Francesco Barbieri
FRANCESCO
BARBIERI
l’ANARCHICO DEI DUE MONDI
di
Antonio Orlando
Il nome di Francesco
Barbieri viene quasi sempre associato a quello di Camillo Berneri poiché,
purtroppo, li accomuna una tragica e triste fine. I due anarchici italiani
vennero, infatti, brutalmente assassinati durante i moti di Barcellona, nel
maggio del 1937. Di fronte, però, alla figura di Berneri, docente di filosofia
all’Università di Camerino, prima e di Firenze poi, finissimo e coltissimo
scrittore nonché dirigente di livello internazionale del movimento anarchico,
Barbieri passa in secondo piano. Questo anarchico calabrese viene menzionato di
sfuggita, spesso senza fornire altre indicazioni e, in taluni casi, fornendo,
anzi, notizie distorte, malevoli e volutamente false. Si dà l’impressione a chi
legge che Barbieri sia capitato lì per caso e che, accidentalmente e
malauguratamente si sia trovato al fianco di Berneri, in un posto che non gli
competeva. Al contrario la vicenda umana di Barbieri è ricca di esperienze
politiche forti ed attraversa una serie di itinerari dell’anarchismo mondiale,
culminando poi, ma era pressoché inevitabile, nella grandiosa epopea della
“rivoluzione anarchica” spagnola del 1936.
Francesco Barbieri
nacque a Briatico (all’epoca provincia di Catanzaro) il 14 dicembre del 1895, da
Giovanni e da Domenica Arena. In quegli anni Briatico è considerato dal Touring
Club Italiano, comune di importanza turistica ed è qualificato come “rinomata
stazione balneare” di interesse generale1. Nel Catalogo delle
bellezze naturali d’Italia, pubblicazione dello stesso T.C.I. dei primi anni
del secolo, tra i centri meritevoli di essere visitati, viene indicato Briatico
in quanto, tra l’altro, comune dotato di strutture alberghiere, fornito di
servizi e sede del Console del T.C.I.
La cittadina è molto
ospitale e la popolazione, in rapporto alle condizioni generali della regione,
gode di un relativo benessere. La famiglia di Francesco, che, naturalmente,
tutti chiamano, “Ciccio”, può definirsi benestante, anzi “senz’altro piuttosto
agiata”2. Barbieri frequenta regolarmente la scuola fino a conseguire
la licenza media e poi decide di iscriversi all’Istituto Tecnico Agrario. Da
studente della scuola superiore entra in contatto con i socialisti, anche se si
sente più attratto verso gli anarchici, che avverte essere più combattivi, più
tenaci e meno disposti al compromesso. Consegue il diploma di perito agrario o,
per meglio dire, di “agrimensore”, nel 1914, alla vigilia della prima guerra
mondiale.
Il movimento anarchico
in Calabria non ha una struttura organizzata e può contare solo sulla presenza
di singole personalità o su intellettuali che si affidano più alla propaganda
orale che ad un’azione politica continua ed organica3. La propaganda
antimilitarista e le manifestazioni contro l’entrata in guerra dell’Italia,
tuttavia, avvicinano tutti i “sovversivi” di qualsiasi tendenza e Barbieri si
segnala tra quei giovani più radicalmente contrari alla guerra4. La
sua fede anarchica si rafforza ancora di più anche perché ha instaurato contatti
con un giovane anarchico, originario di Briatico, Antonio Pietropaolo, da tempo
stabilitosi a Milano5, il quale provvede ad aggiornarlo e gli invia
notizie, materiale di propaganda e libri. La polizia, però, ha cominciato a
tenerlo d’occhio e lo ha schedato come “sovversivo”, “anarchico” e
“disfattista”.
Nel tentativo di
sfuggire ai controlli polizieschi modifica la vocale finale del suo cognome,
trasformandolo in Barbiere e creando così ad arte un equivoco che, in
seguito e più volte, lo salverà dalla galera. Inoltre, pur di sottrarsi, in
qualche modo, alle pressioni dei poliziotti si fa passare per un modesto e
semplice “calzolaio” arrivando ad affermare di essere analfabeta.
Nel 1921, poco prima
dell’avvento del fascismo, parte per l’Argentina e si stabilisce a Buenos Aires.
L’Argentina è una delle mete preferite degli esuli antifascisti, specialmente di
fede anarchica, perché qui, più che in ogni altro paese sudamericano, si è
radicata la presenza del movimento anarchico. Pietro Gori, Enrico Ferri ed
Errico Malatesta hanno diffuso, a partire dagli ultimi anni del secolo scorso,
le idee libertarie non solo tra gli emigrati di origine italiana, ma anche tra i
cittadini di lingua spagnola6.
Il dibattito
sull’”anarchismo criminale”
Barbieri si lega subito
agli ambienti degli anarchici italiani ed entra poi in contatto con i compagni
argentini, brasiliani e spagnoli. Apprende rapidamente un’altra lingua ed un
nuovo mestiere: quello del tipografo; attività che gli consente di partecipare
direttamente al dibattito politico e di entrare nel vivo della lotta politica.
Agli inizi degli anni
’20 la situazione politica in Argentina è, a dir poco, incandescente.
Nel gennaio del 1919 lo
sciopero organizzato dal Sindacato dei metallurgici viene represso, per ordine
dello stesso Presidente Hipolito Yrigoyen7, dall’esercito con le
armi. Tutta la popolazione di Buenos Aires insorge allora contro l’esercito ed i
soldati sparano sui dimostranti facendo diversi morti. Gli scontri che durano
dal 7 al 14 gennaio passano alla storia come “La Semana tragica”8.
La reazione degli
anarchici non si fa attendere. Il 19 maggio 1919 tre esuli russi, anarchici,
Radowitzky, Karaschin e Romanoff eseguono la prima rapina a scopo politico, con
morti e feriti, avvenuta in Argentina9. Con questo gesto inizia
l’epopea, tragica e sanguinosa, degli “anarchici espropriatori”, di cui
Barbieri, ben presto, diverrà uno dei maggiori esponenti.
L’attività criminale
non è pensata come fine a se stessa, bensì come strumento, come mezzo per
reperire i fondi necessari a finanziare azioni, organizzate e coordinate, di
lotta armata. Si ripropone, anche in Argentina, il dibattito che, in Europa e
negli Stati Uniti, sta dividendo, giusto nello stesso periodo, il movimento
anarchico. La discussione, che assume, a volte, toni fortemente accesi, verte
sull’impiego della violenza, degli esplosivi e delle armi nell’azione politica.
Non ci sono spazi per mediazioni o intese; la scelta fatta dagli “espropriatori”
è talmente netta che genera insanabili fratture all’interno del movimento.
Alcuni dei protagonisti (Jules Bonnot, Renzo Novatore, Sante Pollastri, Severino
Di Giovanni, Miguel Arcangel Roscigna, Paco Ascaso e Buenaventura Durruti) si
spingono su posizioni di così aperta sfida all’ordine borghese da rendere
impossibile qualsiasi ritorno indietro. Tant’è che molti pagheranno con la vita
una scelta così radicale e gli altri o languiranno in carcere o moriranno, armi
in pugno, nella guerra di Spagna.
Il terrore che la
famigerata “banda Bonnot” semina nella Francia della “belle epoque” non
trova giustificazione alcuna, né quei vaghi ed indefiniti ideali anarchici, che
il suo capo sbandiera a gran voce, sono sufficienti a legittimare una, sia pur
presunta, connotazione politica di questo gruppo, che può definirsi, nonostante
tutto, come il prototipo dell’anarchismo criminale10.
Quel che Jules Bonnot,
persona molto intelligente e sensibile, è riuscito a mettere in evidenza sono le
eclatanti contraddizioni di una società borghese ricca, corrotta, ancora
bigotta, falsamente progressista e spudoratamente marcia. Saranno quel grande
macello che è la prima guerra mondiale e la Rivoluzione d’ottobre, prima
rivoluzione proletaria a riuscire vittoriosa, a far esplodere le contraddizioni
ed a ridare agli anarchici gli stimoli necessari a proporre un’azione fortemente
libertaria e perciò con finalità catartiche11.
D’altra parte l’avvento
al potere dei bolscevichi, che tante aspettative e speranze aveva suscitato,
riserva agli anarchici solo una brutale repressione che si traduce in stragi,
incarcerazioni, persecuzioni ed esilio. Molti anarchici si convincono che è
necessario combattere contro qualsiasi potere costituito ed innanzitutto proprio
contro quello che si colora di rosso12.
Per questo, a maggior
ragione, alcuni anarchici ritengono sia indispensabile riprendere la lotta
armata all’interno degli stessi Stati borghesi per realizzare un’autentica
rivoluzione e non solo quella parodia trosko-leninista attuata proditoriamente
in Russia.
Il dibattito si fa
molto più ingarbugliato perché alcuni anarchici, specialmente italiani,
introducono nella discussione tematiche di natura prettamente “individualista” e
sono portati a esaltare il gesto individuale, l’affermazione dello Spirito del
singolo, la glorificazione dell’Azione. “La mia libertà – scrive Renzo
Novatore13 in un articolo che, non a caso s’intitola
L’espropriatore e che può essere considerato il manifesto del movimento (se
così si può dire) – e miei diritti sono tanti quanto la mia capacità di
potenza. Anche la felicità e la grandezza l’avrò solo in misura della mia forza.
L’Espropriatore è la più bella figura maschia, spregiudicata e virile che io
abbia incontrato nell’anarchismo”14.
Di fronte a queste
affermazioni che scivolano verso il dannunzianesimo, che sembrano strizzare
l’occhio ai futuristi e che finiranno in un delirio nichilista e paranoide15,
la reazione di un intellettuale libertario come Camillo Berneri è molto decisa e
ferma. La sua non è una condanna aprioristica della violenza quale strumento di
lotta politica ma è, senza mezzi termini, una presa di distanza dall’esaltazione
della violenza come fine a se stessa e come atto di libertà.
“La mia libertà
– scrive Berneri – è la mia forza. Quanto più sono capace di volere e quanto
meglio è diretto il mio volere tanto più sono libero. All’autorità delle
gerarchie basate sulla violenza e sul privilegio anteponiamo quella delle
gerarchie tecniche, agenti per utilità generale e formatesi liberamente.
L’autorità è libertà quando l’autorità sia mezzo di liberazione ma lo sforzo
antiautoritario è necessario come processo di autonomia”16.
La reazione di Novatore
e veemente, volgare ed offensiva17 e tende a tracciare un solco
incolmabile tra due diverse concezioni dell’anarchia, secondo lui, assolutamente
inconciliabili.
In realtà gli esponenti
più maturi e consapevoli del movimento anarchico stanno cercando di saldare le
due anime dell’anarchia per organizzare una reazione adeguata al fascismo
imperante ed alla reazione dei governi borghesi, impauriti dal trionfo
bolscevico.
L’esempio spagnolo con
la formazione di un forte, vasto ed agguerrito sindacato di massa, la C.N.T.,
Confederacion Nacional del Trabajo18, con accanto
un’organizzazione di tipo federato (la futura F.A.I. – Federacion Anarquista
Iberica) cui sono demandate le azioni politiche più compromettenti e
complesse, rappresenta il modello di organizzazione anarchica meglio rispondente
alle esigenze politiche del momento19. Non si tratta tanto di
incanalare la violenza e le azioni individuali e neppure viene auspicato una
sorta di “coordinamento centralizzato”, ma si cerca di strutturare l’attività
politica, compresi gli attentati, gli omicidi, le rapine, gli “espropri”, in un
ambito di “reazione di massa”, quale risposta alla violenza borghese per
riaffermare la libertà sostanziale del proletario, del diseredato e
dell’emarginato.
L’azione violenta del
singolo diventa irresponsabile, inutile ed improduttiva quando si sprigiona come
puro e semplice istinto naturalistico e si fonda “… su torbidi propositi
irrazionali di segno ultraindividualistico ed estetizzante”20.
Gli anarchici espropriatori, in questo contesto, non vengono ignorati, ma non
vengono ripudiati21, anzi viene riconosciuto loro il ruolo propulsivo
delle minoranze agenti che, grazie al loro sacrificio, modificano il corso della
storia. Non bisogna, però, enfatizzare oltre misura “il gesto eroico” perché
questo porterebbe alla riaffermazione di una cultura della gerarchia e del
dominio. E il dominio, questa volta, sarebbe quello della violenza assoluta e
pura22.
E’ necessario,
tuttavia, che, nella fase di transizione verso la rivoluzione, gli anarchici
elaborino, anche di volta in volta, quelle risposte politiche che servano non a
riaffermare un presunto e sterile “protagonismo anarchico”, bensì una strategia,
complessa, articolata e flessibile, che leghi il movimento alla realtà storica,
sociale ed economica del momento e lo colleghi ad altre forze ugualmente
“sovversive”. Al di fuori ed oltre un simile contesto, indipendentemente dai
limiti tracciati da Berneri e da altri anarchici suoi contemporanei, tra cui la
lituana Emma Goldman, diventa incomprensibile ed inspiegabile la scelta operata
in Italia., in Francia, negli Stati Uniti, in Spagna, in Argentina ed in Brasile
dagli “anarchici espropriatori”23.
L’epopea argentina
Quando Francesco
Barbieri sbarca a Buenos Aires nell’aprile del 1921, il paese, a distanza di due
anni della Semana Tragica, è di nuovo in subbuglio. I contadini ed i
braccianti della immensa Patagonia sono in sciopero ed hanno osato occupare
alcuni grandi latifondi. La repressione si abbatte con inaudita violenza su un
movimento vasto ma spontaneo, al cui interno gli anarchici sono grande parte. Il
Presidente proclama lo stato di guerra ed autorizza l’esercito ad intervenire
nella regione come se si trattasse di un territorio nemico. Vengono istituiti
dei tribunali militari, che applicano, con rigore e con accanimento, la legge
marziale, pronunziando, in pochissimi giorni, centinaia di condanne a morte. Si
calcola vengano uccise non meno di 4.500 persone24. L’anno dopo, nel
1922, vince le elezioni presidenziali Marcello T. Alvear, esponente della destra
dell’U.C.R. e rappresentante degli interessi del grande capitale straniero,
specialmente inglese. L’azione repressiva si accentua e si estende anche ai
partiti e movimenti della grande città.
Un giovane italiano,
sradicato dalla sua terra, come Barbieri, viene, perciò, catapultato
direttamente ed improvvisamente nel fuoco di una lotta politica aspra e senza
esclusione di colpi, all’interno di un paese straniero, retto da un governo
fortemente ostile nei confronti degli esuli politici. Ad ognuno dei militanti
viene richiesto di schierarsi e, soprattutto, di accettare di combattere su
tutti i fronti aperti. Infatti, gli anarchici italiani devono,
contemporaneamente, manifestare la loro più intransigente opposizione al regime
fascista, che cerca di insediarsi nella numerosa comunità italiana, e
collaborare con i compagni sudamericani contro questa repubblica oligarchica,
tutt’ora complice e vittima dell’imperialismo.
Il movimento anarchico
argentino, all’inizio degli anni ’20, appare diviso in due tronconi. Da una
parte ci sono i “protestisti”, che si raccolgono intorno al prestigioso giornale
“La Protesta”, diretto da Diego Abad de Santillan, esule spagnolo; dall’altra ci
sono “gli antorchisti”, che fanno capo al giornale “La Antorcha”. Il primo
gruppo è costituito da intellettuali e da anarcosindacalismi e può vantare
massicce presenze nei sindacati dei metallurgici, dei panettieri, dei braccianti
e dei portuali. Essi sono contro gli espropri politici e contrari ad un uso
indiscriminato della violenza nell’azione politica; tutt’al più arrivano ad
ammettere l’opportunità di qualche attentato puramente dimostrativo e simbolico.
“Gli Antorchisti” non
costituiscono un vero e proprio gruppo organizzato. Il giornale può dirsi il
portavoce semiufficiale di una galassia di piccoli e piccolissimi gruppetti di
anarchici che praticano “le espropriazioni” e cioè ricorrono alle rapine e, se è
necessario anche all’omicidio, per finanziare la loro attività. Essi sono
contrari a qualsiasi potere costituito ed odiano il nuovo governo bolscevico
quanto odiano i governi borghesi.
L’unico punto di
contatto tra gli anarchici delle opposte tendenze e gli altri partiti di
sinistra è rappresentato proprio dal “Comitato Antifascista Italiano” di Buenos
Aires, dentro il quale riescono a convivere le diverse anime politiche ed a cui
fanno capo, indistintamente, tutti gli oppositori italiani. Tramite il C.A.I. il
nostro Ciccio comincia ad inserirsi nella società argentina. Nel 1924 è tra gli
organizzatori della contestazione alla crociera della motonave “Italia”,
un’iniziativa, (cui ne seguiranno molte altre) fortemente voluta da Mussolini,
per propagandare tra gli emigrati italiani l’immagine di una Italia in via di
fascistizzazione25.
Miguel Arcangel Roscigna
Ma è con l’arrivo di
Severino Di Giovanni (maggio 1923) e di Miguel Arcangel Roscigna26
che l’attività degli espropriatori ha un’accelerazione frenetica.
Barbieri stringe subito
un forte legame con Di Giovanni, Roscigna, Silvio Astolfi, Nicola Recchi,
Umberto Lanciotti ed i fratelli Alejandro e Paulino Scarfò, di origini
calabresi. Dapprima costituiscono un gruppo che si denomina “L’Impulso” con un
organo di stampa omonimo, poi Di Giovanni si distacca e, quasi da solo, fonda,
scrive e stampa un suo giornale che si chiama “Culmine”, al quale collaborerà,
dalla Francia, pure Berneri.
Le prime azioni sono di
natura dimostrativa, come la famosa protesta al Teatro Colon (6 giugno 1925)
durante i festeggiamenti in onore del re d’Italia per i suoi venticinque anni di
regno. Poi si passa ad attentati dimostrativi, con rudimentali ordigni, contro
obiettivi americani in occasione delle manifestazioni di protesta a favore dei
due anarchici italiani Sacco e Vanzetti. Barbieri è molto attivo nel Comitato
Argentino Pro Sacco e Vanzetti e Di Giovanni, con l’occasione, diventa
corrispondente dal Sud America per “L’Adunata dei Refrattari”.
La necessità di fondi
per poter condurre una vita votata alla clandestinità ed alla guerriglia urbana,
spinge i giovani del gruppo alle rapine di banche, portavalori, gioiellerie e
grandi aziende. In un solo giorno, nel gennaio del 1926, ne mettono a segno tre
e diventano così importanti da rappresentare il punto di riferimento per tutti
gli altri gruppi di espropriatori che si vanno formando sul loro esempio. Senza
l’appoggio ed il sostegno, logistico e materiale, di Barbieri e Di Giovanni, il
famoso “raid sudamericano” di Durruti e Ascaso della primavera del 1926 non
sarebbe riuscito27.
Paulino Scarfò
L’esecuzione,
nell’agosto del 1927, di Sacco e Vanzetti convince il gruppo di Di Giovanni che
è giunto il momento di passare ad attentati di ben altra portata ed effetto. Gli
obiettivi non possono più essere simbolici poiché “il nemico”, giustiziando i
due anarchici italiani, ha dichiarato guerra. Tra l’agosto del 1927 ed il maggio
del 1928, Severino esegue più di venti attentati, a confezionare le bombe ci
pensa, con una certa perizia, Francesco Barbieri. L’attentato che più scuote
l’opinione pubblica è quello al Consolato italiano. E’ il 3 maggio del 1928: un
giovane biondo, elegantemente vestito di nero, scende da una macchina con una
valigetta ed entra nei locali del Consolato italiano. L’atrio è affollato perché
centinaia di emigrati aspettano il visto per poter rientrare in patria.
L’intenzione di Severino è di portare la bomba fin dentro la stanza del Console,
chiuderlo dentro a viva forza e lasciare che l’ordigno esploda. Per una serie di
tragicomici imprevisti, Severino è costretto a salire e scendere le scale due o
tre volte, nonché entrare ed uscire dal Consolato. C’è il rischio di essere
riconosciuto da qualche connazionale, senza contare che il sistema di innesco,
inventato da Ciccio, è molto delicato e fragile dato che la nitroglicerina può
farlo saltare da un momento all’altro. Alla fine la bomba viene lasciata giusto
nell’atrio, accanto alle scale.
E’ un macello: 9 morti
e 34 feriti gravi.
La polizia si scatena,
anche perché Mussolini in persona interviene sul governo argentino e pretende la
cattura e l’estradizione dei colpevoli. Gli stessi giornale anarchici, questa
volta, non sono disposti a compromessi, perfino “L’Antorcha” esita di fronte a
tanti morti. “La Protesta”, il 26 maggio, pubblica un editoriale intitolato
Scuola della violenza, nel quale non solo prende le distanze dagli
attentatori, indicati sicuramente come anarchici italiani, ma afferma che “il
terrorismo non è anarchismo, anche se un certo tipo di azioni individuali
potrebbero essere messo in relazione con alcune manifestazioni dello spirito di
vendetta che porta uomini dal temperamento eccitabile ad attuare, per conto
proprio, rappresaglie contro i più vistodi responsabili di un crimine collettivo”28.
Il gruppetto degli
italiani si disperde. Di Giovanni, protetto dalla famiglia Scarfò, si rifugia in
uno dei paesini del Rio della Plata, mentre Barbieri, attraverso l’Uruguaj,
passando per Montevideo, ripara in Brasile e si sistema a San Paolo. Ciccio, che
gli amici argentini, chiamano “Chico il professore”, è sicuro di non aver
lasciato tracce in quanto il suo “laboratorio” si trova in un piccolo paesino,
Lomas del Mirador, nell’immediata e sterminata periferia della capitale
argentina. E’ un paesetto insignificante, situato in mezzo ad una pianura
fangosa, fatta di campi seminati in cui pullulano, costruite di recente, delle
fornaci di mattoni. Non vi sono strade asfaltate e la via principale ha uno
sconnesso selciato e a malapena si sa che esiste questo agglomerato di case.
Qui in via del
Progresso n. 628, in una casa che sembra un’innocua fattoria, Ciccio ha
installato il suo laboratorio, che altro non è che un deposito di esplosivi, una
specie di santabarbara. E’ quasi impossibile scoprirlo. Il caso, però, si
diverte, sotto forma di un coniglio, che, scappato dal controllo del suo
padrone, viene inseguito, per i campi, dal figlio di questi, Eugenio Tomè, un
ragazzino di una diecina d’anni. Il coniglio finisce nel cortile della casa di
Via del Progresso al n. 628. Il ragazzino recupera il suo coniglio e, colto da
curiosità, di fronte a quella costruzione completamente ed ermeticamente chiusa,
con i vetri delle finestre coperti da fogli di giornale, comincia a gironsolarci
intorno nella speranza di trovare un varco. Forza la porta della cucina e,
improvvisamente, una fiammata e poi una fortissima esplosione. Il bambino fugge
incolume, ma i vicini, allarmati, avvertono la polizia. Quando gli uomini della
squadra speciale entrano trovano di tutto: candelotti di dinamite, gelinite,
polvere nera, acido nitrico, clorato di potassio e quanto altro possa servire a
confezionare bombe di ogni tipo. In più, la casa non è saltata in aria per puro
accidente in quanto protetta, se così si può dire, da un sistema di antifurto
fatto di ben cinque bombe per ogni porta, collegate tra di loro e che dovrebbero
esplodere non appena si apre una delle due porte centrali. Il sistema non è
esploso per puro caso o, forse, a causa dell’eccessiva umidità.
Severino Di Giovanni al
Tribunale che ne sentenzierà la pena di morte
La scoperta del
laboratorio indirizza le indagini inequivocabilmente verso gli italiani che,
grazie anche ad una serie di testimonianze e di riconoscimenti, vengono tutti
identificati.
Barbieri non può più
rientrare in Argentina, anzi è segnalata la sua presenza sia alla polizia
uruguaiana che a quella brasiliana. Nei pochi mesi in cui dimora in Brasile29,
Ciccio svolge un’intensa attività di tipografo anche perché devono rimarginarsi
le piaghe e le bruciature che gli acidi gli hanno provocato alle mani,
altrimenti queste “stimmate” saranno una prova inoppugnabile a suo carico.
Dopo mesi di ricerche,
di appostamenti e di pedinamenti, la polizia brasiliana riesce a catturarlo
all’uscita da una tipografia. Tuttavia, grazie all’intervento di un avvocato
vicino agli anarchici, ottiene di essere espulso dal paese e non viene, per sua
fortuna, estradato in Argentina.
L’intermezzo europeo
Ciccio giunge in Italia
verso la fine del 1929 e si sistema a Zambrone, piccolo comune a pochi
chilometri dalla natia Briatico. Non può, certo, stare molto tranquillo sia
perché è pur sempre ricercato e sia perché è nota alla polizia la sua attività
di antifascista. Viene arrestato, processato e condannato ad un anno e sei mesi
di reclusione. Riesce, però, con un audace colpo, a fuggire e nel febbraio del
1930 raggiunge Marsiglia. La presenza in Francia è sicura perché,
sfortunatamente, nel marzo del 1930, viene condannato dal Tribunale di Tolone ad
otto mesi di reclusione con l’accusa di detenzione di documenti falsi. Sconta
qualche mese di carcere, ma non viene espulso dal paese30. La polizia
fascista è sulle sue tracce e, da questo momento, non lo perderà di vista.
Barbieri saprà, tuttavia, ben districarsi e parecchie volte riuscirà a sfuggire
ai controlli ed ai pedinamenti dell’O.V.R.A., la polizia segreta fascista. Gli
anni della clandestinità e della guerriglia a Buenos Aires si rivelano preziosi
e Ciccio mette subito a disposizione del movimento tutta la sua esperienza e
tutte le sue conoscenze sia organizzative che tecniche, specialmente per quel
che riguarda la fabbricazione e l’impiego degli esplosivi e l’uso delle armi. La
sua capacità di mimetizzarsi e di scomparire quasi nel nulla gli consente di
rimanere in Francia proprio negli anni in cui le nuove leggi sull’emarginazione
e sui rifugiati politici consentono al governo di espellere dal paese decine di
anarchici31.
Allo stesso tempo,
Barbieri è uno dei pochi in grado di assumere delle contromisure pratiche ed
efficaci contro le frequenti infiltrazioni di spie, assoldate dai fascisti e
contro una crescente delazione, favorita ed incoraggiata, anche mediante forti
somme di denaro, dalle stesse autorità consolari e diplomatiche italiane32.
Gli anarchici sono i più colpiti da queste sordide manovre, tanto che Berneri è
costretto a denunciare pubblicamente l’opera di sistematica demolizione
dall’interno che la polizia fascista sta effettuando ai danni di singole
personalità o di gruppi organizzati di anarchici33.
Uscito di prigione,
Ciccio va a Lione dove ricomincia a fare il lavoro di tipografo ed entra a far
parte del Circolo anarchico “Sacco e Vanzetti”. Per più di un anno riesce a
vivere tranquillamente fino a quando, nel settembre del 1931, viene riconosciuto
e segnalato al Consolato italiano. Si sposta subito a Marsiglia ma, oramai,
anche la polizia francese è sulle tracce ed infatti lo arrestano nel 1932.
Questa volta i documenti sembrano perfetti tanto che Ciccio si permette di
giocare sulla vocale finale del suo cognome. Afferma di chiamarsi Barbiere
e non Barbieri e la fortuna è dalla sua perché ci sono altri due antifascisti
italiani che si chiamano Francesco Barbieri, uno socialista di Tortona e l’altro
comunista di Reggio Emilia e poi ci sono un Barbieri Fortunato di Piacenza ed un
Barbieri Ernesto di Cesena, pure antifascisti e comunisti. Ciccio, naturalmente,
non può essere a conoscenza dell’esistenza di questi suoi omonimi, ricercati dai
fascisti, ma quella “e” finale è sufficiente a convincere la polizia francese
che lui è un’altra persona34. Si salva dall’espulsione per motivi
politici, ma non da una nuova condanna per detenzione di documenti falsi. Dopo
tre mesi di carcere, riesce ad evadere.
A questo punto non può
più rimanere in Francia, perciò, si rifugia in Belgio e poi, su consiglio dei
suoi stessi compagni, ripara a Ginevra dove c’è la sede della Federazione
Anarchica Internazionale. Gli vengono affidati delicati incarichi di
collegamento tra i diversi gruppi di fuoriusciti per cui deve spostarsi
continuamente da una città all’altra. Questo andirivieni insospettisce la
polizia elvetica che lo arresta nel novembre del 1934. Viene condannato per
possesso di documenti falsi e per ingresso clandestino nello stesso svizzero;
sconta qualche altro mese di carcere e poi viene espulso dal paese.
In Spagna, nella
nuova patria dell’Anarchismo
Ciccio Barbieri viene
espulso dalla Svizzera nell’ottobre del 1935, quando si tiene a Parigi, voluto
da Berneri, il Convegno d’Intesa degli Anarchici Italiani emigrati in Europa35,
alla cui organizzazione lui stesso, sia pure indirettamente, aveva collaborato.
L’unico posto dove può
dirigersi è la Spagna, non resta altro. Il movimento anarchico spagnolo è
cresciuto ed inoltre la situazione politica sta evolvendo in maniera molto
positiva. E poi, non va dimenticato, che a Barcellona ci sono i suoi amici del
periodo argentino, Durruti e Ascaso, che adesso, a giusta ragione, possono
essere considerati i capi dell’anarchismo adesso, a giusta ragione, possono
essere considerati i capi dell’anarchismo spagnolo. Inoltre gli italiani Gozzoli,
Bruzzi, Castellani e Damiani, espulsi dalla Francia, hanno organizzato, fin dal
1931, a Barcellona, con l’appoggio della F.A. Iberica, un “Ufficio di
Corrispondenza Libertario”, in grado di fornire assistenza ed aiuto a tutti gli
anarchici che giungono in Spagna.
Ciccio arriva a
Barcellona alla fine di ottobre del 1935. Forse ha bisogno di riposo o forse è
opportuno che, per qualche tempo, scompaia veramente dalla circolazione,
considerato che l’O.V.R.A. ha in Spagna più occhi ed orecchie che altrove; fatto
sta che si sistema a Palma di Majorca. Qui, con grande impegno e fortissimi
sacrifici, anche con l’aiuto di alcuni connazionali36, avvia
un’attività commerciale nel campo dei prodotti agricoli locali, vino, olio e
agrumi. Non riesce, tuttavia, a staccarsi completamente dalla lotta politica per
cui compie parecchi viaggi a Barcellona, approfittando anche del fermento
suscitato dall’avvio della campagna elettorale per le imminenti elezioni. Nel
febbraio del 1936, durante una breve permanenza nella capitale catalana, proprio
nel periodo pre e post-elettorale, viene notato dalle spie fasciste e la sua
presenza viene segnalata all’Ambasciata di Madrid. Il suo nome viene
immediatamente inserito in un elenco di antifascisti italiani, residenti in
Spagna e ricercati dall’O.V.R.A., che l’ambasciata italiana provvede a
trasmettere alle autorità spagnole. Le persone segnalate vengono definite
“individui sospetti e pericolosi… criminali senza scrupoli e privi del ben che
minimo senso morale”.
Così, quando nel marzo
del 1936, Ciccio ritorna a Barcellona, con una scusa banale, viene fermato ed
arrestato insieme con una diecina di italiani. Mentre, dopo un sommario
interrogatorio, quasi tutti gli altri vengono rilasciati, lui viene rinchiuso in
carcere e rinviato a giudizio. Si mobilitano, in suo favore, tutte le
organizzazioni anarchiche catalane e spagnole dalla C.N.T., alla F.A. Iberica,
alla L.I.D.U. – Lega Internazionale dei Diritti Umani -, compreso il Comitè
pro presos. E’ un coro di proteste immenso. Una valanga di telegrammi, senza
esagerazione, giunge da tutto il mondo sulla scrivania del Presidente Azana, il
quale l’11 aprile 1936 acconsente a firmare l’ordine di scarcerazione.
Ciccio non può fare
altro che ritornare clandestinamente a Ginevra.
Di nuovo in Spagna
per la Rivoluzione libertaria
La polizia elvetica non
fa in tempo ad accorgersi che Barbieri è rientrato a Ginevra che, giunta la
notizia del golpe franchista, questi riparte immediatamente per la Spagna.
Insieme a lui ci sono un gruppo di compagni svizzeri e gli italiani Angelo
Mantovani, Domenico Ludovici, Carlo Castagna, Attilio Bulzamini, Vincenzo
Bottoni, Randolfo Vella e Fosca Corsinovi, che, da qualche tempo, è la compagna
di Barbieri37.
Camillo Berneri
Ciccio arriva a
Barcellona negli ultimi giorni di luglio e, più o meno nello stesso periodo,
arriva Camillo Berneri. Barbieri è molto conosciuto e, senza esitazioni, viene
ammesso a far parte degli organismi della F.A. Iberica. I compagni italiani, che
lo conoscono bene, Virgilio Gozzoli, Fosco Falaschi e Celso Persici, lo chiamano
subito a far parte del Comitato, diretto da Berneri, che insieme con Carlo
Rosselli, Angeloni e Calosso, sta trattando con De Santillan e Durruti la
formazione di una colonna di combattenti italiani da inserire nelle Milicias
Antifascistas Calalanas. La Colonna, denominata “Francesco Ascaso”, si
costituisce nei primi giorni di agosto e la sera del 19, al termine di una
festosa cerimonia, parte per il fronte. Comandante militare è nominato Angeloni;
Commissario politico, Berneri; a Barbieri viene affidato un incarico, alle
dirette dipendenze di Berneri, che potremmo chiamare, in gergo militare, di
“aiutante di campo”. Camillo non ha dimestichezza con le armi, le trincee, gli
esplosivi, gli ordini militari, le tattiche di difesa e di assalto per cui
Ciccio sembra il naturale, logico completamento di questa nuova ed affascinante
fase di lotta politica. Barbieri ha un carattere forte, è allegro, gioviale,
infonde fiducia e coraggio, assume quasi, lui che ha appena due anni in più di
Camillo, un ruolo protettivo e paterno nei confronti dell’illustre
intellettuale. Diventa per Berneri una guida ed un sostegno indispensabili
poiché questi, meticoloso e severo, prima di tutto con se stesso, come sempre,
vuole svolgere il suo incarico fino in fondo. Il che significa che bisogna
ispezionare le armi, visitare i feriti, verificare lo stato d’animo dei
compagni, provvedere ai rifornimenti, nonché a tutte le cose minute di tutti i
giorni e partecipare ai combattimenti. La comunanza di vita, la frequentazione
continua, la stima reciproca, il grande e diverso prestigio di cui i due
anarchici godono, l’uno, un grande intellettuale, l’altro, un uomo d’azione,
coraggioso ed audace, tutti questi elementi messi insieme fanno sì che tra
Camillo e Ciccio si stabilisca un rapporto di amicizia autentica, che si
trasforma, nel giro di poco tempo, in un rapporto più che fraterno38.
E’ Barbieri che
s’incarica di far eseguire gli ordini senza mai farli apparire tali. Ogni
mattina, testimonia Giuseppe Garrido39 “arrivava… con una carta
alla mano e un timido sorriso che illuminava il suo ampio volto di malato
spirituale. Aveva sempre un incarico da compiere a favore di qualche compagno;
si preoccupava della sorte di tutti, come un fratello maggiore incaricato di
amabili sollecitudini”. Ciccio non usa toni imperiosi, non sfrutta il suo
enorme prestigio, né la sua immensa fama e neppure vanta il suo passato e la sua
antica amicizia con Durruti e Ascaso, non ne ha bisogno. E’ sufficiente che lui
dia le istruzioni con quell’aria indolente da meridionale e con quel tono
modesto e semplice di militante che ha guardato la morte negli occhi tantissime
volte, per far sì che, quasi d’incanto, un meccanismo complicato, fatto di
uomini e di cose, si metta in moto. Se in Argentina era “Chico il professore”,
in Spagna diventa semplicemente ed affettuosamente, “Ciccio”, l’ufficiale di
collegamento tra gli alti vertici e la base dei militanti. Solo lui è in grado
di intercedere per tutti perché lo fa in maniera cordiale e sincera e può
permettersi di domandare piccoli o grandi favori per gli altri poiché nessuno
oserebbe rifiutarglieli. “Serviva i compagni – dice sempre Garrido –
da fratello maggiore o da padre, sempre disposto e rassegnato a sopportare
rimproveri”.
Tra i compagni era lui
il più noto e, spesso, toccava a lui fare le presentazioni dell’illustre
dirigente. Ciccio diceva semplicemente: “Ti presento Camillo Berneri”, ed era
sicuro di aver detto tutto e che non c’era null’altro da aggiungere.
Dopo la battaglia di
Monte Pelato, nell’agosto del 1936, ed un’altra serie di scaramucce e di
combattimenti40, sia a causa delle gravi perdite (tra l’altro viene
ucciso Angeloni)41, sia perché si ritiene opportuna una
ristrutturazione della Colonna Ascaso, Berneri viene convinto a ritornare a
Barcellona, dove lo attendono impegni non meno gravosi di natura politica,
organizzativa e propagandistica. Del resto le sue condizioni fisiche non sono
proprio ottimali: è affetto da una fortissima miopia, è quasi sordo
dall’orecchio destro e soffre di reumatismi. Anche Ciccio non sta molto bene, ha
avuto un attacco cardiaco, che ha dissimulato benissimo, ma che non è sfuggito
all’occhio attento del medico della Colonna, l’italiano Ricciulli.
I due amici rientrano a
Barcellona e vengono sistemati in un appartamento di via Layetana, che fa angolo
con Plaza del Angel, di fronte alla Stazione del Metrò; con loro ci sono
Mastrodicasa, Fantozzi, Fosca Corsinovi e Tosca Tantini. Berneri assume la
direzione di “Guerra di classe”, organo della F.A.I. – Sezione Italiana, che si
pubblica in tre lingue: italiano, spagnolo e francese, collabora, su richiesta
di de Santillan e Durruti a “Tierra y Libertad”, organo ufficiale della F.A.
Iberica, invia corrispondenza a “L’Adunata dei Refrattari” e, in inglese, a
“Spain and the World”, tiene, tutti i giorni, una trasmissione a Radio
Barcellona e presiede decine di Comitati. E Barbieri? Fa tutto il resto. Non è
una battuta. Esaminiamo le cose con ordine.
Giovanna Caleffi, moglie di
Berneri con le figlie Maria Luisa e Giliana
Innanzitutto è escluso
che Ciccio si “la guardia del corpo” di Berneri. Questa idea la ritroviamo, come
una “notazione en passant”, a dire il vero, nel saggio di Di Lembo42,
ma si connota di ben altri significati in altri autori. Claudio Venza, in un suo
saggio scrive: “La fine di Berneri accompagna quella di altri caduti del
movimento italiano: da Francesco Barbieri, che condivideva l’abitazione con
‘Camillo da Lodi’ ad altri giovani libertari appena arrivati clandestinamente
dall’Italia”43. Ciccio, insomma, viene considerato alla stregua
di un semplice “inquilino” di passaggio, trovatosi accidentalmente coinvolto, ed
ignaro, come tanti altri giovani, in cose più grandi di lui. Umberto Tommasini,
anarchico triestino, combattente in Spagna, del quale lo stesso prof. Venza ha
curato la pubblicazione dell’autobiografia, afferma che Barbieri è un anarchico
d’azione, presente in Argentina ai tempi di Severino Di Giovanni, ma, in realtà,
non è altro che “un mezzo gangster” cui è stata affidata l’incolumità di Berneri44.
Tra le righe si capisce, poi, che la fiducia è stata mal riposta, non riuscendo,
come vedremo, Barbieri a proteggere il grande dirigente. A parte il giudizio
sbrigativo, superficiale e cattivo, non è chiaro per quale motivo dirigenti
anarchici così esperti come gli italiani Gozzoli, Persici, Bifolchi e Canzi,
(per tacere d’altri) tutti provenienti dall’esilio e dalla clandestinità, e gli
spagnoli de Santillan e Durrutti, che conoscevano Barbieri fin dai tempi
dell’Argentina, avrebbero dovuto affidare l’incolumità di un preziosissimo
intellettuale come Berneri, ad un uomo di più di quarant’anni che aveva appena
manifestato i sintomi di una grave malattia cardiaca. C’erano a disposizione
decine di giovani e prestanti militanti che avrebbero svolto il compito con
molta cura e che sarebbero stati onorati di farlo. La verità è che Berneri
avrebbe rifiutato con sdegno una simile offerta, reputandola un’offesa
gravissima non per sé, ma per il movimento anarchico. Le funzioni di Ciccio
Barbieri erano ben altre ed a documentarlo ci sono le lettere che Berneri
inviava al Comitato della C.N.T., alla F.A.I. e alla Sezione Italiana della
Colonna “Ascaso”.
In un suo rapporto del
28 settembre 1936 si legge. “Il caso Barbieri è molto imbarazzante per noi.
Barbieri ha procurato medicinali ed armi, tante, mediante i suoi rapporti
personali; si è interessato ad un’infinità di casi urgenti (documenti di
circolazione, etc.) senza fare economie di energie, fino ad esaurirsi al punto
di correre pericolo di morte in seguito a gravissimi disturbi cardiaci (sincope
sulla strada); è attualmente incaricato della riscossione del soldo, pratica
complicatissima; è l’unico che sia introdotto, che disponga di una vettura
(vettura di un colonnello francese cui finge di fare da addetto!), che parli
spagnolo. Difficilmente un altro può possedere queste capacità e disporre di
queste possibilità e siamo certi che la sua assenza complicherà un’infinità di
cose. Ad esempio è per l’intervento suo che l’ambulanza svizzera è rimasta a noi
nonostante le manovre comuniste per averla”45.
Non servono commenti.
La controprova è data dal fatto che quando gli amici, i compagni o gli
antifascisti, che sono rimasti in Francia o negli U.S.A. o in Inghilterra e in
Svizzera scrivono a Camillo, per tutto quello che concerne aspetti pratici,
organizzativi o finanziari si rivolgono a “Ciccio” e, spesso, allegano un foglio
a parte nel quale danno conto della loro attività e dei finanziamenti che sono
riusciti a raccogliere. In altre occasioni chiedono, sempre a Ciccio,
suggerimenti, consigli, indicazioni sulle iniziative più idonee e più opportune46.
Quel che emerge con
chiara evidenza, è che Barbieri gode di un’ampia autonomia di movimento nello
svolgimento delle sue funzioni e, inoltre, è riuscito a costituire, nei fatti,
una sorta di coordinamento tra i vari Comitati che si vanno formando a
Barcellona e in tutta la Catalogna.
Emilio Canzi
Infatti quando il
Comitato Anarchico di Difesa di Barcellona decide di costituire un “Comitato al
fronte” e di ripartire gli incarichi all’interno dell’organismo cittadino,
Barbieri viene, su esplicita richiesta di Berneri e Gozzoli, lasciato fuori e
formalmente non gli viene affidato alcun incarico specifico47. In
sostanza, è meglio lasciargli la più ampia libertà di manovra.
Un assassino
politico
Dopo i primi mesi di
guerra, le tensioni e le contraddizioni che si andavano accumulando all’interno
del composito schieramento antifascista e, anche, dentro lo stesso movimento
anarchico48, esplodono in tutta la loro virulenza dando luogo ad uno
scontro fratricida ed esiziale proprio nel cuore della Catalogna rivoluzionaria,
a Barcellona. Non c’è dubbio che, per certi versi, la contrapposizione tra le
diverse “anime” della Sinistra è accentuata ed esasperata, ad arte, dalla non
disinteressata ingerenza sovietica e il discorso ci porterebbe molto lontano49.
Non è possibile qui, neppure per sommi capi, ricostruire gli avvenimenti del
maggio del 1937 e, perciò, non si può far altro che dare per scontato che siano
conosciuti e rinviare all’amplissima bibliografia esistente su questo tragico
evento50.
Funerale dell'anarchico
catalano Buenaventura Durruti a Barcellona
E’ noto che l’episodio
che scatena gli scontri, nel corso dei quali ci saranno ben 500 morti ed oltre
1.400 feriti, è l’assalto alla Centrale Telefonica, controllata dalla C.N.T., da
parte della polizia, che era di stretta osservanza comunista. Il tentativo
avviene lunedì 3 maggio 1937, alle tre, circa, del pomeriggio, gli scontri poi
proseguono per tutta la notte e nel giorno successivo.
Quello stesso giorno,
alle venti, Camillo Berneri tiene a Radio Barcellona, controllata dalla F.A.I.,
un discorso di commemorazione per Antonio Gramsci51. E’ un discorso
dai toni concilianti e non certo teso ad esasperare le contrapposizioni
ideologiche, ma, alcuni punti dell’anarchismo, quali l’idea di “un’economia
collettivista”, accompagnata da un “coordinato federalismo politico”, vengono
ribaditi con fermezza. Poi gli eventi precipitano.
Ricostruiamo la
sequenza degli avvenimenti seguendo le testimonianze di due principali
protagonisti, Tosca Tantini, che abitava con Ciccio e Camillo, e Virgilio
Gozzoli, che era co-direttore di “Guerra di classe” e responsabile del Comitato
di Difesa Anarchica.
La mattina del 4
maggio, intorno alle 10, due persone, con un vistoso bracciale rosso, bussano
all’appartamento degli anarchici italiani. Li riceve Tosca; chiedono di parlare
con Barbieri e Berneri e quando Ciccio si fa avanti lo implorano di non sparare.
Ciccio non è armato, in casa non porta mai armi e, per di più, da qualche mese
ormai non circola più con la pistola. Berneri li rassicura: “Siamo antifascisti
venuti a combattere per la rivoluzione, perché dovremmo sparare su altri
antifascisti?”.
Rassicurati e senza
aggiungere altro i due salutano e se ne vanno. Tosca, dalla finestra, controlla
che siano usciti dal palazzo e, poi li vede entrare nel palazzo di fronte, che è
la sede del Sindacato U.G.T., controllato dai social comunisti. Non viene data
eccessiva importanza a questa “strana” visita; per le strade si continua a
combattere, non si può uscire e nell’appartamento non c’è il telefono. Alle tre
del pomeriggio bussano di nuovo alla porta. Questa volta si tratta di un
manipolo di una dozzina di uomini, alcuni, cinque o sei, con il solito bracciale
rosso, altri in divisa e con tanto di elmetto; sono tutti armati. Apre Tosca e
questi irrompono nell’appartamento ed iniziano una furiosa perquisizione. La
Tantini, preoccupata dal fatto che cercassero armi, consegna, spontaneamente,
tre fucili, lasciati lì in custodia da tre miliziani in licenza. Questi non
sembrano contenti e forzano la porta dell’appartamento del compagno Mastrodicasa,
che non è rientrato. Sequestrano carte, giornali, riviste e libri che trovano in
questo appartamento e, dichiarandosi, soddisfatti, specialmente per le armi, se
ne vanno.
Umberto Marzocchi
Sul pianerottolo, due
che si erano attardati, dicono a Tosca che torneranno perché hanno visto
l’immensa mole di carte che c’è nella stanza di Berneri. Tosca domanda come mai
questo comportamento e chi ha ordinato questa irruzione. I due, in modo
beffardo, rispondono che sanno benissimo di avere a che fare con pericolosi
anarchici italiani; comunque le intimano di non affacciarsi alla finestra,
altrimenti la fucileranno.
La serata e la notte
passano tranquille, viveri in casa ce ne sono e gli spari stanno diminuendo
d’intensità. Non succede niente neppure nella mattinata di mercoledì 5 maggio,
ma alle diciotto torna un manipolo di una quindicina di armati, sei dei quali
sono poliziotti o, almeno, per tali si qualificano, gli altri portano il solito
bracciale rosso. Entrano e, pistola in pugno, dichiarano in arresto Barbieri e
Berneri. Ciccio tenta di reagire; chiede la ragione dell’arresto. Quello che
sembra il capo, che è l’unico vestito in borghese, gli risponde che entrambi
sono dei pericolosi controrivoluzionari, forse spie dei fascisti. Di fronte
all’enormità e alla grossolanità dell’accusa, Barbieri risponde che in vent’anni
di militanza anarchica non aveva mai sentito una sciocchezza simile che suona
come un volgare insulto a tutta la sua attività. Questi ribatte: “l’avete detto
voi stesso; in quanto anarchico siete un controrivoluzionario, appunto”.
Ciccio tenta di
scagliarsi contro quest’individuo, lo provoca e arriva a sfidarlo a duello. Per
tutta risposta, l’altro rovescia il bavero della giacca e mostra un distintivo
nel quale, ben marcato, campeggia il numero “1109”. Tosca, in un estremo
tentativo, afferra il braccio di quell’individuo e gli dice: “Sono stata io a
consegnare le armi, è me che dovete arrestare non loro due che non sono armati”.
L’altro, prontamente, indicando anche Fosca Corsinovi, “Se sarà necessario
torneremo a prendervi, state tranquilli”52.
Le due donne non
possono fare niente, sono completamente isolate, fuori si continua a sparare e,
perdipiù, adesso l’intero palazzo è presidiato da uomini armati. Circa un’ora
dopo arriva, preoccupatissimo e trafelato, Virgilio Gozzoli, che abita nello
stesso stabile e riesce, in maniera rocambolesca, a salire fino all’ultimo
piano. Le due donne neppure gli aprono e lo invitano a fuggire, a nascondersi
perché torneranno per arrestare tutti gli uomini che abitano nel palazzo.
Gozzoli ritorna, fortunosamente, durante una pausa dei combattimenti, alla sede
del Comitato Regionale della C.N.T. e comincia a spargere la terribile ed
incredibile notizia53.
L’indomani, giovedì 6
maggio, i due soliti individui con il bracciale rosso si presentano
nell’appartamento di Plaza del Angel ed informano Tosca e Fosca che i due
arrestati verranno rilasciati in giornata, anzi, presumibilmente, intorno a
mezzogiorno. Poco dopo, invece, arrivano Umberto Marzocchi, Canzi e Mazzone per
informare gli inquilini dello stabile, compreso Gozzoli, che i due corpi
giacciono nella morgue dell’Hospital Clinico. La Tantini, la Corsinovi e
Marzocchi provvedono alla mesta incombenza del riconoscimento ufficiale e
scoprono, dalle cartelle dell’ospedale, che Camillo è stato rinvenuto, alle
prime luci dell’alba, in piazza della Generalitat, che non è molto distante da
dove abitava, dalla Croce Rossa; mentre Ciccio viene trovato sulla Ramblas de
las Flores, più o meno nelle stesse ore.
Ultimo scritto di Camillo
Berneri prima di essere assassinato
L’autopsia rivela che i
due anarchici italiani sono stati uccisi con due colpi di pistola, sparati da
distanza ravvicinata, circa 70 cm. Il primo colpo viene esploso da dietro in
avanti e dall’alto in basso con foro d’entrata dietro la linea ascellare destra;
l’altro, dall’alto in basso e da dietro in avanti nella regione
temporo-occiptale destra54.
I funerali si svolgono
l’11 maggio 1937 in una Barcellona tetra ed impietrita dal dolore. Cinque carri
funebri, ognuno dei quali tirato da due cavalli neri, trasportano i feretri di
Camillo Berneri, Francesco Barbieri, Adriano Ferrari, Lorenzo di Peretti e
Pietro Mancon, tutti italiani e tutti anarchici. E’ l’ultima grande, solenne e
tragica manifestazione pubblica dell’Anarchia.
Pare che, negli ultimi
tempi, Ciccio amasse ripetere una frase, un po’ adattata, del suo amico Camillo.
“L’utopia accende una stella nel cielo della dignità umana, ma ci costringe a
navigare in un mare senza porti”.
NOTE
1
Cfr. Annuario Generale del T.C.I., Milano, 1901, p.302.
2
Cfr. la breve biografia del Nostro pubblicata sotto il titolo di Vittime
della dittatura internazionale in “Guerra di classe”, n. 19, a. II,
Barcellona, ottobre 1937.
3
Sull’argomento cfr. E. Misefari Bruno, Biografia di un fratello, Milano,
Ed Zero in condotta, 1989; P. Zanolli Misefari, L’anarchico di Calabria,
Firenze, La Nuova Italia, 1972; Armando Borghi, Mezzo secolo d’anarchia,
Catania, ediz. Della Rivista “Anarchismo”, 1978; sui rapporti tra anarchici e
socialisti: G. Cingari, Il Partito Socialista nel reggino (1888-1908),
Reggio Calabria, Laruffa Editore, 1990; G. Masi, Socialismo e socialisti in
Calabria, Catanzaro, 1981 e E. Misefari, Il Socialismo in Calabria nel
periodo giolittiano, Soveria M.lli, Rubbettino Ed., 1985.
4
Sul tema: A. Malatesta, I Socialisti italiani e la guerra, Milano,
Mondadori, 1926 e Cole, Storia del pensiero socialista, vol. IV Comunismo e
Socialdemocrazia, Bari, Laterza, 1968.
5
Antonio Pietropaolo nasce a Briatico il 24 febbraio 1899, ma si trasferisce
molto presto a Milano. Qui comincia a lavorare come operaio ed entra a far parte
dei gruppi anarchici. Nel gennaio del 1921 viene arrestato per associazione a
delinquere ed attentato contro i poteri dello Stato, ma viene assolto in
istruttoria. Il 23 marzo del 1921 viene nuovamente arrestato con l’accusa di
aver partecipato all’attentato al Teatro “Diana” ed è imputato di associazione a
delinquere, fabbricazione e trasporto di esplosivi. Viene condannato a sedici
anni ed undici mesi di reclusione ed a due anni di vigilanza speciale; è
liberato per amnistia nel novembre del 1932. Trascorre due anni li libertà
vigilata a Vibo Valentia, quindi torna a Milano e lavora in una officina
meccanica. Prende parte alla Resistenza ed organizza una brigata anarchica in
provincia di Pavia. Nell’immediato dopoguerra è tra i fondatori della F.A.I. e
partecipa al 1° Congresso anarchico di Carrara, tuttavia, insoddisfatto delle
decisioni prese, abbandona la Federazione insieme con Mario Perelli e Germinal
Concordia. E’ morto a Milano il 1° gennaio del 1965. Fonte: Archivio Centrale
dello Stato, Roma, C.P.C. Busta n. 3969, fasc. 85743; v. anche: G. Galzerano,
L’attentato al Diana, Roma, Napoleone Editore, 1973, e il romanzo di V.
Mantovani, Mazurka Blu, Milano, Rusconi, 1979.
6
Sui viaggi di Pietro Gori in Argentina v. R. Rocker, Pietro Gori, in
Artisti e Ribelli. Scritti letterari e sociali, Cecina, Edizioni Archivio
Berneri, 1996; M. Antoniolo, Pietro Gori, il cavaliere errante dell’anarchia,
Pisa, BFS Ed., 1980; Malatesta, Rivoluzione e lotta quotidiana, Torino,
Ed. Antistato, 1976, Accursio, Per una storia dell’anarchismo nella città di
Rosario, in “Rivista Storica dell’Anarchismo”, n. 2, 1994.
7
Hipolito Yrigoyen (1850-1933), avvocato, presidente dell’Unione Civica Radicale
e nipote di Leandro Alem, fondatore di questo partito. Capeggiò tre rivolte
popolari (1890, 1893 e 1905) contro l’oligarchia e per ottenere il suffragio
universale. Fu eletto Presidente nel 1916 e restò in carica fino al 1922;
successivamente fu rieletto nel 1928, ma due anni dopo fu rovesciato da un colpo
di Stato guidato dal gen. Uriburo. I suoi seguaci più fanatici lo chiamavano
“l’Apostolo”, mentre a livello popolare era soprannominato “el Peludo”.
8
A titolo di Curiosità, merita di essere segnalato che tra gli ufficiali che
comandarono le truppe e ordinarono di sparare sugli operai in sciopero, c’era un
giovane tenente di prima nomina: Juan Domingo Peron, futuro presidente e
dittatore.
9
Le informazioni e le notizie sul quindicennio (1919 – 1935) degli “anarchici
criminali”, gli “anni di piombo” argentini, si possono trovare in: O. Bayer,
Gli Anarchici espropriatori ed altri saggi sulla storia dell’anarchismo in
Argentina, Cecina, Ed. Archivio Fam. Berneri, 1996. Il volume, ora
pubblicato in italiano, è la traduzione di un libro uscito nel 1975 a Buenos
Aires; lo stesso Autore nota: “Sopraggiunse poi un periodo in cui non si fecero
sparire solo gli esseri umani, ma anche i libri. […] Durante la dittatura dei
generali, degli ammiragli e dei brigadieri scomparvero ottomila copie del
compendio di queste indagini. […] I libri distrutti ora rinascono […] a
differenza degli esseri umani assassinati e scomparsi per sempre”.
10
Sulla banda Bonnot si v. B. Thomas, La banda Bonnot, Carrara, Ed.
Squilibri, 1978, ma soprattutto vale la pena di leggere il romanzo di P. Cacucci,
In ogni caso nessun rimorso, Milano, Longanesi editori, 1994.
11
Si provi a ri-leggere Viaggio al termine della notte, romanzo di uno
scrittore, Louis-Ferdinand Celine, di solito qualificato e, quindi, liquidato
sbrigativamente come “fascista”, secondo canoni (se mi si passa questo termine)
propriamente anarchici. Si potrà “scoprire” che la tremenda denuncia di questo
scrittore non è altro che il grido disperato dei diseredati cui la vita non ha
riservato niente se non sofferenze, amarezze e morte. Nelle pagine di questo
romanzo il lettore ritroverà le stesse ansie, gli stessi problemi e, in fin dei
conti, la stessa disperazione degli anarchici espropriatori.
12
Sulla rivoluzione russa, vista dalla parte degli anarchici, V. Volin, La
Rivoluzione sconosciuta, 2 voll., Carrara, Edizioni Franchini, 1976. Il più
conosciuto episodio di repressione violenta, attuata dal governo bolscevico, è
quello relativo alla rivolta dei marinai di Kronstadt, in proposito si v. P.
Avrich, Kronstadt 1921, Milano, Mondadori, 1971 e Israel Getzler
L’epopea di Kronstadt, Torino, Einaudi, 1982. Sui rapporti tra bolscevichi
ed anarchici ed in particolare tra questi e Lenin, sono illuminanti le pagine
dell’autobiografia di E. Goldman, Vivendo la mia vita, vol. III, Milano,
Ed. Zero in condotta, 1933. L’anarchica lituana riporta un suo personale
colloquio con Lenin che definisce Machmo “un volgare bandito”, mentre chiama
“idealisti” tutti gli altri anarchici. La Goldman ribatte che: “Anche l’America
capitalista divide gli anarchici in due categorie, i filosofi e i criminali. I
primi sono ben accetti anche nella migliore società […] La seconda categoria,
alla quale abbiamo l’onore di appartenere, viene perseguitata […] Anche Voi pare
che facciate una distinzione senza che vi sia una reale differenza”.
13
Renzo Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari, nacque ad Arcola (La
Spezia) il 12 maggio 1890, fu poeta, filosofo, artista e militante anarchico.
Individualista e fortemente anticlericale, a vent’anni compì il suo primo gesto
estremo: incendiò la chiesa del santuario della della Madonna degli Angeli di
Arcola. Allo scoppio della grande guerra, si rifiuta di partire per il fronte e,
arruolato per forza, nell’aprile del 1918 diserta e fa perdere le tracce.
Usufruisce dell’amnistia del ’19 e comincia la collaborazione con parecchie
riviste anarchiche e letterarie. Muore in uno scontro a fuoco con i carabinieri
il 29 novembre 1922 a Teglia, insieme con lui c’è Sante Pollastri, che riesce a
fuggire in Francia. Su sante Pollastri cfr. il mio Il bandito e il campione,
in “La città del sole”, n.7-8, luglio-agosto 1996 e G.L. Brignoli, Le
confessioni di Pollastro, l’ultimo bandito gentiluomo, Bergamo, Ed. Vulcano,
1995.
14
L’Espropriatore, “Iconoclasta!”, Pistoia, a. I, n. 10 del 26 novembre 1919, ora
in R. Novatore, Un fiore selvaggio – Scritti scelti e note autobiografiche,
a cura di Alberto Ciampi, Pisa, edizioni BFS, 1994.
15
Non si può qui dar conto del vasto dibattito che si sviluppa intorno alle
“provocazioni” di Novatore e del resto, purtroppo, dopo tanti anni, gran parte
del materiale è sconosciuto perché si trova nelle pagine dei giornali anarchici
dell’epoca e non è stata mai organizzata una ripubblicazione organica in volume.
Le tematiche suscitate da Novatore, da Aida Latini, da Leda Rafanelli, da Aldo
Aguzzi, da Virgilio Gozzoli e da molti altri rimbalzano al di la dell’Atlantico
e trovano vasta eco sulle pagine de “L’Adunata dei Refrattari”, giornale
anarchico di New York. Si possono, comunque, consultare: L. Bettini,
Bibliografia dell’anarchismo, 2 voll., Firenze, CP Edizioni, 1976, nonché
L’Inventario delle testate anarchiche internazionali dall’800 al 1960,
Fondo Ugo Fedeli presso l’”Instituut Voor Sociale Geschiedenis” di Amsterdam.
16
C. Berneri, Stato e burocrazia, in “Umanità nova”, Milano, a. I, n. 258
del 25 dicembre 1920, ora in Pietrogrado 1917 – Barcellona 1937. Scritti
scelti, Ragusa, Ed. La Fiaccola, 1976.
17
La risposta di Novatore è contenuta in un articolo intitolato Sferzata,
che viene pubblicato su “Iconoclasta!”, a. II, nn. 1-2, del 20 febbraio 1921,
nel testo definisce Berneri “stercomane”, “castrato”, “caco isterico geloso
della mia penna”, mentre lui stesso si definisce “amoralista in quanto
anarchico”.
18
La storia più completa della C.N.T. è quella di Josè Peirats, La C.N.T. nella
rivoluzione spagnola, 4 voll., Torino, Ed. Antistato, 1976.
19
C. Ward, Anarchia come organizzazione, Milano, Ed. Antistato, 1973.
20
N. Berti, Sull’anarchismo di Berneri: il problema del revisionismo, in
AA.VV., Camillo Berneri nel cinquantesimo della morte, Pistoia, Ed. Arch.
Fam. Berneri, 1986.
21
“Non li possiamo difendere”, diceva Diego Abad de Santillan, direttore del più
importante giornale anarchico di Buenos Aires, “La Protesta” e successivamente,
al ritorno dall’esilio, segretario generale della C.N.T. fino alla fine della
guerra civile. Egli rivedrà in parte il suo giudizio dopo la sconfitta spagnola;
cfr. le sue memorie: Porqué perdimos la guerra, Buenos Aires, edizione
Iman, 1940-1943.
22
C. Berneri, Il compito delle minoranze rivoluzionarie, in “Umanità nova”,
Milano, 5 luglio 1921, ora in Pietrogrado 1917…, op. cit.
23
La critica al “terrorismo anarchico”, mossa, da una parte dai marxisti e poi da
Lenin e, dall’altra, da un filosofo come Merleau-Ponty, muove da presupposti
completamente diversi e tende, sia l’una che l’altra, a creare delle categorie
assolute dentro un razionalismo politicizzante. Cfr. R. Massari, Marxismo e
critica del terrorismo, Roma, Newton Compton, 1979; M. Merleau-Ponty,
Umanismo e terrore, Milano, SugraCo Ed., 1978. Può risultare interessante
anche la lettura del volume Memorie di donne terroriste, curato da Maria
Clara Necaev, Roma, Savelli Ed., 1979, che raccoglie le memorie di tre
terroriste russe in lotta contro l’autocrazia zarista.
24
Gli avvenimenti della Patagonia sono narrati da O. Bayer in Los vengadores de
la Patagonia tragica, 4 voll., Buenos Aires, Editorial Galerna, 1967-1971.
25
L’iniziativa della “Crociera italiana in America Latina” fu ricordata con
l’emissione di una serie di francobolli che recavano impressa la dicitura
“Crociera italiana 1924”, pare siano stati emessi 20.000 esemplari.
26
Severino Di Giovanni nacque a Chieti il 17 marzo 1901 e morì, fucilato dopo un
brevissimo processo, all’alba del 31 gennaio 1931. E’ il simbolo dell’anarchismo
criminale ed incarna il più autentico e vero ideale anarchico della violenza. V.
O. Bayer, L’idealista della violenza, Pistoia, Vallera Ed., 1923, esiste
anche una seconda edizione argentina del libro, non pubblicata in italiano,
nella quale sono contenuti altri documenti; ed, inoltre, F. Pierini,
L’anarchico dal vestito nero, in “Storia Illustrata”, n. 191, ottobre 1973
ed il mio Tango d’amore e d’anarchia, in “La città del sole”, nn. 10 e
11, ott. e nov. 1996. Una segnalazione particolare merita il bel romanzo,
dedicato a Severino, di Maria Luisa Magagnoli, Un caffè molto dolce,
Torino, Bollati-Boringhieri, 1996. Miguel Arcangel Roscigna, uruguaiano, operaio
metallurgico, è unanimemente considerato come il più valente ed il più
coraggioso degli anarchici espropriatori, capace di resistere a qualsiasi
tortura e talmente audace da non esitare ad uccidere, in un ristorante, con un
colpo a bruciapelo, il capo della squadra speciale della polizia. Fu fatto
sparire, nel 1935, dalla polizia con una tecnica resa poi tristemente famosa dal
dittatore gen. Videla e cioè fu lanciato, vivo, nel Rio della Plata da un aereo
in volo. Con la sua morte, significativamente, si chiude l’epopea degli
espropriatori. V. Osvaldo Bayer, Gli anarchici espropriatori…, cit.; per
quel riguarda le tecniche di eliminazione degli oppositori politici, in
Argentina, in tempi recenti, v. Horacio Verbisky, Il volo, Milano,
Feltrinelli, 1996.
27
Nel 1926 gli anarchici catalani Buenaventura Durruti, Francisco Ascaso,
Alejandro Ascaso e Gregorio Jover Cortes compiono un vero e proprio tour di
rapine nel centro e sud America, partendo da Cuba e toccando il Messico, il
Venezuela, il Cile, l’Uruguaj e L’Argentina. E tutto questo avendo incominciato
con la rapina alla banca di Gijon, in Spagna. Proprio a Buenos Aires i quattro
ottengono, però, il bottino più sostanzioso, grazie all’appoggio degli italiani,
che forniscono loro anche identità, passaporti falsi e, persino, un lavoro come
operai meccanici. V. O. Bayer Gli anarchici…, cit.; su Durruti v. Abel
Paz (pseudonimo di Diego Camacho), Durruti, el proletariado en armas,
Barcelona, 1978.
28
La polemica tra “la Protesta” e gli espropriatori giungerà ad un punto tale di
non ritorno che questo giornale, nel numero del 26 marzo 1929, accuserà
pubblicamente il gruppo di anarchici italiani de “L’impulso” di essere i
responsabili dell’attentato al Consolato. Di Giovanni ucciderà il 29 ottobre
1929 il nuovo direttore de “La Protesta”, Lopez Arango.
29
Per quel che riguarda le attività degli anarchici italiani in Brasile, v. Edgar
Rodrigues, Lavoratori italiani in Brasile, Casalvelino Scalo (SA),
Galzerano Editore, 1985.
30
Queste notizie biografiche, e anche le successive, sono ricavate dalla Scheda
personale, elaborata dall’A.I.C.V.A.S. – Associazione Italiana Combattenti
Volontari Antifascisti di Spagna – con sede in Roma, da un estratto dei
documenti di polizia del Casellario Politico Centrale dell’Archivio di Stato di
Roma, gentilmente fornitomi dal prof. Giuseppe Masi, da notizie, ricavate da
“L’Adunata dei Refrattari”, inviatemi dal prof. Giuseppe Gurrieri, curatore
delle Edizioni Sicilia Punto L, una casa editrice anarchica e da alcuni numeri
di “Guerra di classe”, del 1937, che era il giornale fondato e diretto da
Berneri, inviatemi da Aurelio Chessa, curatore dell’Archivio della Famiglia
Berneri. Le altre fonti sono indicate specificatamente ed a parte.
31
Giusto in questo periodo vengono espulsi dalla Francia i più importanti ed
attivi dei dirigenti anarchici quali fabbri, Ugo Fedeli, Raffaele Schiavina,
Rodolfo Gobbi, Gigi Damiani, Virgilio Gozzoli, Dario Castellani, Pietro Bruzzi e
Umberto Marzocchi. Cfr. L. Di Lembo, L’Europa tra guerra di Stato e guerra di
classe – 1919-1939, in AA.VV., L’antifascismo rivoluzionario tra passato
e presente, Pisa, BFS Edizioni, 1992.
32
Sulle attività segrete dell’O.V.R.A. v. la biografia di Arturo Bocchini scritta
da D. Carofali e G. Padiglione, Il Vice Duce, Milano, Mondadori, 1987.
33
Berneri pubblica nel 1927 un opuscolo, che viene immediatamente sequestrato, dal
titolo Elementi di chimica antifascista in cui denuncia le operazioni di
spionaggio fascista. Nel 1928 pubblica il famoso Lo spionaggio fascista
all’estero in cui fa nome e cognome delle spie che fanno parte di una vasta rete
messa in piedi dall’O.V.R.A. Nell’Archivio della Famiglia Berneri, oggi curato e
custodito in maniera egregia da Aurelio Chessa, in Cecina (LI), è possibile
rintracciare gli scritti citati. Vale la pena di ricordare qui, proprio su
questo argomento, lo splendido romanzo di Alberto Moravia, Il Conformista.
34
Cfr. Andreucci e Detti (a cura di), Il movimento operaio italiano.
Dizionario biografico 1853-1943, 5 voll., Roma, Editori Riuniti, 1975.
35
Gli atti di quella riunione, ovviamente clandestina, tenutasi a Saurtrouville,
un sobborgo di Parigi, alla quale parteciparono, oltre a Berneri, Gigioti, Mario
Mantovani, Sabino Fornasari ed Enzo Fantozzi, sono stati ripubblicati, nel 1980,
dalle Edizioni Archivio Fam. Berneri.
36
Risulta risiedano in Spagna, precisamente a San Quintino di Medina, da prima
della guerra, i fratelli Angelo (18.04.1898) e Vincenzo Longo (17.06.1901), di
Polistina (RC), ritenuti anarchici, che faranno parte poi della Brigata “Ascaso”.
Cfr. Archivio A.I.C.V.A.S., Schedario Personale dei Volontari.
37
Cfr. A. Minning, Diario di un volontario svizzero nella guerra di Spagna,
Lugano, Ed. La Baronata, 1985.
38
Tutte le testimonianze dei compagni che vissero accanto ai due anarchici
concordano su queste asserzioni; Bernardo Pou su “Guerra di classe” del novembre
1937 (Arch. Fam. Berneri) scrive: “Vivevan come fratelli, son morti fratelli”;
conforme il parere di Umberto Marzocchi (v. gli articoli scritti per “Il
Libertario” di Milano nei numeri dal 7 al 34 nel 1964 e 1965) che poi sarà la
persona che provvederà al riconoscimento ufficiale dei due cadaveri; ed ancora
Max Sartin su “L’Adunata dei Refrattari”, nei numeri di maggio e giugno del
1938, ora raccolti nel volumetto Berneri in Spagna, curato dalle Edizioni
RL di Inglesias (CA), pubblicato nel 1972 e, in ultimo, se non bastasse, le
lettere di Camillo ai familiari dalla Spagna, nelle quali si parla di Ciccio
come uno di famiglia, più di un fratello; cfr. Epistolario inedito a cura
di Aurelio Chessa, Pier Carlo Masini, Paola Feri e Luigi di Lembo, Pistoia, Ed.
Arch. Fam. Berneri, 1980 e 1984.
39
G. Garrida, Vi ricordate di Lui?, in “Guerra di classe”, suppl. al n. 15
del 9 maggio 1937, in Arch. Fam. Berneri.
40
La partecipazione diretta alle operazioni militari di Barbieri e di Berneri è
raccontata dettagliatamente da U. Marzocchi, Ricordando Camillo Berneri. Una
parentesi rivoluzionaria degli anarchici italiani in Spagna, in C.B. Nel
cinquantesimo della morte, op. cit.
41
Va ricordato che nella battaglia di Huesca, sostenuta dalla Colonna “Ascaso” nel
settembre del 1936, muore, tra gli altri, Cosimo Pirozzo, che era di Rosarno
(RC). Per quanto riguarda i volontari calabresi nella guerra di Spagna v. R.
Lentini, Valentino Abbruzzese e gli antifascisti reggini nella guerra civile
spagnola, in “Bollettino I.C.S.A.I.C.A., Cosenza, n. 1-2, 1994; R..Lentini e
N. Guerrisi, L’antifascismo calabrese; Vito Doria – Una vita al
servizio della libertà in Europa, in “Historica”, Reggio Cal., n.3, 1995 e
il mio Gli Antifascisti calabresi nella guerra di Spagna, in “Il
Taurikano”, Molochio (RC), nn. IX e X, apr.ott. 1995.
42
L. Di Lembo, L’Europa tra guerra di stato…, cit., p. 33, il quale scrive:
“Agli angoli delle Ramblas furono trovati assassinati Berneri e la sua guardia
del corpo il valente Barbieri”.
43
Cfr. C. Venza, Tra rivoluzione e guerra. Libertari italiani nella Spagna
degli anni trenta, in “La Resistenza sconosciuta – Gli Anarchici e la lotta
contro il fascismo – I Giornali anarchici clandestini 1943-45”, Milano, Ed. Zero
in condotta, 1995.
44
U. Tommasini, L’anarchico triestino, a cura di Claudio Venza, Milano, Ed.
Antistato, 1984.
45
C. Berneri, Epistolario inedito, a cura di Aurelio Chessa e Pier Carlo
Masini, vol. I, pp. 41-42, Pistoia, Ed. Arch. Fam. Berneri, 1980.
46
Cfr., in particolare, le lettere di Giobbe Giopp, Wolf Giusti, Torquato Gobbi,
Umberto Marzocchi, Alberto Jacometti, Celso Persici, Silvio Trentin, contenute
nel 1° vol. dell’Epistolario, e quelle di Carlo Frigerio, Angiolino
Bruschi, Elisa Fienga, Luigi Ballarini, ancora Silvio Trentin, Romualdo Del
Papa, Ida Gunscher, Secondo Giorni, Luigi Fracassi, Italo Del Proposto;
contenute nel 2° vol. dell’Epistolario. Particolarmente affettuoso nei
confronti di Ciccio si rivela Silvio Trentin, padre di Bruno Trentin (già
segretario generale della CGIL), che lo aveva conosciuto in Francia e lo aveva
assistito nelle beghe con la giustizia francese; cfr. Silvio Trentin Scritti
inediti. Testimonianze e studi, Parma, Guanda Editore, 1972.
47
V. Arch. Fam. Berneri, Cassetta VI, carte e documenti sulla rivoluzione
spagnola, Comitato Anarchico di Difesa di Barcellona, doc. 18.X, 1936.
48
Cfr. Vernon Richards, Insegnamenti della rivoluzione spagnola, Ed.
Vallera, Pistoia, 1974 e Josè Peirats, La C.N.T. nella rivoluzione…,
cit., Vol. II, pp. 293 ss.
49
Su questo argomento, intricato e complesso, per tutti, Paolo Spriano, I
Comunisti europei e Stalin, Torino, Einaudi, 1983.
50
Per evitare di appesantire inutilmente questa annotazione, si possono
consultare. Mario Signorino, Il massacro di Barcellona, Milano, Fabbri
Editore, 1973, testo facile, con un’impostazione di tipo giornalistico; Carlos
Semprum-Mauro, Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna, Milano, Ed.
Antistato, 1977, oltre al già citato Peirats.
51
Il testo del discorso fu pubblicato integralmente da “L’Adunata dei Refrattari”,
n. 21 del 21 maggio 1938.
52
Si scoprirà in seguito che ad eseguire l’arresto e, quasi certamente l’assasinio
di Barbieri e Berneri, sono stati sei poliziotti e sei membri dell’U.G.T., cfr.
“Le Libertaire” n. 275, giugno 1937 e “Il Risveglio Anarchico” (edizione
italiana di “Le Reveil Anarchiste”), L’assassinio dei compagni Berneri e
Barberi, n. 974, 29 maggio 1937.
53
Per la ricostruzione delle fasi dell’arresto, che, senza manipolare i fatti, ho
cercato di rendere nella loro intensa drammaticità, ho utilizzato i seguenti
documenti: Testimonianza di Tosca Tantini, non firmata, su “Guerra di classe”,
suppl. al n. 15 del 9 maggio 1937; testimonianza di Virgilio Gozzoli,
pubblicata su “Guerra di classe”, n. 16 del 25 maggio 1937 con il titolo
Plaza del Angel. Come furono assassinati i compagni Berneri e Barbieri,
resoconto, ampiamente censurato e quindi pubblicato con molte righe vuote, su
“Solidaridad Obrera”, n. 11, 9 maggio 1937, ora in Max Sartin, Le tragiche
giornate di maggio a Barcellona, in C.B. Nel cinquantesimo della morte, op.
cit., pp. 29-45; A proposito dell’assassinio del compagno Camillo Berneri,
resoconto, ampiamente censurato, pubblicato su “Solidaridad Obrera” n. 12, 15
maggio 1937, ora in Josè Peirats, La C.N.T…, cit., vol. II, pp. 348-352;
Aldo Aguzzi, Gli anarchici italiani in Spagna nei fatti di maggio del 1937,
in “L’Adunata dei Refrattari”, n. 33 del 13 agosto 1938 (va ricordato che Aguzzi
era in Argentina negli anni ’20, conosceva benissimo Barbieri ed è stato l’unico
dirigente che ha sempre difeso, anche se non condiviso, le scelte degli
anarchici espropriatori ed, in particolare, quelle di Severino Di Giovanni);
Masini e Sorti, Il caso Beneri, in C.B. Pietrogrado 1917…, cit.
pp. 239 ss; Gli assassini di Berneri, in “L’Adunata dei Refrattari”, n. 4
del 22 gennaio 1949, Giovanna Caleffi-Berneri, Maramaldo, in “L’Adunata
dei Refrattari”, n. 26 del 25 giugno 1949; Id., “Comunisti in Spagna”, ibidem,
nn. 10-11 del 11 marzo 1050 e Francisco Madrid Santos, Un anarchico italiano
– Rivoluzione e controrivoluzione in Europa, Pistoia, Ed Arch. Fam. Berneri,
1985, che resta, a tutt’oggi, lo studio più organico e più documentato sul
pensiero e l’opera di Berneri.
54
I risultati delle autopsie vengono pubblicati, pressoché integralmente, da
“Solidaridad Obrera” nel numero dell’11 maggio 1937, ora in Josè Peirats, La
C.N.T…., cit., vol. II, pp. 349-350.
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