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domenica 14 agosto 2016

Virginia Bolten (1870-1960) ANARCHICA

Virginia Bolten

Virginia Bolten (1870-1960)  E' stata un'anarchica e una femminista argentina. Fondatrice del giornale anarco-femminista «La Voz de la Mujer», esercitò la sua militanza principalmente a Rosario, Buenos Aires e Montevideo (Uruguay). 

Biografia

Virginia Bolten nasce nel 1870 da Enrique Bolten, un cittadino tedesco emigrato in Argentina, e Dominga Sanchez. Non è chiaro quale sia stato il suo luogo di nascita, presumibilmente una qualche città  argentina (San Luis?) ma potrebbe anche esser nata in Uruguay.
Da ragazza lavora in una fabbrica di scarpe e poi in una compagnia di raffinazione dello zucchero di Rosario. Sposatasi con Manuel Manrique, un anarchico uruguayano attivista in un quartiere popolare, Virginia Bolten abbraccia gli ideali libertari e femministi.
Il primo Maggio 1890 passa alla storia argentina per essere stata la prima oratrice a parlare di fronte ad una folla di lavoratori e lavoratrici di Rosario. Alla manifestazione s'era presentata con una bandiera nera in mano recante la scritta: «1° maggio: Fratellanza Universale».
Il suo comizio le costa però l'arresto, l'accusa è quella di violare l'ordine sociale esistente e di aver diffuso propaganda anarchica tra i lavoratori della raffineria. Virginia Bolten non è donna che si lascia certo intimidire dalla repressione, prosegue così nella sua attività  propagandistica pubblicando qualche articolo in «La Protesta Humana» e svolgendo conferenze in molte città  argentine. Lei stessa è la fondatrice del giornale anarco-femminista «La Voz de la Mujer» (La Voce della Donna), pubblicato nel biennio 1896/1897, il cui slogan è «Nè Dio, nè padroni, nè marito». In questo periodico diffonde gli ideali del comunismo libertario e denuncia apertamente le ingiustizie subite dai lavoratori e dalle donne in particolare. Per il suo impegno anarco-femminista sarà  soprannominata la Louise Michel di Rosario.
Nel 1903, la promulgazione della Ley de Residencia (Legge di Residenza) porta all'espulsione di molti anarchici immigrati. La Bolten immediatamente organizza una campagna di opposizione a questo provvedimento, in particolare partecipando ad una dimostrazione a Montevideo (Uruguay), in occasione del 1° maggio, in cui P. Gugliamone, Oreste Ristori e la stessa Virginia Bolten sono i principali oratori. Il suo discorso è incentrato sul potere e gli abusi delle classi dominanti argentine perpetrati ai danni della maggioranza del popolo. Nello stesso anno è tra le organizzatrici di un convegno al Teatro San Martè­n, organizzato per celebrare i due anni di attività  del sindacato portuario. Figure eminenti anarchiche, tra cui la stessa Virginia Bolten, vi tengono appassionati discorsi.
Nel 1904 la donna si trasferisce a Buenos Aires, entra a far parte del Comitè de Huelga Femenino (Comitato dello Sciopero Femminile), che è parte del sindacato della Federaciòn Obrera Argentina, impegnato nella difesa dei lavoratori del mercato della frutta di Buenos Aires.
La sua frenetica attività  le costa qualche problema di salute ma i compagni del gruppo Germinal non la lasciano sola e si autoorganizzano per sostenerla moralmente ed economicamente.
In ragione del suo intervento in favore del movimento degli inquilini (1907), in qualità  di militante del Centro Feminino, le viene applicata la famigerata "Legge di Residenza". Costretta all'esilio in Uruguay insieme al compagno Manuel Manrique e ai figli (la coppia aveva almeno una figlia, Mary Milagra), la sua casa di Montevideo diviene un punto di riferimento per molti anarchici argentini esiliati. Juana Buela Rouco, nella sua autobiografia Historia de un ideal vivido por una mujer, ne ricorderà  l'impegno e la tenacia nella sua attività  propagandistica tra i lavoratori orientali.
Nel 1909 collabora con il periodico anarco-femminista diretto da Juana Rouco Buela, «La Nueva Senda» (1909-1910). A Montevideo organizza una pubblica protesta contro la brutale repressione del 1° maggio 1909 a Buenos Aires, quando le forze di polizia di Ramòn Falcòn assassinarono una decina di operai. Partecipa inoltre alla campagna contro l'esecuzione del pedagogista libertario Francisco Ferrer y Guardia, fucilato a Barcellona nel 1909. Nello stesso anno collabora con l' Asociasion Femenina- Emancipaciòn, appoggiando le donne anticlericali, le operatrici telefoniche e impegnandosi contro il riformismo delle suffragete.
Con l'elezione alla Presidenza dell'Uruguay di José Batlle y Ordóñez, Virginia Bolten entra a far parte di un movimento in favore di Francisco Berri, Adrian Zamboni e Orsini Bertani, cioè di quel gruppo di anarchici che sostenevano le politiche di laicizzazione dello Stato e la nazionalizzazione dei capitali stranieri portate avanti dal governo uruguayano.
Durante questo periodo, l'anarchismo argentino perderà  il sostegno popolare a vantaggio del più moderato Partito Socialista. Nel corso del 1913, il giornale «El Socialista» la accusa esplicitamente di aver tradito il movimento operaio.
Poco si sa circa gli ultimi anni della sua vita. Si sa che nel 1923 è entrata a far parte del Centro Internazionale di Studi Sociali, un'associazione libertaria di Montevideo. Si pensa che abbia continuato a vivere nel quartiere Manga di Montevideo fino alla sua morte, avvenuta intorno al 1960.

Virginia Bolten (1870–1960) was an anarchist of German descent. A gifted orator, she originally lived in Argentina, before she was deported to Uruguay in 1902.

Biography

Virginia Bolten, the daughter of a German emigrant, was born in 1870 in Argentina, either in San Luis or San Juan. She spent her childhood in San Juan, a province of Argentina. After reaching adulthood she worked as a shoemaker and a sugar factory worker. While working as a shoemaker she met Juan Marquez, an organiser of a shoe workers union, whom she later married. Instrumental in her introduction to anarchist circles was her acquaintance with Pietro Gori. After a number of years of activity in the feminist, anarchist, and workers' movements, she was deported to Uruguay under the Residence Law in 1902.

Activism

In 1888 Bolten became one of the publishers of The Working Baker of Rosario (Spanish: El Obrero Panadero de Rosario), one of the first anarchist newspapers in Argentina. In 1889 she organized the seamstresses' demonstration and consequent strike in Rosario, probably the first strike by female workers in Argentina.
In 1890 Virginia Bolten, Romulo Ovidi and Francisco Berri were the main organizers of the first May Day demonstrations. The other editors of The Working Baker of Rosario had an equally important role in the organization of the demonstrations. On April 30, 1890 (the day before the demonstrations), she was detained and interrogated, by local police forces, for distributing leaflets outside the major factories of the area. During the May Day demonstrations she led a group of thousands of workers who were marching to Plaza Lopez, the main square of Montevideo, the capital city of Uruguay. Throughout the march she carried the red flag, on which was written "First Of May - Universal Fraternity" (Spanish: Primero de Mayo - Fraternidad Universal; Los trabajadores de Rosario cumplimos las disposiciones del Comité Obrero Internacional de París).

La Voz de la Mujer

Bolten is probably responsible for the publication of a newspaper called La Voz de la Mujer (English: The Woman's Voice), which was published nine times in Rosario between 8 January 1896 and 1 January 1897, and was revived, briefly, in 1901. A similar paper with the same name was reportedly published later in Montevideo, which suggests that Bolten may also have founded and edited it after her deportation.

La Nueva Senda

In Uruguay, Bolten continued her activism, publishing a newspaper called La Nueva Senda (English: The New Path) from 1909 to 1910.

Other publications

She published many articles in anarchist-communist journals and newspapers, the most notable of which were La Protesta and La Protesta Humana.

Legacy

Park

Puerto Madero, a district of Buenos Aires, named a park in her honor.

Film

In 2007 the government of the San Luis Province in Argentina decided to fund a film honoring Virginia Bolten. The film focuses mainly on Bolten's life, anarchist feminism and the social conditions, which led to the publication of La Voz de la Mujer. It is titled No god, No master, no husband (Spanish: Ni dios, ni patrón, ni marido) after one of the newspaper's mottos and Virginia Bolten is played by Julieta Díaz. The film, which will be released on April 29, 2010, in Argentina, was directed by the Spanish director Laura Mañá
Virginia Bolten y Juana Rouco forjaron las bases del feminismo proletario

 Virginia Bolten (San Luis, 26 de diciembre de 1876 - Montevideo, 1960) fue una militante anarquista, sindicalista y feminista, con actuación en las ciudades de Buenos Aires, Rosario y Montevideo. Dirigió el periódico anarcofeminista argentino La Voz de la Mujer, en su versión rosarina en 1899 y La Nueva Senda de Montevideo, cuando Juana Rouco Buela debió esconderse debido a la persecución policial. Fue activa redactora y correspondal del periódico anarquista La Protesta Humana. Fue representante y promotora de la Federación Obrera Argentina (luego FORA). En la década de 1910, Virginia Bolten se acerca a la tendencia anarcobatllista, que apoyaba las leyes laborales del presidente uruguayo José Batlle y Ordóñez (1903-1907 y 1911-1915).

Entre la historia y el mito

Virginia Bolten es una mujer feminista, sindicalista y anarquistas, que ha tenido una considerable difusión de su vida, en comparación con otras mujeres militantes de la misma época. Recientemente los investigadores Agustina Prieto (Rosario), Laura Fernández Cordero (Buenos Aires) y Pascual Muñoz (Montevideo), iniciaron una investigación sobre los documentos históricos relacionados con la vida de Virginia Bolten, que fue publicada a comienzos de 2014, bajo el título de "Tras los pasos de Virginia Bolten".3 Entre la documentación encontrada figura la partida de nacimiento, señalando que nació el 26 de diciembre de 1876 en San Luis, razón por la cual es improbable que haya ocupado un papel central en la manifestación obrera de Rosario en 1890. También hallaron la partida de bautismo católico de su primera hija en 1896, bautizada como María Milagra Zulema. El bautismo y el nombre dado a su primera hija, se diferencia de la falta de bautismo y los nombres dados a sus siguientes hijos, Urano Líber, nacido probablemente en 1898 y Acracia, nacida en fecha indeterminada:
Ante los descubrimientos documentales, las autores y el autor del trabajo ponen en duda los hechos que se atribuyen a Virginia Bolten en la década de 1890, desde su participación en el acto del 1 de mayo de 1890, hasta la detención por distribuir folletos. Las autoras y el autor dice e este respecto que:
...ante tantas dudas, una certeza: Virginia Bolten es un mito potente. Y no vendrá este trabajo colectivo a discutirlo. Queremos, sí, desandar algunos pasos en la construcción de aquellas imágenes míticas para recuperar otras dimensiones de la biografía política de Bolten. Un recorrido que rescate, también, su participación en la prensa y sus escritos.3

Biografía

Hacia 1850, el padre de Virginia Bolten ―un estudiante que tenía ideas contrarias al régimen militarista alemán― emigró a Chile. Desde allí cruzó la cordillera y llegó hasta la provincia de San Luis. Consiguió trabajo en una gran estancia que era propiedad de la familia Sánchez. Allí se enamoró de Dominga Sánchez, la hija del estanciero. Se casaron y tuvieron cuatro hijos: Dominga, Enrique, Virginia y Manuel. Nora Usenky y Mariana Fontana, profesoras de Historia e investigadoras rosarinas afirman lo mismo: que Virginia Bolten nació en la provincia de San Luis. Según el investigador Plácido Grela, Virginia Bolton podría haber nacido en la ciudad de San Juan. Otra versión señala que nació en la República Oriental del Uruguay (posiblemente debido a que en su madurez fue exiliada allí).
Cuando los hijos fueron adolescentes, el matrimonio decidió separarse. Partieron cada uno de la estancia ―el alemán trabajaría como vendedor ambulante― y dejaron a sus cuatro hijos solos en el campo. Los cuatro hermanos Bolten se quedaron un tiempo en San Luis, y luego decidieron emigrar. Manuel y Dominga se mudaron directamente a Rosario, mientras que Enrique y Virginia «se volvieron más bohemios y recorrieron más lugares».
Virginia terminó radicándose en la zona norte de la ciudad de Rosario (provincia de Santa Fe), en el barrio obrero que se había levantado en las cercanías de la Refinería Argentina de Azúcar, una gran planta industrial que se inauguró en 1889 y que dio origen al actual barrio Refinería. Consiguió trabajo en la empresa azucarera Refinería Argentina. Contrajo matrimonio con un anarquista uruguayo de apellido Márquez (o Manrique), activista en el gremio de los zapateros.
Mi tía empezó a trabajar en la refinería y se opuso a la patronal por las injusticias a las que sometían a los empleados. Trabajaban de sol a sol y ella empezó a arengar a todos para revertir esa situación. Era muy difícil hablar de sindicatos y de defensa de derechos. El que protestaba por algo era considerado anarquista y había que meterlo preso. Creo que Virginia tenía ideas adelantadas para su tiempo, no era anarquista, lo único que hizo fue luchar por más libertad para los trabajadores.
Virgilio Británico Bolten, sobrino de Virginia
En abril de 1890, Virginia Bolten fue detenida por distribuir «propaganda anarquista» entre los trabajadores de la refinería.
El diario La Capital del 2 de mayo de 1890 informa que la columna de personas que marchó por primera vez en la plaza López (zona centro-sur de Rosario) para conmemorar el Primero de Mayo ―Día del Trabajador, en conmemoración de los Mártires de Chicago― estaba encabezada por Virginia Bolten. Llevaba una bandera negra con letras rojas que rezaba: «Primero de Mayo, Fraternidad Universal. Los trabajadores de Rosario cumplimos las disposiciones del Comité Obrero Internacional de París». Luego de pronunciar un discurso revolucionario y difundir propaganda anarquista entre los trabajadores presentes, fue detenida bajo el cargo de atentar contra el orden social. Fue la primera mujer oradora en una concentración obrera.
Hay en Rosario una joven puntana de palabra enérgica y dominante que arrastra a las multitudes; más enérgica que Luisa Michell [heroína de la Comuna de París en 1871], tiene indudablemente mejores formas que esta.
Juan Bialet Massé en su Informe sobre el estado de las clases obreras en el interior (1904)

Periodismo

Desde el 8 de enero de 1896 hasta el 1 de enero de 1897 editó los nueve números del periódico anarcofeminista La Voz de la Mujer, el primer periódico de tendencia anarcofeminista de la Argentina, cuyo lema era «Ni Dios, ni patrón, ni marido». Lo financiaba con su mínimo sueldo como operaria de una fábrica de zapatos. El periódico avisaba: «Aparece cuando puede».
En ese periódico se difundían los ideales del comunismo libertario, las injusticias contra los trabajadores y en especial contra las mujeres. También colaboró en las páginas de La Protesta.

Militancia

Participó como oradora en actos anarquistas en ciudades como San Nicolás de los Arroyos, Campana, Tandil y Mendoza. Fue echada de la Refinería por exigir mejores condiciones laborales para las mujeres. En noviembre de 1900 fue arrestada en Rosario junto a Teresa Marchisio y otros cuatro anarquistas por organizar una contramarcha en repudio a la procesión católica de la «Virgen de la Roca». También organizó la Casa del Pueblo junto a otros anarquistas, realizando eventos político-culturales, debates, discusiones, lectura de poesía y teatro para los obreros.
El 20 de octubre de 1901 fue arrestada por distribuir propaganda anarquista en las puertas de la Refinería Argentina (en la zona norte de Rosario). La policía atacó a los obreros y mató a uno, el anarquista Cosme Budislavich. Bolten fue testigo del asesinato.
En 1902 se refugió en Uruguay. El 1 de mayo de 1902 participó de una manifestación en Montevideo por el Día del Trabajador, y como oradora denunció la Ley de Residencia que se había instaurado en Argentina, y la represión al movimiento obrero. Ese año 1902 participó también de un acto del Sindicato Portuario en el teatro San Martín (Montevideo).
En 1902 lideró una huelga de choferes de tranways de Rosario.
En 1904 volvió a Buenos Aires y formó parte del Comité de Huelga Femenino organizado por la FORA (Federación Obrera Argentina), movilizando a los trabajadores del Mercado de Frutos de Buenos Aires. Esas febriles actividades causaron en Virginia Bolten un deterioro en su salud; sus compañeros del grupo de teatro germinal iniciaron una colecta en su beneficio.
En el alzamiento cívico-militar del Partido Radical en 1905 fue la excusa del presidente Manuel Quintana para reprimir a las bases más combativas de los trabajadores. Aunque el anarquismo no participó en la revuelta, sus dirigentes fueron arrestados, perseguidos y hasta deportados. Bolten y su compañero Márquez (o Manrique) fueron nuevamente arrestados. A él se le aplicó la Ley de Residencia, por lo que fue deportado a Uruguay, junto con sus pequeños hijos. Bolten se quedó en Buenos Aires.
En 1907, Bolten participó en la huelga de inquilinos como parte del Centro Femenino Anarquista. Fue arrestada, y como se hizo pasar por uruguaya, se le aplicó la Ley de Residencia y fue expulsada al Uruguay. En Montevideo se reunió con su familia, compuesta por Márquez (o Manrique) y sus hijos pequeños. Se radicó definitivamente en la capital uruguaya. Su casa se convirtió en una base de operaciones de los anarquistas deportados desde Argentina.
En 1909 colaboró con el periódico anarcofeminista dirigido por Juana Rouco Buela, La Nueva Senda (1909-1910). En Montevideo organizó protestas por la brutal represión del 1 de mayo de 1909 en Buenos Aires, donde las fuerzas policiales de Ramón Falcón asesinaron cerca de una decena de obreros. También participó en la campaña a favor del pedagogo libertario Francisco Ferrer Guardia, fusilado en Montjuich en 1911. En ese año trabajó en la Asociación Femenina Emancipación, organizando a las mujeres anticlericales, a las operadoras telefónicas (en su mayoría mujeres) y activó contra las sufragistas femeninas.
Formó parte del grupo que apoyó el anarco-battlismo junto a Francisco Berri, Adrián Zamboni y Orsini Bertani, es decir, anarquistas que apoyaban al régimen del presidente reformista uruguayo José Batlle y Ordóñez (1856-1929), que en su segundo mandato inició un inmenso programa de reforma:
  • separó a la Iglesia del Estado y la repartición pública,
  • eliminó los crucifijos de los hospitales,
  • quitó toda referencia a Dios y a la Biblia en los juramentos de funcionarios públicos,
  • otorgó derechos a los sindicatos y a los partidos políticos,
  • implantó el día laboral de ocho horas,
  • el sufragio femenino (fue el segundo país de América en legalizarlo, después de Canadá [1917]),
  • introdujo la asignación por desocupación,
  • legalizó el divorcio,
  • multiplicó las escuelas secundarias,
  • abolió las leyes de residencia de Uruguay (que se aplicaban contra anarquistas exiliados por la Ley de Residencia de Argentina),
  • llevó a cabo una campaña para quitarle el control de la industria y las tierras a capitalistas extranjeros (especialmente los británicos tenían una inmensa influencia en Uruguay).
  • nacionalizó varias empresas de capitales extranjeros y
  • nacionalizó varios monopolios privados uruguayos.
Durante este proceso, el anarquismo perdió protagonismo, hasta 1916 y 1917 donde la carestía de la vida y la influencia de la Revolución Rusa revitalizaron el movimiento. En julio de 1913, El Socialista (periódico oficial del partido) atacó fuertemente a Bolten y su grupo, acusándolos de traicionar al movimiento obrero.

Últimos años

Poco se sabe de los últimos años de su vida. Durante 1923 Integró el Centro Internacional de Estudios Sociales, una asociación libertaria de Montevideo. Según se cree, continúo viviendo en el barrio de Manga (en Montevideo) hasta su muerte, que acaeció hacia 1960.

Película sobre su vida

La actriz Esther Goris (1963-) se basó en el trabajo de Nora Usenky y Mariana Fontana (profesoras de Historia e investigadoras rosarinas) como referencia para escribir el guion (con Graciela Maglie) de la película Ni dios, ni patrón, ni marido (2009) acerca de Virginia Bolten (interpretada por la actriz Eugenia Tobal).

Bibliografía

  • Ehrick, Christine: The shield of the weak: feminism and the state in Uruguay 1903-1933.
  • Molyneux, Maxime: Movimientos de mujeres en América Latina.
  • Rama, Carlos M., y Ángel J. Cappelletti: El anarquismo en América Latina.

 
Virginia BoltenHace dos siglos, en 1890 una mujer en la ciudad de Rosario, Argentina, encabeza la primera marcha del 1 de Mayo enarbolando una bandera negra con letras rojas que rezaba: "1 de Mayo, Fraternidad Universal", su nombre es Virginia Bolten. Virginia Bolten toma la palabra y arenga con un discurso revolucionario a los manifestantes presentes. Su osada rebeldía le cuesta la prisión por el delito de atentar contra el orden social existente. Su detención se efectúa frente al hecho de distribuir propaganda anarquista entre los trabajadores de la Refinería Argentina.
Su presencia significa un hito fundamental en la lucha por los derechos de las trabajadoras, al convertirse en la primera mujer oradora en una concentración proletaria. A partir de este momento, propaga fervorosamente el ideario anarquista a lo largo del país. El periódico La Protesta Humana le acompaña a lo largo de los viajes que realizó para dar cuenta de los discursos que lograron permear en la clase trabajadora oprimida.
"Ni Dios, ni patrón ni marido", eslogan del periódico La Voz de la Mujer, donde escribe acerca de las injusticias en contra de las trabajadoras, es el primer órgano informativo con tendencia feminista-anarquista que circula entre las mujeres trabajadoras. Su fecha de nacimiento no se registra, pero el trabajo constante por los derechos de la clase trabajadora y, en especial, de las mujeres la comparan con Louise Michel, famosa heroína de la Comuna francesa, por la pasión de su trabajo.
En 1903, al aplicarse la Ley de Residencia en Argentina, son numerosos los deportados anarquistas. De inmediato se organizan campañas de oposición a esta medida, a fin de infundir fe y confianza entre la comunidad activista.
Por esta razón, se realiza una manifestación en Montevideo, aprovechando la conmemoración del 1 de Mayo, hacen uso de la palabra P. Gugliamone, O.Ristori y Virginia Bolten. Sus discursos arengan contra los grupos dominantes de Argentina por los atropellos y violencia institucional cometidos contra la clase obrera.
En 1903, el Sindicato Portuario celebra sus dos años de existencia y realiza un acto en el Teatro San Martín. Hablan figuras encumbradas anarquistas, entre ellos, Virginia Bolten. Para 1904, Virginia se traslada a Buenos Aires y forma parte del Comité de Huelga Femenino en el movimiento sindical que, organizado por la Federación Obrera Argentina, moviliza a los trabajadores del Mercado de Frutos porteño.
A causa de su arrolladora actividad, comienza a peligrar su salud. Los compañeros del grupo filo dramático "Germinal" convocan a todos los grupos libertarios y sociedades obreras para realizar una función a beneficio de su persona.
En 1907, Virginia participa junto a otras destacadas mujeres en la huelga de inquilinos como parte del "Centro Femenino Anarquista".
A raíz de su intervención en el movimiento de inquilinos, se le aplica la Ley de Residencia y es expulsada al Uruguay, siendo Montevideo su lugar de radicación definitiva.
La casa de Virginia en Montevideo se convierte en una base operativa de las vanguardias libertarias deportadas de Argentina. Juana Rouco Buela, en su obra autobiográfica "Historia de un ideal vivido por una mujer", rememora los esfuerzos y la tenacidad de la Bolten en propagar el ideario entre los obreros orientales.
Lamentablemente, se ha perdido el último tramo de la vida de Virginia. De su trayectoria han quedado los testimonios recogidos por los periódicos La Protesta Humana y La Protesta y, en especial, la publicación La Voz de la Mujer (1896-1897), que se convierte en el primer manifiesto libertario dirigido por mujeres para mujeres, siendo sostenido económicamente con el aporte de su trabajo como operadora de calzado.
Sus redactoras sostienen que es el primero en su tipo en América Latina. Este periódico es sumamente original en su carácter de expresión independiente de una corriente feminista fusionada con una orientación revolucionaria y proletaria.
La Voz de la Mujer es la típica publicación de época; pequeño, semiclandestino y efímero, publica solamente nueve números. Su lema lo confirma: Aparece cuando puede. La fecha de su muerte no se registra pero ha heredado a la humanidad el derecho a que las mujeres trabajadoras tengan condiciones dignas para desarrollar su actividad laboral.

 

Ni Dios Ni Patrón Ni Marido (Un grupo de mujeres hace oír su voz ...

 

 
 
https://www.youtube.com/watch?v=lCGJzZUT_Uc
10 lug 2012 - Caricato da magnicidioheavypunk
Más documentales en: http://www.facebook.com/documentales.tierra.negra Ni Dios Ni Patrón Ni Marido La película ...

 
 




Quote:

“fed up as we are with so many tears and so much misery; fed up with the never ending drudgery of children (dear though they are); fed up with asking and begging; of being a plaything for our infamous exploiters or vile husbands, we have decided to raise our voices in the concert of society and demand, yes, demand our bit of pleasure in the banquet of life.”

Quote:

“When we women, unworthy and ignorant as we are, took the initiative and published La Voz de la Mujer, we should have known, Oh modem rogues, how you would respond with your old mechanistic philosophy to our initiative. You should have realized that we stupid women have initiative and that is the product of thought. You know - we also think . . . The first number of La Voz de la Mujer appeared and of course, all hell broke loose: ‘Emancipate women? For what?’ ‘Emancipate women? Not on your nelly!’ . . . ‘Let our emancipation come first, and then, when we men are emancipated and free, we shall see about yours.’”


¡Salud Compañeras! La Anarquía
Ya trémola el pendón libertador;
¡Hurra, hermanos queridos, a la lucha!
¡Fuerte el brazo, sereno el corazón!
Que no haya entre nosotras rezagadas
Nuestra lucha es a muerte y sin cuartel;
¡Hurra! Hermanas queridas, otro esfuerzo,
Y ¿quién duda que habremos de vencer? 



Apareció el primer número de “La Voz de la Mujer”, y claro ¡allí fue Troya!, “nosotras no somos dignas de tanto, ¡cla! No señor”, “¡emanciparse la mujer?”, “¿para qué?” “¡qué emancipación femenina ni que ocho rábanos!” “¡la nuestra”, “venga la nuestra primero”, y luego, cuando nosotros ‘los hombres’ estemos emancipados y seamos libres, allá veremos” Con tales humanitarias y libertadoras ideas fue recibida nuestra iniciativa. Por allá nos las guarden pensamos nosotras. “¿No es verdad que es muy bonito tener una mujer a la que hablaréis de libertad, de anarquía, de igualdad, de revolución social, de sangre, de muerte, para que ésta creyéndonos unos héroes, os diga en tanto que temiendo por vuestra vida (…): ‘¡Por Dios, Perico!’? ¡Ah! ¡Aquí es la vuestra! Echáis sobre vuestra hembra una mirada de conmiseración (…) le decís con teatral desenfado: Quita, allá, mujer, que es necesario que yo vaya a la reunión de tal o cual (…) vamos, no llores, que a mí no hay quien se atreva a decirme ni a hacerme nada”.
Si vosotros queréis ser libres, con mucha más razón nosotras; doblemente esclavas de la sociedad y del hombre, ya se acabó aquello de “Anarquía y Libertad” y las mujeres a fregar. ¡Salud!

 “No manden a sus hijos a ese antro de depravación que es el confesionario, porque los infames frailes buscarán corromperlos y someterlos a sus perversas pasiones”. Quién iba a decir en esos años que dichas declaraciones bien podrían formar parte de una nota actual.

 https://patagonialibertaria.files.wordpress.com/2014/10/235280227-tras-los-pasos-de-virginia-bolten.pdf


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