco il 16 agosto del 1831 da Maria Strafaci e da padre ignoto. Nel 1860 Palma insieme a Ralla, si ribellò alla prepotenza di un ricco signorotto di Rossano, ed insieme lo presero a schiaffi. Questi per l'offesa ricevuta fece rinchiudere i loro familiari nel carcere di Longobucco, compreso il figlio di Palma di appena due anni. Apparteneva alla classe dei braccianti più poveri. Frequentò le prime classi elementari e, divenuto adolescente abbandonò gli studi per lavorare. Insieme fecero molti furti senza però uccidere nessuno. Per oltre un decennio visse tra i pericoli rischiando la morte. Quando qualcuno andava per aggregarsi alla sua banda, lui cercava di dissuaderlo e metteva a disposizione il suo denaro perchè potesse farsi difendere dai migliori avvocati del tempo, di modo da potersi mettere a posto con la legge senza divenire delle prede dei soldati, e passare la vita in fuga. Ogni persona che Palma sequestrò veniva trattata con tutti i riguardi. Egli era chiamato il protettore della povera gente. Infatti metteva a disposizione il suo terribile prestigio per difendere gli oppressi, riparare le ingiustizie, punendo i prepontenti, concedendo aiuto a tutti quelli che gli si rivolgevano; non di rado interveniva per dare ai nobili dure lezioni. La sua banda era composta da dieci o forse dodici persone. Era molto severo nello scegliere i suoi compagni, perchè da loro dipendeva il successo delle sue imprese. Aveva anche un certo grado di istruzione, era onesto e infatti solo in rari casi, o per difendersi o per punire un tradimento, si macchiò le mani di sangue. Il 1865 440 soldati armati, guidati da abili comandanti, cominciarono una caccia spietata. La preda era Palma. Sparsa ormai la voce del pericolo che stava per correre il famigerato combattente, uomini e donne si recarono da chiesa in chiesa per celebrare messe onde ottenere l'aiuto dal cielo per il loro difensore. Ormai i soldati erano certi di averlo catturato, ma ancora una volta il re della montagna riuscì a sfuggire all'armata. Qualche anno più tardi la famiglia De Rosis, che aveva contribuito a far imprigionare due briganti, si rifiutò di pagare una taglia richiestagli da Palma. Palma scrisse un MANIFESTO di vendetta, sul quale affermava che durante l'estate, avrebbe bruciato tutto ciò che i Rossanesi e i Coriglianesi possedevano e che avrebbe fatto prigioniero il figlio di De Rosis. Infatti, una sera mentre questi stava rincasando, accompagnato da due guardie, vide due uomini addormentati su un poggiolo. Non preoccupato più di tanto, si stavano avvicinando a casa, ma i due uomini addormentati si alzarono di colpo e puntando alla testa delle due guardie un arma, presero il figlio di De Rosis e lo portarono fuori dall'abitato. Questo sequestro fu fatto per vendetta, perche la famiglia de Rosis si era rifiutata di pagare la taglia chiesta da Palma l'anno prima. Palma fece spargere la voce che il ragazzo sarebbe stato ucciso se non fosse stata pagata la taglia di 40.000 ducati. A queste voci i De Rosis si convinsero e pagarono. Una sera del 1869 circa alle ore 9:00 i briganti stavano cercando di uscire da un bosco con Palma in testa ma si presentò dinanzi a lui il guardiano Librandi Pietro che con prontezza tirò un colpo che ferì gravemente Palma... dopo tre ore morì.

Ancora oggi a Longobucco, per elogiare qualcuno particolarmente

coraggioso, si dice che “tena u curaggiu e Parma” (ha il coraggio di

Palma).Il “re della montagna” fu ucciso la sera del 12 Luglio del 1869

in contrada Timpone Curcio di Spezzano Grande.Tutto il territorio di Longobucco è legato alla storia del

brigantaggio: non vi è luogo ove non sia stato avvistato, catturato o

ucciso qualche brigante; non vi è piccola e povera casa utilizzata come

nascondiglio o ricovero.

Sul Campanile venivano appese le teste mozzate dei briganti

giustiziati. La tradizione vuole che i briganti sparassero alla sfera di

rame posta sulla cuspide, per esercitarsi. Il luogo più importante e

famoso covo dei briganti è la Petra e ra Gna Zzita, località posta di

fronte al paese: la tradizione vuole che qui sia nascosto un favoloso

tesoro costituito da una chiocca e da una quindicina di pulcini d’oro. I

briganti, per conservar il segreto e proteggere il nascondiglio

avrebbero sacrificato sul posto una giovane sposa.

-"Lettera del Colonnello dei Bersaglieri Bernardino Milon (grande criminale di guerra, ex garibaldino)da Rossano (cs)al generale Sacchi a Catanzaro

“Ill.mo Sig. Generale.

Non ho potuto ancora spedirle il rapporto sull'uccisione di Palma, perché attendo la relazione ufficiale, che da Spezzano Grande è andata ad Acri e di qui deve a me pervenire; la prego quindi di tenere ciò presente ed io spero intanto di potergli mandare domani. La testa di Palma mi giunse ieri al giorno verso le sei e mezzo, è una figura piuttosto distinta e somigliante ad un fabbricante di birra inglese; la testa l'ho fatta mettere in un vaso di cristallo ripieno di spirito, e chieggo a lei se vuole che la porti costì per farla imbalsamare, non essendo capace nessuno di fare qui tale operazione, nel caso affermativo me lo faccia prontamente sapere, poiché oggi ad otto, 22 andante io partirò per Cotrone.

Si sono fatte delle fotografie della testa, e se riescono bene gliene spedirò un certo numero. Palma non morì appena ricevuto il colpo, che fu alla testa, e sopravvisse tre ore, si lagnava spesso, e poi emise due forti respiri e gemiti, e finì di vivere.” Rossano, 15 Luglio 1869.”-

 

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