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martedì 15 agosto 2023

ANARCHICI & ANARCHIA 8

 

A N A R C H I C I & A N A R C H I A 

GABRIELE, Biagio,Nasce ad Acri (Cs) il 1° giugno 1895 da Michele e Teresa Petrone, contadino-barbiere-vagabondo. Nel 1922 G., segnalato anche come Biagio Gabriele Petrone o Petrono, emigra negli Stati Uniti, venendone espulso per cattiva condotta dopo circa dieci anni. Tornato in patria, risiede per qualche tempo a San Giorgio Albanese (Cs), ma già nel febbraio 1934 la polizia fascista apprende da fonte confidenziale che si è recato a Nizza per parlare con alcuni anarchici italiani fuorusciti. Il 10 dicembre di quell’anno si presenta privo di documenti al Consolato italiano a Barcellona affermando di essere entrato clandestinamente in Spagna via Port Bou 8 giorni prima in cerca di lavoro; il 16 successivo viene arrestato a Terragona perché privo di documenti e di mezzi e per sospetta connivenza con anarchici spagnoli, venendo quindi espulso ai primi del gennaio 1935 e iscritto in «Rubrica di frontiera» per il provvedimento di fermo. Ma G. non si arrende. Rientrato nuovamente in Spagna dal Portogallo, ai primi di marzo viene arrestato per infrazione al decreto di espulsione; contemporaneamente il nostro Consolato a Barcellona riferisce alle autorità italiane che G. è ricercato dalla polizia francese per mancato omicidio commesso in Montpellier il 13 novembre 1934. Dopo avere espiato la condanna nella casa di lavoro di Alcalá de Henares (dove era ancora detenuto nel dicembre 1935), alla fine di aprile del 1936 viene tradotto in Francia e consegnato alla gendarmeria; dopo avere scontato sei mesi di carcere, viene espulso anche dalla Francia e rimpatriato a San Giorgio Albanese. In seguito la polizia perde le sue tracce. L’ultima notizia risale al maggio 1939, quando il Ministero degli Esteri telegrafa a quello dell’Interno: «L’8 marzo u.s. trovavasi ancora a Valencia il connazionale Biagio Gabriele Petrono… unitamente alla moglie, spagnola, Celestina Hernandez Lopez, nata a Rorralba (Terruel) il 23 aprile 1915. Il predetto chiese ed ottenne dalla polizia rossa di Valencia il passaporto per il Messico (via Francia), allo scopo di allontanarsi prima dell’occupazione della città da parte dei Nazionali. Gli accertamenti sinora praticati hanno portato a stabilire che il Petrono era iscritto alla C.N.T. ed alla F.A.I. Inoltre, nei primi tempi della rivoluzione, si era dedicato con particolare accanimento a denunziare tutti coloro che sapeva iscritti alla Falange e si vantava di avere ucciso o fatto uccidere parecchie persone “per giustizia sociale e diritto”». Si ignorano luogo e data di morte. (k. Massara)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2215, f. 138262, cc. 52, 1934-1936, 1939 e 1943; Ctg. 2B, b. 111, cc. 5, 1936.

Bibliografia: K. Massara, L’emigrazione “sovversiva”. Storie di anarchici calabresi all’estero, Cosenza 2003, p. 76n.

 
GABRIELLI, Diomede,
Nasce ad Ancona nel 1850 da Alberto, facchino. Capo di una squadra di facchini al porto di Ancona, a diciassette anni partecipa alla spedizione di Mentana ed è fatto prigioniero. Nel 1872, abbandonato il partito repubblicano, fonda insieme a un “forte nucleo di bravi operai la sezione internazionalista di Ancona” («L’Indipendente», 3 ott. 1872). Il 12 marzo 1873, essendo delegato al ii congresso della Federazione italiana dell’Internazionale, viene arrestato a Mirandola, tradotto a Modena e condannato a due anni di carcere. Nel 1876 è tra gli internazionalisti marchigiani processati a Bologna con Costa. Ricostituita la Federazione di Ancona, la rappresenta al Secondo congresso marchigiano-umbro del 20 agosto, che presiede. Nel periodo successivo rappresenta (anche se con qualche intermittenza e in secondo piano) la continuità del movimento anarchico, specie nell’ambiente dei portuali: mantiene una posizione eminente in quella Società di assistenza fraterna, sciolta nel 1874, di cui era stato presidente e che nel 1890 figura come Mutua assistenza fra facchini socialisti. Dall’aprile 1879 all’aprile 1889 viene ininterrottamente colpito da ammonizione e sottoposto a stretta sorveglianza. Sulla fine di questo periodo, è probabilmente il principale promotore del convegno dei gruppi anarchici marchigiani che si tiene a Senigallia nel dicembre 1888 e che dà il via al giornale «Il Li-bero patto». Negli anni ’90, in concomitanza con l’affermarsi del socialismo anarchico d’impronta malatestiana, risulta meno attivo ed esposto. Nel 1895 viene archiviata una proposta per la sua assegnazione al domicilio coatto. Nel 1911 firma un manifesto di solidarietà con l’insurrezione nazionale albanese. Nel 1913 è iscritto al circolo “Studi sociali”. Nel 1919 risulta ancora vigilato. Muore ad Ancona il 9 dicembre 1924. (E. Santarelli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

Bibliografia: A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia, vol. iii, Roma 1955, ad indicem; E. Santarelli, Le Marche dall’unità al fascismo, Urbino 1964, ad indicem; Masini 1, ad indicem; E. Santarelli (a cura di), Bakuninisti e socialisti nel Piceno. Testi e documenti, 1871-1900, Urbino 1969, p. 31; Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad nomen; R. Zangheri, Storia del socialismo italiano, vol. 1, Torino, 1993, ad indicem.
 

GAGGIOTTI, Enrico
Nasce a Castelferretti (AN) il 23 dicembre 1883 da Ciriaco e Carola Vici, muratore. Dopo una breve esperienza di lavoro in Germania nel 1905, torna nel suo paese e aderisce al locale gruppo socialista-anarchico. Il 5 luglio 1906 viene posto agli arresti insieme a Romeo Sterlacchini, Raffaele Pelliccetti, Cesare Santucci e Aurelio Landi perché sospettato di complotto contro Vittorio Emanuele III, di cui era stata preanunciata la visita ad Ancona. Dal processo per le “bombe di Castelferretti” G. esce assolto (30 gen. 1907). Per qualche anno sembra appartarsi dalla vita politica, finché nel marzo 1911 viene sorpreso dalle guardie mentre distribuisce il foglio bolognese «Ricordiamo», stampato per il quarantesimo anniversario della Comune parigina. Nel medesimo anno assume l’incarico di diffondere «Ger-minal» nel suo paese. Nel 1912 aderisce al gruppo libertario “Kotuko” di Ancona e nel 1914 è indicato fra i principali membri del circolo castelfrettese “Figli del lavoro”. Nel dopoguerra si mantiene in contatto con il movimento, ma riduce sensibilmente la sua attività, fino ad abbandonarla del tutto durante il fascismo. Il 17 agosto 1934 è radiato dallo schedario politico. Muore a Falconara l’11 marzo 1944. (R. Giulianelli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Ancona, Questura, Sorvegliati politici 1900-1943, b. 45b, ad nomen.
 
Bibliografia: Il processo Malatesta e compagni innanzi al tribunale penale di Ancona e i vecchi processi di Ancona, Castelferretti e Milano per le bombe ammaestrate, Castellammare Adriatico 1908.

GAGLIARDI, Antonio   Nasce a Biogno Breganzona (Ticino - Svizzera) il 15 maggio 1866 da Luigi e Teresa Boffa, commerciante in vini. Di famiglia patrizia di Biogno, studia all’istituto Landriani di Lugano e già dal 1885 frequenta l’ambiente anarchico luganese, in cui conosce numerosi esuli italiani. Titolare di una ditta di vini a Melide, con l’arrivo a Lugano nel 1890 di Francesco Cini e Mario Paoletti li associa alla propria attività e costituisce con loro, Isaia Pacini e Attilio Panizza il nucleo base del gruppo anarchico luganese. Partecipa all’organizzazione del Congresso di Capolago (gen. 1891) e nell’occasione conosce Amilcare Cipriani, F.S. Merlino, E. Malatesta, E. Molinari e P. Gori. È tra i fondatori e i membri del Comitato direttivo del Circolo “Humanitas”, costituito nel febbraio 1891 che cela, “sotto le apparenze di una società istruttiva, una sezione del nuovo partito anarchico creato a Capolago” (Binaghi, p. 503). Dopo l’uccisione di Sadi Carnot viene indicato dalla stampa francese, insieme con Edoardo Milano, come il promotore delle conferenze alla quali, nel suo soggiorno luganese (mar.-lug. 1893), Sante Caserio “deve il delirio di assassinio che lo ha condotto alla ghigliottina” (ivi, p. 575). Certo è che G., sempre con Milano, è il principale referente degli anarchici italiani che sostano in Ticino. Nel 1894 gestisce con Arturo Boffa il caffé Rossini, abituale ritrovo degli anarchici fino a che nel settembre dello stesso anno gli viene intimato di “cessare le riunioni anarchiche” (ivi, p. 570). Legato a Gori, dopo l’attentato di cui questi è oggetto il 15 settembre 1894, G. e Panizza vengono notati, “armati di grossi bastoni”, svolgere una sorta di servizio di vigilanza presso l’abitazione dell’avvocato anarchico. Dopo l’espulsione di Gori e degli altri “cavalieri erranti”, la sua attività politica subisce una pausa forzata. Nella seconda metà degli anni Novanta conosce a Bellinzona Rosalia Fagandini, con cui va a convivere. Con la compagna e la figlia di lei, Antonietta, si trasferisce nella Svizzera tedesca, a Basilea e a Zurigo, sempre commerciando in vini e sempre attivo nel movimento anarchico elvetico, in contatto con L. Bertoni e per alcuni anni segretario dell’Ufficio di corrispondenza per gli anarchici italiani in Svizzera. Rientrato in Ticino negli ultimi anni del conflitto europeo, lavora prima in una tenuta agricola e poi, nel 1921, apre a Bellinzona una ditta di vini con Giuseppe Bonaria (1891-2 dic. 1930), che l’anno successivo sposa Antonietta. Quando nel 1922, Bertoni si fa promotore di un convegno per il cinquantesimo del Congresso di Saint-Imier, G., coadiuvato da Bonaria e Giuseppe Peretti, nel settembre fa transitare clandestinamente Malatesta, ancora colpito da un vecchio decreto di espulsione. Della circostanza sono testimonianza alcune fotografie che ritraggono Malatesta tra Bertoni e G. e con G. e Antonietta (cfr. G. Bottinelli). Quando, durante il fascismo, gli anarchici elvetici realizzano una rete di soccorso alla quale partecipano principalmente i gruppi basilesi, zurighesi, ginevrini e ticinesi, G., con la compagna Rosalia, Carlo Vanza, Clelia Dotta, Bonaria con Antonietta, Giuseppe Peretti, Franz Moser e Savino Poggi aiutano molti fuorusciti a fuggire dall’Italia con passaporti falsi o accompagnandoli clandestinamente dalle montagne del Gambarogno per indirizzarli a Zurigo, Ginevra, Basilea. In ques’ultima città, ad esempio, è attivo Ferdinando Balboni che aiuta gli esuli a passare clandestinamente in Francia, mischiati agli operai di una cava situata alla frontiera franco-elvetica. È presso la “famiglia Gagliardi” che L. Fabbri, poi seguito dalla moglie e dalla figlia, trova accoglienza dopo essere espatriato, nell’autunno 1926, lungo i sentieri del contrabbando. Poco dopo, il 6 maggio 1927, G. muore a Locarno, dove viene cremato. “Debbono essere migliaia i compagni sparsi per il mondo che han conosciuto Antonio Gagliardi nei momenti più penosi e in cui più si ha bisogno di un aiuto materiale e di una buona parola di solidarietà”, scrive «Remember!», alla suo morte. (M. Antonioli – G. Bottinelli)
 

Fonti

Fonti: Archivio Comunale Locarno; Antonio Gagliardi è morto, «Remember!», numero unico, 22 mag. 1927.
 
Bibliografia: L. Fabbri, Luigi Fabbri. Storia d’un uomo libero, Pisa 1996, ad indicem; G. Bottinelli, Luigi Bertoni. La coerenza di un anarchico, Lugano 1997; M. Binaghi, Addio, Lugano bella. Gli esuli politici nella Svizzera italiana di fine Ottocento, Locarno 2002.
GALASSO, Francesco Maria 
Nasce a Cutro (Kr) il 7 ottobre 1878 da Giovanni e Vittoria Greco, medico-scultore-redattore di giornale. Fin da giovane manifesta principi socialisti, dei quali svolge anche attiva propaganda. Trasferitosi da Cutro a Messina per frequentare l’università, si iscrive al Partito socialista e allaccia strette relazioni con colleghi di studio che hanno le sue stesse idee politiche. Nel periodo messinese diviene collaboratore dei giornali socialisti «La Propaganda», «Avanti!» e «Il Lavoro» - che riceveva periodicamente – e partecipa a tutte le manifestazioni organizzate dal partito. Il 1° maggio 1899, ad esempio, festeggia la festa del lavoro con alcuni compagni in una bettola in contrada Montepiselli, mentre il 28 marzo 1900 prende parte con un breve discorso ad un comizio tenutosi nei locali dell’università per protestare contro l’arresto e l’assegnazione al domicilio coatto degli elementi considerati sovversivi, provvedimento nel quale era incorso il quel periodo Luigi Fabbri. In tale circostanza è nominato membro di una commissione incaricata di redigere l’appello agli atenei del regno per un’agitazione che avrebbe dovuto svolgersi a livello nazionale. Aderente alla sottoscrizione permanente a favore del giornale l’«Avvenire Sociale», nel luglio dello stesso anno si laurea in scienze naturali e nel 1901 si trasferisce a Napoli, dove consegue anche la laurea in medicina. In seguito si sposta a Firenze per frequentare la Scuola superiore di sanità militare e nel 1911 presta servizio come allievo ufficiale. Dopo aver lavorato per un certo periodo come medico interno all’ospedale di Imola, nel 1912-1913 emigra in Inghilterra dove dirige, assieme al fratello, una casa di salute. Qui si mette a capo degli antifascisti italiani e si adopera allo scopo di ristampare il giornale «Il Comento» (omettendo polemicamente una “m” nel titolo proprio in contrapposizione alla retorica e alla propaganda fascista), attraverso il quale attaccava duramente e sistematicamente le autorità diplomatiche e consolari e il Governo italiano. Durante una perquisizione personale eseguita nel 1923, viene trovato in possesso di un foglio intestato delle «Logge Druidiche Italiane» contenente il suo indirizzo; un appunto della polizia avverte: «si ha fondato motivo di credere che sia anarchico ed emissario russo». Le autorità scoprono allora che G. non solo è affiliato alla massoneria, ma che a Londra ha costituito o rappresenta logge italiane e – in particolare - che fa parte della «Concordia Lodge» e che nel 1923 è stato a capo della «Humanity Lodge», associazioni segrete ritenute eversive. In questo periodo i suoi contatti con l’ambiente antifascista sono stretti e variegati; il Consolato italiano, in una comunicazione riservata del 1924, avverte le autorità nazionali che «essendo egli di convinzioni politiche nettamente socialiste si è reso capo del partito anti-fascista e contrario in tutto e per tutto all’attuale governo». E certamente G. non si cura di nascondere i suoi sentimenti nei confronti di Mussolini, che attacca anzi personalmente. Il 19 ottobre 1925, ad esempio, gli scrive – in quanto ministro della Guerra ad interim - una lettera avente per oggetto «liquidazione d’indennità», riferita a un mancato pagamento per il servizio svolto in Italia. Nella lettera definisce la linea adottata del Ministero, che boicottava sistematicamente le sue richieste, «contemporaneamente ridicola ed assurda» e volta a fornire, «a chi ne avesse ancora bisogno, la prova che nei suoi corridoi fino a qualche tempo fa, e un pò dappertutto da qualche tempo in qua, si annidano tranquillamente il falso, la truffa, e la camorra con tutto il suo abituale corteo di delinquenza comune e avariata», prova della «dottrina del coltello a serramanico»; e prosegue: «Molti valentuomini che, se non fossero i devoti servitori di tutt’i governi, rischierebbero di finire la loro onorata esistenza in galera, mi hanno spesso accusato di essere un “cercatore di scandali”: il che non ha loro impedito menomamente di cercare di rendermi la vittima delle loro congiure, “patriottiche”, sì, ma delle quali, per modestia, non amano rievocare la gloria»; domanda al ministro, «senza troppi complimenti… di rispondere in modo esplicito e categorico al mio reclamo… perché io possa provvedere ai casi come meglio credo. Giacchè non è mica detto che la teoria della “prescrizione” solo perché serve tanto a proposito al Vostro governo per truffare i diritti dei suoi avversari e salvare i suoi membri e partigiani dalla responsabilità dei loro delitti, sia una dottrina indiscutibile ed inattaccabile». La strettissima sorveglianza cui è sottoposto non gli impedisce di proseguire con tenacia la sua azione di resistenza al fascismo. In questo periodo, infatti, G. mantiene tra l’altro stretti rapporti con gli anarchici Pietro Gualducci - assieme al quale tenta di fondare un nuovo giornale antifascista – e Giuseppe Sinicco, mentre nel 1926 il sovversivo calabrese Bruno Borrello di Bova (Rc), nel corso di un interrogatorio dichiara di avere alloggiato a Londra, per un certo periodo, presso G., affermando che quest’ultimo aveva scritto un libro a carattere antifascista che avrebbe fatto pubblicare in Francia. Nel 1927, insieme a Salvemini e ad altri, si dà da fare per reperire i fondi necessari alla pubblicazione di un periodico sovversivo, collaborando tra l’altro alla redazione dei giornali «Il Comento» e «Truth and Common Sense». Nello stesso anno don Luigi Sturzo, nel corso di una sua visita a Londra, si ferma a pranzo con G. Nel 1929 partecipa ad alcune riunioni indette dalla “International League of the Right of Man”, associazione sorta – secondo la polizia fascista - sotto gli auspici della massoneria francese. Nello stesso anno è probabilmente autore di un manifesto anonimo contro i Patti lateranensi, rivolto agli italiani residenti a Londra e inviato in busta chiusa a quella sede del fascio. Il manifesto recitava tra l’altro: «Benito Mussolini, il rinnegato di tutte le fedi, il traditore di tutti i partiti, il venduto di tutti i mercati, servitore della plutocrazia affarista e tirapiedi della Compagnia di Gesù, guidando verso gli “immancabili destini” il suo Impero della Quartarella, mutila la capitale per rendere la lustra del potere temporale alla cupidigia senile del secolare Nemico del Progresso Umano, della Libertà e dell’Unità d’Italia. Il “prigioniero” volontario della bettola Vaticana - nella facilità dell’accordo tra l’Impostura e la Delinquenza - in cambio della corona di Re di Coppe e di Due Miliardi estorti al Popolo Italiano imbavagliato, sanguinante ed affamato - sancisce il dogma della Santissima Trinità dello Scettro del Pastorale e del Manganello, e suggella ufficialmente l’alleanza delle sottane con le camicie nere nella prossima truffa del “Plebiscito” che dovrebbe provare - agli occhi degli imbecilli per il beneficio dell’Internazionale della Forca - il postumo consenso e la soddisfazione del popolo italiano per i crimini infiniti perpetrati a suo danno dal Governo degli Assassini e dai suoi complici e collaboratori. Mentre il servitorame ufficiale ed Ufficioso del Fascismo Italiano in Inghilterra - con a capo i 300 cavalieri dell’Industria dei lavori notturni e degli alberghi postribolari, candidati alla deportazione e degnamente rappresentati dal Direttorio del Fascio locale - si appresta a solennizzare il fausto avvenimento, ogni italiano che conserva ancora coscienza e dignità di Uomo auspica prossimo il sorgere dell’alba rigeneratrice che dovrà segnare il definitivo trapasso della triplice schiavitù religiosa, politica ed economica. Abbasso il privilegio e lo schiavismo - Viva Roma laica, Viva l’Italia Libera». In quegli anni era anche in contatto con il compagno Giuseppe Polidori, denunciato al Tribunale speciale per la difesa dello Stato perché ritenuto complice di Michele Schirru, l’anarchico arrestato a Roma il 3 febbraio 1931 per avere cospirato contro la vita del duce. Prosegue intanto nella sua ascesa ai vertici della massoneria del “Grande Oriente d’Italia”, tanto che il 18 dicembre 1932 viene confermato nella carica di membro del comitato esecutivo, mentre nel 1935 presiede la loggia H.I.R.A.M. Nel 1933 è iscritto in «Rubrica di frontiera» e nel «Bollettino delle ricerche» per il provvedimento di fermo e l’anno successivo in un elenco di antifascisti italiani residenti in Inghilterra. Scultore dilettante, per sfogare la sua avversione al regime scolpisce nei pomi di bastoni da passeggio, con i quali spesso si aggirava, le caricature del re e del duce. Nel 1936 si incontra nuovamente a Londra con don Sturzo e, insieme a Vero Recchioni, figlio del noto anarchico Emidio, vuole sovvenzionare un nuovo giornale antifascista - denominato «Libera Italia» o «Italia Libera» - scritto in parte in inglese e in parte in italiano e polemico nei confronti del settimanale fascista di Londra «Italia Nostra». Nel 1938 la polizia scopre che nell’abitazione di proprietà di G., rispettivamente al primo e al secondo piano, avevano trasferito i loro uffici Emma Goldman e Recchioni, la cui segretaria è la moglie di questi, Maria Luisa Berneri, figlia di Camillo. Proprio in quell’ufficio, nell’aprile dello stesso anno, allo scopo di promuovere comizi per protestare contro l’annessione dell’Austria alla Germania si tiene una riunione alla quale partecipano i sovversivi italiani Decio Anzani, Alessandro Consani, Angelo Parussolo, Nicola Tamburrini e Vittorio Taborrelli. Al programma è probabilmente interessato anche G., il quale, nel 1939, insieme alla Goldman e a Recchioni, invita i compagni di fede ad aiutare venti rifugiati che consumavano i pasti preparati dalla madre del Recchioni nella redazione dell’ex giornale «Spain and the world», sito sempre nell’abitazione di G. A tale proposito, le autorità di polizia fasciste scrivono: «I noti sovversivi Vero Recchioni, la Emma Goldman ed il dott. Galasso hanno invitato i loro compagni di fede ad aiutare detti rifugiati… Si tratta di 20 persone della peggiore risma, di bassa estrazione e privi di qualsiasi istruzione. Ogni loro mossa verrà attentamente seguita e segnalata». Anche in seguito, nonostante l’età, continua a svolgere la sua attività politica. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)
 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2231, f. 2998, cc. 112 + un ritaglio del «Times» del dicembre 1934, 1900 e 1923-1940.
 
Bibliografia: Dizionario biografico degli anarchici italiani, diretto da M. Antonioli et al, 2 voll., Pisa, BFS, 2003-2004, I, pp. 75, 151 e 771; II, 366; S. Fedele, Il retaggio dell’esilio. Saggi sul fuoriuscitismo antifascista, Soveria Mannelli, Rubbettino 2000, pp. 61-63; K. Massara, L’emigrazione “sovversiva”. Storie di anarchici calabresi all’estero, Cosenza 2003, pp. 71-73 e 85; Id. Gli esuli calabresi fra dissenso e impegno politico, in Calabresi sovversivi nel mondo: l'esodo, l'impegno politico, le lotte degli emigrati in terra straniera (1880-1940), a cura di A. Paparazzo, Soveria Mannelli 2004, pp. 45-80, pp. 76-77.
GALEAZZI, Silvio 
Nasce ad Ancona alla fine del 19. secolo, ferroviere. G. come ricorda Italo Garinei sul periodico «Seme anarchico» (aprile 1965): "Era uno de compagni più attivi di Ancona, militante anarchico gin dalla gioventù, propagandista infaticabile fra i ferrovieri, suoi compagni di lavoro, tenace antimilitarista al tempo della lotta contro le Compagnie di disciplina, alla vigilia della «Settimana Rossa», nel 1914, e durante la storica affermazione rivoluzionaria che fece di Ancona e delle Marche il centro animatore della storica rivolta.
Fu poi tra i più attivi compagni nella lotta contro l'interventismo e la guerra del 1914-'18. Era amato da tutti i compagni e stimato dagli avversari per la sua bontà, la sua grande fede nell'Ideale anarchico, la sua rettitudine, il suo fermo carattere. Soffrì le persecuzioni con animo sereno, nella coscienza di compiere un suo preciso dovere, combattendo contro le ingiustizie sociali e lottando per la redenzione degli umili e degli oppressi.
Fu nelle prime file anche nella lotta della Resistenza, assolvendo incarichi pericolosi col rischio della vita, senza mai perdere la sua ammirevole serenità.
Con centuplicata energia riprese infine la sua attività nel risorto movimento anarchico e noi lo ricordiamo calmo, comprensivo, animato da grande spirito fraterno, presente ai nostri Congressi, pieno di gioia nel trovarsi in mezzo ai compagni.
La sua esperienza era vivamente apprezzata dai compagni di Ancona ed egli si prodigava con grande spirito di sacrificio per la buona riuscita di tutte le più importanti iniziative. Già ammalato e sofferente, non si risparmiò in occasione delle manifestazioni svoltesi ad Ancona nel giugno dello scorso anno, nel cinquantenario della «Settimana rossa». La gioia - per l'ottima riuscita della importante iniziativa - gli brillava negli occhi.
Poi fu preso dall'altra iniziativa di dotare Ancona della CASA MALATESTA e continuò, senza tregua, a prodigarsi con consigli e lavoro attivo di propaganda".
Muore a Ancona il 14 marzo 1965, i funerali si svolgono con rito civile.

Fonti

Fonti: I.G. [Italo Garinei], Silvio Galeazzi, «Seme anarchico», n. 4, aprile 1965, p. 4.

 

GALEOTTI, Francesco  

Nasce a Cortona (AR) il 20 gennaio 1889, tipografo. Anarchico schedato e sorvegliato fin dagli anni immediatamente precedenti il Primo conflitto mondiale, trasferitosi a Roma partecipa attivamente al movimento libertario degli anni Venti. Schedato come «anarchico pericoloso» è considerato dalle autorità «uno dei più riottosi e turbolenti» sovversivi tra i tipografi. Arrestato nella capitale da agenti di PS del Commissariato Appio il 30 dicembre 1943 e trasferito il giorno dopo nel carcere di Regina Coeli (n. di matricola: 14088). Il 4 gennaio è caricato, insieme ad altri «292 individui, rastrellati tra elementi indesiderabili» in realtà 326, su un treno alla Stazione di Roma Tiburtina diretto in Germania (Trasporto n. 16). Tra i prigionieri trasferiti oltre a G. vi sono altri anarchici romani. Il viaggio di trasferimento dura nove giorni, attraverso l'Italia e la Germania, con una sosta nel Lager di Dachau, e si conclude nel Campo di Concentramento di Mauthausen, in Austria, il 13 gennaio 1944. N. di matricola: 42097. Classificato con la categoria Schutz. Viene trasferito varie volte nei diversi sottocampi di Mauthausen e infine nel famigerato Erholungsheim-Hartheim, luogo nel quale venivano eliminati i deportati ritenuti inabili al lavoro, uccisi mediante camera a gas o iniezione nell’ambito del programma segreto denominato «14f13», dove muore il 28 luglio 1944. (F. Bertolucci)

 

Fonti

Bibliografia: Il libro dei deportati, ricerca del Dipartimento di storia dell’Università di Torino diretta da B. Mantelli e N. Tranfaglia, promossa da ANED Associazione nazionale ex deportati, Milano, Mursia, 2009, Vol. 1, tomi 1-3, p. 945; E. Iafrate, Elementi indesiderabili. Storia e memorie di un «trasporto» Roma-Mauthausen 1944, a cura di E. Guida, Roma, Chillemi, 2015, pp. 73 e 112; F. Bertolucci, Gli anarchici italiani deportati in Germania durante il Secondo conflitto mondiale, «A : rivista anarchica», aprile 2017, pp. 63-98.


l 2 FEBBRAIO 1950 LA PRESIDENZA DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI HA DICHIARATO
FRANCESCO GALEOTTI
PARTIGIANO
COMBATTENTE, CADUTO

 


Roma

Luigi Galleani (Vercelli, 12 agosto 1861 - Caprigliola, Aulla, Massa-Carrara, 4 novembre 1931) è stato un anarchico antiorganizzatore e propagandista italiano che visse lunghi periodi negli Stati Uniti. Fondatore del celebre giornale «Cronaca Sovversiva», è stato autore di molti libri, tra cui La fine dell'Anarchismo?.

Biografia

Luigi Galleani nasce a Vercelli il 12 agosto 1861 presso una famiglia della classe media (suo padre è un insegnante), che gli permette di svolgere il regolare corso di studi e anche di iscriversi all'Università di Torino per frequentare i corsi di Giurisprudenza.

L'anarchia

Accostatosi al pensiero anarchico attorno al 1880 proprio durante gli anni universitari, è costretto a riparare in Francia a causa del pericolo di arresto che corre in Italia proprio in quanto anarchico. Schedato come sovversivo anche in Francia, dopo l'espulsione dal paese transalpino si rifugia in Svizzera dove conosce Jacques Gross, Alexander Atabekian e il grande geografo anarchico Élisée Reclus, al quale fornisce il suo aiuto nella stesura della Nouvelle Géographie Universale. Avendo partecipato a Ginevra ad una manifestazione per la commemorazione dei Martiri di Haymarket, è ancora espulso, per questo ritorna in Italia, dove è arrestato e confinato a Pantelleria nel 1895. Dopo qualche anno riesce però ad evadere e a riparare in Egitto, nel 1900.

Il periodo americano

In Egitto rimase un solo anno e poi, a causa di una minaccia di estradizione, dovette andare a Londra e di qui negli USA, dove giunse nel 1901, poco dopo che l'anarchico polacco Leon Czolgosz aveva giustiziato il Presidente William McKinley. Luigi Galleani si reca nel New Jersey, fermandosi a Paterson, piccola città con una folta presenza di anarchici emigrati, specie dall'Italia. Immediatamente assume il ruolo di capo redattore della rivista anarchica, in lingua italiana, «La Questione Sociale». Durante una manifestazione di solidarietà con gli operai della seta di Paterson, nel 1902, viene ferito da un colpo di revolver sparato da un poliziotto, ma per assurdo è Galleani stesso a rischiare l'arresto, per questo emigra momentaneamente in Canada, tornando da clandestino negli USA l'anno seguente. Si stabilisce nel Vermont, a Barre, e qui fonda la rivista anarchica «Cronaca Sovversiva», diretta dallo scultore italianao Carlo Abate, disegnatore della testata del periodico e che si era stabilito nel Vermont alla fine del XIX secolo.

A causa di una polemica sviluppatasi sulla stampa con Giacinto Menotti Serrati, socialista (in seguito diverrà capo dei socialisti massimalisti) e redattore de «Il Proletario», editato a New York, gli organi di repressione statunitensi lo individuano e iniziano l'iter di estradizione dal New Jersey. Nel frattempo è anche processato per i fatti di Paterson, da cui viene assolto, contrariamente ad uno degli scioperanti che viene invece condannato alla pena capitale. In qualche modo riesce comunque a rimanere nel New Jersey, continuando la sua attività di pubblicista, che gli "permette" di entrare in polemica con le tesi di Francesco Saverio Merlino, l'anarchico italiano che per un certo periodo passò al partito socialista italiano. Questi nel 1907 aveva rilasciato un'intervista al giornale «La Stampa», il cui titolo enfatico era stato La fine dell'anarchismo. Luigi Galleani risponde e controbatte quanto asserito da Francesco Saverio Merlino con numerosi articoli in «Cronaca Sovversiva», da cui successivamente prenderà forma il libro La fine dell'Anarchismo?

Azione diretta contro le autorità

Galleani nel 1912 si sposta dal New Jersey al Massachusetts, a Lynn, dove prosegue la pubblicazione di «Cronaca sovversiva», avvalendosi della preziosa collaborazione di Raffaele Schiavina, e dalle cui pagine nel 1914 denuncia la guerra di rapina imperialistica, entrando in polemica con l'anarchico Kropotkin, in quel momento favorevole all'appoggio alla Triplice Intesa.

Non appena gli USA entrano in guerra nel 1917 avviene l'arresto di Luigi Galleani, con l'accusa di disfattismo, antipattriotismo, e la chiusura delle pubblicazione che curava. I gruppi che si rifacevano alle sue parole, tra cui dovrebbero esserci anche Sacco e Vanzetti, vwnivano allora considerati dalle autorità americane come i responsabili di una serie innumerevoli di attentati iniziati nei primi anni '10 e volti a contro uomini delle istituzioni e del capitalismo, colpevoli di aver organizzato la spietata repressione degli anarchici e dei proletari in lotta.  In uno di questi (2 giugno 1919), diretto contro il procuratore Palmer, morì a causa della prematura esplosione della bomba l'ex-editore di «Cronaca Sovversiva» e collaboratore di Galleani Carlo Valdinoci.

Il 24 giugno 1919, dopo l'attentato contro la casa dell'"avvocato generale" Palmer ad opera di Carlo Valdinoci, Luigi Galleani viene espulso ed estradato in Italia, "grazie" all'introduzione della legge repressiva Anarchist Exclusion Act, senza che la moglie ed i 4 figli possano seguirlo . Con lui vengono espulsi otto suoi fedelissimi: Giovanni Fruzzetti (vero nome Giovanni Balloni, uno degli storici fondatori di Cronaca Sovversiva), Raffaele Schiavina, Giuseppe Solari, Tugardo Montanari, Vincenzo De Lecce, Alfonso Fagotti, Irma e Giobbe Sanchini. 

Il ritorno in Italia

Luigi Galleani tornato in Italia si stabilisce a Torino, riprendendo a pubblicare «Cronaca Sovversiva», sempre con la collaborazione di Raffaele Schiavina, e combattendo i germi fascisti che cominciano ad insediarsi nella società italiana. Si conosce la sua azione di antifascista in Italia grazie alla testimonianza del comunista Francesco Leone, uno dei più coraggiosi capi degli Arditi del Popolo del Vercellese:

«[...] Vedi, c'era un gruppo di anarchici. Qui c'era stato Luigi Galleani, che era stato in America e per un certo periodo poi era stato anche qui. Anzi, io credo che questo gruppo di anarchici si chiamasse il gruppo Galleani. E questo gruppo era composto da elementi molto decisi, molto decisi. Ricordo, per esempio, dopo quella lotta lì con i fascisti, io son sempre uscito tutte le sere, nonostante che ci fossero sempre scontri, una volta mi hanno anche sparato da un viale: a pochi metri di distanza non m'hanno preso. Ebbene, questi anarchici, a mia insaputa, dopo questo atto, si distribuivano la notte nei giardini proprio a mia difesa, senza che io neanche lo sapessi. [...]» 

Con l'ascesa definitiva del fascismo, «Cronaca Sovversiva» viene soppressa e Galleani è condannato a quattordici mesi di carcere. La sua colpa è di aver pubblicato il 15 maggio 1920, un articolo intitolato Soldato, fratello! . Tornato in libertà collabora, dall'Italia, con la rivista statunitense «L'Adunata dei Refrattari», poi è nuovamente incarcerato nel 1926 e mandato al confino a Lipari. In seguito è nuovamente incarcerato per sei mesi presso il penitenziario di Messina a causa di una serie di insulti diretti contro Mussolini. Viene liberato per motivi di salute all'inizio del 1930 e inviato al soggiorno obbligato nel paesino di Caprigliola, vicino ad Aulla, dove muore l'anno seguente, il 4 novembre, per un attacco cardiaco.

Pensiero e azione

Pensiero

Luigi Galleani sviluppa un pensiero anarco-comunista fortemente antiorganizzatore, influenzato dall'approccio scientifico e naturalista dato all'anarchismo da Reclus e Kropotkin, che lo porta a sostenere che «il comunismo è semplicemente la fondazione economica con la quale l'individuo usufruisce dell'opportunità di autogestirsi e fare le sue funzioni» (da La Fine dell'Anarchismo?). Come Giuseppe Ciancabilla, pur essendo antiorganizzatore, non è un individualista giacché riconosce la funzione storica e rivoluzionaria del proletariato, ritenendo che gli anarchici non necessitino di un'organizzazione stabile, politica (federazione anarchica) e/o, sindacale. Galleani, che abbraccia una particolare corrente definibile come «comunismo-anarchico antiorganizzatore», pensa che gli esseri umani siano intrinsecamente e naturalmente portati ad associarsi non gerarchicamente, per questo rifiuta ogni tendenza verso la delega, il centralismo e la burocrazia, che sono gli equivalenti del parlamentarismo e del governo.

L'attività propagandistica di Galleani è riconosciuta anche da Malatesta che in Il comunismo anarchico scrive: «La fine dell'Anarchismo? di Luigi Galleani... [è] in sostanza una esposizione chiara, serena ed eloquente del comunismo anarchico, secondo la concezione kropotkiniana: concetto che io personalmente trovo eccessivamente ottimista, troppo semplice e confida nelle armonie naturali, ma ciò non gli ha impedito di dare il più grande contributo alla diffusione dell'anarchismo» .

L'azione diretta dei galleanisti 

Intorno alla carismatica figura di Galleani e alla propaganda di «Cronaca sovversiva» si costituirono gruppi informali dediti all'azione diretta. Si ritrovavano in circoli e gruppi dai nomi che erano tutto un programma - Autonomia, Demolizione, Gli Insorti, 11 novembre (data dell'esecuzione dei martiri di Chicago), 29 luglio (data in cui Gaetano Bresci uccise Umberto I) - molto spesso per approfondire la conoscenza tra i vari militanti organizzavano feste di ballo, pic-nic, lotterie e giostre, nel corso delle quali altrettanto spesso si raccoglievano fondi per i compagni in carcere, in difficoltà o in attesa di processo. Esistevano anche piccole compagnie teatrali che mettevano in scena seguitissimi spettacoli sulla storia e i principi dell'anarchia. Ma non era tutto rose e fiori, spesso tra i vari gruppi insorgevano divergenze importanti sulle modalità d'azione e altrettanto spesso era lo stesso Galleani ad essere pesantemente criticato. 

I nomi che maggiormente sono stati legati a questo modo di intendere l'anarchismo sono: Mario Buda, Carlo Valdinoci, Frank Abarno, Gabriella Segata Antolini, Pietro Angelo, Luigi Bacchetti, Carmine Carbone, Andrea Ciofalo, Efisio Zonchello, Ferruccio Coacci, Emilio Coda, Alfredo Conti, Nestor Dondoglio, Roberto Elia, Luigi Falzini, Frank Mandese, Riccardo Orciani, Nicola Recchi, Sacco e Vanzetti, Giuseppe Sberna, Andrea Salsedo, Raffaele Schiavina ed altri.

Nonostante genericamente si definisca come galleanismo tutto quel movimento che ruotava intorno a Cronaca Sovversiva, esso non era affatto un movimento omogeneo. In generale, essi pensavano che attraverso la propaganda col fatto, la penna e la voce fosse possibile fornire alle masse gli strumenti per insorgere nei confronti della repressione di Stato indirizzata contro immigrati e anarchici, dal quale poi eventualmente far scoppiare la rivoluzione sociale. Nel 1905 Galleani stampò e diffuse un opuscolo dal titolo La salute è in voi!, nel quale si spiegava come fabbricare bombe artigianali ) ed attaccare così i gangli vitali dello Stato.

Gli storici ritengono che i seguaci di Galleani cominciarono i loro attacchi dinamitardi nel 1914. Essi furono coinvolti in almeno due attentati a New York, uno dei quale progettato contro John D. Rockefeller per il 4 luglio ma che non andò in porto e causò la morte di Arthur Caron a causa della prematura esplosione della dinamite. Il 14 novembre 1914, una bomba fu collocata agli uffici del Magistrato Campbell, che aveva condannato un anarchico per incitamento alla rivolta. Nel gennaio del 1915, la polizia aveva scoperto un complotto volto a far saltare in aria la Cattedrale di San Patrizio di New York, e una copia di La Salute è in voi! fu trovato a casa di un sospetto. Nel 1916 il cuoco anarchico Nestor Dondoglio fu accusato di aver avvelenato il cibo destinato ad un centinaio di personalità dell'industria, commercio e politica riunitisi in un ristorante. Il 6 dicembre seguente, Alfonso Fagotti fu arrestato per aver accoltellato un poliziotto durante una sommossa in North Square di Boston. 

La posizione intransigente dei galleanisti veniva sostenuta dal giornale «Cronaca Sovversiva» ed era in contrapposizione a quella portata avanti dal giornale di Carlo Tresca Il Martello, che invece era fautore di un anarchismo meno radicale e più possibilista ai compromessi con gruppi non necessariamente anarchici.

Ad ogni modo gli attentati nel paese si susseguirono numerosi, anche se non tutti quelli attribuiti ai galleanisti furono effettivamente opera loro. A fine aprile del 1919, almeno 36 trappole con bombe a dinamite vennero inviate per posta a diversi politici e funzionari vari . Gli ordigni, nelle intenzioni dei galleanisti, avrebbero dovuto giungere a destinazione in occasione delle celebrazioni del primo Maggio, ma la maggior parte furono intercettate e disinnescate prima che potessero esplodere.

Altri attentati ci furono il 2 giugno 1919, quando esplosero quasi simultaneamente ben otto bombe in otto differenti città statunitensi. La bomba diretta al Procuratore Palmer esplose prematuramente uccidendo Carlo Valdinoci, un ex-editore della «Cronaca Sovversiva» e collaboratore di Galleani. Ogni ordigno veniva accompagnato da un volantino intitolato «Parole semplici» (Plain words), spesso recante il seguente contenuto:

« La guerra, lo scontro di classe e voi siete stati i primi a portarci sotto le ali delle potenti istituzioni che voi chiamate ordine, nell'oscurità delle vostre leggi. Dovrà scorrere sangue; non ci faremo abbindolare; ci dovranno essere degli omicidi; noi uccideremo, perché è necessario; ci dovrà essere distruzione; noi distruggeremo per liberare il mondo dalle vostre tiranniche istituzioni. » 

Il volantino condurrà gli investigatori sulle tracce di due anarchici, Andrea Salsedo e Roberto Elia, che furono arrestati e sottoposti a torture che spinsero Salsedo al suicidio.

Note


  • Il 20 giugno del 1907 terminava il "Primo Congresso Anarchico Italiano". Vennero presentate 7 relazioni su alcuni dei principali temi al centro dell'infuocato dibattito interno: organizzazione, sindacalismo, antimilitarismo, anticlericalismo, socialriformismo e individualismo stirneriano. In occasione del Congresso il pubblicista Cesare Sobrero intervistò Francesco Saverio Merlino (allontanatosi dal movimento intorno al 1899); l'intervista, intitolata "La fine dell'Anarchismo", suscitò in Luigi Fabbri, allora redattore con Pietro Gori de "Il Pensiero", meraviglia e dispiacere. A Fabbri fece eco, dall'America, Luigi Galleani con una serie di articoli, pubblicati su "Cronaca Sovversiva", che furono poi raccolti nel libro, "La fine dell'Anarchismo?": si tratta di uno dei testi più importanti per capire il complesso delle tesi sostenute nell'anarchismo (lo stesso Errico Malatesta era un grande estimatore della chiarezza espositiva di Galleani), un volume in cui l'autore, ad esempio, supera l'apparente inconciliabilità tra componenti comuniste e individualiste (sottolineata da Merlino) con parole come queste: «Tra il comunismo (non certo inteso come un aspetto nuovo di stato, di governo, condannato a riprodurre in sé tutte le iniquità ed i misfatti dei governi che lo hanno preceduto, ma come libera, volontaria, solidale cooperazione di tutti e di ciascuno alla produzione) e l'individualismo (nel senso che nessuna autorità di istituti, di maggioranze o di minoranze possa interferire con lo sviluppo e la libertà dell'individuo, e comunque attenuarne l'autonomia) non vi è né contraddizione né incompatibilità: l'uno è semplicemente il terreno economico nel quale l'altro abbia la possibilità di regolarizzarsi, di esercitarsi. Sono due termini che si integrano».

  • Il governo americano attuò una serie di leggi volte a reprimere l'organizzazione dei proletari (si veda Anarchist Exclusion Act) e contemporaneamente utilizzò le forze militari per letteralmente massacrare i lavoratori in lotta: es. massacro di Ludlow (1914), massacro di Everett (1916), massacro di Centralia (1919)

  • Fonte: Anarcoefemèrides del 24 de juny

  • Paul Avrich, Ribelli in paradiso. Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti, pag. 219, 220

  • Intervista di Francesco Leone rilasciata allo storico Cesare Bermani

  • Sarà espulso dall'Italia anche Pietro Rayneri, accusato dello stesso "crimine" (fonte: Anarcoefemèrides del 15 de maig).

  • da "toparquia.blogspot.com"

  • Nel testamento di Sacco e Vanzetti, come riferito da Paul Avrich in Ribelli in paradiso. Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti (Nova Delphi Libri, 2015, 400 pp), i due anarchici scrivono: «Compagni, Amici, Lavoratori!: Noi vi gridiamo: "La salute è in voi! Ricordatelo: La salute è in voi!”» nel quale è esplicito il riferimento all'opuscolo galleanista La salute è in voi!

  • Come riportato dalla biografia di Galleani, un articolo in particolare fu curato dal chimico anarchico Ettore Molinari. Nella sua prima stesura, Molinari sbagliò il dosaggio della nitroglicerina e questo fu probabilmente all'origine della morte di alcuni anarchici a causa della prematura esplosione degli ordigni che stavano preparando (vedi Carlo Valdinoci). In seguito, la redazione di Cronaca Sovversiva fu costretta a segnalare l'errore, correggendo l'articolo e riportando il giusto dosaggio.

  • Luigi Galleani

  • il Tra questi c'era il procuratore generale degli Stati Uniti d'America, ufficiali giudiziari, John Davison Rockefeller, il sindaco di Seattle, Ole Hanson e il senatore Stato della Georgia, Thomas W. Hardwick (questi ultimi due avevano duramente criticato gli scioperi dei lavoratori e si erano fatti promotori della repressione)

    1. Paul Avrich, Sacco and Vanzetti: The Anarchist Background, Princeton University Press, 1991,

    Bibliografia

    • La salute è in voi! (Health is in you!)
    • Luigi Galleani, Faccia a faccia col nemico (Face to Face with the enemy), Edizione del Gruppo Autonomo, East Boston, Massachusetts, 1914
    • Luigi Galleani, La fine dell'anarchismo?, Biblioteca de L'Adunata dei Refrattari, Newark, New Yersey, 1925 (edizione curata da vecchi lettori di Cronaca Sovversiva)
    • Luigi Galleani, Figuri e figure (Men and mugs. A book of pen sketches), Biblioteca de L'Adunata dei Refrattari, Newark, New Yersey, 1930
    • Luigi Galleani, Aneliti e singulti, Biblioteca de L'Adunata dei Refrattari, Newark, New Yersey, 1935
    • Luigi Galleani, Una battaglia, Biblioteca de L'Adunata dei Refrattari, Newark, New Yersey, 1947
    • Luigi Galleani, The end of anarchism?, Cienfuegos Press, Minneapolis, Minnesota, 1982 (tradotto da Max Sartin e Robert D'Attilio, con l'introduzione di M. S. Orkney)

    Giornali

    • Cronaca Sovversiva
    • A Stormo!
    • La Questione Sociale

     








    Luigi Galiani e Maria Rallo







    GALLI, Alessandro, Nasce a Montirone (BS) l’8 maggio 1876 da Giuseppe e Giulia Luraghi. Trasferitosi con la famiglia a Sesto S. Giovanni, si avvicina giovanissimo agli ambienti anarchici milanesi. La sua prima apparizione nelle cronache cittadine risale alla tarda estate del 1892. Una accesa discussione tra giovani anarchici, “sul giorno della rivoluzione e [sul bisogno di] distruggere ogni cosa, i capitalisti, le autorità, tutto quello che tiene in piedi l’ordine attuale”, seguita da una colluttazione con la polizia, provoca nell’aprile 1893 la sua prima lieve condanna. Un nuovo scontro con i poliziotti, di lì a pochi mesi, riporta Galli in tribunale, dove viene difeso, con successo, da P. Gori. Carattere irrequieto e impetuoso, spesso presente in occasione di proteste, manifestazioni, disordini, Galli viene descritto dalla questura come “il vero tipo del delinquente volgare, che bazzica sempre i ritrovi dei pregiudicati, nonché i convegni anarchici”.

    Tra l’estate del 1894 e la fine del 1897 Galli colleziona una serie di denunce, arresti, detenzioni, ammonizioni e periodi di vigilanza speciale, che non gli impediscono di trovare lavoro, come nastraio, presso l’opificio Bolzani. Chiamato alle armi sul finire del 1897, a Vercelli, rimane in servizio fino al 15 agosto 1900, trascorrendo l’ultimo periodo di leva a Capri come coatto. Ritornato a Sesto S. Giovanni, si trasferisce a Milano, dove riprende il suo lavoro di nastraio. Attivo nella Lega nastrai milanese, Galli partecipa al congresso costitutivo della Federazione Nazionale delle Arti Tessili, tenuto a Milano, il 28 aprile 1901, e viene nominato segretario amministrativo, accanto al segretario corrispondente Luigi Negri e al cassiere Riccardo Rho, anch’egli anarchico. Efficace propagandista, Galli collabora intensamente al periodico della Federazione, «Le Arti tessili», distinguendosi per la particolare attenzione dedicata ai problemi delle lavoratrici. Nel febbraio del 1902 viene richiamato sotto le armi e assegnato al 23° Reggimento fanteria di stanza a Milano.

    Più volte incarcerato, inviato presso la compagnia di disciplina a Portoferraio, nonostante le vibrate proteste della Federazione, viene definitivamente congedato nell’autunno e può riprendere, all’inizio del 1903, il suo posto nel Comitato centrale della Fedrazione. Nel marzo 1904 Galli partecipa al III Congresso della Federazione, tenuto a Pisa, in rappresentanza delle sezioni nastrai di Milano, Intra e Monza, nonché dei tintori milanesi, osteggiando l’aumento della quota e soprattutto affiancando V.S. Mazzoni, allora segretario della Camera del lavoro pisana e delegato delle Lega tessitrici di Pontedera, nell’opposizione alla linea favorevole alla legislazione sociale sostenuta da Cabrini. Convinto che i lavoratori debbano “fare da sé”, senza inutili intermediazioni, Galli ritiene gli scioperi parziali un utile esercizio in attesa della “grande lotta” finale.

    Nel 1906 la vita di Galli ha una svolta decisiva. Un eccidio proletario avvenuto a Torino il 6 maggio dà il via ad una serie di scioperi generali di protesta in tutta Italia. Anche a Milano la proposta di uno sciopero generale ad oltranza, contrastata dai dirigenti della CdL, sembra avere, il 9 maggio, favorevole accoglienza nei comizi operai. A sostenerla con particolare efficacia è Angelo Galli, 23 anni, fratello minore di Alessandro, descritto come “grande signore dell’ideale. Non colto, ma intelligentissimo. [...] un’anima pulsante col dolore del mondo [...], smanioso d’azione” (X. Y. Z., Per l’assassinio dell’anarchico Angelo Galli, «La Protesta umana», 3 nov. 1906). Il 10 maggio, Angelo muore accoltellato dal custode della fabbrica Macchi e Passoni, dove si è recato con alcuni compagni per controllare la presenza di crumiri. Il 13 maggio il feretro di Angelo, preceduto da 15 bandiere di altrettante leghe di resistenza, viene portato a spalla a Musocco e sepolto nel campo xv accanto alle vittime del ’98. Durante il funerale ha luogo un violento scontro tra anarchici e truppe a cavallo. Il pittore Carlo Carrà, allora frequentatore del milieu anarchico, si trova al centro della mischia e, come racconta nelle sue memorie, vede “la bara tutta coperta di garofani rossi ondeggiare minacciosamente sulle spalle dei portatori; [...] i cavalli imbizzarrirsi, i bastoni e le lance urtarsi”. Trasferisce le sue emozioni prima su carta, in un disegno, e poi, nel 1911, su tela, in un famoso quadro intitolato I funerali dell’anarchico Galli, esposto a Parigi, Londra, Berlino nella primavera del 1912 e ora al Museum of Modern Art di New York.

    I pubblici propositi di vendetta costringono Galli a riparare in un primo tempo a Lugano per riprendere, però, poco dopo, la sua normale attività di nastraio e di propagandista sindacale. Dalla morte del fratello si può ravvisare in Galli un mutamento di atteggiamento. L’intransigenza lascia il posto alla mediazione. A tal punto che Galli e Rho, in occasione dello sciopero del Verbano, sul finire del 1906, si scontrano con la combattività della CdL di Intra e devono far fronte a dure critiche sulla loro “transigenza”. A partire dal 1907 l’attività sindacale di Galli aumenta di intensità. In qualità di propagandista si sposta da una città all’altra, interviene in numerose vertenze, dando prova di una grande capacità di mediazione, collabora assiduamente al giornale federale. Figura di primo piano al congresso di Biella, IV della Federazione (ott. 1909), sostiene, convinto che “occorrono anche i soldi ad integrare la coscienza e l’entusiasmo”, l’aumento della quota federale.

    Nell’agosto 1910 Riccardo Rho si dimette da segretario federale e l’incarico viene assunto da Galli, che conserva anche quello di propagandista. Dal maggio 1911 entra a far parte, sempre in sostituzione di Rho, del Consiglio direttivo della CGdL. Anche se la Questura data al 1915 il distacco di Galli dall’anarchismo e solo allora lo qualifica come socialista riformista, è però ormai evidente la sua totale estraneità al movimento anarchico. Sia Galli che Rho sono da tempo visti dagli anarchici come degli ex compagni. Nulla distingue le loro posizioni da quelle di Buozzi o di Quaglino. Allo scoppio del conflitto europeo Galli viene richiamato, ma fino all’ingresso dell’Italia in guerra continua a svolgere la sua funzione di segretario federale, riuscendo anche a farsi condannare per il vigore con cui dirige un lungo sciopero a Borgosesia, “dando tutto se stesso, anima e corpo alla causa”.

    Nel novembre 1915 Galli viene richiamato alle armi e solo nel settembre 1917 ottiene l’esonero perché membro del Comitato Regionale di Mobilitazione Industriale. Sempre nel 1917 entra a far parte della Commissione esecutiva della CdL di Milano e, a fianco di Nullo Baldini, Tommaso Bruno, Cabrini e D’Aragona, della Commissione incaricata di preparare uno schema di disegno di legge sull’assicurazione obbligatoria contro le malattie. Nel dopoguerra Galli è sempre una delle figure di spicco del movimento sindacale confederale, protagonista della grande stagione conflittuale e contrattuale del Biennio rosso.

    Fervente fautore dell’autonomia del sindacato dal PSI si scontra, al VI Congresso della Federazione (ottobre 1920), con l’opposizione massimalista e ordinovista, riuscendo sconfitto. Le sue successive dimissioni vengono tuttavia respinte anche dai massimalisti e Galli rimane alla testa della Federazione, affrontando la crisi che porta all’affermazione del fascismo e firmando l’ultimo contratto nazionale nel giugno 1925. Dopo il patto di Palazzo Vidoni dell’ottobre 1925 e la legge del 3 aprile 1926, che chiudono anche formalmente la stagione del sindacalismo libero, G. abbandona l’attività sindacale e si trasferisce a Udine, dove lavora come cassiere presso il laboratorio di sartoria del genero. Nel 1942 viene radiato dal “novero dei sovversivi”. Muore a Udine il 13 marzo 1950. (M. Antonioli)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Milano, Questura, busta 84, Anarchici.
     
    Bibliografia: C. Carrà, La mia vita, Milano 1943; L. Marchetti (a cura di), La Confederazione Generale del Lavoro negli atti, nei documenti, nei congressi, 1906-1926, Milano 1962; A. Pepe, Storia della CGdL dalla guerra di Libia all’intervento, 1911-1915, Bari 1971; M.C. Cristofoli, M. Pozzobon, I tessili milanesi, Milano 1981;G.L. Bettoli, Da Milano al Friuli. Storia di Alessandro Galli, sindacalista tessile, «Storia contemporanea in Friuli», n. 37, 2006.

    Angelo Galli (1883 - Milano, 10 maggio 1906) è stato un anarchico e sindacalista italiano.

    Biografia

    La vicenda umana e politica di Angelo Galli è ancora tutta da indagare. Fu un attivo agitatore sindacale, tanto che il giornale anarchico La Protesta Umana lo definì «un grande signore dell'ideale, un'anima pulsante col dolore del mondo [...] smanioso d'azione». 

    In seguito ad un gravissimo episodio di repressione verificatosi il 6 maggio 1906, quando le guardie regie spararono sulle operaie provocando un morto e 8 ferite, venne proclamato lo sciopero generale a Milano. Galli fu in prima fila nell'organizzazione dello sciopero.

    La mattina del 10 maggio, assieme ai compagni Enrico Recalcati e Carlo Gelosa, Galli si recò alla fabbrica Macchi e Pessoni per fare picchettaggio e intercettare i crumiri. Alla vista dei tre, il custode della fabbrica provocò una rissa nella quale accoltellò il Galli a morte.

    Durante i suoi funerali, aperti da 15 enormi bandiere rosse e nere, si verificarono pesanti scontri tra operai e carabinieri. Le forze dell'ordine caricarono pesantemente, anche donne e bambini, e fecero diverse vittime. 

    I funerali di Galli secondo Carlo Carrà

    Il pittore Carlo Carrà, allora molto vicino agli anarchici (intratteneva relazioni con Leda Rafanelli e i gruppi anarchici milanesi), immortalò lo scoppio degli scontri al funerale nel dipinto futurista I funerali dell'anarchico Galli. Questa la sua rievocazione:

    «Io che mi trovavo senza volerlo al centro della mischia, vedevo innanzi a me la bara tutta coperta di garofani rossi ondeggiare minacciosamente sulle spalle dei portatori; vedevo i cavalli imbizzarrirsi, i bastoni e le lance urtarsi, sì che a me parve che la salma cadesse da un momento all'altro e che i cavalli la calpestassero. Fortemente impressionato, appena tornato a casa feci un disegno di ciò a cui ero stato spettatore. Da questo disegno presi più tardi spunto per il quadro Il funerale dell'anarchico Galli che venne in seguito esposto alle mostre futuriste di Parigi, Londra e Berlino nella primavera del 1912... ». 

    L'anarchico e futurista Renzo Provinciali commentò entusiasta l'opera su La Barricata:

    «Egli ha rappresentato con una vigoria e con una fantasia creativa straordinaria una scena spasmodica, immensa, colossale, catastrofica. È un caos infernale che si avvoltola, è un vortice grandioso di masserizie, di persiane, di porte, di inferriate, amalgamate in uno sforzo titanico di resistenza, è la diga, la massa, è La Barricata! [...] Questo il capolavoro che il Carrà ci ha dato e che certamente non sarà compreso da molti, come tutte le grandi opere d'arte. Qui non è la cosa rappresentata, ma è l'anima de la cosa costrutta in linee con un'abilità straordinaria, una tecnica nuovissima ed insuperabile, un'arte originalissima e superiore». 

     

    I funerali dell'anarchico Galli di Carlo Carrà.
     

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    GALLI, Ambrogio,
    Nasce a Milano il 29 aprile 1841 da Luigi e Emilia Seroni, tipografo. Le prime segnalazioni ce lo mostrano già quarantenne partecipare al convegno segreto tenuto a Chiasso il 5 dicembre 1880. Secondo Aldo Romano G. fa parte delle “giovani reclute del socialismo”, raccolte attorno a Osvaldo Gnocchi Viani e contrapposte agli intransigenti guidati da Carlo Cafiero (Storia del movimento socialista in Italia, Roma, Bocca, 1956, vol. III, p. 353). Nel maggio 1882 firma, come membro del Comitato provvisorio, insieme con Edoardo Pozzi, Giuseppe Croce e altri, un manifesto diretto agli “operai di città e di campagna” e volto ad annunciare la costituzione di una sezione elettorale di un “Partito operaio indipendente da tutti gli altri partiti” (Angiolini, p. 199). Poco dopo partecipa alla elaborazione del programma della sezione milanese del poi. Tuttavia, nel 1884, quando firma un manifesto commemorativo per il XIII anniversario della Comune G. può essere considerato già anarchico. È proprio il circolo anarchico milanese, infatti, di cui G. è l’animatore, a lanciare, nel settembre 1884, un appello per la ricostituzione dell’Internazionale italiana e a deliberare, nel gennaio 1885, la rinascita della Federazione Alta Italia dell’Internazionale, riprendendo – curiosamente – il nome dell’organismo un tempo dissidente rispetto all’Internazionale anarchica. Quando, nel giugno 1886, il governo Depretis scioglie il poi, arrestandone i dirigenti, tra cui Flaminio Fantuzzi, firma una “dichiarazione d’onore” a favore del partito. Agli inizi del 1889 la Questura milanese lo ritiene uno dei principali esponenti del gruppo “I Ribelli”, i cui aderenti sarebbero una cinquantina, e nello stesso anno viene processato, con Carlo Crivelli, Dante Fiocchini, Attilio Panizza e altri per le agitazioni operaie del periodo. Descritto dalla polizia come “anarchico violento e bravo oratore”, viene arrestato processato nel 1894 per oltraggio agli agenti e diffusione di manifesti sovversivi, ma è assolto. La sua partecipazione, nel 1896, al congresso fiorentino del PSI è però il sintomo dell’abbandono dell’anarchismo e di un ritorno a posizioni elezioniste. Nel 1902, al congresso di Imola, è ormai annoverato tra i riformisti. Dedito al commercio di vino, G. si allontana progressivamente dalla politica. Muore a Milano nel 1914. Tuttavia, ancora nell’agosto 1940 (G. avrebbe avuto 99 anni) il Ministero dell’Interno chiede al prefetto di Milano notizie dell’“anarchico” Galli. Accanto a una prima annotazione “sarà morto”, appare la conferma stampigliata. (M. Antonioli)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
     
    Bibliografia: O. Gnocchi Viani, Il Partito Operaio Italiano, 1882-1885, Milano 1885; A. Angiolini, Cinquant’anni di socialismo in Italia, Firenze 1903; G. Manacorda, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi congressi, Roma 1963; L. Briguglio, Il Partito operaio italiano e gli anarchici, Roma 1969; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Milano, 1969, ad indicem; Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad nomen; M.G. Meriggi, Il Partito Operaio Italiano. Attività rivendicativa formazione e cultura dei militanti in Lombardia (1880-1890), Milano 1985; R. Zangheri Storia del socialismo italiano, vol. 1, Torino, 1993, ad indicem.

    Sitografia: Archivio biografico del movimento operaio.
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    GALLI, Giuseppe,
    Nasce a Codena, frazione di Carrara (MS) il 27 luglio 1868 da Alessandro e Aldegonda Bernacca, cavatore. Aderisce al movimento anarchico ed è socio della Lega cavatori aderente alla Camera del lavoro di Carrara. La Corte di Assise di Casale Monferrato condanna G. il 23 dicembre 1890 a due anni di reclusione e due di sorveglianza speciale per associazione di malfattori. Il Tribunale militare di guerra di Massa il 24 febbraio 1894 lo condanna a quattro anni di reclusione e due di sorveglianza speciale per “associazione a delinquere”, viene amnistiato il 20 settembre 1895. Muore a Carrara il 10 settembre 1909. (I. Rossi)

    Fonti

    Fonti: Archivio di Stato Massa, Questura, Sovversivi deceduti, b. 53, f. 15 ad nomen.
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    ​GALLI, Umberto,
    Nasce a Brescia il 7 marzo 1888, da Luca e Rosa Bernardelli, barbiere. G., secondo le carte di polizia, si avvicina all’attivismo politico nel periodo della gestione sindacalista rivoluzionaria della locale Camera del lavoro (1907-1909). La segreteria diretta dal giovane leader Gino Muller ospita nei locali camerali il Gruppo Antimilitarista, del quale G. risulta propagandista. Quando nel corso del 1909 la componente socialista riformista riprende il sopravvento nell’organizzazione territoriale, G., come altri militanti legati alla precedente esperienza, sembra in qualche modo appartarsi dall’attività sindacale intesa in senso stretto, dando spazio all’impegno in formazioni politiche operanti specificamente al di fuori della sfera economica, ideologicamente definite in modo più preciso. Tra queste il Gruppo Libertario “Bresciano”, per il quale G. tiene alcune conferenze su argomenti che vanno dall’opposizione alla condanna a morte del pedagogista spagnolo Francisco Ferrer, all’antimilitarismo, alle tematiche ancora inerenti le vertenze operaie. Sul piano sindacale la ricomposizione delle frazioni extraconfederali avviene soltanto dopo il primo conflitto mondiale, nel 1919, con la fondazione in città di una sezione dell’USI. G. aderisce, partecipando alle agitazioni operaie del Biennio rosso 1919-1920, risultando nel contempo abbonato al quotidiano libertario «Umanità nova». Ancora per tutti gli anni Venti la questura lo segnala tra gli antifascisti pur sporadicamente attivi nel bresciano, impegnati essenzialmente nel sostegno materiale dei detenuti e degli inquisiti politici (raccolte di fondi ecc.). G. muore in città il 24 ottobre 1941. (R. Bernardi)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

    Bibliografia: R. Bernardi, Sindacalismo rivoluzionario e movimento operaio a Brescia, Milano 1994, pp. 49, 50, 59, 79.
    ​GALLINELLA, Giovanni,

    Nasce a Roma il 14 marzo 1903 da Pio e Assunta Cappannini, fabbro. Schedato come anarchico a partire dal Primo dopoguerra, tra il 1919 e il 1922 si mantiene in piena attività segnalandosi per la sua “discreta influenza” tra gli anarchici romani. Partecipa agli Arditi del popolo di A. Secondari. Negli anni Venti, e almeno fino al 1930, non ricopre cariche all’interno del movimento, non risulta in contatto con gruppi che non siano quelli romani, e non collabora con giornali e periodici libertari. Viene tuttavia disegnato come un “fervente propagandista” e un “irriducibile avversario del regime”; più volte fermato per motivi politici dichiara – sotto interrogatorio – di “professare teorie anarchiche”. Questi precedenti inducono le autorità fasciste a inserirlo nelle persone da arrestare in determinate circostanze, perché ritenuto capace di “commettere atti diretti a sovvertire l’ordine nazionale”.

    Il 15 giugno 1930 viene sorpreso mentre partecipa a una delle riunioni che periodicamente alcuni esponenti dell’anarchismo romano svolgono in un’osteria nella zona di Borgo Pio per discutere della situazione e per raccogliere fondi per le vittime della repressione politica. Arrestato assieme a G. Luzzi, A. Simmi, N. Capecchi, D. Cesarini, A. Paradisi, e ad alcuni esponenti repubblicani e comunisti, riesce a evitare il confino perché ritenuto meno pericoloso degli altri. Viene comunque ammonito e diffidato.
     

    Nel gennaio 1931 viene fermato per gli stessi motivi e condannato a tre mesi di carcere, scontati i quali non viene rilasciato ma proposto per il confino. Il 27 aprile 1931 viene condannato a tre anni e destinato a Ponza. Liberato per fine pena il 20 luglio 1934 riprende immediatamente i suoi contatti politici conservando “tenacemente” le sue idee politiche. Si impegna (anche con i fuorusciti anarchici italiani in Francia) nel sostegno del Comitato pro-vittime politiche e riprende anche qualche forma di propaganda diretta. Sempre vigilato viene nuovamente proposto e assegnato al confino (Ventotene) per quattro anni. Più volte indicato come uno degli elementi più indisciplinati della colonia dell’isola pontina, viene ripetutamente punito. Sconta anche questo periodo ma viene trattenuto come internato durante il periodo bellico. Liberato solo il 31 agosto 1943 rientra a Roma e partecipa immediatamente alla lotta partigiana clandestina ed alla riorganizzazione del movimento nella Capitale.
     

    È arrestato da agenti di PS del Commissariato Ponte il 19 dicembre 1943 e il giorno dopo trasferito nel Carcere di Regina Coeli (n. di matricola: 13213). Il 4 gennaio è caricato, insieme ad altri «292 individui, rastrellati tra elementi indesiderabili» in realtà 326, su un treno alla Stazione di Roma Tiburtina diretto in Germania (Trasporto n. 16). Tra i prigionieri trasferiti oltre a D. vi sono altri anarchici romani. Il viaggio di trasferimento dura nove giorni, attraverso l'Italia e la Germania, con una sosta nel Lager di Dachau, e si conclude nel Campo di Concentramento di Mauthausen, in Austria, il 13 gennaio 1944. N. di matricola: 42098. Classificato con la categoria Pol. Successivamente è trasferito a Schwechat-Floridsdorf (Mauthausen) poi nuovamente a Mauthausen, dove muore nei primi mesi del 1945. (P. Iuso e redazione DBAI)

    Luoghi di attività

    Luogo
    Roma

    Fonti

    Fonti: Arolsen Archives. https://arolsen-archives.org, ad nomen; Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Così caddero i nostri compagni, «L’Impulso», 15 aprile 1955, p. 2.

    Sitografia: Dictionnaire international des militants anarchistes, versione on-line, http://militants-anarchistes.info

    Bibliografia: I. Rossi, La ripresa del movimento anarchico italiano e la propaganda orale dal 1943 al 1950, Pistoia 1981, ad indicem; Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen; I. Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia ai lager nazisti. I «trasporti» dei deportati 1943-1945, Milano-Torino, F. Angeli-Consiglio regionale del Piemonte-ANED, 1994, pp. 41-42; E. Francescangeli, Arditi del popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922), Roma 2000, ad indicem; G. Sacchetti, Sovversivi agli atti. Gli anarchici nelle carte del Ministero dell’Interno. Schedatura e controllo poliziesco nell’Italia del Novecento, Ragusa, 2002, ad indicem; Il libro dei deportati, ricerca del Dipartimento di storia dell’Università di Torino diretta da B. Mantelli e N. Tranfaglia, promossa da ANED Associazione nazionale ex deportati, Milano, Mursia, 2009, Vol. 1, tomi 1-3, p. 949; E. Iafrate, Elementi indesiderabili. Storia e memorie di un «trasporto» Roma-Mauthausen 1944, a cura di E. Guida, Roma, Chillemi, 2015, pp. 73 e 112; F. Bertolucci, Gli anarchici italiani deportati in Germania durante il Secondo conflitto mondiale, «A : rivista anarchica», aprile 2017, pp. 63-98.

     
    GALLO, Giuseppe, Nato nel 1880 a Chioggia (VE), dove è maestro elementare. Attivo politicamente e schedato come anarchico già prima della Grande guerra; durante il conflitto è militare di leva col grado di sergente. Nel febbraio 1920, sottoscrive personalmente la rilevante cifra di lire 50 per l'uscita del quotidiano anarchico «Umanità nova» e promuove una sottoscrizione a Chioggia a cui aderiscono altri diciotto compagni. Nel luglio dello stesso anno è condannato a tre mesi, dieci giorni di detenzione e lire 83 di multa, per istigazione a delinquere e all'odio fra le classi sociali. Durante il fascismo viene licenziato per motivi politici, quindi ammonito e nel 1927 arrestato e denunciato per associazione sovversiva assieme al fratello Andrea, comunista, e altri due antifascisti (l'anarchico Raimondo Schiavon e il comunista Francesco Bonivento). Nel corso della perquisizione viene trovato in possesso di una circolare, datata Parigi settembre 1927, a firma "Un gruppo di operai del Fronte unico antifascista". Ritenuto sovversivo "pericoloso", viene confinato su condanna del Tribunale Speciale (1928), quindi diffidato, inserito nell’elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze e costantemente vigilato. S'ignorano luogo e data di morte. (M. Rossi)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen;  «Umanità nova», n. 1, 27 feb.1920.

    Bibliografia: Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen;  M. Rossi, Gli antifascisti di Chioggia e Cavarzere schedati dalla polizia durante il ventennio fascista, «Chioggia»: "rivista di studi e ricerche”, n. 17, nov. 2000.

     
     
    Giuseppe Galzerano, nato il 22 marzo 1953 a Castelnuovo Cilento (Campania) è laureato in pedagogia e insegna lettere moderne. Prolifico storico ed editore, è noto per le sue pubblicazioni sul movimento libertario e in particolare per le sue biografie di attivisti anarchici individualisti.

    Biographie

    Giuseppe Galzerano è nato e vive nel Cilento a pochi chilometri da Sapri, luogo scelto da Carlo Pisacane nel 1857 per il suo tentativo di sbarco volto a dimostrare "con i fatti" che l'insurrezione armata è l'unico mezzo per raggiungere l'unità d'Italia.
    Nel 1975 auto-pubblica il suo primo libro dedicato a Carlo Pisacane. Da allora, Éditions Galzerano ha pubblicato più di 300 opere su anarchismo, socialismo, antifascismo, immigrazione, cultura popolare, storia locale, ecc.. 
    Storico “non accademico” del movimento libertario e del movimento operaio rivoluzionario, collaborò a numerose testate giornalistiche italiane e straniere. 
    Nel 1995, 1998, 2002 e 2004 ha ricevuto il Premio Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano.

    Attentats anarchistes

    Dedica diverse biografie a coloro che definisce gli "anarchici vendicatori", come Paolo Lega, attivista che nel giugno 1894 sparò senza ferirlo al presidente del Consiglio italiano Francesco Crispi, quella di Giovanni Passannante noto per un attentato e Gaetano Bresci , autore dell'assassinio del re Umberto I, o Michele Schirru, militante italo-americano che progetta un attentato contro Benito Mussolini. "Attraverso le ricerche e gli studi che sto portando avanti sugli attacchi individuali degli anarchici italiani [...] ho tenuto conto che si trattava di atti disinteressati e altruistici perché gli anarchici [...] non vogliono eliminare un tiranno salire al trono al suo posto ma combattono esclusivamente per la liberazione del popolo dalle dure condizioni della tirannia e della dittatura. Questo è un naturale atto di difesa. ».  



    Œuvres

    • (it) Gaetano Bresci - Vita, attentato, processo, carcere e morte dell'anarchico che « giustiziò » Umberto I, Galzerano Editore, 2001, 1152 pages, notice éditeur [archive].
    • (it) Giovanni Passannante - La vita, l'attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia « regale » e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l'incantesimo monarchico, Galzerano Editore, 2004, 864 pages, notice éditeur [archive].
    • (it) Michele Schirru - Vita, viaggi, arresto, carcere, processo e morte dell'anarchico italo-americano fucilato per « l'intenzione » di uccidere Mussolini, Galzerano, 2006, 1136 pages, notice [archive].
    • (it) Enrico Zambonini : vita e lotte, esilio e morte dell'anarchico emiliano fucilato dalla Repubblica sociale italiana, Galzerano, 2009.
    • Sélection sur Sudoc [archive].
    • Sélection sur Worldcat [archive].
     
    Carlo Gambuzzi (Napoli, 26 agosto 1837 – Napoli, 30 aprile 1902) è stato un anarchico italiano avviato da Bakunin all'Internazionalismo.

    Biografia

    Carlo Gambuzzi nasce a Napoli il 26 agosto 1837 da Pasquale (avvo­cato) e Maria Carolina Landolfi. Fa le prime esperienze tra i liberali che preparano l'impresa di Sapri e in gior­nali clandestini come «Il Piccolo Corriere», che gli costa tre mesi di carcere. Nel 1861 guida il Comitato Elettorale che oppone i repubblicani al pro­gramma ca­vouriano. Segretario del Comitato di Provvedi­mento per Roma e Venezia e re­dattore de «Il Popolo d'Italia», nel 1862 dirige il Tiro Nazionale, che ad­de­stra i giovani alle armi, ed è a capo del gruppo insurrezionale “Roma o Morte”. Garibaldino ad Aspromonte, guida poi il Comi­tato Unitario Centrale, che intende armare i ribelli in Veneto e Trentino.

    Iscritto alla Massoneria, nel 1864 partecipa all'XI congresso delle So­cietà Affratel­late e a giu­gno del 1865 incontra Bakunin, che si è stabilito a Napoli. Diversi per espe­rienza e cultura, ma uniti dal comune sentire ri­vo­luziona­rio e da un patrimonio ideale che fanno di Gambuzzi un allievo attento alla le­zione dell'esule russo, i due diventano amici, anche se Gambuzzi, educato ai principi di Mazzini e Catta­neo e giunto a Proudhon mediante Pisacane, sogna l'unità na­zionale e segue Garibaldi nella guerra con l'Austria. È Bakunin ad avviarlo all'internazionalismo anar­chico assieme ai mili­tanti che nel 1867 fondano il circolo “Li­bertà e giu­sti­zia”, di cui Gambuzzi è segretario. Responsabile della società operaia “Amore e soccorso”, nel 1867 collabora col periodico «Li­bertà e giustizia» e parte­cipa a Gine­vra al Primo Congresso della Lega per la Pace e la Libertà, di cui è dirigente, sostenendo la necessità di abbat­tere «le chiese uffi­ciali e sala­riate, e lo Stato con la plutocrazia». Il pas­sag­gio dalla “rivoluzione nazio­nale” all'internazionalismo non è tuttavia con­cluso e, quando Garibaldi punta su Roma, Gambuzzi esita. Sa che, per riuscire, un moto per Roma deve es­sere moto so­ciale: il popolo è affamato e nauseato dalla politica. L'intervento della Francia però gli fa sperare che l'impresa, nata con scopi “unitari”, evolva in senso anti-­francese e risvegli l'istinto ri­voluzionario delle masse. Senza badare al contrasto tra il suo nascente internazionalismo e un'azione volta a com­pletare l'edificio dello Stato, Gambuzzi segue così Garibaldi contro il parere di Bakunin. Mentana però non consente più dubbi: la “rivoluzione nazionale” è estranea alla questione so­ciale. Nel febbraio 1868 Gambuzzi ormai insiste sulle penose condizioni de­gli ope­rai e invita i giovani a volgersi al socialismo. Il 21 settembre, a Berna, al II congresso della Lega per la Pace e la Libertà, sostiene la necessità della ri­volu­zione so­ciale e le tesi sui rapporti di classe presentate da Bakunin e, quando l'esule russo rompe con la Lega e fonda l'Alleanza per la Democrazia So­ciali­sta, Gambuzzi lo segue, en­trando nel Comitato Centrale dell'organizzazione; quando poi torna a Napoli con le di­sposi­zioni di Bakunin per i compagni, Gambuzzi collabora con «L'Egalité», ha stretti le­gami con i socialisti europei ed è all'avanguardia tra i militanti della sinistra extraparla­mentare. Non a caso un con­fi­dente lo descrive come «gio­vane d'ingegno svegliatissimo, solerte e instancabile», che ha «estese relazioni», note­vole in­fluenza sui soci del cir­colo “Libertà e giustizia” e che potrebbe di­ventare «un rivoluzionario perni­cioso all'ordine pub­blico». Un giudizio confermato da Bakunin, che lo reputa diri­gente fidato, che sa promuovere «l'organizzazione e i programmi dell'Alleanza per la democra­zia socialista». A gennaio del 1869 la sezione internazionalista napoletana, che ha in Gambuzzi un punto di riferimento e con i suoi tremila iscritti è il maggior centro dell'internazionalismo in Italia, inizia l'attività pubblica. Re­dattore de «L'Eguaglianza», il giornale della sezione napole­tana che si occupa esclusivamente degli interessi dei lavoratori, presidente della Sezione Cen­trale della Lega Ita­liana dell'Internazionale, Gambuzzi ha ormai un ruolo di primo piano ed è strettamente vigilato da confi­denti che in­viano rapporti quotidiani al questore. Per nulla in­timidito, par­tecipa all'Anticoncilio, che inizia a Napoli il 9 dicembre ed il 10 è sciolto dalla polizia, e spinge la sezione dell'Internazionale a ri­spon­dere con lo sciopero al li­cenzia­mento di alcuni conciatori. È l'occasione attesa dal prefetto: Gambuzzi, ispi­ratore dello sciopero, è arrestato con alcuni operai, men­tre la se­zione dell'Internazionale è sciolta. Scarcerato, de­nuncia alla stampa l'arbitraria procedura seguita dalla questura, cerca di estendere l'influenza di Bakunin nel Paese e riesce a tenere in vita la se­zione dell'Internazionale, della quale è presidente. Nella primavera del 1871 incontra Bakunin a Firenze e, dopo la Comune, collabora con Cafiero, inviato a Napoli da En­gels, costituendo con Fa­nelli, Palladino e Dramis un Comitato Sociali­sta, che at­tacca i mazziniani “ingannatori del po­polo” e tenta di conquistare all'anarchismo i repub­blicani de­lusi. Presto la sezione napoletana inten­sifica la propa­ganda, organiz­za corsi di formazione politica per i soci ed istituisce una scuola per i loro figli. Ai primi di agosto Gambuzzi, ritenuto ormai “peri­coloso”, incontra Bakunin a Lo­carno e riceve disposizioni per il lavoro da svol­gere in Ita­lia. È appena tornato, quando il 20 agosto la sezione dell'Internazionale è sciolta.

    A gen­naio del 1872 Gambuzzi costituisce con Malatesta, Cafiero e Palla­dino la Federa­zione Operaia Napole­tana, che pub­blica «La Campana», di cui è redattore. Di lì a poco acquista banchi e sedie per dotare la Fede­razione di una scuola per i figli degli iscritti, dà un forte impulso all'organizzazione, che conta un migliaio di soci, poi parte per Londra, dove incontra nu­merosi inter­na­zionalisti. Tornato a Napoli a gennaio del 1873, tenta di promuovere la na­scita di nuove sezioni dell'Internazionale, poi il suo impegno si fa discontinuo. Ai primi del 1877 guida con Tommaso Schettino uno dei gruppi in cui si è divisa a Napoli l'Internazionale e a no­vembre, per impedire l'unione di repubbli­cani e internazionalisti proposta da Bovio, stampa un ironico mani­fe­sto clande­stino e abban­do­na «La Spira», un foglio che ha inizialmente finanziato. Nel giugno 1879, per favorire la nascita di co­operative di pro­duzione basate sulla ri­partizione integrale del pro­dotto del lavoro, fonda un'Associazione Eman­cipatrice dei Lavoratori che suscita forti critiche tra gli anarchici di ogni scuola. Ai primi del 1880, tenta di radunare bande armate destinate ad ac­cendere la rivolta in Puglia, poi, per sanare i dissensi che lacerano il movimento, forma un Co­mitato segreto di Corrispondenza con Merlino e Giusti­niani ed entra nella commis­sione dirigente del Cir­colo di Studi So­ciali, in cui confluiscono i gruppi anarchici napoletani. A maggio è a Milano con Merlino per difendere le idee degli anar­chici intransigenti in un congresso convocato dai “legalitari” Gnocchi, Viani e Bignami, ma le adesioni sono scarse e i promotori, temendo il confronto, spostano il convegno a otto­bre. Nell'autunno del 1882 si pronun­cia per il suffragio universale e si can­dida, rompendo con l'astensionismo di Merlino, che intende uti­lizzare le elezioni ai fini esclusivi della propa­ganda. Sposata la ve­dova di Bakunin, Antonia Kwiato­wska, si allontana dalla politica. Nel 1898 si ricordano di lui gli anarchici de «La Li­bertà», per un articolo sulle origini del movimento operaio italiano. Muore a Napoli il 30 aprile 1902.

    Bibliografia

    Scritti di Gambuzzi

    • Sulla tomba di Giuseppe Fanelli, parole di Carlo Gambuzzi, Napoli, 6 gen. 1877

    Scritti su Gambuzzi

    • In memoria di Carlo Gambuzzi nel trigesimo della morte, Napoli, numero unico, 30 mag. 1902
    • M. Nettlau, Errico Malatesta. Vita e pensiero, New York 1922, pp. 39-40
    • N. Rosselli, Mazzini e Bakunin, Torino 1927
    • M. Nettlau, Bakunin e l'Internazionale in Italia dal 1864 al 1872, Ginevra 1928
    • P. C. Masini, M. Bakunin, Scritti napoletani (1865-1867), Bergamo 1963, p. 104 sgg.
    • C. del Bo, La corrispondenza di Marx ed Engels, Milano 1964
    • A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia, Bari 1966
    • P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Milano, 1969
    • G. D. H. Cole, Storia del pensiero socialista, Marxismo e Anarchismo, 1850-1890, Bari 1972, p. 205
    • A. Scirocco, Democrazia e socia­lismo a Napoli dopo l'Unità (1861-1878), Napoli 1973
    • F. Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Roma 1973, p. 424
    • N. Dell'Erba, Le origini del socialismo a Napoli (1870-1892), Milano 1979, pp. 8, 13, 23, 25, 40
    • M. Toda, Errico Malatesta. Da Mazzini a Bakunin, Napoli 1988
    • G. Berti, Francesco Sa­verio Merlino. Dall'anarchismo socialista al socialismo liberali (1856-1930), Mi­lano 1993
    • F. Della Peruta, La “banda del Matese”, in Movimenti sociali e lotte politiche nell'Italia liberale. Il moto anarchico del Matese, a cura di L. Parente, Milano 2001, p. 22

     
    Italo Garinei (Pisa, 18 dicembre 1886 - Treviso, 6 novembre 1970), è stato un anarchico e sindacalista italiano. Il suo nome è legato al suo impegno durante le occupazioni delle fabbriche (1920) e alla militanza nel secondo dopoguerra nella Federazione Anarchica Pisana.
     
    Biografia

    Italo Garinei nasce a Pisa nel 1886. Da giovane, e sino al 1915, si avvicina alle correnti libertarie del marxismo e al sindacalismo rivoluzionario, militando nella Federazione Giovanile Socialista. Durante questo periodo, a partire dal 1906, collabora con la stampa socialista-rivoluzionaria: «Sempre Avanti», «La guerra sociale», «L'internazionale», «La bandiera proletaria» e «Il Martello».

    Nel periodo antecedente alla Prima guerra mondiale è attivissimo nel movimento antimilitarista e nell'ala classista e intransigente del PSI (in opposizione all'ala riformista). Quando, per motivi di studio, si trasferisce a Torino, vi trova un attivo movimento anarchico locale che influenzerà le sue scelte politiche definitive. In Piemonte prosegue la sua attività giornalistica, si laurea nel 1916 e poi è chiamato a partire per la guerra. Alla fine del terribile conflitto mondiale aderisce al Gruppo Giovanile Sindacalista Anarchico, divenendone un importante militante e partecipando a diverse iniziative.

    Durante il biennio rosso si fa portavoce del movimento consiliarista, divenendo un elemento di raccordo tra il gruppo degli anarchici consiliaristi (Maurizio Garino, Pietro Ferrero ecc.) e quello di Ordine Nuovo di Antonio Gramsci. 

    Il 24 ottobre 1920 viene arrestato a Padova, insieme a Giovanni Diodà (delegato del gruppo anarchico di Padova), mentre partecipa ad un convegno organizzato dagli anarchici veneti. Durante gli anni bui del fascismo la sua attività è molto limitata per via dei rigidi controlli cui è sottoposto, soprattutto perché è sospettato di avere contatti con gli antifascisti esteri. Nonostante le difficoltà, nel 1944 a Torino pubblica con Fioravanti Meniconi e Dante Armanetti alcuni numeri clandestini del giornale «Era nuova» .

    Alla fine della guerra, Garinei ricomincia a collaborare con la stampa libertaria, dal 1951 al 1968 pubblica insieme a Dante Armanetti «Seme anarchico», un mensile anarchico. A metà degli "anni 60" ritorna in Toscana, proprio nel periodo in cui, dopo il congresso della Federazione Anarchica Italiana del novembre 1965, la Federazione Anarchica Pisana diviene una delle principali organizzazioni che si oppongono ad una nuova “strutturazione” nazionale considerata eccessivamente accentratrice e burocratica: con Aurelio Chessa, Pio Turroni, gli anarchici toscani ed altri compagni promuove la costituzione dei GIA (Gruppi di Iniziativa Anarchica) che avviene a Pisa durante il convegno del 19 dicembre 1965.

    Proprio a Garinei si devono la pubblicazione di alcuni numeri unici di polemica politica dal titolo «Iniziativa anarchica» e, nella primavera del 1966, la ripresa delle pubblicazioni del «Seme anarchico», interrotte per un breve periodo. A Pisa, Garinei è per lungo tempo uno dei principali motori dell'anarchismo toscano, insieme tra gli altri a Renzo Vanni. Muore a Treviso il 6 novembre 1970.

     



    Maurizio Garino (Ploaghe, Sassari, 31 ottobre 1892 - Torino, aprile 1977) è stato un anarchico e un sindacalista protagonista durante gli eventi del biennio rosso. 

    Biografia

    Maurizio Garino, in Sardegna, a Ploaghe, in provincia di Sassari, il 31 ottobre 1892. Tre anni dopo in cerca di migliori condizioni economiche, la famiglia si trasferisce a Torino, l'anno seguente si trasferirà Cassine in provincia di Alessandria. Dopo le scuole elementari e una breve permanenza in un collegio religioso, Garino inizia a lavorare come apprendista falegname, diventando poi modellista meccanico. Ritornata la sua famiglia nel 1906 a Torino, nel 1908 Maurizio milita per due anni (1908-1910) nella gioventù socialista, prima di aderire all'anarchismo.

    Il Circolo di Studi Sociali e l'attivismo anarchico-sindacale

    Nel 1910 è tra i principali fondatori del Circolo di Studi Sociali della Barriera di Milano  che successivamente, in ricordo di Francisco Ferrer y Guardia (fucilato il 12-10-1909), assumerà la denominazione di Scuola Moderna "F. Ferrer". Garino diviene direttore della scuola (nel 1911 ne sarà segretario l'amico Pietro Ferrero), in cui operai, lavoratori e anarchici in genere, discutevano e affrontavano gli argomenti più disparati (filosofia, architettura, astronomia, scienze, biologia ecc.). Attivissimo in campo sindacale nell'ambito della minoranza anarchica della FIOM, è tra i primi ad indire uno sciopero nelle officine di Savigliano contro lo sfruttamento delle donne e dei soldati. Si oppone tenacemente alla firma della convenzione tra la FIOM e il Consorzio automobilistico torinese (gen. 1912) che, in cambio del «sabato inglese», abolisce le tolleranze e introduce la trattenuta sindacale obbligatoria. Per questo Garino aderisce al nuovo Sindacato Unico Metallurgico (SUM), fondato dai sindacalisti rivoluzionari, partecipando allo sciopero proclamato dallo stesso e risoltosi con una grave sconfitta dopo due mesi di lotta. Quest'esperienza negativa, causata dalla divisione sindacale, lo porta a farsi portavoce con Pietro Ferrero nell'ambito del Fascio Libertario Torinese della scelta unitaria a favore della FIOM, anche dopo la costituzione dell'USI (novembre 1912). Il suo attivismo politico e sindacale lo costringerà spesso a dover cambiare luogo di lavoro (Fonderie Subalpine, Acciaierie Fiat, Officine Savigliano ecc.). 

    Si attiva ed è in prima fila durante gli eventi della settimana rossa (7-14 giugno 1914): arrestato per «violenza privata, minaccia e porto d'arma», è tuttavia prosciolto. Dichiarato abile per la guerra, nonostante fosse stato riformato alla visita di leva, ottiene l'esonero come «operaio specialista» e allo scoppio della guerra assume nette posizioni anti interventiste, partecipando nell'agosto 1917 alle dimostrazioni contro la guerra. Nel 1919 Garino è, come rappresentante degli anarchici torinesi, tra i fondatori dell'Unione Comunista Anarchica Italiana (Congresso di Firenze, 12 14 aprile), dove viene anche designato membro del Consiglio generale.

    Le occupazioni delle fabbriche

     Protagonista di clamorosi scioperi (come quello contro la decisione unilaterale della FIAT di spostare l'orario di lavoro dall'ora solare a quella legale), lo si ricorda soprattutto per la sua partecipazione a tutti gli eventi che porteranno alle occupazioni e alla costituzione dei consigli di fabbrica del 1919-20: il 1° novembre l'assemblea della Sezione torinese della FIOM approva l'ordine del giorno "Boero-Garino" «a grande maggioranza» che porta alla «costituzione dei Consigli operai di fabbrica, mediante l'elezione dei Commissari di reparto». Si costituisce un nuovo consiglio direttivo, provvisorio, in cui Pietro Ferrero assume le funzioni di segretario, dopo che la carica era stata declinate dallo stesso Garino. Sempre con Ferrero, partecipa alla costituzione delle Commissione di studio sui consigli, spesso riunendosi presso i locali de «L'Ordine Nuovo», nuovo giornale comunista di Antonio Gramsci. Nasce così una collaborazione tra gli anarchici facenti capo a Ferrero e Garino e i comunisti de «L'Ordine Nuovo» , collaborazione che partorirà la nascita di un manifesto apparso ne «L'Ordine nuovo» del 27 marzo 1920.

    Al Convegno straordinario della FIOM di Firenze (9 novembre-10 novembre 1919), Boero e Garino ottengono che i vertici federali permettano l'«esperimento dei Consigli di fabbrica» intesi come «la continuazione dell'opera delle Commissioni interne coordinata con quella dell'organizzazione». Nel dicembre dello stesso anno partecipa al Congresso straordinario della CdL di Torino e presenta una mozione a favore dei Consigli, ritenuti «ai fini dei principi comunisti-antiautoritari, organi assolutamente antistatali e possibili cellule della futura gestione della produzione agricola e industriale». Instancabile, porta avanti tenacemente la sua linea durante il Convegno nazionale della FIOM (Genova, maggio 1920) e al Congresso anarchico piemontese (giugno 1920), nonché anche al Congresso bolognese che sancisce la nascita dell'UAI (1°-4 luglio 1920). Nel settembre 1920 inizia l'occupazione delle fabbriche e Maurizio Garino è naturalmente in prima fila. Alla fine dell'esperienza, conclusasi negativamente per il tradimento dei sindacati riformisti, accusa i dirigenti nazionali sindacali di avere in qualche modo illuso «la massa operaia che non distingue se il movimento fosse sindacale o politico, aveva creduto che voi sareste andati fino in fondo, che voi l'avreste condotta al gran gesto rivoluzionario». 

    In età avanzata, a chi gli chiederà cosa avesse significato per lui e per l'anarchismo quel biennio (1919-20), Garino risponderà:

    «Siamo sempre stati considerati dei sognatori, degli utopisti; noi siamo certi di non esserlo, ed anche l'esperienza del biennio rosso conferma le nostre tesi: l'unica via rivoluzionaria aperta di fronte alla classe operaia è quella della rivoluzione libertaria, dell'autogestione».

    Il fascismo e la resistenza

    Nel 1921 entra a lavorare in una cooperativa, di cui poi diventerà dirigente, che verrà trasformata in seguito in società per azioni per evitare che fosse fascistizzata. Durante il ventennio fascista rimane a Torino, patendo continui arresti e persecuzioni (l'amico Pietro Ferrero fu ucciso selvaggiamente dai fascisti il 18 dicembre 1922). Dopo l'8 settembre 1943 prende parte attiva alla resistenza: è arrestato nell'ottobre 1944 e poi rilasciato grazie a uno scambio di prigionieri.

    L'attività nel secondo dopoguerra

    Finita la guerra, continua ancora a portare avanti il suo pensiero partecipando alla riorganizzazione del movimento anarchico libertario piemontese e ricostituendo la Scuola Moderna, che pur svolgendo una intensa attività culturale con l'organizzazione di diverse conferenze sui più svariati temi, non avrà più quel carattere formativo dei militanti che aveva avuto in passato. Dirigente dell'ANPPIA  sino alla fine, Garino muore a Torino nell'aprile del 1977.

    Garino e Gramsci

    Ambedue sardi, condividono insieme le esperienze delle occupazioni delle fabbriche; Gramsci esprime giudizi più che lusinghieri nei confronti degli anarchici  e di Garino soprattutto: «... poiché concepiamo il Consiglio di fabbrica come l'inizio storico di un processo che necessariamente deve condurre alla fondazione dello Stato operaio, l'atteggiamento del compagno Garino, libertario, sindacalista, era una riprova della profonda persuasione sempre nutrita che nel processo reale rivoluzionario tutta la classe operaia spontaneamente trova la sua unità pratica e teorica, che ogni operaio, in quanto sincero rivoluzionario, non può che essere portato a collaborare con tutta la classe allo svolgimento di un compito che è immanente nella società capitalistica è non è affatto un fine che viene proposto liberamente dalla coscienza e dalla volontà individuale».

    Bibliografia

    Scritti di Maurizio Garino

    • L'occupazione delle fabbriche nel 1920, «Era nuova», 1° apr. 1950;
    • L'incendio della Camera del Lavoro di Torino (1922), in Dall'antifascismo alla resistenza. Trenta anni di storia italiana, Torino 1961.

    Scritti su Maurizio Garino

    • Pier Carlo Masini, Anarchici e comunisti nel movimento dei Consigli a Torino, Torino 1951;
    • G. Lattarulo – R. Ambrosoli, I consigli operai. Un'intervista con il compagno Maurizio Garino, «A», apr. 1971;
    • M. Antonioli, B. Bezza, La Fiom dalle origini al fascismo, 1901-1924, Bari 1978;
    • M. Revelli, Maurizio Garino: storia di un anarchico, «Mezzosecolo», n. 4, 1980/82.

     

     


    Francesco Ghezzi (Cusano Milanino, 4 ottobre 1893 - gulag di Vorkuta, Russia, 3 agosto 1942) è stato un sindacalista dell'Unione Sindacale Italiana. 

    Biografia

    Francesco Ghezzi nasce il 4 ottobre 1893 a Milano, figlio di una famiglia operaia.

    Giovane anarco-sindacalista

    Inizia a lavorare a sette anni e a 16 si accosta alle idee anarchiche. Tra il 1914 e il 1921, in qualità di membro dell'Unione Sindacale Italiana (USI), partecipa attivamente alla protesta politica e alle lotta anti-imperialiste. Nel luglio 1917, per evitare la chiamata alle armi, oltrepassa il confine di Luino e ripara a a Zurigo. Qui, impiegato come tornitore e pulitore d'argento, frequenta gli ambienti rivoluzionari del fuoriuscitismo che ruotano intorno alla Libreria internazionale. Nel frattempo la polizia italiana lo annota come «agente dell'Austria con l'incarico di esplicare propaganda disfattista».

    Il 29 novembre 1918 viene arrestato e imprigionato (assieme a Mario Castagna, Giacomo Magni, Eugenio Giuseppe Macchi, Angelo Pozzi e Carlo Restelli) per aver organizzato e partecipato all'insurrezione di Zurigo, ma viene rilasciato anche grazie ad un'intensa campagna di stampa che gli esprime solidarietà. Essendo non colpevole, gli viene riconosciuta un'indennità di 600 franchi, ma poi viene ugualmente espulso dal paese.

    In esilio: Russia, Germania e di nuovo Russia

    Rientrato in Italia, dopo l'attentato di Bruno Filippi al Teatro di Milano del 1921, la repressione anti-anarchica lo costringe alla fuga in Russia, dove, sempre come delegato dell'USI, partecipa all'internazionale sindacale Profintern (Internazionale Rossa dei Sindacati del Lavoro); il rapporto tra gli anarco-sindacalisti e i leader comunisti sono molto tesi, il Profintern nega ogni autonomia al sindacato e gli arresti sono abbastanza numerosi. Grazie alla protesta formale da parte di Emma Goldman e Alexander Berkman, Ghezzi ed altri compagni vengono rilasciati.

    Nel 1922 si reca in Germania e partecipa alla costituzione dell'AIT-anarcosindacalista. Arrestato in Germania, il governo italiano ne chiede l'estradizione per terrorismo, ma una massiccia campagna di solidarietà organizzata dall'avvocato Michel Frenckel gli evita la galera italiana, anche grazie al Ministro degli Esteri russo Narkomindel che certificherà la sua cittadinanza russa. Tra il 1923 e il 1926 lavora in una comunità agricola di Jalta (Russia) e sviluppa contatti con anarchici stranieri. Nel 1926 va a lavorare a Mosca come operaio, mantenendo i contatti con il movimento anarchico che operava in condizioni di semiclandestinità. Diventa amico in particolare di Nikolaj Lazarevic e Pierre Pascal.

    Con il filosofo Alexei Borovoi si unisce al gruppo del museo Kropotkin, che rimarrà attivo sino al 1928 e da cui sorgeranno due tendenze: gli ideologi e gli anarcomistici guidati da Alexei Solonovitx. Alcuni fuoriusciti dal Museo Kropotkin fondano una nuova sezione della Croce Nera Anarchica; Ghezzi si occupa della gestione delle donazioni provenienti dall'estero. Tra il 1929 e il 1930, come risultato di una nuova ondata di arresti, l'anarchico milanese è accusato di attività controrivoluzionarie e di essere un «agente dell'ambasciata fascista»; il 31 maggio 1929, vittima della repressione sovietica dell'autocrate Stalin, viene internato per tre anni a Suzdal', dove si ammala di tubercolosi rischiando la morte: alcuni amici e compagni (Nikolaj Lazarevic, Luigi Fabbri, Piere Monatte, Ugo Fedeli, Panaït Istrati, Boris Souvarine e Jacques Mesnil) presentano allora una petizione in Francia e Svizzera , firmata pure da Romain Rolland, ma i sovietici rispondono ancora una volta che Ghezzi è una spia dell'ambasciata fascista.

    La militanza anarchica durante lo stalinismo

    Grazie all'insistente campagna di solidarietà, nel 1931, dopo essere stato mandato in esilio in Kazakistan, Ghezzi viene rilasciato con l'obbligo di rimanere in Unione Sovietica. Ritornato a Mosca, riprende il suo lavoro di operaio, si diploma all'Istituto Tecnico e si sposa con Olga Gaake. Da quest'unione nasce una figlia, Tat'jana. Nella capitale sovietica continua l'attivismo anarchico e mantiene i contatti con l'estero, fornendo la sua casa come rifugio agli antistalinisti russi ricercati dalla polizia segreta. Nel 1933, tramite la Croce Rossa Politica, si impegna per il rilascio del trotzkysta Gurevich e aiuta la moglie esiliata di Victor Serge, Liobov Rusakova-Kibaltxitx. Nel 1936 chiede ripetutamente di essere inviato come volontario nella guerra di Spagna, ma i permessi gli vengono negati nonostante la CNT avesse chiesto direttamente a Stalin di permettere a Ghezzi e ad altri prigionieri politici (es. Otello Gaggi, Herman Sandormirski...) di unirsi a loro nelle lotte contro i franchisti.

    Il 5 novembre 1937 è arrestato nuovamente con la solita accusa di attività controrivoluzionaria nei luoghi di lavoro e di essere un sostenitore del nazismo. Le indagini durano circa un mese, durante il quale Ghezzi respinge tutte le accuse, compresa quella di essere filotrotskista. Fino alla sentenza di colpevolezza resta a Lubianka, prigione interna della NKVD.

    Il gulag e la morte

    Il 3 aprile 1939 il comitato speciale dell'NKVD lo condanna ad un anno di lavori forzati e due settimane dopo viene inviato nel gulag di Vorkuta (oltre il circolo Polare Artico), nonostante i medici gli avessero diagnosticato la tubercolosi. Nel 1943, un'altra sentenza dell'NKVD gli prolunga la detenzione, ma sarà del tutto inutile perché Francesco Ghezzi muore il 3 agosto 1942 (Vorkuta, Komi, Russia).

    La riabilitazione postuma

    Nel 1956, su richiesta della moglie Olga Gaake, Nikita Khruscov accetta di riaprire il caso riguardante Ghezzi e si stabilisce che le sue confessioni e le le testimonianze contro di lui furono estore con la tortura. Il 21 maggio 1956 un tribunale di Mosca dichiara che «le prove a suo carico erano insufficienti», Ghezzi viene di fatto riabilitato e cade l'accusa di essere un controrivoluzionario. 

    Il 28 settembre 1994, la Procura di Mosca riconobbe «vittima di repressioni politiche» anche la figlia di Ghezzi, Tat'jana Ghezzi Stepanova.



     





    Nella Giacomelli (Lodi, 2 luglio 1873 - Desenzano, 12 febbraio 1949) è stata un anarchica e una propagandista italiana. 

    Biografia

    Nella Giacomelli nasce a Lodi il 2 luglio 1873, seconda dei tre figli di Paolo, un repubblicano laico e anticonformista, e di Maria Baggi, monarchica e cattolica. Rimasta orfana per il suicidio del padre, già separatosi dalla moglie, malgrado le difficoltà economiche della famiglia riesce a diplomarsi maestra di scuola insieme alla sorella Fede. È compagna di classe della futura poetessa e scrittrice Ada Negri, della quale rimarrà sempre intima amica.

    Il socialismo

    Tra il 1892 e il 1897 insegna nel comasco e nel varesotto, e aderisce al Partito socialista, collaborando alla rivista «La Vita internazionale» e al giornale socialista di Lodi «Sorgete!», dove difende la causa dell'emancipazione femminile e dei diritti delle lavoratrici. Ma pochi anni dopo la conoscenza di Giuseppe Ciancabilla gioca un ruolo essenziale per il suo passaggio all'anarchismo.

    Nella, ragazza intelligente, insofferente del conformismo e delle tradizioni, aperta alle novità, nel 1894 abbandona la casa familiare per divergenze con la madre - definita da Pier Carlo Masini «tetra, gretta, assoluta, preoccupata solo del denaro» - e nel 1897, a seguito di contrasti con le autorità comunali di Cocquio, dove insegna, si licenzia e si trasferisce a Milano. Intrattiene stretti rapporti epistolari con i socialisti Emilio Trampolini e Carlo Dell'Avalle e sviluppa una relazione con il socialista Giovanni Suzzani.

    L'incontro con Ettore Molinari

    Dopo un tentativo di suicidio nel 1898, i cui motivi non sono mai stati chiariti, nel 1900 è ospitata presso la casa dell'anarchico Ettore Molinari, allora direttore della Scuola e del Laboratorio di chimica della Società d'incoraggiamento di Arti e Mestieri. Con lui e Straneo, nel 1902, è promotrice e redattrice de «Il Grido della Folla», diretto da Giovanni Gavilli prima e Oberdan Gigli.

    La sua vita privata è però per lei foriera di grandi preoccupazioni: nel 1903 scrive una lettera proprio a Gigli in cui gli dichiara il proprio amore, ma anche di aver perso una figlia (motivo del suicidio?) e di essere sul punto di diventare l'amante di Ettore Molinari. In realtà in casa di Ettore Molinari si occupa di accudire la figlia, cosa che farà anche dopo la morte di questi nel 1926.

    Conduce una vita ritirata e raramente partecipa ad iniziative pubbliche, collaborando però all'attività scientifica di Molinari (professore di chimica dal 1904 alla Bocconi e poi al Politecnico), alla pubblicazione di periodici anarchici e all'educazione dei figli di Molinari. In questa fase alterna periodi di intensa attività a periodi di depressione in cui si auto isolava. Di tanto in tanto scrive firmandosi con lo pseudonimo di "Ireos", qualche volta partecipa pure a convegni sull'amore libero, sulla questione femminile in genere (inizialmente mostrò scarsa simpatia per le prime femministe) e sulle colonie anarchiche.

    Desiderosa di sperimentare la vita comunitaria, nel 1905 si reca presso la comune comunista L'Essai di Aiglemont, nelle Ardenne francesi. Terminata l'esperienza scrive un saggio a puntate molto critico, pubblicato in seguito su «La Protesta Umana» e poi trasformato in un opuscolo.

    Contrasti con gli anarchici

    Anarchica individualista, insieme a Molinari è spesso accusata dai suoi compagni di eccessiva rigidità e di non comprendere le difficoltà quotidiane che vive la maggior parte delle persone. Spesso si scontra con gli anarchici che di volta in volta si succedono alla direzione de «Il Grido della Folla», ovvero Libero Tancredi , Gennaro D'Andrea e Giovanni Gavilli. Nel 1906 si verifica la rottura tra Giovanni Gavilli e i cosiddetti "tetrarchi" del giornale (Molinari, Giacomelli, Riccioti Longhi e Manfredi), che porta questi ultimi a fondare «La Protesta Umana», mentre «Il Grido della Folla», passato in gestione a Gavilli, cesserà in breve tempo le pubblicazioni.

    Nel 1908 Giacomelli e Molinari offrono la direzione del nuovo giornale a Paolo Schicchi, ma ben presto si dovranno ricredere per via degli insanabili contrasti che si ingenereranno e che culmineranno in violento pamphlet accusatorio di Schicchi contro la Giacomelli: La degenerazione dell'anarchismo. A questo scritto risponderà "Epifani" (Ettore Molinari) e "Ireos" (Nella Giacomelli) con Un triste caso di ribellismo anarchico (1909). 

    Dopo la partenza dell'anarchico siciliano Schicchi, Giacomelli e Molinari individuano in Giuseppe Monnanni, editore anarchico aretino già direttore di «Vir» (rivista anarchica d'arte), e nella sua compagna Leda Rafanelli, due possibili e validi collaboratori.

    Terminata l'esperienza de «La Protesta Umana», che cessa le pubblicazioni nel 1909, vive in una sorta di isolamento, che nel 1915 la porta a scrivere a Cesare Agostinelli: «Da vari anni, vivo appartata e ho tagliato, si può dire, i ponti fra me e i compagni. Non vado più alle loro riunioni, né loro vengono da me [...] Il fatto vergognoso di Schicchi, mi ha addirittura messo in un tale allarme contro i compagni, che io temo sempre d'imbattermi in qualche farabutto».

    In prossimità della guerra, e dopo gli eventi insurrezionali della settimana rossa, Nella Giacomelli, dietro il nuovo pseudonimo "Petit Jardin", critica le pozioni guerrafondaie di alcuni anarchici (tra cui l'amico Gigli), ribadendo la vocazione internazionalista degli anarchici. In questo periodo, pur mantenendo le sue peculiarità antiorganizzatrici, si avvicina agli organizzatori, come testimoniano le sue relazioni epistolari con Cesare Agostinelli e Luigi Fabbri, e esprime sui giornali «Volontà» e «Abbasso la guerra!» le sue posizioni di pacifismo intransigente, che rifiuta la difesa della "patria" anche in caso di invasione straniera.

    Durante il conflitto bellico è arrestata nel 1916 in piazza del Duomo (Milano) a causa di un tentativo dimostrativo antimilitarista. L'intercettazione di una sua lettera (firmata "Ireos") e di un manifesto antimilitarista che incita le donne a manifestare contro la guerra il 1° maggio 1916 le costa il “rimpatrio” a Lodi, trasformato poi in diffida «da ogni forma di propaganda contro la guerra».

    Sarà comunque una delle prime ad esprimere la propria solidarietà con la rivoluzione russa. Nel 1917 collabora al giornale «Cronaca Libertaria» (Milano, 14 numeri da agosto a novembre 1917), pubblicato da Leda Rafanelli e Carlo Molaschi. 

    D'accordo con Luigi Fabbri, nel 1917 manifesta perplessità  di fronte alla possibilità che gli anarchici partecipino alla cosiddetta 3° Zimmerwald, conferenza internazionale dei partiti socialisti da tenersi a Stoccolma ma che mai si terrà 

    Il primo dopoguerra: Umanità Nova

    Nell'immediato dopoguerra collabora al numero unico di «Guerra e Pace» (Milano, 22 febbraio 1919) , ma nel frattempo le divisioni con gli ex-interventisti si sono acuite enormemente:

    «C'è un abisso tra noi, Oberdan; tu hai rinnegato il tuo sogno giovanile, ed io lo sogno più ardentemente che mai; [...] Come possiamo ancora comprenderci? Meglio dimenticarci» (Lettera indirizzata ad Oberdan Gigli).

    Nel 1919 si ributta a capofitto nell'attivismo anarchico partecipando con il solito Molinari (ufficialmente come sua sorella) al convegno fiorentino dell'Unione Comunista Anarchica Italiana. Con la frequentazione di figure come Mario Senigalliesi ed Emilio Spinaci, in quell'anno nasce l'idea della pubblicazione di un quotidiano anarchico, Umanità Nova, che la porterà entusiasticamente a scrivere:

    «Umanità Nova, meta suprema di tutte le nostre lotte e dei nostri dolori, noi ti adottiamo come simbolo luminoso d'una visione vivente, e ti innanziamo al di sopra di tutte le folle, verso tutti i cuori, faro e bandiera di luce e libertà» («Iconoclasta», 25 luglio, Pistoia) .

    Il progetto di Umanità Nova fornisce a Nella nuovo entusiasmo: stringe rapporti epistolari con Malatesta e quando questi alla fine del 1919 sbarcherà a Taranto di rientro dall'esilio inglese, sarà proprio a Nella Giacomelli che Errico Malatesta telegraferà. Sul primo numero del nuovo giornale annuncia ironicamente la morte di “Petit Jardin” , i suoi scritti sono dapprima quotidiani e poi via via sempre più radi e intrisi di un pessimismo che sembra nuovamente far breccia nel suo animo. Auspica non la rivoluzione, ma la fine del mondo, scettica com'è sulla possibilità che gli esseri umani possano finalmente cambiare . È critica con il movimento anarchico, convinta com'é che «si creano dei ribelli ma non si formano degli anarchici», non ponendo quindi le basi per la costituzione di una società veramente libertaria.

    L'ultimo periodo

    Dopo essere stata amministratore delegato della società del giornale, lascia l'incarico e contemporaneamente smette anche la collaborazione del giornale . Nonostante l'abbandono di Umanità Nova, il giudice Carboni nel febbraio 1921 la include tra gli indagati per «cospirazione contro i poteri dello stato», che vede coinvolti i principali redattori di Umanità Nova (Errico Malatesta, Armando Borghi, Corrado Quaglino ecc.).

    Assolta il 25 marzo 1921, è nuovamente denunciata dopo la strage del teatro Diana di Milano per «associazione a delinquere», accusa da cui verrà scagionata il 1° maggio seguente. Nei due anni seguenti, dopo il trasferimento di Umanità Nova a Roma, collabora alla rivista milanese «Pagine Libertarie» di Carlo Molaschi "Inkyo" e "vice Rudel" (Rudel era lo pseudonimo di Henry Molinari). Morto Ettore Molinari (Milano, 9 novembre 1926), è accusata di aver stretto rapporti con Camillo Berneri, a sua volta sospettato di aver sostenuto Gino Lucetti nel suo tentativo di uccidere Mussolini, e quindi arrestata nel 1928 insieme a Libero ed Henry Molinari, figli di Ettore.

    In favore dei tre interviene l'eterno amico Oberdan Gigli - con cui Nella aveva mantenuto buoni rapporti d'amicizia nonostante le sostanziali divisioni sul modo di intendere l'anarchia - che si rivolge ad Ada Negri, ex-socialista convertita al fascismo, con l'intento che ella chieda giustizia «a chi solo può superare le difficoltà delle leggi», cioè allo stesso Mussolini. Liberati i tre tra la fine di agosto e l'inizio di settembre dello stesso anno, Nella si ritira a Rivoltella del Garda (frazione di Desenzano), presso la villa Molinari, apparentemente senza più interessarsi di politica.

    Caduto il fascismo e avviatasi l'Italia repubblicana, Nella Giacomelli muore a Desenzano il 12 febbraio 1949.

    Note


  • Massimo Rocca (1884-1973), conosciuto come Libero Tancredi, prima fu anarchico, poi aderì al fascismo.

  • Dictionnaire des militants anarchistes

  • Lettera di “Petit Jardin”, «Cronaca libertaria», 17 agosto 1917

  • La Conferenza di Zimmerwald fu una conferenza internazionale dei partiti socialisti. La prima conferenza di Zimmerwal si tenne dal 5 all'8 settembre 1915 in Svizzera per iniziativa italiana ed elvetica

  • Sulla tomba di Petiti Jardin, 26-27 febbraio 1920

  • Permettete, 1 marzo 1920

    1. "Petit Jardin", Il giudice Cappone, ovverosia: le farse della giustizia, Milano, 1921, pag. 60-63

    Scritti

    • Per una scuola moderna, Milano 1907
    • Una colonia comunista, prefazione di Oberdan Gigli, Milano, Biblioteca della Protesta Umana, 1907
    • Una colonia libertaria nelle Ardenne, s. l. d.
    • Un triste caso di libellismo anarchico. Risposta ad un turpe libello di Paolo Schicchi (con Ettore Molinari), Milano, Tipografia Enrico Zerboni, 1909
    • Fattori economici pel successo della rivoluzione sociale, 1920
    • Il giudice Cappone ovverosia Le farse della Giustizia. Fantasia esquimese in tre periodi con Epilogo Milanese, Milano, Libreria di Umanità Nova, 1921
    • Meteore Rosse. Dramma in tre atti, Milano, Libreria Editrice Tempi Nuovi, 1922
    • Il sistema Alker di allevamento dei bachi, prefazione di Ettore Molinari e due appendici a cura del sig. Alker di Desenzano, Milano, Casa Editrice Bietti, 1927

    Fonti e Bibliografia

    • Archivio centrale dello Stato, Roma, Casellario politico centrale, Nella Giacomelli
    • Archivio di Stato di Milano, Fondo Questura, cartella 89
    • E. Santarelli, Giacomelli Nella, in AA. VV., La questione femminile in Italia dal '900 ad oggi, Milano, Franco Angeli 1979
    • P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani nell'epoca degli attentati, Milano, Rizzoli 1981
    • Maria Antonietta Serci, Nella Giacomelli, in Dizionario biografico degli italiani, Volume LIV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 2000
    • M. Antonioli, Nella Giacomelli, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 700-703

     


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