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lunedì 13 giugno 2016

Ferdinando Mittiga, "L'unico" brigante dell'Aspromonte.

Il brigante Ferdinando Mittiga

Il nome del brigante comparve durante i moti liberali del 1848 sulla costa jonica, quando fu liberato dagli insorti. Era in galera perché accusato di “ferimento con coltello”. Si mise subito a capo di una banda composta, oltre che da briganti, anche da ragazzi che volevano sottrarsi al servizio di leva: 120 uomini in totale, con i quali non esitò a rubare e a uccidere. È chiaro che tutti credevano di combattere una guerra giusta, essendo in parte solo degli avventurieri. I Savoia per catturarlo inviarono i bersaglieri del maggiore Rossi, che arrivati da Reggio, bruciarono come rappresaglia il convento di Bianco, dove “Caci”, così era soprannominato, trovava ospitalità quando scendeva dal monte Perre (all’epoca territorio di Africo), ed uccisero il Superiore. Poco dopo fucilarono sulla piazza di Ardore: il notaio Sculli di Natile, il barone Franco di Caraffa e Francesco Violi di Platì. Caci si diresse verso la periferia di Natile, riuscendo ad evitare gli agguati e gli scontri con i piemontesi. Fu un mugnaio a tradirlo e a consegnarlo con uno stratagemma alla Guardia Nazionale. Il tenente delle guardie di Galatro, Vincenzo Pisani, si appostò in un casolare che fronteggiava il mulino e lo riconobbe grazie ad una parola convenuta tra il Mittiga ed il mugnaio. Lo colpì con numerosi colpi di fucile. Il Mittiga e Luscrì, un ventitreenne di Cirella, si trascinarono in un vicino campo di granturco e, alle undici di sera del 28 settembre 1861, spirarono.

 

     Platì è un paese, collocato ai piedi dell’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, dove nacque ed operò Ferdinando Mittiga. Il nome di questo brigante già compare durante i moti liberali del 1847/48, verificatisi sulla costa jonica di Bovalino e Ardore, quando venne liberato dal carcere. Le insurrezioni di quegli anni fallirono e la repressione borbonica fu durissima, ma il Mittiga si mise a capo di una banda per portare avanti la sua lotta per la giustizia sociale e chiudere i conti con i ricchi “signori”, riscattando la povera gente da abusi e soprusi. Era un proprietario terriero (per questo motivo il suo nome lo si trova sugli atti ufficiali preceduto dal prefisso “don”, riservato a persone appartenenti al ceto elevato), che però aveva scelto di stare dalla parte degli umili e degli oppressi.
     Proprio alla collaborazione di Mittiga fecero riferimento nel 1861 i comitati borbonici quando decisero di far partire dalla Calabria l’impresa insurrezionale, affidata al generale spagnolo José Borges, nel tentativo di riportare sul trono di Napoli i Borbone. Allora la banda Mittiga contava oltre duecentocinquanta uomini, provenienti da Platì e dai paesi limitrofi, e lui era imprendibile perché godeva dell’appoggio del popolo che lo riconosceva come il “suo eroe”.
     Merito della Musitano è l’aver reperito nell’Archivio di Stato di Reggio Calabria e aver trascritto in questo libro alcuni documenti originali relativi alle vicende della banda Mittiga. Sono 46 pagine dei Processi Penali della Corte d’Assise di Reggio Calabria e due pagine del Gabinetto di Prefettura della stessa città. La lettura di questi testi permette di ricostruire con esattezza le vicende che ebbero per protagonisti Mittiga e la sua banda, dallo sbarco sulle coste calabresi del generale spagnolo José Borges, all’assalto di Platì, alla uccisione avvenuta il 30 settembre 1861 ad opera dei piemontesi dello stesso Don Ferdinando, cui venne mozzata la testa e portata in giro per il paese come monito e come trofeo. Anche parecchi anni dopo la morte, Mittiga incuteva ancora paura ai ricchi possidenti e si perseguitavano i suoi discendenti.
     La seconda parte del libro comincia con un capitolo che risponde affermativamente alla domanda se l’unità d’Italia sia stata un’illusione. Il Sud non veniva liberato dalla presenza di un sovrano straniero, ma con una guerra non dichiarata e nel totale disprezzo del diritto internazionale veniva “liberato” dal suo sovrano legittimo. In pratica lo Stato unitario fu un ampliamento del Piemonte sabaudo. Con l’uso delle armi venne imposta la monarchia centralistica dei Savoia, divenendo una vera conquista. I contadini meridionali si resero subito conto che per loro nulla sarebbe cambiato e che la loro “fame di terra” sarebbe rimasta inappagata. E reagirono con l’unico modo di cui disponevano: la ribellione. E si organizzarono in bande sempre più numerose, guidate da capi dotati di un forte carisma e sostenute dalle masse popolari. Nelle bande, accanto ai contadini, confluirono renitenti alla leva (divenuta obbligatoria) ed ex soldati borbonici (licenziati e mandati a casa).
     In risposta il nuovo Stato inviò nel Mezzogiorno 120.000 soldati, trasformando la conquista del Sud in una vera e propria guerra civile, che vedeva contrapposti da una parte l’esercito piemontese e dall’altra i contadini meridionali. Fu proclamato lo stato d’assedio, furono istituiti i tribunali speciali, vennero eseguite esecuzioni sommarie tramite fucilazione, vennero incendiate masserie ed interi paesi. Le bande contadine meridionali a queste violenze risposero con altre forme di violenza.
     Vennero deportati al nord in campi di concentramento migliaia di meridionali, in massima parte ex soldati dell’esercito borbonico; fra questi campi tristemente famoso fu quello di Fenestrelle.
     Venne emanata la legge razziale Pica, che prevedeva non solo l’arresto e la fucilazione dei presunti briganti, ma anche il fermo dei loro parenti fino al terzo grado e il domicilio coatto per motivi politici. Questa legge divenne in pratica – scrive la Musitano – una potente arma per eliminare ogni forma di dissenso e per instaurare un generale clima di terrore. Vennero di fatto legalizzati i comportamenti repressivi e antidemocratici già usati dall’esercito nella lotta al brigantaggio.
     In questa guerra vinsero i più forti: i piemontesi; i briganti, i primi veri partigiani della storia d’Italia, vennero sconfitti e con essi venne sconfitto il Mezzogiorno. Sconfitta che allunga i suoi effetti negativi fino ai nostri giorni.
     I piemontesi teorizzarono la presunta bontà del loro comportamento con la teoria lombrosiana dell’uomo delinquente. Così Musitano riassume questa teoria: «I meridionali erano delinquenti nati e rappresentavano un regresso, una involuzione nel processo involutivo, pertanto la loro eliminazione rappresentava una forma di tutela della società».
     Nel libro viene infine riportata l’opinione di Francesco Saverio Nitti, nato a Melfi in Basilicata e Presidente del Consiglio Italiano nel 1919, espressa nella sua opera “Nord e Sud” pubblicata nel 1900. In essa vengono analizzati i provvedimenti adottato dallo Stato Unitario e le conseguenze negative che avevano determinato nell’economia meridionale. L’abolizione delle tariffe doganali causò il quasi totale crollo di tutte le industrie esistenti nell’ex Regno delle Due Sicilie prima del 1860: l’industria siderurgica delle Serre calabresi, le industrie metallurgiche e meccaniche del napoletano, quelle delle vetrerie e della ceramica; le misure protezionistiche per le importazioni di cereali avvantaggiava l’agricoltura settentrionale e metteva in crisi quella meridionale.
     Il Regno delle Due Sicilie, al momento dell’Unità, possedeva tra gli Stati preunitari la maggiore ricchezza monetaria ed aveva il minore debito pubblico; secondo Nitti il Piemonte, per scongiurare il fallimento, unificò il suo debito con quello napoletano; l’unificazione del debito provocò uno spostamento di ricchezze dal sud al nord. Nitti dimostra come, dopo aver spostato i capitali da sud a nord e dopo aver elevato a vantaggio del nord la pressione fiscale, fu nel nord che si concentrarono massimamente le spese sostenute dallo Stato con il denaro pubblico; e quel poco che veniva fatto nel Mezzogiorno, veniva appaltato quasi esclusivamente a ditte settentrionali.
     Lo studio di Nitti sfata molti luoghi comuni esistenti contro il Sud: è l’Italia settentrionale ad avere più impiegati pubblici, l’imposta fondiaria era più gravosa al Sud, nel campo dell’istruzione si è investito in massima parte al nord. Orientamento analogo anche nel campo dei lavori pubblici, per la costruzione della rete ferroviaria, le spese per la marina e per l’esercito.
     L’opera di Nitti mette in risalto come il Sud, dopo l’Unità, sia diventato il mercato coloniale interno per i prodotti del nord. Riletta oggi, risulta di grande attualità.

roccobiondi 

 

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