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mercoledì 27 luglio 2016

Marco (di) Sciarra, conosciuto anche come Marco Sciarpa (Rocca Santa Maria, 1550 (?) – 1593)

Marco Sciarra

Marco (di) Sciarra, conosciuto anche come Marco Sciarpa (Rocca Santa Maria, 1550 (?) – 1593), è stato un brigante italiano, famigerato bandito che ha vissuto ed operato nella seconda metà del secolo XVI nei territori dell'Italia centrale e meridionale.

Briganti pastori

Abruzzese, originario di Castiglione della parrocchia di Riano presso Rocca Santa Maria nella montagna teramana, «homo, benché di vil condizione, d'animo e di spirito elevato» - come lo descrive Tommaso Costo, storico erudito napoletano del tempo - lo Sciarra si era unito ai banditi che infestavano la Campagna Romana nel 1584.
Spesso il vagabondaggio dei poveri e dei soldati mercenari sbandati con la fine delle guerre d'Italia, nel 1559, si trasformava in banditismo. Questo accadeva nelle zone di collegamento tra pianura e montagne: l'aumento della popolazione cacciava di continuo dai monti uomini che non riuscivano a trovare spazio nell'economia dell'allevamento seminomade e la trasformazione da pastore transumante a bandito era un fenomeno molto frequente nella campagna romana caratterizzata dal latifondo nobiliare. Si trattava per lo più di contadini ridotti alla fame e di pastori che avevano iniziato la loro carriera banditesca rubando qualche capo di bestiame ai latifondisti romani. Anche numerosi preti di campagna, simboli di un malcontento e di un malessere molto diffusi nel clero rurale, andarono ad ingrossare le file dei banditi. I pastori-briganti cresciuti nel territorio dei loro pascoli conoscevano bene i luoghi dove opereranno come banditi: dopo le incursioni trovavano rifugio sulle montagne dove conoscevano grotte in cui ripararsi spesso sconosciute a chi li inseguiva, che disabituato alle lunghe marce su scoscesi pendii, arrancava dietro i loro rapidi spostamenti.
Una sorta di guerriglieri dunque che seguivano la tattica del mordi e fuggi, più che fuorilegge alla ventura e in più ben guidati e organizzati da tre luogotenenti dello Sciarra: Pacchiarotto, Battistello da Fermo e Luca, fratello di Marco.
In breve tempo per il suo coraggio e le sue capacità di comando Sciarra era stato riconosciuto come capo da vari gruppi sparsi di briganti che formarono alla fine un esercito di circa un migliaio d'uomini che conducevano una vera e propria guerra per bande che partendo dai monti abruzzesi si estendeva dalle Marche alla Campagna Romana arrivando fino al napoletano e in Puglia.

Flagellum Dei

«Marcus Sciarra, flagellum Dei, et commissarius missus a Deo contra usurarios et detinentes pecunias otiosas» («Marco Sciarra, flagello di Dio, e inviato da Dio contro gli usurai e quelli che posseggono denaro improduttivo»): così si definiva il bandito che ebbe fama popolare poiché, come riportavano gli "Avvisi", i quotidiani del tempo, Sciarra rubava ai ricchi per ridistribuire ai poveri.
Quelli che erano terrorizzati dalla banda di Sciarra erano quindi coloro che possedevano ricchezze che non investivano per generare lavoro e benessere per i poveri e che prosperavano invece con l'usura che rendeva i poveri sempre più miseri.
Questo spiega perché inutilmente il governo del Papa aveva cercato di eliminare l'appoggio che i contadini davano ai banditi che, in genere, rispettavano le loro poche proprietà e il loro modo di vivere mentre i soldati papalini saccheggiavano e uccidevano.
Non meraviglia quindi la fioritura di racconti e leggende contadine sul bandito chiamato il "Re della campagna" per la sua generosità verso i suoi stessi nemici o per la sua gentilezza d'animo e cavalleria. Si racconta che un giorno presso Ripattoni si trovò ad assistere ad una festa nuziale. Sotto gli sguardi terrorizzati degli sposi e degli invitati che avevano riconosciuto lui e la sua masnada, scese tranquillamente da cavallo, chiese alla sposa di concedergli un ballo e, infine, dopo aver danzato anche con le altre donne, messo mano al suo cappello fece una colletta tra i suoi uomini e del denaro, si presume raccolto in abbondanza, ne fece dono alla sposa.

Lo scontro con gli spagnoli

La morte di papa Sisto V nell'agosto del 1590 coincise con una grande carestia che colpì la città di Roma. Il nuovo pontefice, papa Urbano VII era morto dopo solo dodici giorni di pontificato e nel nuovo conclave accendevano gli animi dei cardinali i contrasti tra il granduca di Toscana Ferdinando I e gli spagnoli che si scontravano per far eleggere un loro candidato.
A peggiorare la situazione cominciarono a circolare voci presso il popolo romano di una possibile incursione nella città del bandito Marco Sciarra che insieme all'altro capo banda Battistello da Fermo, con un piccolo esercito di un centinaio di fuorilegge, si diceva che si apprestassero ad assalire il sacro collegio cardinalizio per riscuoterne un riscatto. Le due formazioni di fuorilegge si trovavano in effetti da alcuni mesi alle porte della città effettuando numerosi saccheggi e scorrerie. Inoltre si temeva che qualcuno potesse accordarsi con i briganti per influire sull'elezione del nuovo papa. Gli spagnoli avevano promesso di rifornire di viveri la città in cambio dell'elezione a papa di un loro candidato ma intanto tenevano il grano fermo sui moli del porto di Napoli.
Finalmente nel dicembre del 1590, sbloccatasi la pericolosa situazione d'instabilità con l'elezione di papa Gregorio XIV, uno dei favoriti degli spagnoli il viceré spagnolo, decise che era giunto il momento di sbarazzarsi una volta per tutte della banda di Sciarra che nel frattempo aveva ingrossato le sue file con l'arrivo di Alfonso Piccolomini, duca di Monte Marciano, caduto in disgrazia del granduca Ferdinando, e ora a capo di una banda che operava in Romagna. Risoluto a sterminare i banditi il viceré allestì un esercito di 4.000 uomini comandati da Carlo Spinelli "soldato di molto senno e valore" e per tagliare la testa alla banda promise anche una grossa ricompensa di 4000 ducati per chi avesse ucciso Marco Sciarra e di 3000 per la morte di suo fratello Luca.
Il "Re della campagna per nulla intimorito continuava a taglieggiare e saccheggiare nella campagna romana giungendo a sfidare presso Albano i soldati del papa. I due banditi alleati erano i padroni indisturbati di un vasto territorio che andava dal Po e le paludi di Ravenna fino alle zone boscose del Vesuvio.
La foresta della Faiola, situata a poca distanza da Roma sulla via di Napoli, era stata scelta come il quartier generale di Sciarra che assediato in un casale dai soldati spagnoli si salvò in extremis per l'intervento inatteso della banda di Piccolomini.
Il capobanda così riuscì ancora una volta a non farsi prendere ma il suo alleato Piccolomini fu catturato in Romagna e condotto a Firenze dove fu giustiziato.
La spedizione degli spagnoli alla fine non concluse nulla anzi, come si racconta, persino lo stesso capo dell'esercito spagnolo Spinelli, che cavalcava un vistoso cavallo bianco, sarebbe stato ucciso se lo stesso Marco Sciarra, che stimava e ammirava il suo nemico, non avesse ordinato a tutta la sua banda di non colpirlo.

L'assedio di Cerreto Laziale

Nel 1592, Sciarra aveva stabilito ad Itri il suo quartier generale nel castello che domina la città, taglieggiando i viaggiatori che percorrevano la Via Appia. Tra questi malcapitati, racconta la leggenda popolare, fu Torquato Tasso,che riconosciuto dal bandito fu fatto proseguire senza che gli fosse recato danno.
Nell'aprile dello stesso anno la banda di Sciarra ebbe modo di capire che la simpatia e la collaborazione dei contadini, pressati dalle minacce delle autorità, incominciava a venir meno. I briganti erano in marcia probabilmente verso il paese di Subiaco ma per arrivarci si doveva necessariamente passare per la strada che attraversava Cerreto Laziale. Sciarra promise che lui e i suoi compagni non avrebbero arrecato danno a nessuno e chiese alle autorità di passare. Ma i Cerretani temevano più i papalini che lui e rifiutarono il permesso. I briganti allora pensarono che con un solo colpo si potevano ottenere più risultati: riportare con la forza alla sottomissione i cerretani, passare e saccheggiare quanto gli capitava tra le mani. I cerretani se la videro brutta: le truppe del papa, chiamate in soccorso non arrivavano e l'assedio dei banditi stava per avere successo. Durante la notte i banditi si accampavano e si riparavano a dormire nei fienili sotto le mura del paese; fu allora che un ingegnoso cerretano, rimasto sconosciuto, ebbe un'idea: prese una gatta, le legò uno straccio imbevuto di una sostanza infiammabile, gli diede fuoco e buttò dalle mura il disgraziato animale sui fienili. La povera bestia fuggì dando fuoco ai fienili e i briganti sorpresi nel sonno e bruciacchiati vennero messi in fuga da una sortita dei paesani, i quali però dovettero concludere l'opera impegnandosi a spegnere il fuoco che ora minacciava di appiccarsi all'intero paese riuscendovi, come si racconta, solo per l'intercessione diretta di Sant'Agata la martire che aveva fermato la lava dell'Etna che stava per incendiare Catania.
L'episodio, probabilmente abbellito dalla fantasia popolare dimostra in realtà come lo Sciarra non godesse più dell'appoggio dei contadini e come fosse ormai iniziata la fase discendente della sua avventura brigantesca.

Al servizio di Venezia

Sempre più ostacolata dall'esercito del papa e da quello spagnolo la banda di Sciarra cominciò a disperdersi; il capobanda quindi pensò bene di mettersi sotto la protezione della Repubblica di San Marco offrendole con i suoi compagni più devoti il suo aiuto militare. Venezia che aveva bisogno di soldati per la sua guerra contro gli Uscocchi accettò ma i suoi rapporti con lo Stato della Chiesa, già tesi per la politica di autonomia che il governo veneziano conduceva nei confronti del papato, peggiorarono. Il nuovo papa Clemente VIII non tollerava che i veneziani dessero protezione a banditi che si erano macchiati di tanti crimini nel suo territorio e minacciava rappresaglie; inutilmente un'ambasceria veneziana aveva tentato di farlo desistere dal richiedere la consegna dello Sciarra. Per risolvere il conflitto diplomatico con la Chiesa i veneziani escogitarono allora l'espediente di spedire la banda di Sciarra a Candia per sostituire i soldati decimati dalla peste che infieriva in quei luoghi. Com'era prevedibile i cinquecento banditi furono anch'essi uccisi dalla pestilenza e se ne salvarono solo poche decine, mentre Sciarra, che non aveva obbedito all'ordine di imbarcarsi, era fuggito con alcuni compagni oltre il confine veneziano.
Riparato nuovamente nello Stato della Chiesa il bandito era pronto a riprendere la sua carriera brigantesca quando nel 1593 venne ucciso nei pressi di Ascoli Piceno in loc. la Croce, da un suo compagno, Battistello, che in questo modo si guadagnò il perdono e la grazia del papa per sé e per i suoi compari.


  1. ^ Nell'opera L'Italia dei briganti (ed. Rendina, 1998 p.73) l'autore Giuseppe Pennacchia ritiene che Sciarra sia nato «verso il 1550 a Venafro» in Molise. C'è da notare però che tutta la letteratura precedente dava per certa l'origine abruzzese del brigante, certificata anche dallo storico Niccola Palma nella sua opera sulla diocesi di Teramo Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del Regno di Napoli: detta dagli antichi praetutium, ne' bassi tempi Aprutium oggi città di Teramo e diocesi Aprutina. Che contiene gli avvenimenti dal 1530 al 1830 (Volume 3, ed. Angeletti, 1833). Il canonico teramano Palma per le sue ricerche poté consultare il locale archivio vescovile che gli permise di scoprire tra gli altri alcuni nomi dei compagni di Sciarra, come Ursino e Nonno di Sabatuccio, provenienti dai paesi limitrofi a quello del bandito. Nel paese di Rocca Santa Maria infine erano ancora viventi nel secolo XVIII i discendenti di Sciarra. Lo stesso storico asseriva come Sciarra non fosse il cognome di famiglia ma il soprannome datogli dai compagni per le sue azioni
  2. ^ «L'astuzia degli abitanti e il sacrificio di una gatta sono al centro del Palio della Gatta che si disputa a Cerreto Laziale il 24 e il 25 di aprile, piccolo comune che dista 52 chilometri da Roma. La festa inizia, con una serie di giochi popolari e la sfilata del corteo storico che ricorda personaggi dell'antica Cerreto, specie quelli legati ad un episodio del 1592, quando il paese fu assediato dalla nutrita banda di malviventi guidata dal brigante Marco Sciarpa... Per contendersi il Palio della Gatta, animale al quale il paese ha anche innalzato un monumento, scendono i campo i quattro rioni: Torre, Trabocca, Costatole e Lavaturu. Il Palio, manco a dirlo, è una statuetta in legno raffigurante l'animale al quale gli abitanti di Cerreto sono legatissimi.»

 

Torquato Tasso catturato da Marco Sciarra
Messrs. Bagg - print in the book: the lives and exploits of banditti and robbers (1833)
Torquato Tasso catturato dal brigante Marco Sciarra

Storia del brigante Marco di Sciarra

" Per la verità, nell'anno 1592, se mal non me ricordo, vennero li banditi da queste parti, et il capo per quanto s'intendea era Marco di Sciarra. Tra l'altro la matina di San Marco passorno per fora la terra di Trasacco con l'intenzione d'intrarvi, che però vi fu scaramucciato per un pezzo, et poi non possendoro intrarvi se ne pasarono, et andarono la volta di Collelongo, et di Gioia, nella quale terra di Gioia ferno grandissimo dano d'arrobbo, ammazzar gente ed abruciar case, et passato detti banditi dalla terra di Trasacco, come vò detto fu dato pubblicamente che con detti banditi vi andava Don Baldassarro Quatraro delle Cese, ma io non lo viddi.
Dallì a pochi giorni, detto Baldassarro, l'arrobbo et dano predetto a Gioia ripassò per la strada della montagna di Labrone, et menava seco una somarella carica di robbe, come sono pani di lana et canapa et altre diverse cose, et vi era ancora una testa de vitella pelata, et essendo visto dalle nostre genti tra la quale vi era il Capitanio Baronio di Sora, et lui regeva tutte le genti di detenzione della terra, al quale si dava ogni obedienza, fu presto detto Don Baldassaro con dette robbe, avendo comissione detto Capitanio Aniballe dal commissario di campagna, Conte di Conversano, et considerando esserne cose robbate in comitiva di detti banditi fatto nella terra di Gioia, pigliorno detto Don Baldassarro per volerlo amazzare, quale cercò in grazia per amor d'Iddio gli dessero un sacerdote al quale potesse confessare lì soi peccati il che gli fu concesso, dandoli Don Massimo Apone, a quel tempo della terra di Trasacco, et confessato, detto Capitanio Aniballe persisteva in detta volontà di amazzarlo et così sì messe Fausto Febonio, a quel tempo Camerlengo, Alexandro Febonio, et Giovanni Apone, come massari, et altri particulari della terra, cercando in grazia di detto Capitanio non voler amazzare detto Don Baldassaro, al che detto Capitanio malamente condescese, ma alla fine per gratificarli se contentò levandoli tutte suddette robbe quali poi furono restituite alle genti di Gioia, che ne ebbero notizia, come più si potrà sapere dalli suddetti Fausto et Alexandro Febonio et Giovanni Apone officiali della terra, et dopo fu relassato detto Don Baldassarro passato che forno da dieci giorni che se ne stette in casa de certi soi parenti se mal non me ricordo".
(fonte bibliografica "BIABBA'" di Quirino Lucarelli) 


Sonate sonate, campane a martello,
e gli allistati subito a cavallo,
fuìte tutti anco senza lo mantello,
ch’arriva Sciarra pria che canti il gallo.

Di tutti li latroni e homicidiari
di tutti li briganti e fuorusciti,
di hommini scellerati e gran sicari
è Marco Sciarra il capo dei banditi.

Toglie ducati, grano e vestimenti,
ne ammazza più lui che lo mal castrone
vole la fine di tutti i possidenti
dei ricchi vole completa strippazione.

Marco Sciarra, eccolo qua,
fuìte tutti dalla città
Marco Sciarra, eccolo qua,
lui ammazza senza pietà.

Portate polvere, armi, piombo e palle,
veloce come il lampo alla montagna
coi suoi briganti scende nella valle
Sciarra s’è fatto re della campagna.

Odia i potenti, vuol bene ai tamarri
toglie i ducati al ricco possidente
li carica sui muli e sopra i carri
e li distribuisce tra chi non ha niente!!!

Marco Sciarra, eccolo qua,
fuìte tutti dalla città
Marco Sciarra, eccolo qua,
lui ammazza senza pietà.

Commissario contro la pecunia oziosa
mandato da Dio contro agli usurai,
grand’omaggio fece un dì ad una sposa
e a Papi e Cardinali portò guai.

La povera gente rimase senza voce
quando il vile Battistello, grassatore,
gli tagliò la gola sul colle della Croce
cogliendolo alle spalle… il traditore!!!

Marco Sciarra, è morto qua,
piangetelo tutti giù in città
Marco Sciarra, eccolo qua,
l’hanno ammazzato senza pietà.

Così finì quel dì la scellerata vita
di un brigante iniquo e malandrino,
di quest’empia furia dall’inferno uscita,
che ognor di stragi seminò il cammino.

Marco Sciarra, è morto qua,
piangetelo tutti giù in città
Marco Sciarra, eccolo qua,
l’hanno ammazzato senza pietà.

 


 Sermoneta e i Caetani: dinamiche politiche, sociali e culturali di un ...
a cura di Luigi Fiorani

 


MARCO SCIARRA
pp. 280. Euro 13,00
Tutti sapevano che quel giorno, 24 giugno 1562, ci sarebbero state aspre discussioni nel Parlamento Generale, perché erano riprese le lotte tra fazioni. Il territorio teramano negli anni successivi fu più volte infestato da pericolose bande di briganti, i cui capi erano temutissimi. Il più temuto e celebrato era Marco Sciarra, che si faceva chiamare "Flagello di Dio e re della campagna", rubava ai ricchi e spartiva il bottino con i poveri, in nome di un principiio di giustizia sociale che lo portava a godere della protezione delle popolazioni rurali.

Per un decennio scorrazzò per tutto il centro Italia al comando di una banda numerosissima, organizzata militarmente, dettando legge a Cardinali e Papi e sfidando gli eserciti che gli davano inutilmente la caccia. Tornato dalla Dalmazia, dove si era posto al servizio di Venezia, sbarcò di notte sulle coste marchigiane, mettendosi nuovamente al comando di una numerosa comitiva di briganti. Fino a quando l'inaspettato tradimento del suo più fidato luogotenente non spense la sua vita sul Colle della Croce, sovrastante la città di Ascoli.

 

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