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sabato 23 luglio 2016

Gaetano Bresci (Prato, 10 novembre 1869 – Ventotene, 22 maggio 1901)

Gaetano Bresci

 

Gaetano Bresci (Prato, 10 novembre 1869 – Ventotene, 22 maggio 1901) è stato un anarchico italiano, autore dell'omicidio del re d'Italia Umberto I. Il monarca era già scampato a due attentati, eseguiti dagli anarchici Giovanni Passannante e Pietro Acciarito.

Biografia

Prima del regicidio

 Gaetano Bresci nacque il 10 novembre 1869 a Coiano, frazione di Prato, dai contadini Gaspare Bresci (a volte scritto Gasparo o Gaspero) e Maddalena Godi (morti rispettivamente nel 1895 e nel 1889). La sua famiglia era semplice ma non in misere condizioni: nel 1900 suo fratello Angiolo era tenente del Regio Esercito presso il corpo degli artiglieri di Caserta, mentre una sorella aveva sposato un affermato ebanista di Castel San Pietro Terme. Iniziò a lavorare in età adolescenziale in un'azienda di filatura e prese contatti con il mondo politico. All'età di 15 anni entrò a far parte di un circolo anarchico di Prato. Nel 1892 fu condannato a 15 giorni di carcere per oltraggio e rifiuto di obbedienza alla forza pubblica, fu schedato come «anarchico pericoloso» e relegato nel 1895 (ai sensi delle leggi speciali di Crispi) a Lampedusa.

Ricevuta l'amnistia sul finire del 1896, Bresci riprese il suo lavoro di filatore e mise incinta una sua collega operaia. Forse per evitare i doveri della paternità, decise di emigrare negli Stati Uniti, stabilendosi a Paterson (New Jersey), dove trovò lavoro nell'industria tessile, frequentando la comunità anarchica di emigrati italiani. Bresci, tuttavia, si distingueva dall'"immigrato italiano medio" in quanto parlava correttamente l'inglese, possedeva una macchina fotografica (un piccolo lusso per l'epoca) e interagiva molto con la comunità statunitense, al contrario di molti immigrati italiani (soprattutto i primi che arrivarono negli Stati Uniti) che, per motivi diversi, spesso si auto-ghettizzavano nelle Little Italy. Bresci era considerato anche un "donnaiolo", molto spigliato con le ragazze, aiutato in questo anche da una discreta cultura. Tra i suoi amici e conoscenti di Paterson vi erano Ernestina Cravello, Mario Grisoni, Gino Magnolfi, nomi conosciuti nella comunità anarchica.

Negli Stati Uniti si legò all'irlandese Sophie Knieland, dalla quale ebbe due figlie, Maddalena e Gaetanina; quest'ultima sarà anche lei anarchica convinta, e dopo la morte del padre continuò le lotte per una vita migliore degli operai di Paterson (lotte peraltro già sostenute, anni prima, dal padre medesimo). Durante la sua permanenza in America, Gaetano Bresci venne a conoscenza della feroce repressione nel 1894 dei Fasci Siciliani da parte di Crispi e dei moti popolari del 1898, voluta dal governo di Antonio di Rudinì. A Milano, in particolare, a seguito dell'aumento del prezzo della farina e del pane (il cui costo cresceva da anni), il popolo insorse ed assaltò i forni del pane. In quell'anno, a circa quarant'anni dall'annessione della Lombardia al futuro Regno d'Italia, dopo la Seconda guerra d'indipendenza (1859), la situazione economica era grave, tanto che in quegli stessi quarant'anni emigrarono circa 519.000 lombardi.
L'insurrezione milanese, passata alla storia come la "protesta dello stomaco", durò vari giorni, dal 6 al 9 maggio 1898. Essa fu repressa nel sangue da reparti dell'esercito comandati dal generale Fiorenzo Bava-Beccaris; nella repressione militare vi furono, secondo i dati ufficiali (sicuramente sottostimati, dato che testimoni oculari parleranno di circa 300 vittime), ottanta persone uccise, di cui solo due tra la forza pubblica, e quattrocentocinquanta feriti, dei quali ventidue furono militari; tra le vittime vi furono anche vari mendicanti che si trovavano in fila per ricevere la minestra dei frati in via Monforte, sui quali si sparò col cannone. Bava Beccaris, per tale azione di ordine pubblico, fu insignito con la Croce di Grand'Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia dal re Umberto I, il quale per l'occasione inviò a Bava Beccaris un telegramma, reso pubblico, in cui scriveva fra l'altro che l'onorificenza gli era conferita «per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della Patria».
Inoltre Umberto I lo nominò senatore un mese dopo, con un decreto reale del 16 giugno 1898. Gaetano Bresci intendeva vendicare l'eccidio, rendendo giustizia, e perciò decise di ritornare in Italia con l'obiettivo di uccidere re Umberto, ritenendolo responsabile massimo di quei tragici avvenimenti.Prima di tornare in Italia, inviò del denaro all'operaia che gli aveva dato un figlio a Prato. Una volta giunto in Italia, fu solito allenarsi presso il Tiro a Segno Nazionale di Galceti (Prato) dove poneva, distesi al suolo, dei fiaschi per il vino, allenandosi a colpire e sfondarne il fondo, facendo passare il proiettile per il collo della bottiglia. Lasciato il borgo natio, fece una serie di tappe (minuziosamente riportate negli atti ufficiali del processo). Prima andò a Castel San Pietro Terme (dove viveva la sorella), poi a Bologna, indi a Piacenza, e infine a Milano. Qui prese in affitto una camera in via San Pietro all'Orto n.4. Dopo pochi giorni si recò nella vicina Monza, prendendo in affitto una camera in via Cairoli, vicino alla stazione ferroviaria. Nella città brianzola riuscì a spiare per giorni i movimenti e le abitudini del sovrano, il quale - dal 21 luglio - si trovava in villeggiatura estiva nella poco distante Villa Reale di Monza.

Il regicidio e la condanna

« Ho attentato al Capo dello Stato perché è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere. Concepii tale disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute in Sicilia in seguito agli stati d'assedio emanati per decreto reale. E dopo avvenute le altre repressioni del ‘98 ancora più numerose e più barbare, sempre in seguito agli stati d'assedio emanati con decreto reale. » (Gaetano Bresci subito dopo l'arresto)

 La sera di domenica 29 luglio 1900, poco dopo le 22, a Monza, Bresci uccise il re d'Italia Umberto I di Savoia, sparandogli contro tre o quattro colpi di rivoltella (Bresci affermò di aver sparato tre volte, ma le fonti storiche non concordano in quanto, oltre ai tre nel corpo del re, venne ritrovato un quarto proiettile nella carrozza), colpendolo alla spalla, al polmone e al cuore. Pochi secondi dopo perse conoscenza e morì.. Il sovrano stava rientrando in carrozza nella sua residenza monzese dopo aver assistito a un saggio ginnico, cui era seguita una premiazione presso la società sportiva "Forti e Liberi". Il regicidio, immortalato in una celebre tavola del pittore Achille Beltrame per La Domenica del Corriere, avvenne sotto gli occhi della popolazione festante che salutava il monarca.

Bresci si lasciò catturare dal maresciallo dei carabinieri Andrea Braggio senza opporre resistenza, e fu lo stesso carabiniere a salvarlo, proteggendolo dal linciaggio a cui stava per essere sottoposto dalla folla inferocita. Poco dopo affermò: «Io non ho ucciso Umberto. Io ho ucciso il Re. Ho ucciso un principio». Il regicida, difeso dall'avvocato Francesco Saverio Merlino dopo il rifiuto di Filippo Turati (che temeva repressioni contro il PSI; durante un colloquio con Bresci in carcere, il leader socialista rifiutò l'incarico con la motivazione che "non esercitava più da 10 anni la professione"), fu processato per regicidio e condannato all'ergastolo.
Ricordiamo che la pena di morte era invece stata comminata a Giovanni Passannante, ventidue anni prima (1878), anche se il suo attentato contro il sovrano era fallito, poi commutata in ergastolo per la grazia concessa dal re Umberto. Tuttavia, all'epoca del regicidio di Monza (1900) la pena di morte era già stata abolita dal Codice Zanardelli, nel 1889, tranne per alcuni reati militari. Il dispositivo della sentenza affermò di condannare «...Bresci Gaetano alla pena dell'ergastolo, di cui i primi sette anni in segregazione cellulare continua, all'interdizione perpetua dei pubblici uffici, all'interdetto legale, alla perdita della capacità di testare, ritenendo nullo il testamento che per avventura fosse da lui stato fatto prima della condanna».
A differenza di quanto era avvenuto per Passannante e Acciarito, perfino Cesare Lombroso affermò che in Bresci non vi erano segni di patologia o tratti criminali (secondo la pseudoscienza dell'epoca), sostenendo che “la causa impellente sta nelle gravissime condizioni politiche del nostro paese”.
Gaetano Bresci fu recluso dapprima nel carcere di San Vittore, a Milano, poi, subito dopo il processo, nel carcere di Forte Longone, a Porto Azzurro, sull'isola d'Elba, in una delle venti celle che formano la sezione d'isolamento denominata "la Rissa", sotto una finestra della quale egli scrisse "la tomba dei vivi". Alle ore 12 del 23 gennaio 1901, dopo un trasferimento via mare sull'avviso Messaggero della Regia Marina, Bresci fu rinchiuso nel suo ultimo domicilio. Per poterlo controllare a vista venne edificata per lui una speciale cella di tre metri per tre, priva di suppellettili, nel penitenziario di Santo Stefano, presso Ventotene (Isole Ponziane). Il suo numero di matricola era il 515.
Indossava la divisa degli ergastolani con le mostrine nere, che indicavano i colpevoli dei delitti più gravi. I piedi erano avvinti in catene, e doveva effettuare l'ora d'aria su una terrazza isolata, quando gli altri detenuti erano nelle celle, per evitare la comunicazione con loro (che effettuavano l'uscita giornaliera nel cortile sottostante). Ogni giorno riceveva il vitto di spettanza: una gamella di zuppa magra e una pagnotta. Aveva facoltà di acquistare generi alimentari allo spaccio, ma si avvalse raramente di questa concessione. Delle sessanta lire depositate presso l'amministrazione dell'ergastolo (e spedite dall'America dalla moglie) riuscì a spenderne meno di dieci. Il comportamento del detenuto fu giudicato tranquillo, normale. Bresci ricevette la visita del cappellano del carcere, don Antonio Fasulo, ma rinunziò al conforto della conversazione. Si fece dare una Bibbia, che leggeva ogni tanto, e poi, tra gli scarsi volumi della biblioteca carceraria (Bibbie, una copia delle Vite dei Santi e pochi dizionari), scelse un vocabolario italiano-francese. Lo troverà aperto, nel pomeriggio del 22 maggio 1901, il direttore del carcere venuto a constatare la sua morte.
Contemporaneamente, a Parigi, si ebbe notizia di rapporti fra Maria Sofia di Borbone, detta romanticamente la Regina degli Anarchici, con Errico Malatesta, rapporti probabilmente solo di conoscenza, viste le simpatie politiche dimostrate dall'aristocratica nei confronti dei "sovversivi" (la regina si avvicinò agli anarchici solo per incitarli a compiere attentati contro i Savoia, al fine di recuperare il Regno delle Due Sicilie, non certo per sincero interesse). Benedetto Croce affermò, sbagliando l'anno (riporta il 1904 anziché il 1901) che l'ex regina volesse organizzare con Malatesta l'evasione di Gaetano Bresci, circostanza però smentita dal pensatore anarchico. Frattanto, nel Governo, si temeva un'azione degli anarchici per liberarlo, mentre l'avvocato Merlino preparava le carte per una revisione del processo, al fine di ottenere una riduzione della pena, nonché il trasferimento in un carcere meno duro, approfittando della presenza di un governo più tollerante, quello di Giuseppe Zanardelli (Merlino aveva già tentato di ottenere una pena bassa al processo, giustificando il gesto di Bresci come "violenza privata contro la violenza dello Stato").

La morte

Il 22 maggio 1901, l'ufficio matricola della Regia Casa di Pena di Santo Stefano registrò la morte del detenuto «Gaetano Bresci fu Gaspero, condannato all'ergastolo per l'uccisione a Monza del re d'Italia». Alle ore 14.55 il secondino Barbieri, che aveva l'incarico di sorvegliare a vista l'ergastolano, ma che si era allontanato per alcuni minuti, scoprì il corpo del Bresci, ormai cadavere, penzolare dall'inferriata alla quale il recluso si era appeso per il collo mediante l'asciugamano in dotazione o, secondo altri, un lenzuolo. Accorsero sia il direttore del carcere, cavalier Cecinelli, sia il medico, ma soltanto per constatare il decesso. Bresci non aveva dato segni di depressione, né di volontà suicide, nei giorni precedenti. Le circostanze della sua morte destarono subito perplessità. Voci circolate da cella a cella, e presto uscite dal penitenziario, avvalorano un'ipotesi alternativa.
Tre guardie avrebbero fatto irruzione nella cella, avrebbero immobilizzato il Bresci buttandogli addosso una coperta, e poi lo avrebbero massacrato a pugni. Nel gergo carcerario questo trattamento è chiamato "fare il Sant'Antonio o santantonio": serve a dare una lezione ai riottosi, ma a volte la lezione è mortale. Sandro Pertini, per esempio (detenuto al carcere di Santo Stefano durante il ventennio fascista), sostenne, nell'aula dell'Assemblea Costituente (nel 1947), che Bresci era stato ucciso in questo modo. Un "delitto contro lo Stato" sarebbe stato dunque punito con un "delitto di Stato". Secondo i medici che effettuarono l'autopsia, il corpo era in stato di decomposizione, e perciò appare difficile che fosse morto da sole 48 ore. Vi sono incertezze anche sul luogo di sepoltura: secondo alcune fonti, Bresci fu seppellito assieme ai suoi effetti personali nel cimitero di Santo Stefano; a tal proposito, si veda la testimonianza di Luigi Veronelli, che disegnò una mappa, basandosi su alcune indicazioni presenti sulle tombe. Secondo altre ipotesi, viceversa, il suo corpo fu invece gettato in mare.
Molte tombe del cimitero del carcere (usato come confino durante il fascismo) sono senza nome, anche se in seguito furono apposte nuove targhette, sempre seguendo la mappa di Veronelli. Una delle croci di legno è stata identificata come la tomba di Bresci. Le sole cose certe rimaste di lui furono il cappello da ergastolano (ma distrutto durante una rivolta di carcerati nel dopoguerra), la rivoltella con cui compì il regicidio, la macchina fotografica con i reagenti per sviluppare le foto, e due valigie di effetti personali sequestrategli nella camera in affitto a Milano; questi reperti sono conservati nel Museo Criminologico di Roma.
Alcuni misteri circondano ancora la figura dell'"anarchico venuto dall'America", come la fantasia popolare lo aveva battezzato, e riguardano prevalentemente documenti spariti: non è mai stata trovata la pagina 515 che descriveva il suo "status" di ergastolano (nonché le circostanze della morte); nessuna informazione su di lui è disponibile all'Archivio di Stato di Roma; non è mai stato ritrovato – come testimonia un'approfondita biografia di Arrigo Petacco – il dossier che Giovanni Giolitti scrisse sulla vicenda Bresci. Qualche anno dopo la morte del regicida, Ezio Riboldi, primo sindaco socialista di Monza, fece visitare la cappella espiatoria all'allora giovane esponente della sinistra rivoluzionaria Benito Mussolini, il quale con un sasso appuntito incise la scritta: «Monumento a Bresci».

Reazioni

Come già accaduto ai suoi predecessori (Passannante e Acciarito), tutti gli amici più stretti e i parenti di Bresci furono arrestati nel tentativo di dimostrare che il regicida non aveva agito individualmente, ma aveva preso parte a un vastissimo complotto anarchico internazionale. Anche la polizia di Paterson fu mobilitata per dimostrare tale complotto, ma non trovò assolutamente niente; solo testimonianze che indicavano il contrario. Il quotidiano socialista Avanti!, divenuto capro espiatorio (benché non fosse affatto vicino agli anarchici), subì un'aggressione da parte dei conservatori, in seguito alla quale furono arrestati alcuni lavoratori del giornale, ma non gli aggressori. Uno dei fratelli di Bresci dovette cambiare il cognome. L’altro fratello venne arrestato molte volte, e perseguitato fino al suicidio. La moglie in America cambiò il cognome delle due figlie e vi furono ripetuti arresti, per anni, tra parenti, conoscenti, ex colleghi ed ex vicini di casa. Un canonico pratese imbrattò l’atto di battesimo di Bresci con frasi ingiuriose. Per decenni nessun esponente della famiglia reale andò a Prato. Nel 1934, a 34 anni dall’attentato, Vittorio Emmanuele III, di passaggio a Prato, presiedette all’inaugurazione del monumento ai caduti in piazza delle Carceri, ma non volle visitare la città.
Molti anarchici furono arrestati in tutta Italia, colpevoli di apologia di regicidio; tra coloro che celebrarono il regicidio vi furono un prete ed un farmacista savonese, immediatamente arrestati. A Bresci, infatti, erano stati dedicati feste e brindisi, tanto in Italia quanto a Paterson. La maggioranza degli anarchici, anche coloro che erano solitamente contrari alla violenza, plaudì all'azione di Bresci. Lev Tolstoj, anarchico cristiano nonviolento, non approvò il gesto in sé, ma ne comprese le motivazioni profonde:
« Se Alessandro di Russia, se Umberto non hanno meritato la morte, assai meno l'hanno meritata le migliaia di caduti di Plevna o in terra d'Abissinia. Sono terribili tali uccisioni non per la loro crudeltà o ingiustizia ma per l'irragionevolezza di coloro che le compiono. Se gli uccisori di re sono spinti ad essere tali da un sentimento personale di indignazione suscitato dalle sofferenze del popolo in schiavitù di cui appaiono loro responsabili Alessandro, Carnot, Umberto o da un sentimento personale di offesa e vendetta, allora tali azioni per quanto ingiuste appaiono comprensibili. »
(L. Tolstoj, Non uccidere)
Il regicidio pose comunque fine ad un periodo di pesanti repressioni e agitazioni popolari; infatti il nuovo re chiamerà al governo esponenti liberali come Zanardelli e Giolitti, rompendo la tradizione dei governi autoritari inaugurati con Crispi nel 1887.

Commemorazioni

« Noi stiamo buoni e quelli ci ammaz­zano. Se non rice­vono una sana lezione fanno quello che vogliono. Non avete notato che da quando Bre­sci ha spa­rato al re, di stragi non ce ne sono più state? Quando hanno paura loro, abbiamo meno paura noi. »


(Valerio Evangelisti, Il sole dell'avvenire)
Negli ambienti anarchici, in quelli fortemente repubblicani e di sinistra radicale, Bresci non è ritenuto un criminale ma una figura di rilievo, al punto da ricevere anche numerosi elogi e commemorazioni:
  • A pochi anni dal regicidio, il letterato Mario Rapisardi scrisse nel VI epigramma delle sue Frecciate: «Stavo per dimandar: Ma chi l'ha fatto / Povero Umberto, questo tuo ritratto? / Quando il mio curioso occhio distinse / Questa scritta dappiù: Bresci dipinse».
  • Nella città di Carrara è stato dedicato a Bresci un monumento, nell'area antistante il cimitero (in Loc. Turigliano), in marmo di Carrara, opera dello scultore milanese Carlo Sergio Signori.
  • La città di Prato ha dedicato, nel 1976, una strada al concittadino anarchico. Si trova vicino a piazza del Mercato Nuovo.
  • Umberto Eco, nello scritto intitolato "Elogio a Franti" (raccolto nel Diario Minimo del medesimo), suggerisce ironicamente che il detto personaggio, tratto dal libro Cuore di Edmondo de Amicis (in cui riveste un ruolo di birbante e cinico), possa essere riletto come emblema di opposizione sociale, tanto da ridere riguardo l'anniversario dei funerali del re Vittorio Emanuele II. Divenuto adulto, avrebbe persino assunto il nome d'arte di Gaetano Bresci.
  • Due delle maggiori associazioni dedicate alla memoria della Resistenza italiana contro il nazifascismo, l'ANPI e la FIAP, sezioni di Carrara, hanno deposto fiori e una corona d'alloro presso il suddetto monumento a Bresci, durante una manifestazione pubblica il 2 novembre 2013, poiché, secondo le associazioni, Bresci «sacrificò la sua vita per quegli stessi ideali anarchici e di liberazione» che animavano gran parte della «Carrara antifascista e partigiana».

Canzoni su Bresci o che lo ricordano

  • Ascanio Celestini, La casa del ladro (a Gaetano Bresci); canzone (trasmessa nel programma Parla con me di Serena Dandini l'8 febbraio 2007). Vi si parla di un assassino che entra «come un ladro nella casa del ladro» - cioè del padrone – per ucciderlo. Il testo non parla di Bresci, ma è stato a lui dedicato dall'autore. Questo pezzo musicale è stato riproposto durante il Concerto del Primo maggio in piazza San Giovanni Laterano a Roma.
  • Assalti Frontali, Banditi nella sala
  • The Gang, Bandito senza tempo, contenuta nell'album Le radici e le ali, cita anche Bresci
  • DDT, La Savoiarda, contenuta nell'album Skaglia!
  • Inno individualista, canto popolare anarchico
  • Viva il nostro Bresci, anonimo
  • Alla stazion di Monza, anonimo (riportante anche versi di Mario Rapisardi e di Jean Meslier)
  • Marco Valdo M.I., Gaetano, gracié and pendu
  • Viene citato in una strofa alternativa di Addio a Lugano ("scritta" da un anonimo a livello popolare tra gli anarchici livornesi, a differenza del resto del testo, opera di Pietro Gori)
  • L'hanno ammazzato Umberto Primo, anonimo, sull'aria e la metrica degli Stornelli d'esilio di Gori; anonimo
  • Viene citato nella canzone Romantico = A Strappo de L'Officina della Camomilla
  • Daniele Sepe, Perché i vivi non ricordano
  • Monkey's Factory, 29 luglio 1900 (Gaetano Bresci)
  • Bresci è citato nella sigla del programma tv Striscia la notizia della stagione 2006-07

Filmografia

  • Colpo al cuore. Morte non accidentale di un monarca (2010), documentario del collettivo Teleimmagini

 
Gaetano Bresci visto da Santin e Riccomini


Gaetano Bresci (Italian pronunciation: [ɡaeˈtano ˈbreʃʃi]; November 10, 1869 – May 22, 1901) was an Italian American anarchist who assassinated King Umberto I of Italy. Bresci was the first European regicide offender not to be executed, as capital punishment in Italy had been abolished since 1889.

Militancy

Bresci was born at Coiano, near Prato, Tuscany, and emigrated from Italy to the United States, making his living as a weaver in Paterson, New Jersey, which had a large Italian-American community. He became involved with and later a leading member of an Italian political group called "Gruppo diritti all' esistenza". He was one of the founders of La Questione Sociale, the Italian language anarchist paper published in Paterson. According to Emma Goldman:
He was a skillful weaver, considered by his employers as a sober, hard-working man, but his pay averaged only fifteen dollars a week. He had a wife and child to support; yet he managed to donate weekly contributions to the paper. He had even saved a hundred and fifty dollars, which he lent to the group at a critical period of La Questione Sociale. His free evenings and Sundays he used to spend in helping with the office work and in propaganda. He was beloved and respected for his devotion by all the members of his group.
In 1898, high bread prices led to demonstrations all over Italy. In Milan, an unarmed crowd of protestors marched toward the palace, which was surrounded by a strong military force under the command of General Fiorenzo Bava-Beccaris. The crowd ignored the order to disperse, whereupon Bava-Beccaris gave the signal to fire with muskets and cannons, resulting in a massacre of the demonstrators, in which more than ninety people died.

Umberto I's killing

King Umberto later decorated Bava-Beccaris, complimenting him upon his "brave defense of the royal house" — as a result of which Bresci became determined to kill the king. Bresci had his loan to the paper returned (without telling his comrades why), and with the money he went to Italy. In Monza, where the king was visiting on July 29, 1900, he shot him four times with a five-shot .32 revolver. A monument, the Cappella Espiatoria, has been erected in the exact spot the king was murdered.

Trial and death

Bresci was captured and put on trial, where he was defended by the anarchist lawyer Francesco Saverio Merlino. There being no capital punishment in Italy at the time, he was sentenced in Milan on August 29, 1900, to penal servitude for life on Santo Stefano Island near Ventotene, where numerous other anarchists had also been sent over the years. Less than a year later, on May 22, 1901, at the age of 31, he was found dead in prison. It is not clear whether he committed suicide, as officially announced, or whether he was murdered by his guards.

Legacy

  • The city of Carrara dedicated a marble monument to Bresci.
  • The city of Prato named a street for him in 1976.



 

 

Dai fumetti di Santin e Riccomini: Bresci uccide Umberto I  




Anarchist Gaetano Bresci in Monza, striking King Umberto I to death, July 29,

Assassination of King Umberto I of Italy (1844-1900), by Italo-American anarchist Gaetano Bresci, in Monza. Illustration from French newspaper Le Petit  













 Non so quanto uno storico potrebbe ritenere che questi miei appunti possano essere di supporto ad una teoria seria, ma mi piace pensare che Bresci abbia voluto dare il suo contributo ad una lunga rivoluzione sognata dai ragazzini e tradita dai vecchi. E l'abbia fatto con una curiosa leggerezza che è anarchica e giovanile allo stesso tempo, l'unico slancio che può spingere un tessitore toscano a tornarsene dal New Jersey con una pistola e una macchinetta fotografica non per immortalare il re, ma per vederlo morto.


  

 
 

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