Carmine Noce
Istituto Comprensivo Carolei – Anno Scolastico 2007/2008
IL VALLONE DEI BRIGANTI
Una delle tante storie mai scritte sul brigantaggio, ma raccontate solo
dai vecchietti ai loro nipotini, è quella che è avvenuta in un calda
domenica del lontano luglio del 1866, sulle linee di
confine tra Mendicino, Carolei e Domanico. La storia riguarda il
rapimento di un ricco latifondista e notabile mendicinese, ad opera di
un gruppo di briganti provenienti da diversi comuni, tra i quali s. Pietro in Guarano., Castrovillari e Pietrafitta al comando dei capobanda Carmine Noce e di un tal Sisnardi.Istituto Comprensivo Carolei – Anno Scolastico 2007/2008
Questo
gruppo di briganti, raggiunse il territorio mendicinese , seguendo le
istruzioni di un basista locale, attraverso un percorso montano via
Domanico -Carolei- Treti , e precisamente scendendo dalla contrada "Treti"
fino al ponte Alimena. Si racconta che, quando questi giunsero in
contrada " Treti", incontrarono alcuni contadini che stavano andando
nella casupola del guardiacaccia nella riserva di caccia dei Quintieri
(attuale cozzo S. Martino) a prelevare gli indumenti per lavorare e
portarono con loro, con la forza uno di essi perché facesse da guida
fino al ponte Alimena.
Il
latifondo del grande proprietario terriero Nicola Lento era dislocato
dietro il cimitero di Mendicino, nei pressi della chiesa diroccata
di S. Cristofaro, ed era quasi tutto coltivato a grano. Durante il
periodo della mietitura, il proprietario andava spesso a passeggiare tra
i mietitori con il proprio cavallo per controllare il ritmo di lavoro;
così i briganti decisero di rapirlo proprio durante una di queste
passeggiate.
Ma
la domenica che avvenne il rapimento , Nicola Lento aveva mandato il
figlio, poiché lui non si sentiva bene. Cosicchè i briganti rapirono il
figlio, pensando naturalmente di chiedere in seguito il riscatto ai
familiari. Rapirono il Lento e si diressero dapprima verso Terredonniche
, per poi proseguire verso le montagne tra Potame e monte Cocuzzo
attraverso la valle dei "Relli" o "valle dello Ntinnale"
lungo il corso del fiume Caronte. Alcuni contadini andarono
immediatamente ad avvisare le forze dell’ordine locali , cioè la Guardia Nazionale di Carolei, Domanico e Lago ed il Mandamento della Guardia Nazionale di Cerisano.
Iniziò cosi un lungo ed estenuante inseguimento dei briganti, i quali una volta superata la "casa dei Relli" verso la valle "Spinarelle", che delimita il versante destro del cozzo "Ntinnale", proseguirono in una piccola valle sulla destra dopo le "Caselle Baroni".
La valle, terminava
purtroppo con una roccia a strapiombo dalla quale scendeva un ruscello ,
rendendo impossibile il prosieguo della lunga fuga.I briganti sentendo
gli inseguitori alle costole, decisero di liberarsi dell’ostaggio,
uccidendolo con un colpo di fucile. . Ma il proiettile lo colpì di striscio così il Lento si finse morto e si salvò. Durante
la fuga, incontrarono in seguito un povero contadino , soprannominato
"Pitittu" (appetito) poiché aveva sempre appetito, per non parlare di
fame atavica, che stava tornando a casa a Mendicino nel rione di "Basso la Motta" dalla valle del "finocchio", con un carico di grano germano sulle spalle che sarebbe servito per sfamare la sua famiglia.
I briganti, al fine di far perdere tempo e di scoraggiare i carabinieri nell’inseguimento lo uccisero con molta freddezza.
Durante il percorso della loro fuga, non conoscendo la zona, dovevano spesso scegliere a caso, tra diverse valli confluenti. Al termine del percorso, sfortunatamente scelsero l’unica valle che non aveva sbocco.
L’unica
che non dava nessuna possibilità di proseguire, poiché bloccata da una
roccia a strapiombo frontale dalla quale scendeva un ruscello e dalle
pareti laterali quasi verticali, come si può tuttora constatare da un
attento esame del territorio dell’alta valle del fiume Caronte.
Una perfetta trappola mortale per un gruppo di malfattori che venivano inseguiti, come
se la loro fine fosse stata già scelta dal destino. I briganti, appena
si trovarono in quella trappola, capirono subito che non avrebbero avuto
più nessuna possibilità di salvezza.
L’unica alternativa, era quella di nascondersi fra i cespugli e sperare di non essere scoperti . Intanto i
carabinieri giunti in quella zona, chiesero a tutti i boscaioli e
contadini che si trovavano in zona (all’epoca c’erano molti contadini
che coltivavano la terra e boscaioli che lavoravano) ma nessuno di loro
diede conferma del passaggio del gruppo di briganti.
Capirono
allora che i briganti dovevano essersi nascosti in quella zona ed
iniziarono subito un’accurata ricerca. Un gendarme, giunto nei pressi
del vallone dove erano nascosti i briganti, si affacciò
dallo strapiombo per osservare nel fosso, ma individuato da uno dei
briganti fu colpito da una fucilata, e ferito dovette indietreggiare.
Fu
questa la vera azione fatale per i briganti, in quando quello sparo
attirò tutti i carabinieri, ed una volta scoperti si misero a sparare
nei cespugli dietro i quali erano nascosti i briganti, iniziando cosi un
lungo assedio. L’assedio durò quasi due giorni. Furono massacrati 17 briganti e 3 carabinieri,solo un brigante, fingendosi morto, quatto quatto se né scappò via. Terminata
la strage, decisero di seppellirli lì vicino, in una zona dove la valle
si allarga , e di mettere a dimora su ogni fossa di sepoltura una piantina di noce. Questo gruppo di piante, conosciute da boscaioli e cacciatori come …"le noci dei briganti"….rimase in vegetazione circa fini a 20-25 anni fa circa, poi fu tagliato abusivamente.
L’unico brigante superstite, andò a nascondersi sotto un "covone" di felci, usate all’epoca per la coltivazione delle patate. In un campo dove c’erano un contadino con il proprio figlioletto
e fu proprio questo bimbo ad accorgersi della presenza del brigante e
farlo notare al padre che lo immobilizzò minacciandolo con un
"tridente".. Ma questi, impaurito e stanco, implorò pietà dicendo di avere anche lui tanti figli piccoli e di voler tornare a casa per poterli sfamare, gli consegnò il proprio fucile in segno di resa e chiese in quale direzione si trovasse il
paese di Castrovillari, poiché era lì che risiedeva la sua famiglia. Il
contadino impietosito, lo lasciò andare , indicandogli la direzione del
paese.
In
quelle valli adesso,…… non si sentono più i richiami e le voci dei
montanari e dei boscaioli… …c’è un lungo silenzio …..e nello scroscìo
dei numerosi ruscelli dell’alta valle del fiume Caronte, …….sembra ancora di sentire riecheggiare le "schioppettate" e le grida di morte di quei poveri diavoli….forse anche loro vittima di tanta miseria e di tanta fame.
Al termine di tale operazione, dodici parenti del brigante
Carmine Noce da Aprigliano e sette di Giovanni Siinardi da
Pietrafitta furono arrestati. Si trattava, in prevalenza (52,63
per cento) di fratelli e sorelle, giovanissime (69), ma talvolta
anche di genitori, mogli, nipoti, cugini (70).
Carmine Noce da Aprigliano e sette di Giovanni Siinardi da
Pietrafitta furono arrestati. Si trattava, in prevalenza (52,63
per cento) di fratelli e sorelle, giovanissime (69), ma talvolta
anche di genitori, mogli, nipoti, cugini (70).
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