A N A R C H I C I & A N A R C H I A
GABRIELE, Biagio,Nasce
ad Acri (Cs) il 1° giugno 1895 da Michele e Teresa Petrone,
contadino-barbiere-vagabondo. Nel 1922 G., segnalato anche come Biagio
Gabriele Petrone o Petrono, emigra negli Stati Uniti, venendone espulso
per cattiva condotta dopo circa dieci anni. Tornato in patria, risiede
per qualche tempo a San Giorgio Albanese (Cs), ma già nel febbraio 1934
la polizia fascista apprende da fonte confidenziale che si è recato a
Nizza per parlare con alcuni anarchici italiani fuorusciti. Il 10
dicembre di quell’anno si presenta privo di documenti al Consolato
italiano a Barcellona affermando di essere entrato clandestinamente in
Spagna via Port Bou 8 giorni prima in cerca di lavoro; il 16 successivo
viene arrestato a Terragona perché privo di documenti e di mezzi e per
sospetta connivenza con anarchici spagnoli, venendo quindi espulso ai
primi del gennaio 1935 e iscritto in «Rubrica di frontiera» per il
provvedimento di fermo. Ma G. non si arrende. Rientrato nuovamente in
Spagna dal Portogallo, ai primi di marzo viene arrestato per infrazione
al decreto di espulsione; contemporaneamente il nostro Consolato a
Barcellona riferisce alle autorità italiane che G. è ricercato dalla
polizia francese per mancato omicidio commesso in Montpellier il 13
novembre 1934. Dopo avere espiato la condanna nella casa di lavoro di
Alcalá de Henares (dove era ancora detenuto nel dicembre 1935), alla
fine di aprile del 1936 viene tradotto in Francia e consegnato alla
gendarmeria; dopo avere scontato sei mesi di carcere, viene espulso
anche dalla Francia e rimpatriato a San Giorgio Albanese. In seguito la
polizia perde le sue tracce. L’ultima notizia risale al maggio 1939,
quando il Ministero degli Esteri telegrafa a quello dell’Interno: «L’8
marzo u.s. trovavasi ancora a Valencia il connazionale Biagio Gabriele
Petrono… unitamente alla moglie, spagnola, Celestina Hernandez Lopez,
nata a Rorralba (Terruel) il 23 aprile 1915. Il predetto chiese ed
ottenne dalla polizia rossa di Valencia il passaporto per il Messico
(via Francia), allo scopo di allontanarsi prima dell’occupazione della
città da parte dei Nazionali. Gli accertamenti sinora praticati hanno
portato a stabilire che il Petrono era iscritto alla C.N.T. ed alla
F.A.I. Inoltre, nei primi tempi della rivoluzione, si era dedicato con
particolare accanimento a denunziare tutti coloro che sapeva iscritti
alla Falange e si vantava di avere ucciso o fatto uccidere parecchie
persone “per giustizia sociale e diritto”». Si ignorano luogo e data di
morte. (k. Massara)
GABRIELLI, Diomede,
GAGLIARDI, Antonio Nasce
a Biogno Breganzona (Ticino - Svizzera) il 15 maggio 1866 da Luigi e
Teresa Boffa, commerciante in vini. Di famiglia patrizia di Biogno,
studia all’istituto Landriani di Lugano e già dal 1885 frequenta
l’ambiente anarchico luganese, in cui conosce numerosi esuli italiani.
Titolare di una ditta di vini a Melide, con l’arrivo a Lugano nel 1890
di Francesco Cini e Mario Paoletti li associa alla propria attività e
costituisce con loro, Isaia Pacini e Attilio Panizza il nucleo base del
gruppo anarchico luganese. Partecipa all’organizzazione del Congresso di
Capolago (gen. 1891) e nell’occasione conosce Amilcare Cipriani, F.S.
Merlino, E. Malatesta, E. Molinari e P. Gori. È tra i fondatori e i
membri del Comitato direttivo del Circolo “Humanitas”, costituito nel
febbraio 1891 che cela, “sotto le apparenze di una società istruttiva,
una sezione del nuovo partito anarchico creato a Capolago” (Binaghi, p.
503). Dopo l’uccisione di Sadi Carnot viene indicato dalla stampa
francese, insieme con Edoardo Milano, come il promotore delle conferenze
alla quali, nel suo soggiorno luganese (mar.-lug. 1893), Sante Caserio
“deve il delirio di assassinio che lo ha condotto alla ghigliottina”
(ivi, p. 575). Certo è che G., sempre con Milano, è il principale
referente degli anarchici italiani che sostano in Ticino. Nel 1894
gestisce con Arturo Boffa il caffé Rossini, abituale ritrovo
degli anarchici fino a che nel settembre dello stesso anno gli viene
intimato di “cessare le riunioni anarchiche” (ivi, p. 570). Legato a
Gori, dopo l’attentato di cui questi è oggetto il 15 settembre 1894, G. e
Panizza vengono notati, “armati di grossi bastoni”, svolgere una sorta
di servizio di vigilanza presso l’abitazione dell’avvocato anarchico.
Dopo l’espulsione di Gori e degli altri “cavalieri erranti”, la sua
attività politica subisce una pausa forzata. Nella seconda metà degli
anni Novanta conosce a Bellinzona Rosalia Fagandini, con cui va
a convivere. Con la compagna e la figlia di lei, Antonietta, si
trasferisce nella Svizzera tedesca, a Basilea e a Zurigo, sempre
commerciando in vini e sempre attivo nel movimento anarchico elvetico,
in contatto con L. Bertoni e per alcuni anni segretario dell’Ufficio di
corrispondenza per gli anarchici italiani in Svizzera. Rientrato in
Ticino negli ultimi anni del conflitto europeo, lavora prima in una
tenuta agricola e poi, nel 1921, apre a Bellinzona una ditta di vini con
Giuseppe Bonaria (1891-2 dic. 1930), che l’anno successivo sposa
Antonietta. Quando nel 1922, Bertoni si fa promotore di un convegno per
il cinquantesimo del Congresso di Saint-Imier, G., coadiuvato da Bonaria
e Giuseppe Peretti, nel settembre fa transitare clandestinamente
Malatesta, ancora colpito da un vecchio decreto di espulsione. Della
circostanza sono testimonianza alcune fotografie che ritraggono
Malatesta tra Bertoni e G. e con G. e Antonietta (cfr. G. Bottinelli).
Quando, durante il fascismo, gli anarchici elvetici realizzano una rete
di soccorso alla quale partecipano principalmente i gruppi basilesi,
zurighesi, ginevrini e ticinesi, G., con la compagna Rosalia, Carlo
Vanza, Clelia Dotta, Bonaria con Antonietta, Giuseppe Peretti, Franz
Moser e Savino Poggi aiutano molti fuorusciti a fuggire dall’Italia con
passaporti falsi o accompagnandoli clandestinamente dalle montagne del
Gambarogno per indirizzarli a Zurigo, Ginevra, Basilea. In ques’ultima
città, ad esempio, è attivo Ferdinando Balboni che aiuta gli esuli a
passare clandestinamente in Francia, mischiati agli operai di una cava
situata alla frontiera franco-elvetica. È presso la “famiglia Gagliardi”
che L. Fabbri, poi seguito dalla moglie e dalla figlia, trova
accoglienza dopo essere espatriato, nell’autunno 1926, lungo i sentieri
del contrabbando. Poco dopo, il 6 maggio 1927, G. muore a Locarno, dove
viene cremato. “Debbono essere migliaia i compagni sparsi per il mondo
che han conosciuto Antonio Gagliardi nei momenti più penosi e in cui più
si ha bisogno di un aiuto materiale e di una buona parola di
solidarietà”, scrive «Remember!», alla suo morte. (M. Antonioli – G.
Bottinelli)
GALASSO, Francesco Maria
GALEAZZI, Silvio
GAGLIARDI, Antonio Nasce a Biogno Breganzona (Ticino - Svizzera) il 15 maggio 1866 da Luigi e Teresa Boffa, commerciante in vini. Di famiglia patrizia di Biogno, studia all’istituto Landriani di Lugano e già dal 1885 frequenta l’ambiente anarchico luganese, in cui conosce numerosi esuli italiani. Titolare di una ditta di vini a Melide, con l’arrivo a Lugano nel 1890 di Francesco Cini e Mario Paoletti li associa alla propria attività e costituisce con loro, Isaia Pacini e Attilio Panizza il nucleo base del gruppo anarchico luganese. Partecipa all’organizzazione del Congresso di Capolago (gen. 1891) e nell’occasione conosce Amilcare Cipriani, F.S. Merlino, E. Malatesta, E. Molinari e P. Gori. È tra i fondatori e i membri del Comitato direttivo del Circolo “Humanitas”, costituito nel febbraio 1891 che cela, “sotto le apparenze di una società istruttiva, una sezione del nuovo partito anarchico creato a Capolago” (Binaghi, p. 503). Dopo l’uccisione di Sadi Carnot viene indicato dalla stampa francese, insieme con Edoardo Milano, come il promotore delle conferenze alla quali, nel suo soggiorno luganese (mar.-lug. 1893), Sante Caserio “deve il delirio di assassinio che lo ha condotto alla ghigliottina” (ivi, p. 575). Certo è che G., sempre con Milano, è il principale referente degli anarchici italiani che sostano in Ticino. Nel 1894 gestisce con Arturo Boffa il caffé Rossini, abituale ritrovo degli anarchici fino a che nel settembre dello stesso anno gli viene intimato di “cessare le riunioni anarchiche” (ivi, p. 570). Legato a Gori, dopo l’attentato di cui questi è oggetto il 15 settembre 1894, G. e Panizza vengono notati, “armati di grossi bastoni”, svolgere una sorta di servizio di vigilanza presso l’abitazione dell’avvocato anarchico. Dopo l’espulsione di Gori e degli altri “cavalieri erranti”, la sua attività politica subisce una pausa forzata. Nella seconda metà degli anni Novanta conosce a Bellinzona Rosalia Fagandini, con cui va a convivere. Con la compagna e la figlia di lei, Antonietta, si trasferisce nella Svizzera tedesca, a Basilea e a Zurigo, sempre commerciando in vini e sempre attivo nel movimento anarchico elvetico, in contatto con L. Bertoni e per alcuni anni segretario dell’Ufficio di corrispondenza per gli anarchici italiani in Svizzera. Rientrato in Ticino negli ultimi anni del conflitto europeo, lavora prima in una tenuta agricola e poi, nel 1921, apre a Bellinzona una ditta di vini con Giuseppe Bonaria (1891-2 dic. 1930), che l’anno successivo sposa Antonietta. Quando nel 1922, Bertoni si fa promotore di un convegno per il cinquantesimo del Congresso di Saint-Imier, G., coadiuvato da Bonaria e Giuseppe Peretti, nel settembre fa transitare clandestinamente Malatesta, ancora colpito da un vecchio decreto di espulsione. Della circostanza sono testimonianza alcune fotografie che ritraggono Malatesta tra Bertoni e G. e con G. e Antonietta (cfr. G. Bottinelli). Quando, durante il fascismo, gli anarchici elvetici realizzano una rete di soccorso alla quale partecipano principalmente i gruppi basilesi, zurighesi, ginevrini e ticinesi, G., con la compagna Rosalia, Carlo Vanza, Clelia Dotta, Bonaria con Antonietta, Giuseppe Peretti, Franz Moser e Savino Poggi aiutano molti fuorusciti a fuggire dall’Italia con passaporti falsi o accompagnandoli clandestinamente dalle montagne del Gambarogno per indirizzarli a Zurigo, Ginevra, Basilea. In ques’ultima città, ad esempio, è attivo Ferdinando Balboni che aiuta gli esuli a passare clandestinamente in Francia, mischiati agli operai di una cava situata alla frontiera franco-elvetica. È presso la “famiglia Gagliardi” che L. Fabbri, poi seguito dalla moglie e dalla figlia, trova accoglienza dopo essere espatriato, nell’autunno 1926, lungo i sentieri del contrabbando. Poco dopo, il 6 maggio 1927, G. muore a Locarno, dove viene cremato. “Debbono essere migliaia i compagni sparsi per il mondo che han conosciuto Antonio Gagliardi nei momenti più penosi e in cui più si ha bisogno di un aiuto materiale e di una buona parola di solidarietà”, scrive «Remember!», alla suo morte. (M. Antonioli – G. Bottinelli)
GALASSO, Francesco Maria
GALEAZZI, Silvio
Luigi Galleani (Vercelli, 12 agosto 1861 - Caprigliola, Aulla, Massa-Carrara, 4 novembre 1931) è stato un anarchico antiorganizzatore e propagandista italiano che visse lunghi periodi negli Stati Uniti. Fondatore del celebre giornale «Cronaca Sovversiva», è stato autore di molti libri, tra cui La fine dell'Anarchismo?.
Biografia
Luigi Galleani nasce a Vercelli il 12 agosto 1861 presso una famiglia della classe media (suo padre è un insegnante), che gli permette di svolgere il regolare corso di studi e anche di iscriversi all'Università di Torino per frequentare i corsi di Giurisprudenza.
L'anarchia
Accostatosi al pensiero anarchico attorno al 1880 proprio durante gli anni universitari, è costretto a riparare in Francia a causa del pericolo di arresto che corre in Italia proprio in quanto anarchico. Schedato come sovversivo anche in Francia, dopo l'espulsione dal paese transalpino si rifugia in Svizzera dove conosce Jacques Gross, Alexander Atabekian e il grande geografo anarchico Élisée Reclus, al quale fornisce il suo aiuto nella stesura della Nouvelle Géographie Universale. Avendo partecipato a Ginevra ad una manifestazione per la commemorazione dei Martiri di Haymarket, è ancora espulso, per questo ritorna in Italia, dove è arrestato e confinato a Pantelleria nel 1895. Dopo qualche anno riesce però ad evadere e a riparare in Egitto, nel 1900.
Il periodo americano
In Egitto rimase un solo anno e poi, a causa di una minaccia di estradizione, dovette andare a Londra e di qui negli USA, dove giunse nel 1901, poco dopo che l'anarchico polacco Leon Czolgosz aveva giustiziato il Presidente William McKinley. Luigi Galleani si reca nel New Jersey, fermandosi a Paterson, piccola città con una folta presenza di anarchici emigrati, specie dall'Italia. Immediatamente assume il ruolo di capo redattore della rivista anarchica, in lingua italiana, «La Questione Sociale». Durante una manifestazione di solidarietà con gli operai della seta di Paterson, nel 1902, viene ferito da un colpo di revolver sparato da un poliziotto, ma per assurdo è Galleani stesso a rischiare l'arresto, per questo emigra momentaneamente in Canada, tornando da clandestino negli USA l'anno seguente. Si stabilisce nel Vermont, a Barre, e qui fonda la rivista anarchica «Cronaca Sovversiva», diretta dallo scultore italianao Carlo Abate, disegnatore della testata del periodico e che si era stabilito nel Vermont alla fine del XIX secolo.
A causa di una polemica sviluppatasi sulla stampa con Giacinto Menotti Serrati, socialista (in seguito diverrà capo dei socialisti massimalisti) e redattore de «Il Proletario», editato a New York, gli organi di repressione statunitensi lo individuano e iniziano l'iter di estradizione dal New Jersey. Nel frattempo è anche processato per i fatti di Paterson, da cui viene assolto, contrariamente ad uno degli scioperanti che viene invece condannato alla pena capitale. In qualche modo riesce comunque a rimanere nel New Jersey, continuando la sua attività di pubblicista, che gli "permette" di entrare in polemica con le tesi di Francesco Saverio Merlino, l'anarchico italiano che per un certo periodo passò al partito socialista italiano. Questi nel 1907 aveva rilasciato un'intervista al giornale «La Stampa», il cui titolo enfatico era stato La fine dell'anarchismo. Luigi Galleani risponde e controbatte quanto asserito da Francesco Saverio Merlino con numerosi articoli in «Cronaca Sovversiva», da cui successivamente prenderà forma il libro La fine dell'Anarchismo?
Azione diretta contro le autorità
Galleani nel 1912 si sposta dal New Jersey al Massachusetts, a Lynn, dove prosegue la pubblicazione di «Cronaca sovversiva», avvalendosi della preziosa collaborazione di Raffaele Schiavina, e dalle cui pagine nel 1914 denuncia la guerra di rapina imperialistica, entrando in polemica con l'anarchico Kropotkin, in quel momento favorevole all'appoggio alla Triplice Intesa.
Non appena gli USA entrano in guerra nel 1917 avviene l'arresto di Luigi Galleani, con l'accusa di disfattismo, antipattriotismo, e la chiusura delle pubblicazione che curava. I gruppi che si rifacevano alle sue parole, tra cui dovrebbero esserci anche Sacco e Vanzetti, vwnivano allora considerati dalle autorità americane come i responsabili di una serie innumerevoli di attentati iniziati nei primi anni '10 e volti a contro uomini delle istituzioni e del capitalismo, colpevoli di aver organizzato la spietata repressione degli anarchici e dei proletari in lotta. In uno di questi (2 giugno 1919), diretto contro il procuratore Palmer, morì a causa della prematura esplosione della bomba l'ex-editore di «Cronaca Sovversiva» e collaboratore di Galleani Carlo Valdinoci.
Il 24 giugno 1919, dopo l'attentato contro la casa dell'"avvocato generale" Palmer ad opera di Carlo Valdinoci, Luigi Galleani viene espulso ed estradato in Italia, "grazie" all'introduzione della legge repressiva Anarchist Exclusion Act, senza che la moglie ed i 4 figli possano seguirlo . Con lui vengono espulsi otto suoi fedelissimi: Giovanni Fruzzetti (vero nome Giovanni Balloni, uno degli storici fondatori di Cronaca Sovversiva), Raffaele Schiavina, Giuseppe Solari, Tugardo Montanari, Vincenzo De Lecce, Alfonso Fagotti, Irma e Giobbe Sanchini.
Il ritorno in Italia
Luigi Galleani tornato in Italia si stabilisce a Torino, riprendendo a pubblicare «Cronaca Sovversiva», sempre con la collaborazione di Raffaele Schiavina, e combattendo i germi fascisti che cominciano ad insediarsi nella società italiana. Si conosce la sua azione di antifascista in Italia grazie alla testimonianza del comunista Francesco Leone, uno dei più coraggiosi capi degli Arditi del Popolo del Vercellese:
- «[...] Vedi, c'era un gruppo di anarchici. Qui c'era stato Luigi Galleani, che era stato in America e per un certo periodo poi era stato anche qui. Anzi, io credo che questo gruppo di anarchici si chiamasse il gruppo Galleani. E questo gruppo era composto da elementi molto decisi, molto decisi. Ricordo, per esempio, dopo quella lotta lì con i fascisti, io son sempre uscito tutte le sere, nonostante che ci fossero sempre scontri, una volta mi hanno anche sparato da un viale: a pochi metri di distanza non m'hanno preso. Ebbene, questi anarchici, a mia insaputa, dopo questo atto, si distribuivano la notte nei giardini proprio a mia difesa, senza che io neanche lo sapessi. [...]»
Con l'ascesa definitiva del fascismo, «Cronaca Sovversiva» viene soppressa e Galleani è condannato a quattordici mesi di carcere. La sua colpa è di aver pubblicato il 15 maggio 1920, un articolo intitolato Soldato, fratello! . Tornato in libertà collabora, dall'Italia, con la rivista statunitense «L'Adunata dei Refrattari», poi è nuovamente incarcerato nel 1926 e mandato al confino a Lipari. In seguito è nuovamente incarcerato per sei mesi presso il penitenziario di Messina a causa di una serie di insulti diretti contro Mussolini. Viene liberato per motivi di salute all'inizio del 1930 e inviato al soggiorno obbligato nel paesino di Caprigliola, vicino ad Aulla, dove muore l'anno seguente, il 4 novembre, per un attacco cardiaco.
Pensiero e azione
Pensiero
Luigi Galleani sviluppa un pensiero anarco-comunista fortemente antiorganizzatore, influenzato dall'approccio scientifico e naturalista dato all'anarchismo da Reclus e Kropotkin, che lo porta a sostenere che «il comunismo è semplicemente la fondazione economica con la quale l'individuo usufruisce dell'opportunità di autogestirsi e fare le sue funzioni» (da La Fine dell'Anarchismo?). Come Giuseppe Ciancabilla, pur essendo antiorganizzatore, non è un individualista giacché riconosce la funzione storica e rivoluzionaria del proletariato, ritenendo che gli anarchici non necessitino di un'organizzazione stabile, politica (federazione anarchica) e/o, sindacale. Galleani, che abbraccia una particolare corrente definibile come «comunismo-anarchico antiorganizzatore», pensa che gli esseri umani siano intrinsecamente e naturalmente portati ad associarsi non gerarchicamente, per questo rifiuta ogni tendenza verso la delega, il centralismo e la burocrazia, che sono gli equivalenti del parlamentarismo e del governo.
L'attività propagandistica di Galleani è riconosciuta anche da Malatesta che in Il comunismo anarchico scrive: «La fine dell'Anarchismo? di Luigi Galleani... [è] in sostanza una esposizione chiara, serena ed eloquente del comunismo anarchico, secondo la concezione kropotkiniana: concetto che io personalmente trovo eccessivamente ottimista, troppo semplice e confida nelle armonie naturali, ma ciò non gli ha impedito di dare il più grande contributo alla diffusione dell'anarchismo» .
L'azione diretta dei galleanisti
Intorno alla carismatica figura di Galleani e alla propaganda di «Cronaca sovversiva» si costituirono gruppi informali dediti all'azione diretta. Si ritrovavano in circoli e gruppi dai nomi che erano tutto un programma - Autonomia, Demolizione, Gli Insorti, 11 novembre (data dell'esecuzione dei martiri di Chicago), 29 luglio (data in cui Gaetano Bresci uccise Umberto I) - molto spesso per approfondire la conoscenza tra i vari militanti organizzavano feste di ballo, pic-nic, lotterie e giostre, nel corso delle quali altrettanto spesso si raccoglievano fondi per i compagni in carcere, in difficoltà o in attesa di processo. Esistevano anche piccole compagnie teatrali che mettevano in scena seguitissimi spettacoli sulla storia e i principi dell'anarchia. Ma non era tutto rose e fiori, spesso tra i vari gruppi insorgevano divergenze importanti sulle modalità d'azione e altrettanto spesso era lo stesso Galleani ad essere pesantemente criticato.
I nomi che maggiormente sono stati legati a questo modo di intendere l'anarchismo sono: Mario Buda, Carlo Valdinoci, Frank Abarno, Gabriella Segata Antolini, Pietro Angelo, Luigi Bacchetti, Carmine Carbone, Andrea Ciofalo, Efisio Zonchello, Ferruccio Coacci, Emilio Coda, Alfredo Conti, Nestor Dondoglio, Roberto Elia, Luigi Falzini, Frank Mandese, Riccardo Orciani, Nicola Recchi, Sacco e Vanzetti, Giuseppe Sberna, Andrea Salsedo, Raffaele Schiavina ed altri.
Nonostante genericamente si definisca come galleanismo tutto quel movimento che ruotava intorno a Cronaca Sovversiva, esso non era affatto un movimento omogeneo. In generale, essi pensavano che attraverso la propaganda col fatto, la penna e la voce fosse possibile fornire alle masse gli strumenti per insorgere nei confronti della repressione di Stato indirizzata contro immigrati e anarchici, dal quale poi eventualmente far scoppiare la rivoluzione sociale. Nel 1905 Galleani stampò e diffuse un opuscolo dal titolo La salute è in voi!, nel quale si spiegava come fabbricare bombe artigianali ) ed attaccare così i gangli vitali dello Stato.
Gli storici ritengono che i seguaci di Galleani cominciarono i loro attacchi dinamitardi nel 1914. Essi furono coinvolti in almeno due attentati a New York, uno dei quale progettato contro John D. Rockefeller per il 4 luglio ma che non andò in porto e causò la morte di Arthur Caron a causa della prematura esplosione della dinamite. Il 14 novembre 1914, una bomba fu collocata agli uffici del Magistrato Campbell, che aveva condannato un anarchico per incitamento alla rivolta. Nel gennaio del 1915, la polizia aveva scoperto un complotto volto a far saltare in aria la Cattedrale di San Patrizio di New York, e una copia di La Salute è in voi! fu trovato a casa di un sospetto. Nel 1916 il cuoco anarchico Nestor Dondoglio fu accusato di aver avvelenato il cibo destinato ad un centinaio di personalità dell'industria, commercio e politica riunitisi in un ristorante. Il 6 dicembre seguente, Alfonso Fagotti fu arrestato per aver accoltellato un poliziotto durante una sommossa in North Square di Boston.
La posizione intransigente dei galleanisti veniva sostenuta dal giornale «Cronaca Sovversiva» ed era in contrapposizione a quella portata avanti dal giornale di Carlo Tresca Il Martello, che invece era fautore di un anarchismo meno radicale e più possibilista ai compromessi con gruppi non necessariamente anarchici.
Ad ogni modo gli attentati nel paese si susseguirono numerosi, anche se non tutti quelli attribuiti ai galleanisti furono effettivamente opera loro. A fine aprile del 1919, almeno 36 trappole con bombe a dinamite vennero inviate per posta a diversi politici e funzionari vari . Gli ordigni, nelle intenzioni dei galleanisti, avrebbero dovuto giungere a destinazione in occasione delle celebrazioni del primo Maggio, ma la maggior parte furono intercettate e disinnescate prima che potessero esplodere.
Altri attentati ci furono il 2 giugno 1919, quando esplosero quasi simultaneamente ben otto bombe in otto differenti città statunitensi. La bomba diretta al Procuratore Palmer esplose prematuramente uccidendo Carlo Valdinoci, un ex-editore della «Cronaca Sovversiva» e collaboratore di Galleani. Ogni ordigno veniva accompagnato da un volantino intitolato «Parole semplici» (Plain words), spesso recante il seguente contenuto:
- « La guerra, lo scontro di classe e voi siete stati i primi a portarci sotto le ali delle potenti istituzioni che voi chiamate ordine, nell'oscurità delle vostre leggi. Dovrà scorrere sangue; non ci faremo abbindolare; ci dovranno essere degli omicidi; noi uccideremo, perché è necessario; ci dovrà essere distruzione; noi distruggeremo per liberare il mondo dalle vostre tiranniche istituzioni. »
Il volantino condurrà gli investigatori sulle tracce di due anarchici, Andrea Salsedo e Roberto Elia, che furono arrestati e sottoposti a torture che spinsero Salsedo al suicidio.
Note
- Paul Avrich, Sacco and Vanzetti: The Anarchist Background, Princeton University Press, 1991,
Bibliografia
- La salute è in voi! (Health is in you!)
- Luigi Galleani, Faccia a faccia col nemico (Face to Face with the enemy), Edizione del Gruppo Autonomo, East Boston, Massachusetts, 1914
- Luigi Galleani, La fine dell'anarchismo?, Biblioteca de L'Adunata dei Refrattari, Newark, New Yersey, 1925 (edizione curata da vecchi lettori di Cronaca Sovversiva)
- Luigi Galleani, Figuri e figure (Men and mugs. A book of pen sketches), Biblioteca de L'Adunata dei Refrattari, Newark, New Yersey, 1930
- Luigi Galleani, Aneliti e singulti, Biblioteca de L'Adunata dei Refrattari, Newark, New Yersey, 1935
- Luigi Galleani, Una battaglia, Biblioteca de L'Adunata dei Refrattari, Newark, New Yersey, 1947
- Luigi Galleani, The end of anarchism?, Cienfuegos Press, Minneapolis, Minnesota, 1982 (tradotto da Max Sartin e Robert D'Attilio, con l'introduzione di M. S. Orkney)
Giornali
- Cronaca Sovversiva
- A Stormo!
- La Questione Sociale
Luigi Galiani e Maria Rallo
Angelo Galli (1883 - Milano, 10 maggio 1906) è stato un anarchico e sindacalista italiano.Biografia
La vicenda umana e politica di Angelo Galli è ancora tutta da indagare. Fu un attivo agitatore sindacale, tanto che il giornale anarchico La Protesta Umana lo definì «un grande signore dell'ideale, un'anima pulsante col dolore del mondo [...] smanioso d'azione».
In seguito ad un gravissimo episodio di repressione verificatosi il 6 maggio 1906, quando le guardie regie spararono sulle operaie provocando un morto e 8 ferite, venne proclamato lo sciopero generale a Milano. Galli fu in prima fila nell'organizzazione dello sciopero.
La mattina del 10 maggio, assieme ai compagni Enrico Recalcati e Carlo Gelosa, Galli si recò alla fabbrica Macchi e Pessoni per fare picchettaggio e intercettare i crumiri. Alla vista dei tre, il custode della fabbrica provocò una rissa nella quale accoltellò il Galli a morte.
Durante i suoi funerali, aperti da 15 enormi bandiere rosse e nere,
si verificarono pesanti scontri tra operai e carabinieri. Le forze
dell'ordine caricarono pesantemente, anche donne e bambini, e fecero
diverse vittime.
I funerali di Galli secondo Carlo Carrà
Il pittore Carlo Carrà, allora molto vicino agli anarchici (intratteneva relazioni con Leda Rafanelli e i gruppi anarchici milanesi), immortalò lo scoppio degli scontri al funerale nel dipinto futurista I funerali dell'anarchico Galli. Questa la sua rievocazione:
- «Io che mi trovavo senza volerlo al centro della mischia,
vedevo innanzi a me la bara tutta coperta di garofani rossi ondeggiare
minacciosamente sulle spalle dei portatori; vedevo i cavalli
imbizzarrirsi, i bastoni e le lance urtarsi, sì che a me parve che la
salma cadesse da un momento all'altro e che i cavalli la calpestassero.
Fortemente impressionato, appena tornato a casa feci un disegno di ciò a
cui ero stato spettatore. Da questo disegno presi più tardi spunto per
il quadro Il funerale dell'anarchico Galli che venne in seguito esposto
alle mostre futuriste di Parigi, Londra e Berlino nella primavera del
1912... ».
L'anarchico e futurista Renzo Provinciali commentò entusiasta l'opera su La Barricata:
- «Egli ha rappresentato con una vigoria e con una fantasia
creativa straordinaria una scena spasmodica, immensa, colossale,
catastrofica. È un caos infernale che si avvoltola, è un vortice
grandioso di masserizie, di persiane, di porte, di inferriate,
amalgamate in uno sforzo titanico di resistenza, è la diga, la massa, è
La Barricata! [...] Questo il capolavoro che il Carrà ci ha dato e che
certamente non sarà compreso da molti, come tutte le grandi opere
d'arte. Qui non è la cosa rappresentata, ma è l'anima de la cosa
costrutta in linee con un'abilità straordinaria, una tecnica nuovissima
ed insuperabile, un'arte originalissima e superiore».
I funerali dell'anarchico Galli di Carlo Carrà. GALLI, Ambrogio, GALLI, Giuseppe, Giuseppe Galzerano, nato il 22 marzo 1953 a Castelnuovo Cilento (Campania) è laureato in pedagogia e insegna lettere moderne. Prolifico storico ed editore, è noto per le sue pubblicazioni sul movimento libertario e in particolare per le sue biografie di attivisti anarchici individualisti.
Biographie
Giuseppe Galzerano è nato e vive nel Cilento a pochi chilometri da Sapri, luogo scelto da Carlo Pisacane nel 1857 per il suo tentativo di sbarco volto a dimostrare "con i fatti" che l'insurrezione armata è l'unico mezzo per raggiungere l'unità d'Italia.Nel 1975 auto-pubblica il suo primo libro dedicato a Carlo Pisacane. Da allora, Éditions Galzerano ha pubblicato più di 300 opere su anarchismo, socialismo, antifascismo, immigrazione, cultura popolare, storia locale, ecc.. Storico “non accademico” del movimento libertario e del movimento operaio rivoluzionario, collaborò a numerose testate giornalistiche italiane e straniere. Nel 1995, 1998, 2002 e 2004 ha ricevuto il Premio Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano.Attentats anarchistes
Dedica diverse biografie a coloro che definisce gli "anarchici vendicatori", come Paolo Lega, attivista che nel giugno 1894 sparò senza ferirlo al presidente del Consiglio italiano Francesco Crispi, quella di Giovanni Passannante noto per un attentato e Gaetano Bresci , autore dell'assassinio del re Umberto I, o Michele Schirru, militante italo-americano che progetta un attentato contro Benito Mussolini.
"Attraverso le ricerche e gli studi che sto portando avanti sugli attacchi individuali degli anarchici italiani [...] ho tenuto conto che si trattava di atti disinteressati e altruistici perché gli anarchici [...] non vogliono eliminare un tiranno salire al trono al suo posto ma combattono esclusivamente per la liberazione del popolo dalle dure condizioni della tirannia e della dittatura. Questo è un naturale atto di difesa. ».
Œuvres
- (it) Gaetano Bresci - Vita, attentato, processo, carcere e morte dell'anarchico che « giustiziò » Umberto I, Galzerano Editore, 2001, 1152 pages, notice éditeur [archive].
- (it) Giovanni Passannante
- La vita, l'attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia
« regale » e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe
l'incantesimo monarchico, Galzerano Editore, 2004, 864 pages, notice éditeur [archive].
- (it) Michele Schirru
- Vita, viaggi, arresto, carcere, processo e morte dell'anarchico
italo-americano fucilato per « l'intenzione » di uccidere Mussolini, Galzerano, 2006, 1136 pages, notice [archive].
- (it) Enrico Zambonini : vita e lotte, esilio e morte dell'anarchico emiliano fucilato dalla Repubblica sociale italiana, Galzerano, 2009.
- Sélection sur Sudoc [archive].
- Sélection sur Worldcat [archive].
Carlo Gambuzzi (Napoli, 26 agosto 1837 – Napoli, 30 aprile 1902) è stato un anarchico italiano avviato da Bakunin all'Internazionalismo.Biografia
Carlo Gambuzzi nasce a Napoli il 26 agosto 1837
da Pasquale (avvocato) e Maria Carolina Landolfi. Fa le prime
esperienze tra i liberali che preparano l'impresa di Sapri e in
giornali clandestini come «Il Piccolo Corriere», che gli costa tre mesi
di carcere. Nel 1861
guida il Comitato Elettorale che oppone i repubblicani al programma
cavouriano. Segretario del Comitato di Provvedimento per Roma e
Venezia e redattore de «Il Popolo d'Italia», nel 1862 dirige il Tiro Nazionale,
che addestra i giovani alle armi, ed è a capo del gruppo
insurrezionale “Roma o Morte”. Garibaldino ad Aspromonte, guida poi il
Comitato Unitario Centrale, che intende armare i ribelli in Veneto e
Trentino.
Iscritto alla Massoneria, nel 1864 partecipa all'XI congresso delle Società Affratellate e a giugno del 1865 incontra Bakunin,
che si è stabilito a Napoli. Diversi per esperienza e cultura, ma
uniti dal comune sentire rivoluzionario e da un patrimonio ideale che
fanno di Gambuzzi un allievo attento alla lezione dell'esule russo, i
due diventano amici, anche se Gambuzzi, educato ai principi di Mazzini e Cattaneo e giunto a Proudhon mediante Pisacane, sogna l'unità nazionale e segue Garibaldi nella guerra con l'Austria. È Bakunin ad avviarlo all'internazionalismo anarchico assieme ai militanti che nel 1867
fondano il circolo “Libertà e giustizia”, di cui Gambuzzi è
segretario. Responsabile della società operaia “Amore e soccorso”, nel 1867 collabora col periodico «Libertà e giustizia» e partecipa a Ginevra al Primo Congresso della Lega per la Pace e la Libertà,
di cui è dirigente, sostenendo la necessità di abbattere «le chiese
ufficiali e salariate, e lo Stato con la plutocrazia». Il passaggio
dalla “rivoluzione nazionale” all'internazionalismo non è tuttavia concluso e, quando Garibaldi
punta su Roma, Gambuzzi esita. Sa che, per riuscire, un moto per Roma
deve essere moto sociale: il popolo è affamato e nauseato dalla
politica. L'intervento della Francia però gli fa sperare che l'impresa,
nata con scopi “unitari”, evolva in senso anti-francese e risvegli
l'istinto rivoluzionario delle masse. Senza badare al contrasto tra il
suo nascente internazionalismo e un'azione volta a completare l'edificio dello Stato, Gambuzzi segue così Garibaldi contro il parere di Bakunin. Mentana però non consente più dubbi: la “rivoluzione nazionale” è estranea alla questione sociale. Nel febbraio 1868 Gambuzzi ormai insiste sulle penose condizioni degli operai e invita i giovani a volgersi al socialismo. Il 21 settembre, a Berna, al II congresso della Lega per la Pace e la Libertà, sostiene la necessità della rivoluzione sociale e le tesi sui rapporti di classe presentate da Bakunin e, quando l'esule russo rompe con la Lega e fonda l'Alleanza per la Democrazia Socialista, Gambuzzi lo segue, entrando nel Comitato Centrale dell'organizzazione; quando poi torna a Napoli con le disposizioni di Bakunin per i compagni, Gambuzzi collabora con «L'Egalité»,
ha stretti legami con i socialisti europei ed è all'avanguardia tra i
militanti della sinistra extraparlamentare. Non a caso un confidente
lo descrive come «giovane d'ingegno svegliatissimo, solerte e
instancabile», che ha «estese relazioni», notevole influenza sui soci
del circolo “Libertà e giustizia” e che potrebbe diventare «un
rivoluzionario pernicioso all'ordine pubblico». Un giudizio confermato
da Bakunin,
che lo reputa dirigente fidato, che sa promuovere «l'organizzazione e i
programmi dell'Alleanza per la democrazia socialista». A gennaio del 1869 la sezione internazionalista napoletana, che ha in Gambuzzi un punto di riferimento e con i suoi tremila iscritti è il maggior centro dell'internazionalismo in Italia, inizia l'attività pubblica. Redattore de «L'Eguaglianza»,
il giornale della sezione napoletana che si occupa esclusivamente
degli interessi dei lavoratori, presidente della Sezione Centrale della
Lega Italiana dell'Internazionale,
Gambuzzi ha ormai un ruolo di primo piano ed è strettamente vigilato da
confidenti che inviano rapporti quotidiani al questore. Per nulla
intimidito, partecipa all'Anticoncilio, che inizia a Napoli il 9 dicembre ed il 10 è sciolto dalla polizia, e spinge la sezione dell'Internazionale
a rispondere con lo sciopero al licenziamento di alcuni conciatori.
È l'occasione attesa dal prefetto: Gambuzzi, ispiratore dello
sciopero, è arrestato con alcuni operai, mentre la sezione dell'Internazionale è sciolta. Scarcerato, denuncia alla stampa l'arbitraria procedura seguita dalla questura, cerca di estendere l'influenza di Bakunin nel Paese e riesce a tenere in vita la sezione dell'Internazionale, della quale è presidente. Nella primavera del 1871 incontra Bakunin a Firenze e, dopo la Comune, collabora con Cafiero, inviato a Napoli da Engels, costituendo con Fanelli, Palladino e Dramis
un Comitato Socialista, che attacca i mazziniani “ingannatori del
popolo” e tenta di conquistare all'anarchismo i repubblicani delusi.
Presto la sezione napoletana intensifica la propaganda, organizza
corsi di formazione politica per i soci ed istituisce una scuola per i
loro figli. Ai primi di agosto Gambuzzi, ritenuto ormai “pericoloso”,
incontra Bakunin a Locarno e riceve disposizioni per il lavoro da svolgere in Italia. È appena tornato, quando il 20 agosto la sezione dell'Internazionale è sciolta.
A gennaio del 1872 Gambuzzi costituisce con Malatesta, Cafiero e Palladino la Federazione Operaia Napoletana, che pubblica «La Campana»,
di cui è redattore. Di lì a poco acquista banchi e sedie per dotare la
Federazione di una scuola per i figli degli iscritti, dà un forte
impulso all'organizzazione, che conta un migliaio di soci, poi parte per
Londra, dove incontra numerosi internazionalisti. Tornato a Napoli a gennaio del 1873, tenta di promuovere la nascita di nuove sezioni dell'Internazionale, poi il suo impegno si fa discontinuo. Ai primi del 1877 guida con Tommaso Schettino uno dei gruppi in cui si è divisa a Napoli l'Internazionale e a novembre, per impedire l'unione di repubblicani e internazionalisti proposta da Bovio, stampa un ironico manifesto clandestino e abbandona «La Spira», un foglio che ha inizialmente finanziato. Nel giugno 1879,
per favorire la nascita di cooperative di produzione basate sulla
ripartizione integrale del prodotto del lavoro, fonda un'Associazione
Emancipatrice dei Lavoratori che suscita forti critiche tra gli
anarchici di ogni scuola. Ai primi del 1880,
tenta di radunare bande armate destinate ad accendere la rivolta in
Puglia, poi, per sanare i dissensi che lacerano il movimento, forma un
Comitato segreto di Corrispondenza con Merlino e Giustiniani
ed entra nella commissione dirigente del Circolo di Studi Sociali,
in cui confluiscono i gruppi anarchici napoletani. A maggio è a Milano
con Merlino per difendere le idee degli anarchici intransigenti in un congresso convocato dai “legalitari” Gnocchi, Viani e Bignami, ma le adesioni sono scarse e i promotori, temendo il confronto, spostano il convegno a ottobre. Nell'autunno del 1882 si pronuncia per il suffragio universale e si candida, rompendo con l'astensionismo di Merlino, che intende utilizzare le elezioni ai fini esclusivi della propaganda. Sposata la vedova di Bakunin, Antonia Kwiatowska, si allontana dalla politica. Nel 1898 si ricordano di lui gli anarchici de «La Libertà», per un articolo sulle origini del movimento operaio italiano. Muore a Napoli il 30 aprile 1902.
Bibliografia
Scritti di Gambuzzi
- Sulla tomba di Giuseppe Fanelli, parole di Carlo Gambuzzi, Napoli, 6 gen. 1877
Scritti su Gambuzzi
- In memoria di Carlo Gambuzzi nel trigesimo della morte, Napoli, numero unico, 30 mag. 1902
- M. Nettlau, Errico Malatesta. Vita e pensiero, New York 1922, pp. 39-40
- N. Rosselli, Mazzini e Bakunin, Torino 1927
- M. Nettlau, Bakunin e l'Internazionale in Italia dal 1864 al 1872, Ginevra 1928
- P. C. Masini, M. Bakunin, Scritti napoletani (1865-1867), Bergamo 1963, p. 104 sgg.
- C. del Bo, La corrispondenza di Marx ed Engels, Milano 1964
- A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia, Bari 1966
- P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Milano, 1969
- G. D. H. Cole, Storia del pensiero socialista, Marxismo e Anarchismo, 1850-1890, Bari 1972, p. 205
- A. Scirocco, Democrazia e socialismo a Napoli dopo l'Unità (1861-1878), Napoli 1973
- F. Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Roma 1973, p. 424
- N. Dell'Erba, Le origini del socialismo a Napoli (1870-1892), Milano 1979, pp. 8, 13, 23, 25, 40
- M. Toda, Errico Malatesta. Da Mazzini a Bakunin, Napoli 1988
- G. Berti, Francesco Saverio Merlino. Dall'anarchismo socialista al socialismo liberali (1856-1930), Milano 1993
- F. Della Peruta, La “banda del Matese”, in Movimenti sociali e lotte politiche nell'Italia liberale. Il moto anarchico del Matese, a cura di L. Parente, Milano 2001, p. 22
Italo Garinei (Pisa, 18 dicembre 1886 - Treviso, 6 novembre 1970), è stato un anarchico e sindacalista italiano. Il suo nome è legato al suo impegno durante le occupazioni delle fabbriche (1920) e alla militanza nel secondo dopoguerra nella Federazione Anarchica Pisana. Biografia
Italo Garinei nasce a Pisa nel 1886. Da giovane, e sino al 1915, si avvicina alle correnti libertarie del marxismo e al sindacalismo rivoluzionario, militando nella Federazione Giovanile Socialista. Durante questo periodo, a partire dal 1906,
collabora con la stampa socialista-rivoluzionaria: «Sempre Avanti», «La
guerra sociale», «L'internazionale», «La bandiera proletaria» e «Il
Martello».
Nel periodo antecedente alla Prima guerra mondiale è attivissimo nel movimento antimilitarista
e nell'ala classista e intransigente del PSI (in opposizione all'ala
riformista). Quando, per motivi di studio, si trasferisce a Torino, vi
trova un attivo movimento anarchico locale che influenzerà le sue scelte
politiche definitive. In Piemonte prosegue la sua attività
giornalistica, si laurea nel 1916 e poi è chiamato a partire per la guerra. Alla fine del terribile conflitto mondiale aderisce al Gruppo Giovanile Sindacalista Anarchico, divenendone un importante militante e partecipando a diverse iniziative.
Durante il biennio rosso si fa portavoce del movimento consiliarista, divenendo un elemento di raccordo tra il gruppo degli anarchici consiliaristi (Maurizio Garino, Pietro Ferrero ecc.) e quello di Ordine Nuovo di Antonio Gramsci.
Il 24 ottobre 1920 viene arrestato a Padova, insieme a Giovanni Diodà (delegato del gruppo anarchico di Padova), mentre partecipa ad un convegno organizzato dagli anarchici veneti. Durante gli anni bui del fascismo
la sua attività è molto limitata per via dei rigidi controlli cui è
sottoposto, soprattutto perché è sospettato di avere contatti con gli antifascisti esteri. Nonostante le difficoltà, nel 1944 a Torino pubblica con Fioravanti Meniconi e Dante Armanetti alcuni numeri clandestini del giornale «Era nuova» .
Alla fine della guerra, Garinei ricomincia a collaborare con la stampa libertaria, dal 1951 al 1968 pubblica insieme a Dante Armanetti «Seme anarchico», un mensile anarchico. A metà degli "anni 60" ritorna in Toscana, proprio nel periodo in cui, dopo il congresso della Federazione Anarchica Italiana del novembre 1965, la Federazione Anarchica Pisana
diviene una delle principali organizzazioni che si oppongono ad una
nuova “strutturazione” nazionale considerata eccessivamente
accentratrice e burocratica: con Aurelio Chessa, Pio Turroni, gli anarchici toscani ed altri compagni promuove la costituzione dei GIA (Gruppi di Iniziativa Anarchica) che avviene a Pisa durante il convegno del 19 dicembre 1965.
Proprio a Garinei si devono la pubblicazione di alcuni numeri
unici di polemica politica dal titolo «Iniziativa anarchica» e, nella
primavera del 1966,
la ripresa delle pubblicazioni del «Seme anarchico», interrotte per un
breve periodo. A Pisa, Garinei è per lungo tempo uno dei principali
motori dell'anarchismo toscano, insieme tra gli altri a Renzo Vanni. Muore a Treviso il 6 novembre 1970.
Maurizio Garino (Ploaghe, Sassari, 31 ottobre 1892 - Torino, aprile 1977) è stato un anarchico e un sindacalista protagonista durante gli eventi del biennio rosso. Biografia
Maurizio Garino, in Sardegna, a Ploaghe, in provincia di Sassari, il 31 ottobre 1892. Tre anni dopo in cerca di migliori condizioni economiche, la famiglia si trasferisce a Torino, l'anno seguente
si trasferirà Cassine in provincia di Alessandria. Dopo le scuole
elementari e una breve permanenza in un collegio religioso, Garino
inizia a lavorare come apprendista falegname, diventando poi modellista
meccanico. Ritornata la sua famiglia nel 1906 a Torino, nel 1908 Maurizio milita per due anni (1908-1910) nella gioventù socialista, prima di aderire all'anarchismo.
Il Circolo di Studi Sociali e l'attivismo anarchico-sindacale
Nel 1910 è tra i principali fondatori del Circolo di Studi Sociali della Barriera di Milano che successivamente, in ricordo di Francisco Ferrer y Guardia (fucilato il 12-10-1909), assumerà la denominazione di Scuola Moderna "F. Ferrer". Garino diviene direttore della scuola (nel 1911 ne sarà segretario l'amico Pietro Ferrero), in cui operai, lavoratori e anarchici in genere, discutevano e affrontavano gli argomenti più disparati (filosofia, architettura, astronomia, scienze, biologia ecc.).
Attivissimo in campo sindacale nell'ambito della minoranza anarchica della FIOM, è tra i primi ad indire uno sciopero
nelle officine di Savigliano contro lo sfruttamento delle donne e dei
soldati. Si oppone tenacemente alla firma della convenzione tra la FIOM e
il Consorzio automobilistico torinese (gen. 1912)
che, in cambio del «sabato inglese», abolisce le tolleranze e introduce
la trattenuta sindacale obbligatoria. Per questo Garino aderisce al
nuovo Sindacato Unico Metallurgico (SUM), fondato dai sindacalisti rivoluzionari, partecipando allo sciopero proclamato dallo stesso e risoltosi con una grave sconfitta dopo due mesi di lotta.
Quest'esperienza negativa, causata dalla divisione sindacale, lo porta a farsi portavoce con Pietro Ferrero nell'ambito del Fascio Libertario Torinese della scelta unitaria a favore della FIOM, anche dopo la costituzione dell'USI (novembre 1912).
Il suo attivismo politico e sindacale lo costringerà spesso a dover
cambiare luogo di lavoro (Fonderie Subalpine, Acciaierie Fiat, Officine
Savigliano ecc.).
Si attiva ed è in prima fila durante gli eventi della settimana rossa (7-14 giugno 1914):
arrestato per «violenza privata, minaccia e porto d'arma», è tuttavia
prosciolto. Dichiarato abile per la guerra, nonostante fosse stato
riformato alla visita di leva, ottiene l'esonero come «operaio
specialista» e allo scoppio della guerra assume nette posizioni anti
interventiste, partecipando nell'agosto 1917 alle dimostrazioni contro la guerra.
Nel 1919 Garino è, come rappresentante degli anarchici torinesi, tra i fondatori dell'Unione Comunista Anarchica Italiana (Congresso di Firenze, 12 14 aprile), dove viene anche designato membro del Consiglio generale.
Le occupazioni delle fabbriche
Protagonista di clamorosi scioperi
(come quello contro la decisione unilaterale della FIAT di spostare
l'orario di lavoro dall'ora solare a quella legale), lo si ricorda
soprattutto per la sua partecipazione a tutti gli eventi che porteranno
alle occupazioni e alla costituzione dei consigli di fabbrica del 1919-20: il 1° novembre
l'assemblea della Sezione torinese della FIOM approva l'ordine del
giorno "Boero-Garino" «a grande maggioranza» che porta alla
«costituzione dei Consigli operai di fabbrica, mediante l'elezione dei
Commissari di reparto». Si costituisce un nuovo consiglio direttivo,
provvisorio, in cui Pietro Ferrero assume le funzioni di segretario, dopo che la carica era stata declinate dallo stesso Garino. Sempre con Ferrero,
partecipa alla costituzione delle Commissione di studio sui consigli,
spesso riunendosi presso i locali de «L'Ordine Nuovo», nuovo giornale comunista di Antonio Gramsci. Nasce così una collaborazione tra gli anarchici facenti capo a Ferrero e Garino e i comunisti de «L'Ordine Nuovo» , collaborazione che partorirà la nascita di un manifesto apparso ne «L'Ordine nuovo» del 27 marzo 1920.
Al Convegno straordinario della FIOM di Firenze (9 novembre-10 novembre 1919),
Boero e Garino ottengono che i vertici federali permettano
l'«esperimento dei Consigli di fabbrica» intesi come «la continuazione
dell'opera delle Commissioni interne coordinata con quella
dell'organizzazione». Nel dicembre dello stesso anno partecipa al
Congresso straordinario della CdL di Torino e presenta una mozione a
favore dei Consigli, ritenuti «ai fini dei principi
comunisti-antiautoritari, organi assolutamente antistatali e possibili
cellule della futura gestione della produzione agricola e industriale».
Instancabile, porta avanti tenacemente la sua linea durante il Convegno
nazionale della FIOM (Genova, maggio 1920) e al Congresso anarchico piemontese (giugno 1920), nonché anche al Congresso bolognese che sancisce la nascita dell'UAI (1°-4 luglio 1920). Nel settembre 1920 inizia l'occupazione delle fabbriche e Maurizio Garino è naturalmente in prima fila. Alla fine dell'esperienza, conclusasi negativamente per il tradimento dei sindacati
riformisti, accusa i dirigenti nazionali sindacali di avere in qualche
modo illuso «la massa operaia che non distingue se il movimento fosse
sindacale o politico, aveva creduto che voi sareste andati fino in
fondo, che voi l'avreste condotta al gran gesto rivoluzionario».
In età avanzata, a chi gli chiederà cosa avesse significato per lui e per l'anarchismo quel biennio (1919-20), Garino risponderà:
- «Siamo sempre stati considerati dei sognatori, degli utopisti;
noi siamo certi di non esserlo, ed anche l'esperienza del biennio rosso
conferma le nostre tesi: l'unica via rivoluzionaria aperta di fronte
alla classe operaia è quella della rivoluzione libertaria, dell'autogestione».
Il fascismo e la resistenza
Nel 1921
entra a lavorare in una cooperativa, di cui poi diventerà dirigente,
che verrà trasformata in seguito in società per azioni per evitare che
fosse fascistizzata. Durante il ventennio fascista rimane a Torino, patendo continui arresti e persecuzioni (l'amico Pietro Ferrero fu ucciso selvaggiamente dai fascisti il 18 dicembre 1922). Dopo l'8 settembre 1943 prende parte attiva alla resistenza: è arrestato nell'ottobre 1944 e poi rilasciato grazie a uno scambio di prigionieri.
L'attività nel secondo dopoguerra
Finita la guerra, continua ancora a portare avanti il suo pensiero
partecipando alla riorganizzazione del movimento anarchico libertario
piemontese e ricostituendo la Scuola Moderna, che pur svolgendo una
intensa attività culturale con l'organizzazione di diverse conferenze
sui più svariati temi, non avrà più quel carattere formativo dei
militanti che aveva avuto in passato. Dirigente dell'ANPPIA sino alla fine, Garino muore a Torino nell'aprile del 1977.
Garino e Gramsci
Ambedue sardi, condividono insieme le esperienze delle occupazioni delle fabbriche; Gramsci esprime giudizi più che lusinghieri nei confronti degli anarchici
e di Garino soprattutto: «... poiché concepiamo il Consiglio di
fabbrica come l'inizio storico di un processo che necessariamente deve
condurre alla fondazione dello Stato operaio, l'atteggiamento del
compagno Garino, libertario, sindacalista, era una riprova della
profonda persuasione sempre nutrita che nel processo reale
rivoluzionario tutta la classe operaia spontaneamente trova la sua unità
pratica e teorica, che ogni operaio, in quanto sincero
rivoluzionario, non può che essere portato a collaborare con tutta la
classe allo svolgimento di un compito che è immanente nella società
capitalistica è non è affatto un fine che viene proposto liberamente
dalla coscienza e dalla volontà individuale».
Bibliografia
Scritti di Maurizio Garino
- L'occupazione delle fabbriche nel 1920, «Era nuova», 1° apr. 1950;
- L'incendio della Camera del Lavoro di Torino (1922), in Dall'antifascismo alla resistenza. Trenta anni di storia italiana, Torino 1961.
Scritti su Maurizio Garino
- Pier Carlo Masini, Anarchici e comunisti nel movimento dei Consigli a Torino, Torino 1951;
- G. Lattarulo – R. Ambrosoli, I consigli operai. Un'intervista con il compagno Maurizio Garino, «A», apr. 1971;
- M. Antonioli, B. Bezza, La Fiom dalle origini al fascismo, 1901-1924, Bari 1978;
- M. Revelli, Maurizio Garino: storia di un anarchico, «Mezzosecolo», n. 4, 1980/82.
Francesco Ghezzi (Cusano Milanino, 4 ottobre 1893 - gulag di Vorkuta, Russia, 3 agosto 1942) è stato un sindacalista dell'Unione Sindacale Italiana.
Biografia
Francesco Ghezzi nasce il 4 ottobre 1893 a Milano, figlio di una famiglia operaia.
Giovane anarco-sindacalista
Inizia a lavorare a sette anni e a 16 si accosta alle idee anarchiche. Tra il 1914 e il 1921, in qualità di membro dell'Unione Sindacale Italiana (USI), partecipa attivamente alla protesta politica e alle lotta anti-imperialiste. Nel luglio 1917,
per evitare la chiamata alle armi, oltrepassa il confine di Luino e
ripara a a Zurigo. Qui, impiegato come tornitore e pulitore d'argento,
frequenta gli ambienti rivoluzionari
del fuoriuscitismo che ruotano intorno alla Libreria internazionale.
Nel frattempo la polizia italiana lo annota come «agente dell'Austria
con l'incarico di esplicare propaganda disfattista».
Il 29 novembre 1918 viene arrestato e imprigionato (assieme a Mario Castagna, Giacomo Magni, Eugenio Giuseppe Macchi, Angelo Pozzi e Carlo Restelli)
per aver organizzato e partecipato all'insurrezione di Zurigo, ma viene
rilasciato anche grazie ad un'intensa campagna di stampa che gli
esprime solidarietà. Essendo non colpevole, gli viene riconosciuta un'indennità di 600 franchi, ma poi viene ugualmente espulso dal paese.
In esilio: Russia, Germania e di nuovo Russia
Rientrato in Italia, dopo l'attentato di Bruno Filippi al Teatro di Milano del 1921, la repressione anti-anarchica lo costringe alla fuga in Russia, dove, sempre come delegato dell'USI, partecipa all'internazionale sindacale Profintern (Internazionale Rossa dei Sindacati del Lavoro); il rapporto tra gli anarco-sindacalisti e i leader comunisti sono molto tesi, il Profintern nega ogni autonomia al sindacato e gli arresti sono abbastanza numerosi. Grazie alla protesta formale da parte di Emma Goldman e Alexander Berkman, Ghezzi ed altri compagni vengono rilasciati.
Nel 1922 si reca in Germania e partecipa alla costituzione dell'AIT-anarcosindacalista. Arrestato in Germania, il governo italiano ne chiede l'estradizione per terrorismo, ma una massiccia campagna di solidarietà
organizzata dall'avvocato Michel Frenckel gli evita la galera italiana,
anche grazie al Ministro degli Esteri russo Narkomindel che
certificherà la sua cittadinanza russa. Tra il 1923 e il 1926 lavora in una comunità agricola di Jalta (Russia) e sviluppa contatti con anarchici stranieri. Nel 1926
va a lavorare a Mosca come operaio, mantenendo i contatti con il
movimento anarchico che operava in condizioni di semiclandestinità.
Diventa amico in particolare di Nikolaj Lazarevic e Pierre Pascal.
Con il filosofo Alexei Borovoi si unisce al gruppo del museo Kropotkin, che rimarrà attivo sino al 1928 e da cui sorgeranno due tendenze: gli ideologi e gli anarcomistici guidati da Alexei Solonovitx. Alcuni fuoriusciti dal Museo Kropotkin fondano una nuova sezione della Croce Nera Anarchica; Ghezzi si occupa della gestione delle donazioni provenienti dall'estero. Tra il 1929 e il 1930,
come risultato di una nuova ondata di arresti, l'anarchico milanese è
accusato di attività controrivoluzionarie e di essere un «agente
dell'ambasciata fascista»; il 31 maggio 1929, vittima della repressione
sovietica dell'autocrate Stalin, viene internato per tre anni a
Suzdal', dove si ammala di tubercolosi rischiando la morte: alcuni amici
e compagni (Nikolaj Lazarevic, Luigi Fabbri, Piere Monatte, Ugo Fedeli, Panaït Istrati, Boris Souvarine e Jacques Mesnil) presentano allora una petizione in Francia e Svizzera , firmata pure da Romain Rolland, ma i sovietici rispondono ancora una volta che Ghezzi è una spia dell'ambasciata fascista.
La militanza anarchica durante lo stalinismo
Grazie all'insistente campagna di solidarietà, nel 1931,
dopo essere stato mandato in esilio in Kazakistan, Ghezzi viene
rilasciato con l'obbligo di rimanere in Unione Sovietica. Ritornato a
Mosca, riprende il suo lavoro di operaio, si diploma all'Istituto
Tecnico e si sposa con Olga Gaake. Da quest'unione nasce una figlia,
Tat'jana. Nella capitale sovietica continua l'attivismo anarchico e
mantiene i contatti con l'estero, fornendo la sua casa come rifugio agli
antistalinisti russi ricercati dalla polizia segreta. Nel 1933, tramite la Croce Rossa Politica, si impegna per il rilascio del trotzkysta Gurevich e aiuta la moglie esiliata di Victor Serge, Liobov Rusakova-Kibaltxitx. Nel 1936 chiede ripetutamente di essere inviato come volontario nella guerra di Spagna, ma i permessi gli vengono negati nonostante la CNT avesse chiesto direttamente a Stalin di permettere a Ghezzi e ad altri prigionieri politici (es. Otello Gaggi, Herman Sandormirski...) di unirsi a loro nelle lotte contro i franchisti.
Il 5 novembre 1937
è arrestato nuovamente con la solita accusa di attività
controrivoluzionaria nei luoghi di lavoro e di essere un sostenitore del
nazismo.
Le indagini durano circa un mese, durante il quale Ghezzi respinge
tutte le accuse, compresa quella di essere filotrotskista. Fino alla
sentenza di colpevolezza resta a Lubianka, prigione interna della NKVD.
Il gulag e la morte
Il 3 aprile 1939 il comitato speciale dell'NKVD
lo condanna ad un anno di lavori forzati e due settimane dopo viene
inviato nel gulag di Vorkuta (oltre il circolo Polare Artico),
nonostante i medici gli avessero diagnosticato la tubercolosi. Nel 1943, un'altra sentenza dell'NKVD gli prolunga la detenzione, ma sarà del tutto inutile perché Francesco Ghezzi muore il 3 agosto 1942 (Vorkuta, Komi, Russia).
La riabilitazione postuma
Nel 1956,
su richiesta della moglie Olga Gaake, Nikita Khruscov accetta di
riaprire il caso riguardante Ghezzi e si stabilisce che le sue
confessioni e le le testimonianze contro di lui furono estore con la
tortura. Il 21 maggio 1956
un tribunale di Mosca dichiara che «le prove a suo carico erano
insufficienti», Ghezzi viene di fatto riabilitato e cade l'accusa di
essere un controrivoluzionario.
Il 28 settembre 1994, la Procura di Mosca riconobbe «vittima di repressioni politiche» anche la figlia di Ghezzi, Tat'jana Ghezzi Stepanova.
Nella Giacomelli (Lodi, 2 luglio 1873 - Desenzano, 12 febbraio 1949) è stata un anarchica e una propagandista italiana. Biografia
Nella Giacomelli nasce a Lodi il 2 luglio 1873,
seconda dei tre figli di Paolo, un repubblicano laico e
anticonformista, e di Maria Baggi, monarchica e cattolica. Rimasta
orfana per il suicidio del padre, già separatosi dalla moglie, malgrado
le difficoltà economiche della famiglia riesce a diplomarsi maestra di
scuola insieme alla sorella Fede. È compagna di classe della futura
poetessa e scrittrice Ada Negri, della quale rimarrà sempre intima amica.
Il socialismo
Tra il 1892 e il 1897
insegna nel comasco e nel varesotto, e aderisce al Partito socialista,
collaborando alla rivista «La Vita internazionale» e al giornale socialista
di Lodi «Sorgete!», dove difende la causa dell'emancipazione femminile e
dei diritti delle lavoratrici. Ma pochi anni dopo la conoscenza di Giuseppe Ciancabilla gioca un ruolo essenziale per il suo passaggio all'anarchismo.
Nella, ragazza intelligente, insofferente del conformismo e delle tradizioni, aperta alle novità, nel 1894 abbandona la casa familiare per divergenze con la madre - definita da Pier Carlo Masini «tetra, gretta, assoluta, preoccupata solo del denaro» - e nel 1897, a seguito di contrasti con le autorità comunali di Cocquio, dove insegna, si licenzia e si trasferisce a Milano. Intrattiene stretti rapporti epistolari con i socialisti Emilio Trampolini e Carlo Dell'Avalle e sviluppa una relazione con il socialista Giovanni Suzzani.
L'incontro con Ettore Molinari
Dopo un tentativo di suicidio nel 1898, i cui motivi non sono mai stati chiariti, nel 1900 è ospitata presso la casa dell'anarchico Ettore Molinari,
allora direttore della Scuola e del Laboratorio di chimica della
Società d'incoraggiamento di Arti e Mestieri. Con lui e Straneo, nel 1902, è promotrice e redattrice de «Il Grido della Folla», diretto da Giovanni Gavilli prima e Oberdan Gigli.
La sua vita privata è però per lei foriera di grandi preoccupazioni: nel 1903
scrive una lettera proprio a Gigli in cui gli dichiara il proprio
amore, ma anche di aver perso una figlia (motivo del suicidio?) e di
essere sul punto di diventare l'amante di Ettore Molinari. In realtà in casa di Ettore Molinari si occupa di accudire la figlia, cosa che farà anche dopo la morte di questi nel 1926.
Conduce una vita ritirata e raramente partecipa ad iniziative pubbliche, collaborando però all'attività scientifica di Molinari (professore di chimica dal 1904 alla Bocconi e poi al Politecnico), alla pubblicazione di periodici anarchici
e all'educazione dei figli di Molinari. In questa fase alterna periodi
di intensa attività a periodi di depressione in cui si auto isolava. Di
tanto in tanto scrive firmandosi con lo pseudonimo di "Ireos", qualche
volta partecipa pure a convegni sull'amore libero, sulla questione femminile in genere (inizialmente mostrò scarsa simpatia per le prime femministe) e sulle colonie anarchiche.
Desiderosa di sperimentare la vita comunitaria, nel 1905 si reca presso la comune comunista L'Essai
di Aiglemont, nelle Ardenne francesi. Terminata l'esperienza scrive un
saggio a puntate molto critico, pubblicato in seguito su «La Protesta Umana» e poi trasformato in un opuscolo.
Contrasti con gli anarchici
Anarchica individualista,
insieme a Molinari è spesso accusata dai suoi compagni di eccessiva
rigidità e di non comprendere le difficoltà quotidiane che vive la
maggior parte delle persone. Spesso si scontra con gli anarchici che di volta in volta si succedono alla direzione de «Il Grido della Folla», ovvero Libero Tancredi , Gennaro D'Andrea e Giovanni Gavilli. Nel 1906 si verifica la rottura tra Giovanni Gavilli e i cosiddetti "tetrarchi" del giornale (Molinari, Giacomelli, Riccioti Longhi e Manfredi), che porta questi ultimi a fondare «La Protesta Umana», mentre «Il Grido della Folla», passato in gestione a Gavilli, cesserà in breve tempo le pubblicazioni.
Nel 1908 Giacomelli e Molinari offrono la direzione del nuovo giornale a Paolo Schicchi, ma ben presto si dovranno ricredere per via degli insanabili contrasti che si ingenereranno e che culmineranno in violento pamphlet accusatorio di Schicchi contro la Giacomelli: La degenerazione dell'anarchismo. A questo scritto risponderà "Epifani" (Ettore Molinari) e "Ireos" (Nella Giacomelli) con Un triste caso di ribellismo anarchico (1909).
Dopo la partenza dell'anarchico siciliano Schicchi, Giacomelli e Molinari individuano in Giuseppe Monnanni, editore anarchico aretino già direttore di «Vir» (rivista anarchica d'arte), e nella sua compagna Leda Rafanelli, due possibili e validi collaboratori.
Terminata l'esperienza de «La Protesta Umana», che cessa le pubblicazioni nel 1909, vive in una sorta di isolamento, che nel 1915 la porta a scrivere a Cesare Agostinelli:
«Da vari anni, vivo appartata e ho tagliato, si può dire, i ponti fra
me e i compagni. Non vado più alle loro riunioni, né loro vengono da me
[...] Il fatto vergognoso di Schicchi, mi ha addirittura messo in un
tale allarme contro i compagni, che io temo sempre d'imbattermi in
qualche farabutto».
In prossimità della guerra, e dopo gli eventi insurrezionali della settimana rossa, Nella Giacomelli, dietro il nuovo pseudonimo "Petit Jardin", critica le pozioni guerrafondaie di alcuni anarchici (tra cui l'amico Gigli), ribadendo la vocazione internazionalista degli anarchici. In questo periodo, pur mantenendo le sue peculiarità antiorganizzatrici, si avvicina agli organizzatori, come testimoniano le sue relazioni epistolari con Cesare Agostinelli e Luigi Fabbri, e esprime sui giornali «Volontà» e «Abbasso la guerra!» le sue posizioni di pacifismo intransigente, che rifiuta la difesa della "patria" anche in caso di invasione straniera.
Durante il conflitto bellico è arrestata nel 1916 in piazza del Duomo (Milano) a causa di un tentativo dimostrativo antimilitarista. L'intercettazione di una sua lettera (firmata "Ireos") e di un manifesto antimilitarista che incita le donne a manifestare contro la guerra il 1° maggio 1916 le costa il “rimpatrio” a Lodi, trasformato poi in diffida «da ogni forma di propaganda contro la guerra».
Sarà comunque una delle prime ad esprimere la propria solidarietà con la rivoluzione russa. Nel 1917 collabora al giornale «Cronaca Libertaria» (Milano, 14 numeri da agosto a novembre 1917), pubblicato da Leda Rafanelli e Carlo Molaschi.
D'accordo con Luigi Fabbri, nel 1917 manifesta perplessità
di fronte alla possibilità che gli anarchici partecipino alla
cosiddetta 3° Zimmerwald, conferenza internazionale dei partiti
socialisti da tenersi a Stoccolma ma che mai si terrà
Il primo dopoguerra: Umanità Nova
Nell'immediato dopoguerra collabora al numero unico di «Guerra e Pace» (Milano, 22 febbraio 1919) , ma nel frattempo le divisioni con gli ex-interventisti si sono acuite enormemente:
- «C'è un abisso tra noi, Oberdan; tu hai rinnegato il tuo
sogno giovanile, ed io lo sogno più ardentemente che mai; [...] Come
possiamo ancora comprenderci? Meglio dimenticarci» (Lettera indirizzata
ad Oberdan Gigli).
Nel 1919
si ributta a capofitto nell'attivismo anarchico partecipando con il
solito Molinari (ufficialmente come sua sorella) al convegno fiorentino
dell'Unione Comunista Anarchica Italiana. Con la frequentazione di figure come Mario Senigalliesi ed Emilio Spinaci, in quell'anno nasce l'idea della pubblicazione di un quotidiano anarchico, Umanità Nova, che la porterà entusiasticamente a scrivere:
- «Umanità Nova, meta suprema di tutte le nostre lotte e dei
nostri dolori, noi ti adottiamo come simbolo luminoso d'una visione
vivente, e ti innanziamo al di sopra di tutte le folle, verso tutti i
cuori, faro e bandiera di luce e libertà» («Iconoclasta», 25 luglio, Pistoia) .
Il progetto di Umanità Nova fornisce a Nella nuovo entusiasmo: stringe rapporti epistolari con Malatesta e quando questi alla fine del 1919 sbarcherà a Taranto di rientro dall'esilio inglese, sarà proprio a Nella Giacomelli che Errico Malatesta telegraferà. Sul primo numero del nuovo giornale annuncia ironicamente la morte di “Petit Jardin” ,
i suoi scritti sono dapprima quotidiani e poi via via sempre più radi e
intrisi di un pessimismo che sembra nuovamente far breccia nel suo
animo. Auspica non la rivoluzione, ma la fine del mondo, scettica com'è sulla possibilità che gli esseri umani possano finalmente cambiare .
È critica con il movimento anarchico, convinta com'é che «si creano dei
ribelli ma non si formano degli anarchici», non ponendo quindi le basi
per la costituzione di una società veramente libertaria.
L'ultimo periodo
Dopo essere stata amministratore delegato della società del giornale, lascia l'incarico e contemporaneamente smette anche la collaborazione del giornale . Nonostante l'abbandono di Umanità Nova, il giudice Carboni nel febbraio 1921 la include tra gli indagati per «cospirazione contro i poteri dello stato», che vede coinvolti i principali redattori di Umanità Nova (Errico Malatesta, Armando Borghi, Corrado Quaglino ecc.).
Assolta il 25 marzo 1921, è nuovamente denunciata dopo la strage del teatro Diana di Milano per «associazione a delinquere», accusa da cui verrà scagionata il 1° maggio seguente. Nei due anni seguenti, dopo il trasferimento di Umanità Nova a Roma, collabora alla rivista milanese «Pagine Libertarie» di Carlo Molaschi "Inkyo" e "vice Rudel" (Rudel era lo pseudonimo di Henry Molinari). Morto Ettore Molinari (Milano, 9 novembre 1926), è accusata di aver stretto rapporti con Camillo Berneri, a sua volta sospettato di aver sostenuto Gino Lucetti nel suo tentativo di uccidere Mussolini, e quindi arrestata nel 1928 insieme a Libero ed Henry Molinari, figli di Ettore.
In favore dei tre interviene l'eterno amico Oberdan Gigli - con cui Nella aveva mantenuto buoni rapporti d'amicizia nonostante le sostanziali divisioni sul modo di intendere l'anarchia - che si rivolge ad Ada Negri, ex-socialista convertita al fascismo, con l'intento che ella chieda giustizia
«a chi solo può superare le difficoltà delle leggi», cioè allo stesso
Mussolini. Liberati i tre tra la fine di agosto e l'inizio di settembre
dello stesso anno, Nella si ritira a Rivoltella del Garda (frazione di
Desenzano), presso la villa Molinari, apparentemente senza più
interessarsi di politica.
Caduto il fascismo e avviatasi l'Italia repubblicana, Nella Giacomelli muore a Desenzano il 12 febbraio 1949.
Note
Massimo Rocca (1884-1973), conosciuto come Libero Tancredi, prima fu anarchico, poi aderì al fascismo.
Dictionnaire des militants anarchistes
Lettera di “Petit Jardin”, «Cronaca libertaria», 17 agosto 1917
La
Conferenza di Zimmerwald fu una conferenza internazionale dei partiti
socialisti. La prima conferenza di Zimmerwal si tenne dal 5 all'8 settembre 1915 in Svizzera per iniziativa italiana ed elvetica
Sulla tomba di Petiti Jardin, 26-27 febbraio 1920
Permettete, 1 marzo 1920
- "Petit Jardin", Il giudice Cappone, ovverosia: le farse della giustizia, Milano, 1921, pag. 60-63
Scritti
- Per una scuola moderna, Milano 1907
- Una colonia comunista, prefazione di Oberdan Gigli, Milano, Biblioteca della Protesta Umana, 1907
- Una colonia libertaria nelle Ardenne, s. l. d.
- Un triste caso di libellismo anarchico. Risposta ad un turpe libello di Paolo Schicchi (con Ettore Molinari), Milano, Tipografia Enrico Zerboni, 1909
- Fattori economici pel successo della rivoluzione sociale, 1920
- Il giudice Cappone ovverosia Le farse della Giustizia. Fantasia esquimese in tre periodi con Epilogo Milanese, Milano, Libreria di Umanità Nova, 1921
- Meteore Rosse. Dramma in tre atti, Milano, Libreria Editrice Tempi Nuovi, 1922
- Il sistema Alker di allevamento dei bachi, prefazione di Ettore Molinari e due appendici a cura del sig. Alker di Desenzano, Milano, Casa Editrice Bietti, 1927
Fonti e Bibliografia
- Archivio centrale dello Stato, Roma, Casellario politico centrale, Nella Giacomelli
- Archivio di Stato di Milano, Fondo Questura, cartella 89
- E. Santarelli, Giacomelli Nella, in AA. VV., La questione femminile in Italia dal '900 ad oggi, Milano, Franco Angeli 1979
- P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani nell'epoca degli attentati, Milano, Rizzoli 1981
- Maria Antonietta Serci, Nella Giacomelli, in Dizionario biografico degli italiani, Volume LIV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 2000
- M. Antonioli, Nella Giacomelli, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 700-703
Biografia
La vicenda umana e politica di Angelo Galli è ancora tutta da indagare. Fu un attivo agitatore sindacale, tanto che il giornale anarchico La Protesta Umana lo definì «un grande signore dell'ideale, un'anima pulsante col dolore del mondo [...] smanioso d'azione».
In seguito ad un gravissimo episodio di repressione verificatosi il 6 maggio 1906, quando le guardie regie spararono sulle operaie provocando un morto e 8 ferite, venne proclamato lo sciopero generale a Milano. Galli fu in prima fila nell'organizzazione dello sciopero.
La mattina del 10 maggio, assieme ai compagni Enrico Recalcati e Carlo Gelosa, Galli si recò alla fabbrica Macchi e Pessoni per fare picchettaggio e intercettare i crumiri. Alla vista dei tre, il custode della fabbrica provocò una rissa nella quale accoltellò il Galli a morte.
Durante i suoi funerali, aperti da 15 enormi bandiere rosse e nere, si verificarono pesanti scontri tra operai e carabinieri. Le forze dell'ordine caricarono pesantemente, anche donne e bambini, e fecero diverse vittime.
I funerali di Galli secondo Carlo Carrà
Il pittore Carlo Carrà, allora molto vicino agli anarchici (intratteneva relazioni con Leda Rafanelli e i gruppi anarchici milanesi), immortalò lo scoppio degli scontri al funerale nel dipinto futurista I funerali dell'anarchico Galli. Questa la sua rievocazione:
- «Io che mi trovavo senza volerlo al centro della mischia, vedevo innanzi a me la bara tutta coperta di garofani rossi ondeggiare minacciosamente sulle spalle dei portatori; vedevo i cavalli imbizzarrirsi, i bastoni e le lance urtarsi, sì che a me parve che la salma cadesse da un momento all'altro e che i cavalli la calpestassero. Fortemente impressionato, appena tornato a casa feci un disegno di ciò a cui ero stato spettatore. Da questo disegno presi più tardi spunto per il quadro Il funerale dell'anarchico Galli che venne in seguito esposto alle mostre futuriste di Parigi, Londra e Berlino nella primavera del 1912... ».
L'anarchico e futurista Renzo Provinciali commentò entusiasta l'opera su La Barricata:
- «Egli ha rappresentato con una vigoria e con una fantasia creativa straordinaria una scena spasmodica, immensa, colossale, catastrofica. È un caos infernale che si avvoltola, è un vortice grandioso di masserizie, di persiane, di porte, di inferriate, amalgamate in uno sforzo titanico di resistenza, è la diga, la massa, è La Barricata! [...] Questo il capolavoro che il Carrà ci ha dato e che certamente non sarà compreso da molti, come tutte le grandi opere d'arte. Qui non è la cosa rappresentata, ma è l'anima de la cosa costrutta in linee con un'abilità straordinaria, una tecnica nuovissima ed insuperabile, un'arte originalissima e superiore».
Biographie
Giuseppe Galzerano è nato e vive nel Cilento a pochi chilometri da Sapri, luogo scelto da Carlo Pisacane nel 1857 per il suo tentativo di sbarco volto a dimostrare "con i fatti" che l'insurrezione armata è l'unico mezzo per raggiungere l'unità d'Italia.Attentats anarchistes
Dedica diverse biografie a coloro che definisce gli "anarchici vendicatori", come Paolo Lega, attivista che nel giugno 1894 sparò senza ferirlo al presidente del Consiglio italiano Francesco Crispi, quella di Giovanni Passannante noto per un attentato e Gaetano Bresci , autore dell'assassinio del re Umberto I, o Michele Schirru, militante italo-americano che progetta un attentato contro Benito Mussolini. "Attraverso le ricerche e gli studi che sto portando avanti sugli attacchi individuali degli anarchici italiani [...] ho tenuto conto che si trattava di atti disinteressati e altruistici perché gli anarchici [...] non vogliono eliminare un tiranno salire al trono al suo posto ma combattono esclusivamente per la liberazione del popolo dalle dure condizioni della tirannia e della dittatura. Questo è un naturale atto di difesa. ».Œuvres
- (it) Gaetano Bresci - Vita, attentato, processo, carcere e morte dell'anarchico che « giustiziò » Umberto I, Galzerano Editore, 2001, 1152 pages, notice éditeur [archive].
- (it) Giovanni Passannante - La vita, l'attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia « regale » e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l'incantesimo monarchico, Galzerano Editore, 2004, 864 pages, notice éditeur [archive].
- (it) Michele Schirru - Vita, viaggi, arresto, carcere, processo e morte dell'anarchico italo-americano fucilato per « l'intenzione » di uccidere Mussolini, Galzerano, 2006, 1136 pages, notice [archive].
- (it) Enrico Zambonini : vita e lotte, esilio e morte dell'anarchico emiliano fucilato dalla Repubblica sociale italiana, Galzerano, 2009.
- Sélection sur Sudoc [archive].
- Sélection sur Worldcat [archive].
Biografia
Carlo Gambuzzi nasce a Napoli il 26 agosto 1837 da Pasquale (avvocato) e Maria Carolina Landolfi. Fa le prime esperienze tra i liberali che preparano l'impresa di Sapri e in giornali clandestini come «Il Piccolo Corriere», che gli costa tre mesi di carcere. Nel 1861 guida il Comitato Elettorale che oppone i repubblicani al programma cavouriano. Segretario del Comitato di Provvedimento per Roma e Venezia e redattore de «Il Popolo d'Italia», nel 1862 dirige il Tiro Nazionale, che addestra i giovani alle armi, ed è a capo del gruppo insurrezionale “Roma o Morte”. Garibaldino ad Aspromonte, guida poi il Comitato Unitario Centrale, che intende armare i ribelli in Veneto e Trentino.
Iscritto alla Massoneria, nel 1864 partecipa all'XI congresso delle Società Affratellate e a giugno del 1865 incontra Bakunin, che si è stabilito a Napoli. Diversi per esperienza e cultura, ma uniti dal comune sentire rivoluzionario e da un patrimonio ideale che fanno di Gambuzzi un allievo attento alla lezione dell'esule russo, i due diventano amici, anche se Gambuzzi, educato ai principi di Mazzini e Cattaneo e giunto a Proudhon mediante Pisacane, sogna l'unità nazionale e segue Garibaldi nella guerra con l'Austria. È Bakunin ad avviarlo all'internazionalismo anarchico assieme ai militanti che nel 1867 fondano il circolo “Libertà e giustizia”, di cui Gambuzzi è segretario. Responsabile della società operaia “Amore e soccorso”, nel 1867 collabora col periodico «Libertà e giustizia» e partecipa a Ginevra al Primo Congresso della Lega per la Pace e la Libertà, di cui è dirigente, sostenendo la necessità di abbattere «le chiese ufficiali e salariate, e lo Stato con la plutocrazia». Il passaggio dalla “rivoluzione nazionale” all'internazionalismo non è tuttavia concluso e, quando Garibaldi punta su Roma, Gambuzzi esita. Sa che, per riuscire, un moto per Roma deve essere moto sociale: il popolo è affamato e nauseato dalla politica. L'intervento della Francia però gli fa sperare che l'impresa, nata con scopi “unitari”, evolva in senso anti-francese e risvegli l'istinto rivoluzionario delle masse. Senza badare al contrasto tra il suo nascente internazionalismo e un'azione volta a completare l'edificio dello Stato, Gambuzzi segue così Garibaldi contro il parere di Bakunin. Mentana però non consente più dubbi: la “rivoluzione nazionale” è estranea alla questione sociale. Nel febbraio 1868 Gambuzzi ormai insiste sulle penose condizioni degli operai e invita i giovani a volgersi al socialismo. Il 21 settembre, a Berna, al II congresso della Lega per la Pace e la Libertà, sostiene la necessità della rivoluzione sociale e le tesi sui rapporti di classe presentate da Bakunin e, quando l'esule russo rompe con la Lega e fonda l'Alleanza per la Democrazia Socialista, Gambuzzi lo segue, entrando nel Comitato Centrale dell'organizzazione; quando poi torna a Napoli con le disposizioni di Bakunin per i compagni, Gambuzzi collabora con «L'Egalité», ha stretti legami con i socialisti europei ed è all'avanguardia tra i militanti della sinistra extraparlamentare. Non a caso un confidente lo descrive come «giovane d'ingegno svegliatissimo, solerte e instancabile», che ha «estese relazioni», notevole influenza sui soci del circolo “Libertà e giustizia” e che potrebbe diventare «un rivoluzionario pernicioso all'ordine pubblico». Un giudizio confermato da Bakunin, che lo reputa dirigente fidato, che sa promuovere «l'organizzazione e i programmi dell'Alleanza per la democrazia socialista». A gennaio del 1869 la sezione internazionalista napoletana, che ha in Gambuzzi un punto di riferimento e con i suoi tremila iscritti è il maggior centro dell'internazionalismo in Italia, inizia l'attività pubblica. Redattore de «L'Eguaglianza», il giornale della sezione napoletana che si occupa esclusivamente degli interessi dei lavoratori, presidente della Sezione Centrale della Lega Italiana dell'Internazionale, Gambuzzi ha ormai un ruolo di primo piano ed è strettamente vigilato da confidenti che inviano rapporti quotidiani al questore. Per nulla intimidito, partecipa all'Anticoncilio, che inizia a Napoli il 9 dicembre ed il 10 è sciolto dalla polizia, e spinge la sezione dell'Internazionale a rispondere con lo sciopero al licenziamento di alcuni conciatori. È l'occasione attesa dal prefetto: Gambuzzi, ispiratore dello sciopero, è arrestato con alcuni operai, mentre la sezione dell'Internazionale è sciolta. Scarcerato, denuncia alla stampa l'arbitraria procedura seguita dalla questura, cerca di estendere l'influenza di Bakunin nel Paese e riesce a tenere in vita la sezione dell'Internazionale, della quale è presidente. Nella primavera del 1871 incontra Bakunin a Firenze e, dopo la Comune, collabora con Cafiero, inviato a Napoli da Engels, costituendo con Fanelli, Palladino e Dramis un Comitato Socialista, che attacca i mazziniani “ingannatori del popolo” e tenta di conquistare all'anarchismo i repubblicani delusi. Presto la sezione napoletana intensifica la propaganda, organizza corsi di formazione politica per i soci ed istituisce una scuola per i loro figli. Ai primi di agosto Gambuzzi, ritenuto ormai “pericoloso”, incontra Bakunin a Locarno e riceve disposizioni per il lavoro da svolgere in Italia. È appena tornato, quando il 20 agosto la sezione dell'Internazionale è sciolta.
A gennaio del 1872 Gambuzzi costituisce con Malatesta, Cafiero e Palladino la Federazione Operaia Napoletana, che pubblica «La Campana», di cui è redattore. Di lì a poco acquista banchi e sedie per dotare la Federazione di una scuola per i figli degli iscritti, dà un forte impulso all'organizzazione, che conta un migliaio di soci, poi parte per Londra, dove incontra numerosi internazionalisti. Tornato a Napoli a gennaio del 1873, tenta di promuovere la nascita di nuove sezioni dell'Internazionale, poi il suo impegno si fa discontinuo. Ai primi del 1877 guida con Tommaso Schettino uno dei gruppi in cui si è divisa a Napoli l'Internazionale e a novembre, per impedire l'unione di repubblicani e internazionalisti proposta da Bovio, stampa un ironico manifesto clandestino e abbandona «La Spira», un foglio che ha inizialmente finanziato. Nel giugno 1879, per favorire la nascita di cooperative di produzione basate sulla ripartizione integrale del prodotto del lavoro, fonda un'Associazione Emancipatrice dei Lavoratori che suscita forti critiche tra gli anarchici di ogni scuola. Ai primi del 1880, tenta di radunare bande armate destinate ad accendere la rivolta in Puglia, poi, per sanare i dissensi che lacerano il movimento, forma un Comitato segreto di Corrispondenza con Merlino e Giustiniani ed entra nella commissione dirigente del Circolo di Studi Sociali, in cui confluiscono i gruppi anarchici napoletani. A maggio è a Milano con Merlino per difendere le idee degli anarchici intransigenti in un congresso convocato dai “legalitari” Gnocchi, Viani e Bignami, ma le adesioni sono scarse e i promotori, temendo il confronto, spostano il convegno a ottobre. Nell'autunno del 1882 si pronuncia per il suffragio universale e si candida, rompendo con l'astensionismo di Merlino, che intende utilizzare le elezioni ai fini esclusivi della propaganda. Sposata la vedova di Bakunin, Antonia Kwiatowska, si allontana dalla politica. Nel 1898 si ricordano di lui gli anarchici de «La Libertà», per un articolo sulle origini del movimento operaio italiano. Muore a Napoli il 30 aprile 1902.
Bibliografia
Scritti di Gambuzzi
- Sulla tomba di Giuseppe Fanelli, parole di Carlo Gambuzzi, Napoli, 6 gen. 1877
Scritti su Gambuzzi
- In memoria di Carlo Gambuzzi nel trigesimo della morte, Napoli, numero unico, 30 mag. 1902
- M. Nettlau, Errico Malatesta. Vita e pensiero, New York 1922, pp. 39-40
- N. Rosselli, Mazzini e Bakunin, Torino 1927
- M. Nettlau, Bakunin e l'Internazionale in Italia dal 1864 al 1872, Ginevra 1928
- P. C. Masini, M. Bakunin, Scritti napoletani (1865-1867), Bergamo 1963, p. 104 sgg.
- C. del Bo, La corrispondenza di Marx ed Engels, Milano 1964
- A. Romano, Storia del movimento socialista in Italia, Bari 1966
- P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Milano, 1969
- G. D. H. Cole, Storia del pensiero socialista, Marxismo e Anarchismo, 1850-1890, Bari 1972, p. 205
- A. Scirocco, Democrazia e socialismo a Napoli dopo l'Unità (1861-1878), Napoli 1973
- F. Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Roma 1973, p. 424
- N. Dell'Erba, Le origini del socialismo a Napoli (1870-1892), Milano 1979, pp. 8, 13, 23, 25, 40
- M. Toda, Errico Malatesta. Da Mazzini a Bakunin, Napoli 1988
- G. Berti, Francesco Saverio Merlino. Dall'anarchismo socialista al socialismo liberali (1856-1930), Milano 1993
- F. Della Peruta, La “banda del Matese”, in Movimenti sociali e lotte politiche nell'Italia liberale. Il moto anarchico del Matese, a cura di L. Parente, Milano 2001, p. 22
Italo Garinei nasce a Pisa nel 1886. Da giovane, e sino al 1915, si avvicina alle correnti libertarie del marxismo e al sindacalismo rivoluzionario, militando nella Federazione Giovanile Socialista. Durante questo periodo, a partire dal 1906, collabora con la stampa socialista-rivoluzionaria: «Sempre Avanti», «La guerra sociale», «L'internazionale», «La bandiera proletaria» e «Il Martello».
Nel periodo antecedente alla Prima guerra mondiale è attivissimo nel movimento antimilitarista e nell'ala classista e intransigente del PSI (in opposizione all'ala riformista). Quando, per motivi di studio, si trasferisce a Torino, vi trova un attivo movimento anarchico locale che influenzerà le sue scelte politiche definitive. In Piemonte prosegue la sua attività giornalistica, si laurea nel 1916 e poi è chiamato a partire per la guerra. Alla fine del terribile conflitto mondiale aderisce al Gruppo Giovanile Sindacalista Anarchico, divenendone un importante militante e partecipando a diverse iniziative.
Durante il biennio rosso si fa portavoce del movimento consiliarista, divenendo un elemento di raccordo tra il gruppo degli anarchici consiliaristi (Maurizio Garino, Pietro Ferrero ecc.) e quello di Ordine Nuovo di Antonio Gramsci.
Il 24 ottobre 1920 viene arrestato a Padova, insieme a Giovanni Diodà (delegato del gruppo anarchico di Padova), mentre partecipa ad un convegno organizzato dagli anarchici veneti. Durante gli anni bui del fascismo la sua attività è molto limitata per via dei rigidi controlli cui è sottoposto, soprattutto perché è sospettato di avere contatti con gli antifascisti esteri. Nonostante le difficoltà, nel 1944 a Torino pubblica con Fioravanti Meniconi e Dante Armanetti alcuni numeri clandestini del giornale «Era nuova» .
Alla fine della guerra, Garinei ricomincia a collaborare con la stampa libertaria, dal 1951 al 1968 pubblica insieme a Dante Armanetti «Seme anarchico», un mensile anarchico. A metà degli "anni 60" ritorna in Toscana, proprio nel periodo in cui, dopo il congresso della Federazione Anarchica Italiana del novembre 1965, la Federazione Anarchica Pisana diviene una delle principali organizzazioni che si oppongono ad una nuova “strutturazione” nazionale considerata eccessivamente accentratrice e burocratica: con Aurelio Chessa, Pio Turroni, gli anarchici toscani ed altri compagni promuove la costituzione dei GIA (Gruppi di Iniziativa Anarchica) che avviene a Pisa durante il convegno del 19 dicembre 1965.
Proprio a Garinei si devono la pubblicazione di alcuni numeri unici di polemica politica dal titolo «Iniziativa anarchica» e, nella primavera del 1966, la ripresa delle pubblicazioni del «Seme anarchico», interrotte per un breve periodo. A Pisa, Garinei è per lungo tempo uno dei principali motori dell'anarchismo toscano, insieme tra gli altri a Renzo Vanni. Muore a Treviso il 6 novembre 1970.
Maurizio Garino (Ploaghe, Sassari, 31 ottobre 1892 - Torino, aprile 1977) è stato un anarchico e un sindacalista protagonista durante gli eventi del biennio rosso.
Biografia
Maurizio Garino, in Sardegna, a Ploaghe, in provincia di Sassari, il 31 ottobre 1892. Tre anni dopo in cerca di migliori condizioni economiche, la famiglia si trasferisce a Torino, l'anno seguente si trasferirà Cassine in provincia di Alessandria. Dopo le scuole elementari e una breve permanenza in un collegio religioso, Garino inizia a lavorare come apprendista falegname, diventando poi modellista meccanico. Ritornata la sua famiglia nel 1906 a Torino, nel 1908 Maurizio milita per due anni (1908-1910) nella gioventù socialista, prima di aderire all'anarchismo.
Il Circolo di Studi Sociali e l'attivismo anarchico-sindacale
Nel 1910 è tra i principali fondatori del Circolo di Studi Sociali della Barriera di Milano che successivamente, in ricordo di Francisco Ferrer y Guardia (fucilato il 12-10-1909), assumerà la denominazione di Scuola Moderna "F. Ferrer". Garino diviene direttore della scuola (nel 1911 ne sarà segretario l'amico Pietro Ferrero), in cui operai, lavoratori e anarchici in genere, discutevano e affrontavano gli argomenti più disparati (filosofia, architettura, astronomia, scienze, biologia ecc.). Attivissimo in campo sindacale nell'ambito della minoranza anarchica della FIOM, è tra i primi ad indire uno sciopero nelle officine di Savigliano contro lo sfruttamento delle donne e dei soldati. Si oppone tenacemente alla firma della convenzione tra la FIOM e il Consorzio automobilistico torinese (gen. 1912) che, in cambio del «sabato inglese», abolisce le tolleranze e introduce la trattenuta sindacale obbligatoria. Per questo Garino aderisce al nuovo Sindacato Unico Metallurgico (SUM), fondato dai sindacalisti rivoluzionari, partecipando allo sciopero proclamato dallo stesso e risoltosi con una grave sconfitta dopo due mesi di lotta. Quest'esperienza negativa, causata dalla divisione sindacale, lo porta a farsi portavoce con Pietro Ferrero nell'ambito del Fascio Libertario Torinese della scelta unitaria a favore della FIOM, anche dopo la costituzione dell'USI (novembre 1912). Il suo attivismo politico e sindacale lo costringerà spesso a dover cambiare luogo di lavoro (Fonderie Subalpine, Acciaierie Fiat, Officine Savigliano ecc.).
Si attiva ed è in prima fila durante gli eventi della settimana rossa (7-14 giugno 1914): arrestato per «violenza privata, minaccia e porto d'arma», è tuttavia prosciolto. Dichiarato abile per la guerra, nonostante fosse stato riformato alla visita di leva, ottiene l'esonero come «operaio specialista» e allo scoppio della guerra assume nette posizioni anti interventiste, partecipando nell'agosto 1917 alle dimostrazioni contro la guerra. Nel 1919 Garino è, come rappresentante degli anarchici torinesi, tra i fondatori dell'Unione Comunista Anarchica Italiana (Congresso di Firenze, 12 14 aprile), dove viene anche designato membro del Consiglio generale.
Le occupazioni delle fabbriche
Protagonista di clamorosi scioperi (come quello contro la decisione unilaterale della FIAT di spostare l'orario di lavoro dall'ora solare a quella legale), lo si ricorda soprattutto per la sua partecipazione a tutti gli eventi che porteranno alle occupazioni e alla costituzione dei consigli di fabbrica del 1919-20: il 1° novembre l'assemblea della Sezione torinese della FIOM approva l'ordine del giorno "Boero-Garino" «a grande maggioranza» che porta alla «costituzione dei Consigli operai di fabbrica, mediante l'elezione dei Commissari di reparto». Si costituisce un nuovo consiglio direttivo, provvisorio, in cui Pietro Ferrero assume le funzioni di segretario, dopo che la carica era stata declinate dallo stesso Garino. Sempre con Ferrero, partecipa alla costituzione delle Commissione di studio sui consigli, spesso riunendosi presso i locali de «L'Ordine Nuovo», nuovo giornale comunista di Antonio Gramsci. Nasce così una collaborazione tra gli anarchici facenti capo a Ferrero e Garino e i comunisti de «L'Ordine Nuovo» , collaborazione che partorirà la nascita di un manifesto apparso ne «L'Ordine nuovo» del 27 marzo 1920.
Al Convegno straordinario della FIOM di Firenze (9 novembre-10 novembre 1919), Boero e Garino ottengono che i vertici federali permettano l'«esperimento dei Consigli di fabbrica» intesi come «la continuazione dell'opera delle Commissioni interne coordinata con quella dell'organizzazione». Nel dicembre dello stesso anno partecipa al Congresso straordinario della CdL di Torino e presenta una mozione a favore dei Consigli, ritenuti «ai fini dei principi comunisti-antiautoritari, organi assolutamente antistatali e possibili cellule della futura gestione della produzione agricola e industriale». Instancabile, porta avanti tenacemente la sua linea durante il Convegno nazionale della FIOM (Genova, maggio 1920) e al Congresso anarchico piemontese (giugno 1920), nonché anche al Congresso bolognese che sancisce la nascita dell'UAI (1°-4 luglio 1920). Nel settembre 1920 inizia l'occupazione delle fabbriche e Maurizio Garino è naturalmente in prima fila. Alla fine dell'esperienza, conclusasi negativamente per il tradimento dei sindacati riformisti, accusa i dirigenti nazionali sindacali di avere in qualche modo illuso «la massa operaia che non distingue se il movimento fosse sindacale o politico, aveva creduto che voi sareste andati fino in fondo, che voi l'avreste condotta al gran gesto rivoluzionario».
In età avanzata, a chi gli chiederà cosa avesse significato per lui e per l'anarchismo quel biennio (1919-20), Garino risponderà:
- «Siamo sempre stati considerati dei sognatori, degli utopisti; noi siamo certi di non esserlo, ed anche l'esperienza del biennio rosso conferma le nostre tesi: l'unica via rivoluzionaria aperta di fronte alla classe operaia è quella della rivoluzione libertaria, dell'autogestione».
Il fascismo e la resistenza
Nel 1921 entra a lavorare in una cooperativa, di cui poi diventerà dirigente, che verrà trasformata in seguito in società per azioni per evitare che fosse fascistizzata. Durante il ventennio fascista rimane a Torino, patendo continui arresti e persecuzioni (l'amico Pietro Ferrero fu ucciso selvaggiamente dai fascisti il 18 dicembre 1922). Dopo l'8 settembre 1943 prende parte attiva alla resistenza: è arrestato nell'ottobre 1944 e poi rilasciato grazie a uno scambio di prigionieri.
L'attività nel secondo dopoguerra
Finita la guerra, continua ancora a portare avanti il suo pensiero partecipando alla riorganizzazione del movimento anarchico libertario piemontese e ricostituendo la Scuola Moderna, che pur svolgendo una intensa attività culturale con l'organizzazione di diverse conferenze sui più svariati temi, non avrà più quel carattere formativo dei militanti che aveva avuto in passato. Dirigente dell'ANPPIA sino alla fine, Garino muore a Torino nell'aprile del 1977.
Garino e Gramsci
Ambedue sardi, condividono insieme le esperienze delle occupazioni delle fabbriche; Gramsci esprime giudizi più che lusinghieri nei confronti degli anarchici e di Garino soprattutto: «... poiché concepiamo il Consiglio di fabbrica come l'inizio storico di un processo che necessariamente deve condurre alla fondazione dello Stato operaio, l'atteggiamento del compagno Garino, libertario, sindacalista, era una riprova della profonda persuasione sempre nutrita che nel processo reale rivoluzionario tutta la classe operaia spontaneamente trova la sua unità pratica e teorica, che ogni operaio, in quanto sincero rivoluzionario, non può che essere portato a collaborare con tutta la classe allo svolgimento di un compito che è immanente nella società capitalistica è non è affatto un fine che viene proposto liberamente dalla coscienza e dalla volontà individuale».
Bibliografia
Scritti di Maurizio Garino
- L'occupazione delle fabbriche nel 1920, «Era nuova», 1° apr. 1950;
- L'incendio della Camera del Lavoro di Torino (1922), in Dall'antifascismo alla resistenza. Trenta anni di storia italiana, Torino 1961.
Scritti su Maurizio Garino
- Pier Carlo Masini, Anarchici e comunisti nel movimento dei Consigli a Torino, Torino 1951;
- G. Lattarulo – R. Ambrosoli, I consigli operai. Un'intervista con il compagno Maurizio Garino, «A», apr. 1971;
- M. Antonioli, B. Bezza, La Fiom dalle origini al fascismo, 1901-1924, Bari 1978;
- M. Revelli, Maurizio Garino: storia di un anarchico, «Mezzosecolo», n. 4, 1980/82.
Francesco Ghezzi (Cusano Milanino, 4 ottobre 1893 - gulag di Vorkuta, Russia, 3 agosto 1942) è stato un sindacalista dell'Unione Sindacale Italiana.
Biografia
Francesco Ghezzi nasce il 4 ottobre 1893 a Milano, figlio di una famiglia operaia.
Giovane anarco-sindacalista
Inizia a lavorare a sette anni e a 16 si accosta alle idee anarchiche. Tra il 1914 e il 1921, in qualità di membro dell'Unione Sindacale Italiana (USI), partecipa attivamente alla protesta politica e alle lotta anti-imperialiste. Nel luglio 1917, per evitare la chiamata alle armi, oltrepassa il confine di Luino e ripara a a Zurigo. Qui, impiegato come tornitore e pulitore d'argento, frequenta gli ambienti rivoluzionari del fuoriuscitismo che ruotano intorno alla Libreria internazionale. Nel frattempo la polizia italiana lo annota come «agente dell'Austria con l'incarico di esplicare propaganda disfattista».
Il 29 novembre 1918 viene arrestato e imprigionato (assieme a Mario Castagna, Giacomo Magni, Eugenio Giuseppe Macchi, Angelo Pozzi e Carlo Restelli) per aver organizzato e partecipato all'insurrezione di Zurigo, ma viene rilasciato anche grazie ad un'intensa campagna di stampa che gli esprime solidarietà. Essendo non colpevole, gli viene riconosciuta un'indennità di 600 franchi, ma poi viene ugualmente espulso dal paese.
In esilio: Russia, Germania e di nuovo Russia
Rientrato in Italia, dopo l'attentato di Bruno Filippi al Teatro di Milano del 1921, la repressione anti-anarchica lo costringe alla fuga in Russia, dove, sempre come delegato dell'USI, partecipa all'internazionale sindacale Profintern (Internazionale Rossa dei Sindacati del Lavoro); il rapporto tra gli anarco-sindacalisti e i leader comunisti sono molto tesi, il Profintern nega ogni autonomia al sindacato e gli arresti sono abbastanza numerosi. Grazie alla protesta formale da parte di Emma Goldman e Alexander Berkman, Ghezzi ed altri compagni vengono rilasciati.
Nel 1922 si reca in Germania e partecipa alla costituzione dell'AIT-anarcosindacalista. Arrestato in Germania, il governo italiano ne chiede l'estradizione per terrorismo, ma una massiccia campagna di solidarietà organizzata dall'avvocato Michel Frenckel gli evita la galera italiana, anche grazie al Ministro degli Esteri russo Narkomindel che certificherà la sua cittadinanza russa. Tra il 1923 e il 1926 lavora in una comunità agricola di Jalta (Russia) e sviluppa contatti con anarchici stranieri. Nel 1926 va a lavorare a Mosca come operaio, mantenendo i contatti con il movimento anarchico che operava in condizioni di semiclandestinità. Diventa amico in particolare di Nikolaj Lazarevic e Pierre Pascal.
Con il filosofo Alexei Borovoi si unisce al gruppo del museo Kropotkin, che rimarrà attivo sino al 1928 e da cui sorgeranno due tendenze: gli ideologi e gli anarcomistici guidati da Alexei Solonovitx. Alcuni fuoriusciti dal Museo Kropotkin fondano una nuova sezione della Croce Nera Anarchica; Ghezzi si occupa della gestione delle donazioni provenienti dall'estero. Tra il 1929 e il 1930, come risultato di una nuova ondata di arresti, l'anarchico milanese è accusato di attività controrivoluzionarie e di essere un «agente dell'ambasciata fascista»; il 31 maggio 1929, vittima della repressione sovietica dell'autocrate Stalin, viene internato per tre anni a Suzdal', dove si ammala di tubercolosi rischiando la morte: alcuni amici e compagni (Nikolaj Lazarevic, Luigi Fabbri, Piere Monatte, Ugo Fedeli, Panaït Istrati, Boris Souvarine e Jacques Mesnil) presentano allora una petizione in Francia e Svizzera , firmata pure da Romain Rolland, ma i sovietici rispondono ancora una volta che Ghezzi è una spia dell'ambasciata fascista.
La militanza anarchica durante lo stalinismo
Grazie all'insistente campagna di solidarietà, nel 1931, dopo essere stato mandato in esilio in Kazakistan, Ghezzi viene rilasciato con l'obbligo di rimanere in Unione Sovietica. Ritornato a Mosca, riprende il suo lavoro di operaio, si diploma all'Istituto Tecnico e si sposa con Olga Gaake. Da quest'unione nasce una figlia, Tat'jana. Nella capitale sovietica continua l'attivismo anarchico e mantiene i contatti con l'estero, fornendo la sua casa come rifugio agli antistalinisti russi ricercati dalla polizia segreta. Nel 1933, tramite la Croce Rossa Politica, si impegna per il rilascio del trotzkysta Gurevich e aiuta la moglie esiliata di Victor Serge, Liobov Rusakova-Kibaltxitx. Nel 1936 chiede ripetutamente di essere inviato come volontario nella guerra di Spagna, ma i permessi gli vengono negati nonostante la CNT avesse chiesto direttamente a Stalin di permettere a Ghezzi e ad altri prigionieri politici (es. Otello Gaggi, Herman Sandormirski...) di unirsi a loro nelle lotte contro i franchisti.
Il 5 novembre 1937 è arrestato nuovamente con la solita accusa di attività controrivoluzionaria nei luoghi di lavoro e di essere un sostenitore del nazismo. Le indagini durano circa un mese, durante il quale Ghezzi respinge tutte le accuse, compresa quella di essere filotrotskista. Fino alla sentenza di colpevolezza resta a Lubianka, prigione interna della NKVD.
Il gulag e la morte
Il 3 aprile 1939 il comitato speciale dell'NKVD lo condanna ad un anno di lavori forzati e due settimane dopo viene inviato nel gulag di Vorkuta (oltre il circolo Polare Artico), nonostante i medici gli avessero diagnosticato la tubercolosi. Nel 1943, un'altra sentenza dell'NKVD gli prolunga la detenzione, ma sarà del tutto inutile perché Francesco Ghezzi muore il 3 agosto 1942 (Vorkuta, Komi, Russia).
La riabilitazione postuma
Nel 1956, su richiesta della moglie Olga Gaake, Nikita Khruscov accetta di riaprire il caso riguardante Ghezzi e si stabilisce che le sue confessioni e le le testimonianze contro di lui furono estore con la tortura. Il 21 maggio 1956 un tribunale di Mosca dichiara che «le prove a suo carico erano insufficienti», Ghezzi viene di fatto riabilitato e cade l'accusa di essere un controrivoluzionario.
Il 28 settembre 1994, la Procura di Mosca riconobbe «vittima di repressioni politiche» anche la figlia di Ghezzi, Tat'jana Ghezzi Stepanova.
Nella Giacomelli (Lodi, 2 luglio 1873 - Desenzano, 12 febbraio 1949) è stata un anarchica e una propagandista italiana.
Biografia
Nella Giacomelli nasce a Lodi il 2 luglio 1873, seconda dei tre figli di Paolo, un repubblicano laico e anticonformista, e di Maria Baggi, monarchica e cattolica. Rimasta orfana per il suicidio del padre, già separatosi dalla moglie, malgrado le difficoltà economiche della famiglia riesce a diplomarsi maestra di scuola insieme alla sorella Fede. È compagna di classe della futura poetessa e scrittrice Ada Negri, della quale rimarrà sempre intima amica.
Il socialismo
Tra il 1892 e il 1897 insegna nel comasco e nel varesotto, e aderisce al Partito socialista, collaborando alla rivista «La Vita internazionale» e al giornale socialista di Lodi «Sorgete!», dove difende la causa dell'emancipazione femminile e dei diritti delle lavoratrici. Ma pochi anni dopo la conoscenza di Giuseppe Ciancabilla gioca un ruolo essenziale per il suo passaggio all'anarchismo.
Nella, ragazza intelligente, insofferente del conformismo e delle tradizioni, aperta alle novità, nel 1894 abbandona la casa familiare per divergenze con la madre - definita da Pier Carlo Masini «tetra, gretta, assoluta, preoccupata solo del denaro» - e nel 1897, a seguito di contrasti con le autorità comunali di Cocquio, dove insegna, si licenzia e si trasferisce a Milano. Intrattiene stretti rapporti epistolari con i socialisti Emilio Trampolini e Carlo Dell'Avalle e sviluppa una relazione con il socialista Giovanni Suzzani.
L'incontro con Ettore Molinari
Dopo un tentativo di suicidio nel 1898, i cui motivi non sono mai stati chiariti, nel 1900 è ospitata presso la casa dell'anarchico Ettore Molinari, allora direttore della Scuola e del Laboratorio di chimica della Società d'incoraggiamento di Arti e Mestieri. Con lui e Straneo, nel 1902, è promotrice e redattrice de «Il Grido della Folla», diretto da Giovanni Gavilli prima e Oberdan Gigli.
La sua vita privata è però per lei foriera di grandi preoccupazioni: nel 1903 scrive una lettera proprio a Gigli in cui gli dichiara il proprio amore, ma anche di aver perso una figlia (motivo del suicidio?) e di essere sul punto di diventare l'amante di Ettore Molinari. In realtà in casa di Ettore Molinari si occupa di accudire la figlia, cosa che farà anche dopo la morte di questi nel 1926.
Conduce una vita ritirata e raramente partecipa ad iniziative pubbliche, collaborando però all'attività scientifica di Molinari (professore di chimica dal 1904 alla Bocconi e poi al Politecnico), alla pubblicazione di periodici anarchici e all'educazione dei figli di Molinari. In questa fase alterna periodi di intensa attività a periodi di depressione in cui si auto isolava. Di tanto in tanto scrive firmandosi con lo pseudonimo di "Ireos", qualche volta partecipa pure a convegni sull'amore libero, sulla questione femminile in genere (inizialmente mostrò scarsa simpatia per le prime femministe) e sulle colonie anarchiche.
Desiderosa di sperimentare la vita comunitaria, nel 1905 si reca presso la comune comunista L'Essai di Aiglemont, nelle Ardenne francesi. Terminata l'esperienza scrive un saggio a puntate molto critico, pubblicato in seguito su «La Protesta Umana» e poi trasformato in un opuscolo.
Contrasti con gli anarchici
Anarchica individualista, insieme a Molinari è spesso accusata dai suoi compagni di eccessiva rigidità e di non comprendere le difficoltà quotidiane che vive la maggior parte delle persone. Spesso si scontra con gli anarchici che di volta in volta si succedono alla direzione de «Il Grido della Folla», ovvero Libero Tancredi , Gennaro D'Andrea e Giovanni Gavilli. Nel 1906 si verifica la rottura tra Giovanni Gavilli e i cosiddetti "tetrarchi" del giornale (Molinari, Giacomelli, Riccioti Longhi e Manfredi), che porta questi ultimi a fondare «La Protesta Umana», mentre «Il Grido della Folla», passato in gestione a Gavilli, cesserà in breve tempo le pubblicazioni.
Nel 1908 Giacomelli e Molinari offrono la direzione del nuovo giornale a Paolo Schicchi, ma ben presto si dovranno ricredere per via degli insanabili contrasti che si ingenereranno e che culmineranno in violento pamphlet accusatorio di Schicchi contro la Giacomelli: La degenerazione dell'anarchismo. A questo scritto risponderà "Epifani" (Ettore Molinari) e "Ireos" (Nella Giacomelli) con Un triste caso di ribellismo anarchico (1909).
Dopo la partenza dell'anarchico siciliano Schicchi, Giacomelli e Molinari individuano in Giuseppe Monnanni, editore anarchico aretino già direttore di «Vir» (rivista anarchica d'arte), e nella sua compagna Leda Rafanelli, due possibili e validi collaboratori.
Terminata l'esperienza de «La Protesta Umana», che cessa le pubblicazioni nel 1909, vive in una sorta di isolamento, che nel 1915 la porta a scrivere a Cesare Agostinelli: «Da vari anni, vivo appartata e ho tagliato, si può dire, i ponti fra me e i compagni. Non vado più alle loro riunioni, né loro vengono da me [...] Il fatto vergognoso di Schicchi, mi ha addirittura messo in un tale allarme contro i compagni, che io temo sempre d'imbattermi in qualche farabutto».
In prossimità della guerra, e dopo gli eventi insurrezionali della settimana rossa, Nella Giacomelli, dietro il nuovo pseudonimo "Petit Jardin", critica le pozioni guerrafondaie di alcuni anarchici (tra cui l'amico Gigli), ribadendo la vocazione internazionalista degli anarchici. In questo periodo, pur mantenendo le sue peculiarità antiorganizzatrici, si avvicina agli organizzatori, come testimoniano le sue relazioni epistolari con Cesare Agostinelli e Luigi Fabbri, e esprime sui giornali «Volontà» e «Abbasso la guerra!» le sue posizioni di pacifismo intransigente, che rifiuta la difesa della "patria" anche in caso di invasione straniera.
Durante il conflitto bellico è arrestata nel 1916 in piazza del Duomo (Milano) a causa di un tentativo dimostrativo antimilitarista. L'intercettazione di una sua lettera (firmata "Ireos") e di un manifesto antimilitarista che incita le donne a manifestare contro la guerra il 1° maggio 1916 le costa il “rimpatrio” a Lodi, trasformato poi in diffida «da ogni forma di propaganda contro la guerra».
Sarà comunque una delle prime ad esprimere la propria solidarietà con la rivoluzione russa. Nel 1917 collabora al giornale «Cronaca Libertaria» (Milano, 14 numeri da agosto a novembre 1917), pubblicato da Leda Rafanelli e Carlo Molaschi.
D'accordo con Luigi Fabbri, nel 1917 manifesta perplessità di fronte alla possibilità che gli anarchici partecipino alla cosiddetta 3° Zimmerwald, conferenza internazionale dei partiti socialisti da tenersi a Stoccolma ma che mai si terrà
Il primo dopoguerra: Umanità Nova
Nell'immediato dopoguerra collabora al numero unico di «Guerra e Pace» (Milano, 22 febbraio 1919) , ma nel frattempo le divisioni con gli ex-interventisti si sono acuite enormemente:
- «C'è un abisso tra noi, Oberdan; tu hai rinnegato il tuo sogno giovanile, ed io lo sogno più ardentemente che mai; [...] Come possiamo ancora comprenderci? Meglio dimenticarci» (Lettera indirizzata ad Oberdan Gigli).
Nel 1919 si ributta a capofitto nell'attivismo anarchico partecipando con il solito Molinari (ufficialmente come sua sorella) al convegno fiorentino dell'Unione Comunista Anarchica Italiana. Con la frequentazione di figure come Mario Senigalliesi ed Emilio Spinaci, in quell'anno nasce l'idea della pubblicazione di un quotidiano anarchico, Umanità Nova, che la porterà entusiasticamente a scrivere:
- «Umanità Nova, meta suprema di tutte le nostre lotte e dei nostri dolori, noi ti adottiamo come simbolo luminoso d'una visione vivente, e ti innanziamo al di sopra di tutte le folle, verso tutti i cuori, faro e bandiera di luce e libertà» («Iconoclasta», 25 luglio, Pistoia) .
Il progetto di Umanità Nova fornisce a Nella nuovo entusiasmo: stringe rapporti epistolari con Malatesta e quando questi alla fine del 1919 sbarcherà a Taranto di rientro dall'esilio inglese, sarà proprio a Nella Giacomelli che Errico Malatesta telegraferà. Sul primo numero del nuovo giornale annuncia ironicamente la morte di “Petit Jardin” , i suoi scritti sono dapprima quotidiani e poi via via sempre più radi e intrisi di un pessimismo che sembra nuovamente far breccia nel suo animo. Auspica non la rivoluzione, ma la fine del mondo, scettica com'è sulla possibilità che gli esseri umani possano finalmente cambiare . È critica con il movimento anarchico, convinta com'é che «si creano dei ribelli ma non si formano degli anarchici», non ponendo quindi le basi per la costituzione di una società veramente libertaria.
L'ultimo periodo
Dopo essere stata amministratore delegato della società del giornale, lascia l'incarico e contemporaneamente smette anche la collaborazione del giornale . Nonostante l'abbandono di Umanità Nova, il giudice Carboni nel febbraio 1921 la include tra gli indagati per «cospirazione contro i poteri dello stato», che vede coinvolti i principali redattori di Umanità Nova (Errico Malatesta, Armando Borghi, Corrado Quaglino ecc.).
Assolta il 25 marzo 1921, è nuovamente denunciata dopo la strage del teatro Diana di Milano per «associazione a delinquere», accusa da cui verrà scagionata il 1° maggio seguente. Nei due anni seguenti, dopo il trasferimento di Umanità Nova a Roma, collabora alla rivista milanese «Pagine Libertarie» di Carlo Molaschi "Inkyo" e "vice Rudel" (Rudel era lo pseudonimo di Henry Molinari). Morto Ettore Molinari (Milano, 9 novembre 1926), è accusata di aver stretto rapporti con Camillo Berneri, a sua volta sospettato di aver sostenuto Gino Lucetti nel suo tentativo di uccidere Mussolini, e quindi arrestata nel 1928 insieme a Libero ed Henry Molinari, figli di Ettore.
In favore dei tre interviene l'eterno amico Oberdan Gigli - con cui Nella aveva mantenuto buoni rapporti d'amicizia nonostante le sostanziali divisioni sul modo di intendere l'anarchia - che si rivolge ad Ada Negri, ex-socialista convertita al fascismo, con l'intento che ella chieda giustizia «a chi solo può superare le difficoltà delle leggi», cioè allo stesso Mussolini. Liberati i tre tra la fine di agosto e l'inizio di settembre dello stesso anno, Nella si ritira a Rivoltella del Garda (frazione di Desenzano), presso la villa Molinari, apparentemente senza più interessarsi di politica.
Caduto il fascismo e avviatasi l'Italia repubblicana, Nella Giacomelli muore a Desenzano il 12 febbraio 1949.
Note
- "Petit Jardin", Il giudice Cappone, ovverosia: le farse della giustizia, Milano, 1921, pag. 60-63
Scritti
- Per una scuola moderna, Milano 1907
- Una colonia comunista, prefazione di Oberdan Gigli, Milano, Biblioteca della Protesta Umana, 1907
- Una colonia libertaria nelle Ardenne, s. l. d.
- Un triste caso di libellismo anarchico. Risposta ad un turpe libello di Paolo Schicchi (con Ettore Molinari), Milano, Tipografia Enrico Zerboni, 1909
- Fattori economici pel successo della rivoluzione sociale, 1920
- Il giudice Cappone ovverosia Le farse della Giustizia. Fantasia esquimese in tre periodi con Epilogo Milanese, Milano, Libreria di Umanità Nova, 1921
- Meteore Rosse. Dramma in tre atti, Milano, Libreria Editrice Tempi Nuovi, 1922
- Il sistema Alker di allevamento dei bachi, prefazione di Ettore Molinari e due appendici a cura del sig. Alker di Desenzano, Milano, Casa Editrice Bietti, 1927
Fonti e Bibliografia
- Archivio centrale dello Stato, Roma, Casellario politico centrale, Nella Giacomelli
- Archivio di Stato di Milano, Fondo Questura, cartella 89
- E. Santarelli, Giacomelli Nella, in AA. VV., La questione femminile in Italia dal '900 ad oggi, Milano, Franco Angeli 1979
- P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani nell'epoca degli attentati, Milano, Rizzoli 1981
- Maria Antonietta Serci, Nella Giacomelli, in Dizionario biografico degli italiani, Volume LIV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 2000
- M. Antonioli, Nella Giacomelli, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 700-703
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