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lunedì 8 agosto 2016

Carmine Crocco (Rionero in Vulture, 5 giugno 1830 – Portoferraio, 18 giugno 1905)

Carmine Crocco

Carmine Crocco, detto Donatello o Donatelli (Rionero in Vulture, 5 giugno 1830 – Portoferraio, 18 giugno 1905), è stato un brigante italiano, tra i più noti e rappresentativi del periodo risorgimentale. Era il capo indiscusso delle bande del Vulture, sebbene agissero sotto il suo controllo anche alcune dell'Irpinia e della Capitanata.
Nel giro di pochi anni, da umile bracciante divenne comandante di un esercito di duemila uomini, e la consistenza della sua armata fece della Basilicata uno dei principali epicentri del brigantaggio post-unitario nel Mezzogiorno continentale. Dapprima militare borbonico, disertò e si diede alla macchia. In seguito, combatté nelle file di Giuseppe Garibaldi, poi per la reazione legittimista borbonica e infine per sé stesso, distinguendosi da altri briganti del periodo per chiara e ordinata tattica bellica e imprevedibili azioni di guerriglia, qualità che vennero esaltate dagli stessi militari sabaudi.
Alto 1,75 m, dotato di un fisico robusto e un'intelligenza non comune, fu uno dei più temuti e ricercati fuorilegge del periodo post-unitario, guadagnandosi appellativi come "Generale dei Briganti", "Generalissimo", "Napoleone dei Briganti", e su di lui pendeva una taglia di 20.000 lire.
Arrestato nel 1864 dalla gendarmeria dello stato pontificio, ove aveva tentato di trovar riparo, venne processato nel 1870 da un tribunale italiano. Fu condannato a morte, poi commutata in ergastolo nel carcere di Portoferraio. Durante la detenzione, scrisse le sue memorie, che fecero il giro del regno e divennero oggetto di dibattito per sociologi e linguisti. Benché una parte della storiografia dell'Ottocento e inizi del Novecento lo considerasse principalmente un ladro e un assassino, a partire dalla seconda metà del Novecento iniziò ad essere rivalutato come un eroe popolare, in particolar modo da diversi autori della tesi revisionista, anche se la sua figura rimane ancora oggi controversa.

Biografia

L'infanzia

Nacque a Rionero in Vulture, paese all'epoca parte del Regno delle Due Sicilie. Contrariamente a quanto riportato da numerose fonti bibliografiche, l'atto di nascita custodito presso l'Archivio dello Stato Civile di Rionero attesta che il suo cognome era Crocco. Secondo un manoscritto di Gennaro Fortunato, zio del meridionalista Giustino, il soprannome Donatello (o Donatelli) apparteneva a suo nonno paterno, Donato Crocco.
Suo padre Francesco era pastore presso la nobile famiglia venosina di don Nicola Santangelo mentre sua madre, Maria Gerarda Santomauro, era una massaia che coltivava un piccolo campo a Rionero. Dei suoi primi periodi di vita si è a conoscenza tramite le sue memorie. Secondogenito di cinque figli (tre fratelli: Donato, Antonio e Marco; una sorella: Rosina), visse un'infanzia piuttosto tranquilla, sebbene le condizioni familiari fossero misere e si lavorasse sodo per poter vivere. Crebbe con i racconti di suo zio Martino, ex sergente maggiore dell'artiglieria napoleonica che perse la gamba sinistra a causa di una palla di cannone nell'assedio di Saragozza (durante la Guerra d'indipendenza spagnola) e da cui imparò a leggere e scrivere.
Nel 1836, ancora bambino, durante una mattinata di aprile di quell'anno, vide entrare nella sua abitazione un cane levriero che aggredì un coniglio, lo trascinò fuori di casa e lo dilaniò. Suo fratello Donato uccise il cane con un randello. Per sua sfortuna, l'animale apparteneva ad un signorotto del posto, un tale don Vincenzo, che, trovando la bestia morta vicino alla dimora dei Crocco, picchiò violentemente Donato con un frustino.
La madre, incinta di cinque mesi, si frappose tra il signorotto e suo figlio, subendo dall'aggressore un forte calcio al ventre che la costrinse ad una lunga degenza a letto e, per poter rimanere in vita, fu costretta ad abortire. Pochi giorni dopo il signorotto si presentò dal giudice ed accusò il padre, il quale, venuto a conoscenza dell'accaduto, avrebbe tentato di ucciderlo con un'arma da fuoco. I poliziotti si recarono subito a Venosa e portarono Francesco al carcere di Potenza. Si apprese solo dopo due anni e mezzo che non fu suo padre a compiere il gesto ma un anziano del posto, il quale rivelò, in punto di morte, di esser stato lui l'autore del tentato omicidio. La madre, ancora avvilita per la perdita di un figlio non ancora nato, cadde in profonda depressione per l'incarcerazione del marito e, divenuta pazza, fu rinchiusa in manicomio. Per poter mandare avanti la famiglia, furono venduti i loro miseri possedimenti e i figli furono affidati ad altri parenti.

L'adolescenza

Con il padre in carcere e la madre con seri problemi di salute, il giovane Crocco, assieme al fratello Donato, andò a lavorare come pastore in Puglia; sporadicamente tornava nel suo paese natio ma sua madre, sempre più logorata da problemi psichici, non lo riconobbe più e morì poco tempo dopo nel manicomio dove fu ospitata. Nel 1845, ancora quindicenne, salvò la vita ad un nobile della zona, don Giovanni Aquilecchia di Atella, che volle attraversare imprudentemente le acque dell'Ofanto in piena. Come compenso, Aquilecchia regalò 50 ducati a Crocco, che li sfruttò per poter ritornare nella sua Rionero dopo il suo soggiorno lavorativo in Puglia, e permise anche la scarcerazione di suo padre, tramite suo cognato don Pietro Ginistrelli, un uomo importante ed influente.
Tornato a casa, suo padre era divenuto vecchio e malato; Crocco dovette assumersi il compito di mantenere la famiglia, iniziando a lavorare come contadino presso la masseria di don Biagio Lovaglio a Rionero. Un mattino di maggio 1847, conobbe don Ferdinando, il figlio di don Vincenzo, colui che assalì suo fratello e sua madre. Don Ferdinando apparve diverso dal suo genitore e si mostrò gentile nei suoi confronti, rimanendo sconfortato per il male che il padre aveva arrecato alla sua famiglia.
Offrì al giovane Crocco il posto di fattore in una masseria di sua proprietà, ma lui preferì avere in affitto tre tumuli di terra, con i quali sperava di guadagnare 200 scudi che gli avrebbero permesso di evitare il servizio militare (sotto il Regno delle Due Sicilie la leva era riscattabile dietro pagamento di una somma alle casse statali). Don Ferdinando promise che avrebbe contribuito al raggiungimento della cifra necessaria al momento della chiamata di leva, ma l'accordo si vanificò, poiché il signorotto unitosi ai rivoluzionari napoletani venne trucidato da alcuni soldati svizzeri a Napoli il 15 maggio 1848.
Così Crocco si ritrovò arruolato nell'esercito di Ferdinando II, nel primo reggimento d'artiglieria, prima nella guarnigione di Palermo e poi di Gaeta con il grado di caporale. L'esperienza militare durò circa quattro anni e Crocco disertò dopo aver ucciso un commilitone in un duello rusticano; le circostanze non sono chiare, si pensa a causa di una rivalità in amore o perché accusato ingiustamente dalla vittima di furto. Tuttavia, il servizio di leva fu una delle esperienze che formeranno la sua organizzazione e strategia bellica.

La fuga

Con la sua partenza, fu la sorella Rosina, non ancora diciottenne, ad avere il compito di mantenere la famiglia. Rosina, rimasta in casa a lavorare per tante ore al giorno, ricevette continue proposte da un uomo invaghito di lei, un certo don Peppino Carli. La ragazza, completamente disinteressata, gli mostrò sempre indifferenza e lui, non sopportando i suoi continui rifiuti, andò in giro a diffamarla; infine costui avrebbe incaricato una mezzana di approcciarla. Rosina scioccata sfregiò con il rasoio il viso della mezzana, e quindi, fuggì dai parenti per invocare protezione e aiuto. Crocco seppe dell'accaduto e, furibondo, volle riparare l'offesa subita dalla sorella.

Conoscendo le abitudini di don Peppino, che generalmente frequentava un circolo per giocare d'azzardo nelle ore serali, attese il ritorno del signorotto davanti la sua abitazione. Al suo arrivo, gli domandò il perché del suo gesto nei confronti della sorella, dandogli del "mascalzone". Don Peppino non tollerò l'aggettivo attribuitogli e gli diede un colpo di frustino in viso. Colto dall'ira, Crocco estrasse un coltello e lo uccise. Compiuto l'assassinio, fu costretto alla fuga e ad abbandonare il servizio militare, trovando rifugio nel bosco di Forenza, posto in cui era facile trovare altre persone con guai giudiziari.
Sospettando che il brigante, con il racconto del delitto d'onore, avesse voluto accampare una giustificazione morale della sua vita di fuorilegge, il capitano Eugenio Massa, che collaborò alla realizzazione dell'autobiografia di Crocco, condusse accurate indagini sul posto quarant'anni dopo. Con l'ausilio del medico Basilide Del Zio, Massa riuscì ad accertare che a Rionero, negli anni cinquanta dell'Ottocento, non aveva avuto luogo nessun delitto nelle circostanze descritte da Crocco. Nella biografia sul brigante, Basilide Del Zio confermò la versione di Massa, sostenendo che tale vicenda del delitto d'onore fosse priva di fondamento. Ciononostante, la storia del delitto d'onore è stata presa sul serio, secondo lo storico Ettore Cinnella, poiché per molto tempo si è attinto alle ristampe successive dell'autobiografia di Crocco, senza le note e l'apparato critico a cura di Massa che accompagnavano la prima edizione. In questo periodo Crocco iniziò ad avere i primi contatti con altri fuorilegge, costituendo una banda armata che visse di rapine e furti. Fu arrestato e rinchiuso nel bagno penale di Brindisi il 13 ottobre 1855, ricevendo una condanna di 19 anni di carcere. Il 13 dicembre 1859 riuscì ad evadere, nascondendosi tra i boschi di Monticchio e Lagopesole.

Moti liberali

Scappato dal carcere, Crocco venne a sapere tramite notabili della zona che Camillo Boldoni, membro del comitato insurrezionale lucano, avrebbe fatto concedere la grazia ai soldati disertori che avessero appoggiato la campagna militare di Giuseppe Garibaldi contro i Borbone (Spedizione dei Mille), per poter conseguire l'unità d'Italia. Crocco, nella speranza di un'amnistia per i suoi reati, aderì ai moti liberali del 1860 e, unendosi agli insorti lucani e all'esercito garibaldino (17 agosto 1860) seguì Garibaldi fino al suo ingresso a Napoli.
Combatté come sottufficiale a Santa Maria Capua Vetere e, successivamente, nella celebre battaglia del Volturno. Secondo le testimonianze dei rivoluzionari del tempo, Crocco prestò i suoi servigi con zelo e attaccamento al moto nazionale. Cinto dal tricolore, tornò a casa vittorioso e, fiducioso di poter ottenere quanto gli era stato promesso, si recò a Potenza dal governatore Giacinto Albini, il quale assicurò che l'amnistia sarebbe stata acconsentita. In realtà, le cose andarono in direzione opposta: Crocco non ricevette la grazia e fu emesso il suo mandato d'arresto.
La sua condanna fu aggravata a causa del sequestro di Michele Anastasia, capitano della Guardia Nazionale di Ripacandida, compiuto con l'aiuto di Vincenzo Mastronardi e avvenuto prima dei moti risorgimentali di agosto. Crocco tentò la fuga ma venne sorpreso a Cerignola e nuovamente incarcerato.

Preparativi della reazione

Nel frattempo, il popolo lucano, afflitto dalla miseria e dagli aumenti dei prezzi sui beni di prima necessità, iniziò a rivoltarsi contro l'appena costituito Stato italiano, poiché con il cambiamento politico non ottenne alcun beneficio, mentre la classe borghese (in passato fedele ai Borbone) conservò intatti i propri privilegi dopo aver appoggiato, opportunisticamente, la causa risorgimentale. Contribuirono ad aumentare ulteriormente il malcontento del basso popolo la mancata redistribuzione delle terre (che rimasero in possesso dei baroni), l'aggravio delle tasse, il servizio militare obbligatorio, la fucilazione dei renitenti alla leva (a volte presunti) senza possibilità di giustificazione e un regime poliziesco che puniva persino il reato d'opinione (una popolana di Melfi, Maria Teresa Capogrossi, mentre lavava i panni con altre lavandaie, venne arrestata per aver proferito parole di elogio nei confronti di Francesco II, denigrando il nuovo governo). In numerosi centri della provincia si scatenarono ribellioni contadine per sollecitare la quotizzazione demaniale ma furono prontamente represse e qualificate dal Governo Prodittatoriale Lucano come «reazionarie e antiliberali».
I membri dei comitati filoborbonici, intenzionati a ripristinare il vecchio regime sfruttando la rabbia dei ceti popolari, cercarono una persona in grado di guidare la rivolta. Crocco, detenuto nel carcere di Cerignola e prima di esser tradotto nel bagno penale di Brindisi, venne fatto evadere dai Fortunato, influente famiglia realista, nonché parenti del meridionalista Giustino. Irritato per le promesse non mantenute dai liberali, ebbe l'opportunità di riscattarsi, di diventare il capo dell'insurrezione legittimista contro lo Stato Italiano appena unificato, ricevendo un solido supporto di uomini, soldi e armi. Crocco, benché non avesse mai nutrito simpatie per la corona borbonica e disposto a tutto pur di redimere il proprio passato, decise di passare alla causa di Francesco II, ultimo re delle Due Sicilie che subentrò al padre Ferdinando II dopo la sua morte, dalla quale si sentiva «sicuro di ricavarne guadagno e gloria».
Intorno a Crocco si avvicinarono numerosi ribelli, perlopiù persone spinte dalla fame e dalle ingiustizie sociali, nella speranza che un mutamento governativo potesse contribuire a migliorare la loro esistenza. Con il sostegno di parte del clero locale e di potenti famiglie legate ai reali borbonici come i Fortunato e gli Aquilecchia di Melfi, Crocco assunse il comando di circa duemila uomini, che per la maggior parte erano persone nullatenenti e disilluse dal nuovo governo italiano, oltre che da ex militari del regno borbonico, reduci del disciolto esercito meridionale e banditi comuni. Al comando di una possente armata, tra cui spiccavano temuti luogotenenti come Ninco Nanco, Giuseppe Caruso, Caporal Teodoro e Giovanni "Coppa" Fortunato, Crocco partì all'attacco sotto il vessillo dei Borbone, sconvolgendo diverse zone del meridione e costituendo un serio pericolo per il giovane stato unitario.

Al servizio di Francesco II

Crocco, nel periodo di Pasqua del 1861, occupò la zona del Vulture nel giro di dieci giorni. In ogni territorio conquistato, dichiarava decaduta l'autorità sabauda, istituiva una giunta provvisoria, ordinava che fossero esposti nuovamente gli stemmi e i fregi di Francesco II e faceva intonare il Te Deum. Secondo le cronache dell'epoca, gli assedi dell'armata di Crocco furono sanguinari e disumani: persone appartenenti, prevalentemente, alla classe borghese e liberale venivano ricattate, rapite o uccise da Crocco in persona o dai suoi uomini e le loro proprietà venivano depredate. Nella maggior parte dei casi, però, egli e le sue bande venivano accolti positivamente e supportati dal ceto popolare. Lo stesso Del Zio ammise che il brigante «aveva proseliti in ogni comune, era il terrore dei commercianti» e dei «grandi proprietari, o coloni di vaste ed estese masserie, ai quali un semplice biglietto di Crocco per aver denari, vitto ed armi, era più che sufficiente a gettarli nel terrore».
Il 7 aprile occupò Lagopesole (rendendo il castello una roccaforte) e il giorno successivo Ripacandida, dove sconfisse la guarnigione locale della Guardia Nazionale Italiana e lo stesso Anastasia, che aveva denunciato Crocco per il suo rapimento, venne trucidato. Il 10 aprile i briganti entrarono a Venosa e la saccheggiarono, mettendo in fuga i militi della Guardia Nazionale e la cittadinanza borghese che si rifugiarono nel castello. Il popolo, accorso entusiasta incontro ai briganti, indicò loro le case dei galantuomini. Durante l'occupazione di Venosa, venne assassinato Francesco Saverio Nitti, medico ex carbonaro, nonno dell'omonimo statista, e la sua abitazione fu razziata. Fu poi la volta di Lavello, in cui Crocco fece istituire un tribunale che giudicò 27 liberali; le casse comunali furono svuotate di 7.000 ducati ma, davanti alla supplica del cassiere comunale di lasciare il denaro per i poveri, Crocco ne prese solamente 500. Dopo Lavello toccò a Melfi (15 aprile), dove Crocco fu accolto trionfalmente (anche se alcuni ricordano mestamente l'entrata dei suoi uomini nella città melfitana per via della macabra uccisione e mutilazione del parroco Pasquale Ruggiero). L'occupazione di Melfi destò particolare preoccupazione da parte del regno Italiano, tant'è che lo  stesso Garibaldi venne informato dai patrioti meridionali del «governo provvisorio a Melfi» e ne fece menzione durante un'interpellanza parlamentare.
Con l'arrivo di rinforzi piemontesi da Potenza, Bari e Foggia, Crocco fu costretto ad abbandonare Melfi e, con i suoi fedeli, si spostò verso l'avellinese, occupando, qualche giorno dopo, comuni come Monteverde, Aquilonia (a quel tempo chiamata "Carbonara"), Calitri, Conza e Sant'Angelo dei Lombardi. Il 16 aprile tentò di prendere Rionero, il suo paese natale, ma venne respinto dalla resistenza degli abitanti locali del partito democratico, guidati dalle famiglie Brienza, Grieco e D'Andrea che riunirono contro le forze di Crocco i piccoli proprietari e i professionisti, e subito dopo, con una petizione in cui raccolsero circa 300 firme, denunciarono alle autorità come manutengoli, i componenti della famiglia Fortunato, fra cui Giustino, capo del governo Borbonico dopo la repressione dei moti del 1848. Dopo un'altra sconfitta nei pressi di San Fele, il 10 agosto riottenne una vittoria a Ruvo del Monte con il supporto popolare, trucidando una decina di notabili, e abbandonò il paese incalzato dai regolari, comandati dal maggiore Guardi.
Arrivate le truppe unitarie, la comunità di Ruvo fu punita con una feroce rappresaglia per aver collaborato con gli invasori, effettuando il rastrellamento e l'immediata fucilazione di numerosi abitanti. Guardi ordinò al sindaco di fornire il suo contingente ma, di fronte ad un diniego motivato poiché le casse furono trafugate dai briganti, fu arrestato assieme ad altri rappresentanti della cittadinanza, per attentato alla sicurezza interna dello Stato e complicità in brigantaggio. Crocco si acquartierò a Toppacivita, nelle vicinanze di Calitri, e, il 14 agosto, fu attaccato dai regi soldati, i quali subirono una netta sconfitta. Tuttavia, forse dubbioso sulle sorti della propria spedizione e visto il mancato arrivo di rinforzi più volte promesso dai comitati filoborbonici, decise improvvisamente di sciogliere le sue schiere, intenzionato a trattare con il nuovo governo. Il barone piemontese Giulio De Rolland, nominato nuovo governatore della Basilicata al posto del dimissionario Giacomo Racioppi, era disposto a trattare con lui ed informò il generale Enrico Cialdini, luogotenente del re a Napoli, riguardo alle trattative di resa del brigante. Cialdini incaricò di dirgli però che «saranno ricompensati quelli che renderanno dei servigi, ma non accorda grazia piena a nessuno: è questo un attributo del sovrano».

L'incontro col generale J. Borjes

Crocco tornò sui suoi passi quando il governo borbonico in esilio sembrò aver finalmente inviato sostegni alla sua torma. Il 22 ottobre 1861, per ordine del generale borbonico Tommaso Clary, arrivò il generale catalano Josè Borjes, veterano delle guerre carliste, che incontrò Crocco nel bosco di Lagopesole. Il generale, reduce dal fallimentare tentativo di animare la reazione in Calabria, tentò di riuscirci in terra lucana, sperando di trovare nel capomassa rionerese un valido aiuto per compiere l'impresa.
Borjes voleva trasformare la sua banda in un esercito regolare, adottando disciplina e precise tattiche militari; inoltre programmò di assoggettare i centri minori, dar loro nuovi ordinamenti di governo e arruolare nuove reclute per poter conquistare Potenza, ritenendo così di porre fine all'autorità sabauda in Basilicata. Crocco era diffidente: trovò il generale solamente con 17 uomini e non nutrì alcuna fiducia nei suoi confronti sin dall'inizio, temendo che Borjes volesse sottrargli il comando dei propri territori. Inoltre era contrario alla strategia del militare catalano, ritenendo inutili gli attacchi ai centri abitati e considerava come unica alternativa possibile una guerriglia per colpire i galantuomini che avevano aderito al nuovo regime. Il capo dei briganti, riconoscendo in Borjes un esperto di guerra, accettò l'alleanza ma, nonostante tutto, i loro rapporti non saranno mai armoniosi.
Nel frattempo giunse da Potenza il francese Augustin De Langlais, che si presentò come agente legittimista al servizio dei Borbone. De Langlais, personaggio ambiguo di cui Borjes ebbe a dire nel suo diario «si spaccia come generale e agisce come un imbecille», partecipò a numerose scorrerie accanto al brigante e, per certi aspetti, fu il coordinatore principale dei movimenti delle bande.
Alla fine di novembre, Carmine Crocco, dopo aver subito una serie di pesanti perdite, giudicando di non essere in grado di sostenere altri attacchi diretti ai centri abitati, dopo una riunione a Lagopesole, decise di abbandonare Borjes. Il generale catalano tentò con pochi uomini una ritirata verso lo stato pontificio ma l'8 dicembre venne catturato e fucilato a Tagliacozzo.

La seconda campagna

Partito da Lagopesole, Crocco ripeté le imprese della precedente spedizione, mettendo a ferro e fuoco interi villaggi, in cui si registrarono episodi di violenza inaudita che lasciarono inorridito lo stesso Borjes, benché il capobrigante potesse quasi sempre contare sul supporto popolare. Raggiunse le sponde del Basento, ove riuscì a reclutare nuovi combattenti, e occupò Trivigno, mettendo subito in fuga le guardie nazionali. Giacomo Racioppi, ex governatore della Basilicata, riguardo all'invasione disse: «la plebe si aggiunge ai predoni, il paese va in fiamme e rapine; la colta cittadinanza o fugge, o si nasconde, o muore con le armi alla mano». Caddero sotto l'occupazione di Crocco altri centri come Calciano, Garaguso, Salandra, Craco e Aliano.
Il 10 novembre, ottenne una netta vittoria su un gruppo di bersaglieri e guardie nazionali durante la battaglia di Acinello, uno dei più importanti conflitti del brigantaggio postunitario. Conquistati altri centri come Grassano, Guardia Perticara, San Chirico Raparo e Vaglio (che fu messa al sacco a causa dell'opposizione alle bande), Crocco giunse nelle vicinanze di Potenza il 16 novembre ma, per divergenze diplomatiche con Borjes, la spedizione verso il capoluogo non venne effettuata e l'armata dei briganti riversò verso Pietragalla. Il 19 novembre si tentò l'entrata in Avigliano (paese natale di Ninco Nanco) ma i contadini e gli artigiani si riunirono ai borghesi, respingendo i briganti.
Il 22 novembre, l'orda brigantesca occupò Bella e conquistò centri come Balvano, Ricigliano e Castelgrande ma venne sconfitta a Pescopagano, lasciando sul terreno 150 briganti tra morti e feriti. Esaurite le risorse per sostenere altre battaglie, Crocco ordinò ai suoi uomini la ritirata verso i boschi di Monticchio. Appena tornato, decise di rompere i rapporti con il generale Borjes, perché era insicuro di vincere e non credeva più alla promessa del governo borbonico di un contingente maggiore. Il generale catalano, sconcertato dal suo cambio di rotta, si recò a Roma con i suoi uomini per fare rapporto al re e nella speranza di organizzare una nuova colonna di volontari pronti per ritentare l'impresa.
Durante il suo tragitto, Borjes fu catturato da alcuni regi soldati capeggiati dal maggiore Enrico Franchini e venne fucilato assieme ai suoi fedeli a Tagliacozzo. Crocco rimase con De Langlais, il quale sparì, inspiegabilmente, dalla scena poco dopo. Con la fuoriuscita dei legittimisti stranieri, Crocco iniziò ad incontrare le sue prime difficoltà, poiché alcuni suoi uomini iniziarono ad agire contro i suoi ordini. Tutti i paesi insorti e occupati furono riconquistati, ristabilendo l'autorità sabauda, briganti e civili accusati (o sospettati) di manutengolismo furono arrestati o fucilati con esecuzioni sommarie senza processo.

Da legittimista a bandito

Terminata la collaborazione con Borjes, il brigante rionerese ritornò ad azioni di mero banditismo, assalendo viandanti e compiendo depredazioni, ricatti, sequestri e omicidi di personalità gentilizie delle zone, al fine di estorcere migliaia di ducati. Il brigante iniziò a privilegiare la guerriglia allo scontro in campo aperto, suddividendo la sua armata in piccole bande distribuite nel territorio, che si sarebbero riunite in caso di scontri con un contingente più grande. La tattica rese i drappelli più agili e imprendibili, favoriti anche dal territorio boschivo e impervio, causando molti problemi ai reparti del Regio Esercito. Benché i tentativi di restaurazione fossero ormai vani, i realisti borbonici non abbandonarono Crocco e, vedendo nelle insurrezioni repubblicane e nella spedizione di Garibaldi verso lo Stato Pontificio una circostanza favorevole che avrebbe turbato l'attenzione del governo savoiardo, continuarono a sostenerlo cercando di ravvivare l'insorgenza.
Le sue scorrerie si protrassero fino alle zone di Avellino, Campobasso, Foggia, Bari, Lecce, Ginosa, Castellaneta e si ritrovò a collaborare in diverse occasioni con altri capobriganti, come Angelantonio Masini e il pugliese Sergente Romano. Quest'ultimo propose al suo collega lucano di unire le proprie forze, muoversi su Brindisi, occupare Terra d'Otranto e i comuni del barese innalzando la bandiera borbonica ma Crocco, a causa dell'esito negativo dei precedenti piani legittimisti, lasciò cadere il progetto. Dinnanzi all'apparente invincibilità degli uomini di Crocco, intervennero in aiuto della guardia nazionale e dell'esercito anche i militi della Legione ungherese, che diedero filo da torcere al capobrigante e le sue bande. Se da una parte Crocco perdeva uomini, dall'altra ne recuperò altrettanti a causa di una quantità irreversibile di renitenti che, per salvarsi dalla fucilazione, furono costretti alla macchia.
Gli scontri tra briganti e truppe italiane non accennarono a placarsi. Uno degli episodi più brutali avvenne nel marzo 1863, quando le sue bande (tra cui quelle di Ninco Nanco, Caruso, Caporal Teodoro, Coppa, Sacchetiello e Malacarne), tesero un'imboscata a un distaccamento di 25 cavalleggeri di Saluzzo, guidato dal capitano Giacomo Bianchi, reduce della guerra di Crimea, picchiando e uccidendo circa venti di loro, incluso il capitano. Lo sterminio avvenne in risposta alla fucilazione di alcuni briganti nei pressi di Rapolla, perpetrato dagli stessi cavalleggeri. Nell'autunno dello stesso anno, Crocco, spinto dalla crescente pressione della coalizione regia e dal graduale abbandono del sostegno popolare, ebbe un breve ritorno al legittimismo. Diffuse un invito alla rivolta, cercando di sfruttare il sentimento religioso del volgo, in cui sembrò offrire anche un'alleanza alle forze rivoluzionarie di sinistra antimonarchiche:
« Che si aspetta? Non si commuove ancora il cielo, non freme ancora la terra, non straripa il mare al cospetto delle infamie commesse ogni giorno dall'iniquo usurpatore piemontese? Fuori dunque i traditori, fuori i pezzenti, viva il bel regno di Napoli col suo religiosissimo sovrano, viva il vicario di Cristo Pio IX e vivano pure i nostri ardenti repubblicani fratelli »

Declino

Nel frattempo, il generale Fontana, i capitani Borgognini e Corona organizzarono negoziati con i briganti. L'8 settembre Crocco, Caruso, Coppa e Ninco Nanco si presentarono di propria volontà e furono ospitati in una casa di campagna nelle vicinanze di Rionero. Durante un banchetto, Crocco assicurò di condurre tutti i suoi 250 uomini alla resa, chiedendo per essi un salvacondotto e se ne andò verso Lagopesole, secondo le cronache locali, gridando «Viva Vittorio Emanuele» e sventolando un tricolore. In realtà il capobrigante, probabilmente scettico davanti alle promesse del regio governo o, secondo alcune voci, convinto dai notabili realisti a diffidare per evitare una possibile fucilazione, non fece più ritorno e l'accordo saltò.
Improvvisamente, Caruso, fino a quel momento una delle sue migliori sentinelle, entrò in attrito con lui e si allontanò dalla banda. Intanto, il generale Franzini, che si occupava di combattere il brigantaggio nel Melfese, fu sostituito, per motivi di salute, dal generale Emilio Pallavicini, proveniente dal comando della zona militare di Spinazzola (Pallavicini, militare di lunga carriera, era già noto per aver bloccato Garibaldi sull'Aspromonte mentre tentava di raggiungere lo Stato Pontificio). Caruso si arrese al generale Fontana il 14 settembre 1863 a Rionero, preparando la sua ritorsione nei confronti di Crocco e dei suoi ex alleati. Anche i notabili che avevano promosso la reazione, intuendo la fine inesorabile della stessa, iniziarono a prendere le distanze da Crocco e, palesando egoisticamente sentimenti liberali, sollecitarono un'efficace azione nella lotta contro il brigantaggio.
Affidato a Pallavicini, Caruso svelò alle autorità i piani e i nascondigli della sua organizzazione, guidando le truppe regie per il circondario di Melfi e ottenne dai suoi vecchi manutengoli informazioni precise e sicure che erano impossibili da avere alle truppe regolari. D'altra parte Pallavicini fece arrestare tutti i parenti dei briganti, ordinò la stretta sorveglianza delle carceri e delle case sospette e fece travestire gruppi di soldati da briganti; grazie a queste misure aumentò il numero di scontri a fuoco favorevoli al regio esercito e le masnade si indebolirono progressivamente. I briganti catturati, anziché essere giudicati da un tribunale militare, venivano freddati sul posto.

Arresto

Con il rinnegamento di Caruso, Crocco fu costretto a tenersi nascosto a causa dei massicci rinforzi alla Guardia Nazionale inviati dal governo regio e del forte controllo di polizia a cui erano sottoposti i "manutengoli". Ormai rimasto solo con pochi seguaci e accerchiato dai cavalleggeri di Monferrato e di Lucca, fu costretto a dividere la sua banda in piccoli gruppi posti in luoghi strategici, come i boschi di Venosa e Ripacandida; trascorse i quattro mesi invernali senza dare notizie di sé, ritornando alla ribalta in aprile, alla guida di un piccolo gruppo di 15 uomini. Anche se messo alle strette, dimostrò di non essere facile preda, tant'è che lo stesso Pallavicini riconoscerà che lui e Ninco Nanco, malgrado fossero «primi tra' capi che ebbero più triste rinomanza», possedevano comunque «vere qualità militari» ed erano «abilissimi nella guerriglia».
Le truppe di Pallavicini lo sorpresero sull'Ofanto e decimarono il suo drappello il 25 luglio 1864. Riuscito a scappare, fu costantemente tallonato dai regi bersaglieri guidati da Caruso, i quali però non riuscirono mai a prenderlo. Davanti ad una sconfitta ormai inevitabile, Crocco, auspicando un aiuto da parte del clero, attraversò monti e foreste, cercando sempre di evitare i centri abitati, e giunse, con alcuni dei suoi uomini, nello Stato Pontificio il 24 agosto 1864 per incontrare a Roma Pio IX, il quale aveva sostenuto la causa legittimista. In realtà, il brigante fu catturato il giorno seguente dalla gendarmeria del papa a Veroli, per poi essere incarcerato a Roma. Tutto questo suscitò in lui un'amara delusione nei confronti del pontefice anche perché, oltre all'arresto, gli venne confiscata, a sua detta, una cospicua somma di denaro che aveva portato con sé nello Stato Papale.
Il 25 aprile 1867, Crocco fu tradotto a Civitavecchia e, imbarcato su un vapore delle Messaggerie Imperiali francesi, venne destinato a Marsiglia, per poi essere esiliato ad Algeri. Giunto nei pressi di Genova, il governo italiano intercettò l'imbarcazione e si ritenne autorizzato a farlo arrestare, ma Napoleone III ne reclamò il rilascio, sostenendo che il regno italiano non aveva alcun diritto d'arresto su una nave di un altro Stato. Dopo un breve periodo di detenzione a Parigi, Crocco fu rispedito nello Stato Pontificio a Paliano e, divenuto prigioniero dello Stato italiano con la presa di Roma (1870), venne portato ad Avellino e infine a Potenza. La sua fama era tale che, durante i suoi passaggi da una prigione all'altra, numerose persone accorrevano per poterlo vedere di persona.

Processo

Durante il processo tenuto presso la Gran Corte Criminale di Potenza, al brigante furono imputati 67 omicidi, 7 tentati omicidi, 4 attentati all'ordine pubblico, 5 ribellioni, 20 estorsioni, 15 incendi di case e di biche con un danno economico di oltre 1.200.000 lire. Dopo 3 mesi di dibattimento, la Corte d'assise di Potenza lo condannò a morte l'11 settembre 1872, con l'accusa di numerosi reati quali omicidio volontario, formazione di banda armata, grassazione, sequestro di persona e ribellione contro la forza pubblica.
Ma la pena, con decreto reale del 13 settembre 1874, fu commutata nei lavori forzati a vita in circostanze oscure, poiché altri briganti con capi d'imputazione simili furono giustiziati. Secondo Del Zio, le ragioni furono probabilmente a sfondo politico-diplomatico, perché il Governo italiano avrebbe dovuto subire «il volere francese».
Francesco Guarini, avvocato difensore di Crocco, chiedendo il rinvio della causa affermò: «Se Crocco fu mandato a Marsiglia, per essere poi tradotto in Algeri, ciò avvenne per transazioni diplomatiche fra il Governo pontificio ed il Governo francese, coll'acquiescenza del Governo italiano». Crocco, durante il suo interrogatorio, sostenne che le autorità del papa non poterono lasciarlo libero, poiché il Governo italiano le avrebbe accusate davanti alle potenze straniere «di favoritismo e di protezione verso i briganti». Conclusa la sentenza, il brigante venne prima assegnato al bagno penale di Santo Stefano e poi al carcere di Portoferraio, in provincia di Livorno, ove passò il resto dei suoi giorni.

Ultimo periodo

« Il brigante è come la serpe, se non la stuzzichi non ti morde. »
(Carmine Crocco, intervistato da Salvatore Ottolenghi)
Durante la sua vita da carcerato, Crocco mantenne sempre un atteggiamento calmo e disciplinato verso tutti, sebbene non mancò di farsi rispettare dagli altri detenuti con l'autorità del suo nome e del suo passato. Non si unì mai a proteste e baruffe degli altri carcerati, preferendo rimanere sempre in disparte e prestò soccorso ai sofferenti. Venne visitato nel carcere di Santo Stefano da Pasquale Penta, criminologo di scuola lombrosiana, che vi rimase per 10 mesi.
Nonostante il direttore del presidio avesse redatto una nota in cui veniva definito «gravissimo, pericolosissimo» e da tenere «severamente e continuamente in osservazione», Penta non riscontrò in lui i caratteri del "delinquente nato"; era «capace in verità di grandi reati, ma anche di generosità, di sentimenti nobili, di belle azioni» e la causa della sua carriera criminale è forse «il germe della pazzia materna». Nella sua attività di capomassa, secondo Penta, fu autore di «mille delitti: saccheggi di città, incendi, omicidi, su quelli specialmente che lo avevano tradito, ricatti, estorsioni» ma, allo stesso tempo, cercò di tenere a bada «briganti e sotto-capibanda bestiali, ferini, e trattò a tu per tu con i generali italiani»; «imponeva che fossero rispettate le donne oneste, maritate o zitelle; che non si facesse male oltre il necessario e non si eccedesse nella misura della vendetta per compiere la quale era inesorabile: a molte giovani che non avevano come maritarsi regalò denaro; a dei poveri contadini comprò armenti ed utensili di lavoro».
Anche Vincenzo Nitti, figlio del medico massacrato a Venosa, militare della Guardia Nazionale e testimone oculare dei fatti, lo considerò «un ladrone per indole» ma anche un «brigante non comune per sveltezza di mente, astuzia, ardire, ed anche per una certa generosità brigantesca». Nel 1902, quando Crocco era stato trasferito nel bagno penale di Portoferraio, giunse una comitiva di studenti di medicina legale dell'Università di Siena, accompagnata dal professore Salvatore Ottolenghi, con l'obiettivo di intervistare i condannati a scopo didattico. Ottolenghi ebbe un colloquio con Crocco, considerato dal professore il «vero rappresentante del brigantaggio nei suoi tempi più celebri», oltre a definirlo il «Napoleone dei briganti».
L'intervista verrà pubblicata l'anno successivo da uno studente di Ottolenghi, Romolo Ribolla, nell'opera Voci dall'ergastolo. Durante la conversazione l'ex brigante, ormai vecchio, con problemi fisici e dichiaratosi pentito del suo passato, raccontò sinteticamente la sua vita, lasciandosi andare anche al pianto; elogiò Garibaldi, Vittorio Emanuele II per avergli concesso la grazia (anche se, negli scritti autobiografici, attribuì il ringraziamento non per la propria vita ma per aver preservato i suoi familiari «dall'obbrobrio di sentirsi dire: "Siete nipoti dell'impiccato"»), dichiarando inoltre di esser rimasto scosso dall'assassinio del re successore Umberto I, ucciso dall'anarchico Gaetano Bresci. Il suo desiderio era morire nel paese natio, che purtroppo non si avverò mai. Crocco si spense nel carcere di Portoferraio il 18 giugno 1905, all'età di 75 anni, di cui gli ultimi 29 passati in prigionia.

Vita personale

Crocco fu legato inizialmente a una donna chiamata Olimpia. In seguito, quando divenne comandante di un proprio esercito di rivoluzionari, ebbe una relazione con Maria Giovanna Tito, conosciuta quando la brigantessa si aggregò alla sua banda. Da allora questa lo seguì fedelmente, mettendo fine alla relazione di Crocco con Olimpia. La Tito poi fu abbandonata dal capobrigante, che si era invaghito della vivandiera della banda di Agostino Sacchitiello, luogotenente di Crocco di Sant'Agata di Puglia. Nonostante la fine della loro relazione, Maria Giovanna continuò a operare sotto le dipendenze di Crocco, fino al 1864, quando fu arrestata. Il brigante ebbe anche una fugace relazione con Filomena Pennacchio, che divenne poi compagna del suo subalterno Giuseppe Schiavone.


Le memorie

 

Durante la detenzione, il brigante iniziò la stesura della sua autobiografia, realizzata in due manoscritti (in realtà furono tre, ma uno di essi, in possesso del professor Penta, venne da questi smarrito). Il più noto è quello elaborato con l'ausilio di Eugenio Massa, un capitano del regio esercito, interessato a farsi raccontare gli avvenimenti di cui era stato protagonista.
Massa, che riconobbe le sue brillanti capacità di leader («se avesse vissuto nell'età di mezzo, sarebbe forse salito a condizione di condottiero di ventura») pubblicò il racconto di Crocco, allegando l'interrogatorio di Caruso, in un libro denominato Gli ultimi briganti della Basilicata: Carmine Donatelli Crocco e Giuseppe Caruso (1903). L'opera fu ripubblicata più volte nel dopoguerra da diversi autori quali Tommaso Pedio (Manduria, Lacaita, 1963), Mario Proto (Manduria, Lacaita, 1994) e Valentino Romano (Bari, Adda, 1997). L'altra versione autobiografica, che non subì alcuna revisione linguistica, venne pubblicata dall'antropologo Francesco Cascella nell'opera Il brigantaggio: ricerche sociologiche ed antropologiche (1907), con la prefazione di Cesare Lombroso.
Come già accennato, le memorie di Crocco trascritte con il capitano Massa sono tuttora oggetto di dibattito e sono stati avanzati dubbi sull'autenticità dei suoi scritti. Secondo Tommaso Pedio, alcuni episodi raccontati non rispondono al vero o non vengono fedelmente ricostruiti, Benedetto Croce ritenne che le memorie fossero «bugiarde».
Del Zio considerò il brigante quale autore del documento, data «la narrativa, la conoscenza esatta di persone, luoghi, paesi, campagne, e le iniziali di molti nominati», ma definì poco veritiera la storia raccontata; per costui, infatti, Crocco «mentisce in molti punti, esagera in altri, occulta quasi sempre e costantemente le sue brutalità, le sue lordure». Indro Montanelli dichiarò che si tratta di un componimento «viziato dall'enfasi e dalle reticenze, ma non privo di spunti descrittivamente efficaci sulla vita dei briganti, e abbastanza sincero».

Carmine Crocco
sconosciuto

Luogotenenti di Crocco

Ninco Nanco
Caporal Teodoro
Giuseppe "Sparviero" Schiavone
Vito "Totaro" di Gianni
Tra i luogotenenti di Crocco sono da menzionare:
  • Giuseppe Nicola Summa detto "Ninco Nanco", di Avigliano - si diede alla macchia dopo l'evasione dal carcere, condannato per aver ucciso uno dei suoi aggressori che, durante una rissa, lo costrinsero ad una lunga degenza. Si aggregò a Crocco, divenendone uno dei più brillanti luogotenenti, famoso per la sua brutalità anche se compì alcuni gesti generosi. Venne ucciso durante un'imboscata dalle guardie nazionali.
  • Giuseppe Caruso detto "Zi Beppe", di Atella - guardiano campestre che si diede al brigantaggio nel 1861, dopo aver ucciso una Guardia Nazionale. Tradì il suo capo costituendosi alle autorità e le sue informazioni furono determinanti per reprimere le bande di Crocco. Venne ricompensato con la nomina di guardia forestale di Monticchio.
  • Vincenzo Mastronardi detto "Staccone", di Ferrandina - evaso dal carcere per reati comuni nel 1860, come Crocco aderì ai moti unitari e, non ricevuta la grazia, si unì al capobrigante, divenendo uno dei più importanti subalterni. Catturato, venne ucciso misteriosamente nel 1861.
  • Teodoro Gioseffi detto "Caporal Teodoro", di Barile - anch'egli guardiano campestre. Arrestato, fu condannato ai lavori forzati a vita.
  • Giuseppe Schiavone detto "Sparviero", di Sant'Agata di Puglia - ex sergente borbonico unitosi ai briganti di Crocco per non prestare giuramento all'esercito italiano. Fu tra i briganti meno efferati e fu condannato a morte tramite fucilazione.
  • Agostino Sacchitiello, di Bisaccia - agì in Irpinia alle dipendenze di Crocco. Fu arrestato nel 1864.
  • Giovanni Fortunato detto "Coppa", di San Fele - fu probabilmente il più famigerato e spietato dei suoi luogotenenti e lo stesso Crocco lo definì il «più feroce tra tutti». Figlio illegittimo di un barone e di una popolana, venne cresciuto dalla famiglia di Crocco, il quale era molto legato a lui, per poi essere adottato da un'altra famiglia. Arruolatosi nell'esercito borbonico e ritornato a San Fele dopo la caduta del regno delle Due Sicilie, venne insultato e picchiato da alcuni compaesani. Furioso per gli oltraggi ricevuti, si unì alla banda del suo amico. Divenne un brigante talmente crudele da essere temuto persino dai suoi stessi commilitoni e di non provare pietà nemmeno verso le persone a lui più vicine, tant'è che uccise suo fratello perché aveva saccheggiato una masseria senza il suo consenso. Fortunato fu assassinato nel giugno 1863, in circostanze poco chiare. Secondo alcune testimonianze venne ucciso da Donato "Tortora" Fortuna, per riparare una violenza carnale nei confronti della sua donna Emanuela, dopo aver ricevuto il permesso da Ninco Nanco, il quale rimase commosso dall'accaduto. Tuttavia, in un'intervista del 1887, Francesco "Tinna" Fasanella si ritenne l'autore dell'omicidio, poiché considerò Fortunato un brigante che «voleva ogni giorno aver qualcheduno da uccidere».
  • Pasquale Cavalcante, di Corleto Perticara - ex soldato borbonico che, tornato nel suo paese natale, venne umiliato. Una guardia nazionale, durante un diverbio con la madre, la picchiò e le ruppe una costola. Cavalcante vendicò sua madre uccidendo l'aggressore. Unendosi all'armata di Crocco, fu uno dei comandanti della cavalleria. Catturato dopo la soffiata di un tale Gennaro Aldinio, per ottenere la carica di ricevitore del fondaco delle privative di Lagonegro, venne condannato a morte a Potenza il 1º agosto 1863. Poco prima di spirare disse:
« Merito la morte perché sono stato assai crudele contro parecchi che caddero tra le mani. Ma merito anche pietà e perdono perché contro mia indole mi hanno spinto al delitto. Ero sergente di Francesco II, e ritornato a casa come sbandato, mi si tolse il bonetto, mi si lacerò l'uniforme, mi si sputò sul viso, e poi non mi si diede più un momento di pace, perché facendomi soffrire sempre ingiurie e maltrattamenti, si cercò pure di disonorarmi una sorella; laonde accecato dalla rabbia e dalla vergogna non vidi altra via di vendetta per me che quella dei boschi e così per colpa di pochi divenni feroce e crudele contro tutti: ma io sarei vissuto onesto, se mi avessero lasciato in pace. Ora muoio rassegnato e Dio vi liberi dalla mia sventura. »
  • Francesco Fasanella detto "Tinna", di San Fele - militare del disciolto esercito borbonico, tornò al proprio paese e venne schernito per aver servito i Borbone, soprattutto da Felice Priora, un tenente della guardia nazionale. Un giorno Priora gli diede uno schiaffo, Tinna lo spinse per terra e fuggì nei boschi divenendo fuorilegge. La moglie, sospettata di collusioni con lui, venne fucilata per ordine di Priora. Era incinta di sette mesi. Tinna, furibondo, ammazzò il tenente e si unì all'armata di Crocco. Si costituì, volontariamente, nel 1863 e fu condannato a vent'anni di reclusione. Fu rilasciato nel 1884 e tornò nel suo paese natio.
  • Donato Antonio Fortuna detto "Tortora", di Ripacandida - mandriano di professione, ex militare borbonico datosi alla macchia dopo aver rifiutato di arruolarsi nell'esercito dei Savoia. Ereditò, su nomina di Crocco, la banda del brigante Di Biase dopo la sua morte. Costituitosi a Rionero dal delegato di Pubblica Sicurezza, fu condannato nel 1864 ai lavori forzati a vita.
  • Vito di Gianni detto "Totaro", di San Fele - ex gendarme borbonico, fu tra gli ultimi luogotenenti ad essere consegnati alla giustizia, decretando la fine dell'egemonia delle bande di Crocco. Fu arrestato nel febbraio 1865, convinto alla resa da Giuseppe Lioy, un sacerdote di Venosa, al quale Totaro rispose in maniera secca: «fummo calpestati: noi ci vendicammo: ecco tutto».

Crocco nella cultura di massa

Spettacolo

  • Carmine Crocco è il personaggio principale del cinespettacolo "La storia bandita" che si tiene ogni anno, durante i mesi estivi, nel Parco della Grancìa a Brindisi di Montagna, al quale assistono migliaia di persone l'anno (nel 2000, gli spettatori ammontarono a 3000). La manifestazione è curata da artisti come Michele Placido, Jean-François Touillard, Orso Maria Guerrini, Nanni Tamma e Lina Sastri. Tommaso Pedio ne è stato il consulente storico. Le musiche sono state composte da Antonello Venditti, Lucio Dalla, Eddy Napoli e Luciano Di Giandomenico.
  • Nel 1980 lo scrittore Raffaele Nigro incentrò la sua opera teatrale "Il grassiere" intorno alle vicende di Crocco e degli altri briganti Caruso, Ninco Nanco e Filomena Pennacchio contrapposti al favoleggiato "ufficiale della grascia" (cioè delle tasse), detto appunto il Grassiere. L'opera fu portata in scena dalla compagnia Gruppo Abeliano di Bari in tutta Italia durante la stagione 1981/1982. Crocco fu interpretato dall'attore Raffaele Antini.
  • Nel 2005, per commemorare il centenario della sua morte, l'"Associazione Culturale Skenè" di Rionero ha allestito la commedia popolare dal titolo "La Ballata del generale Crocco", scritta e diretta dal professore Mauro Corona.
  • Un altro spettacolo, ideato e realizzato da Corona, è quello che viene riproposto ogni anno, nel mese di luglio, sempre a Rionero denominato "La Parata dei Briganti", rivisitazione storica dell'epopea brigantesca, allestita nel centro storico della città, dove si racconta la loro vita, le loro gesta e i processi di Crocco del 1870 e 1872 presso il tribunale di Potenza.
  • Nel 2005, analogamente alle iniziative sopracitate, l'amministrazione comunale di Portoferraio, governata dal sindaco Caterina Schezzini, inaugurò una manifestazione teatrale per onorare i cent'anni dalla sua morte. Ospite d'onore fu lo scrittore Vincenzo Labanca, autore di diverse opere sul brigantaggio in Basilicata.
  • L'epopea e la vita di Carmine Crocco sono raccontate nello spettacolo: Terra Promessa. Briganti e Migranti di Marco Baliani, Felice Cappa e Maria Maglietta (2011).

Film e documentari

  • Il brigante di Tacca del Lupo (1952) di Pietro Germi, è basato vagamente sulle vicissitudini di Crocco.
  • Compare come conquistatore di Melfi nella seconda puntata dello sceneggiato televisivo L'eredità della priora di Anton Giulio Majano, trasmesso da Raiuno nel 1980, interpretato da Gerardo Amato.
  • Fa una breve apparizione nel film 'o Re (1989) di Luigi Magni, impersonato da Alfredo Vasco.
  • La sua storia ispirò Li chiamarono... briganti! (1999) di Pasquale Squitieri, nel quale Crocco fu interpretato da Enrico Lo Verso. Il film fu improvvisamente ritirato dalle sale cinematografiche.
  • Il film Darsi alla macchia (2003) di Fulvio Wetzl ricostruisce quattro episodi inediti della sua vita, attraverso i racconti orali raccolti tra gli anziani di Rionero e Barile. Nel film lo scrittore Raffaele Nigro contestualizza Crocco e il brigantaggio nella storia e nell'epica.
  • Il documentario Carmine Crocco, dei briganti il generale racconta la vicenda del brigante di Rionero ricostruendo il clima di quegli anni. Scritto da Antonio Esposto e Massimo Lunardelli, è stato prodotto da Niccolò Bruna per l'associazione torinese Colombre nel 2008.
  • Nel film Basilicata coast to coast (2010) di Rocco Papaleo, vi è un personaggio chiamato Carmine (interpretato da Antonio Gerardi) che veste i panni del brigante nello spettacolo della Grancìa.
  • La miniserie televisiva Il generale dei briganti di Paolo Poeti, trasmessa il 12 e 13 febbraio 2012 su RAI 1, verte sulla figura dello storico capo dei briganti lucani, interpretato da Daniele Liotti.

Letteratura

  • Le gesta del brigante sono ampiamente raccontate nel romanzo L'eredità della priora di Carlo Alianello, da cui fu anche tratta la citata miniserie televisiva.
  • Maria Rosa Cutrufelli si ispirò a Crocco per la realizzazione del romanzo La briganta, la cui storia della protagonista, Margherita, è simile a quella del brigante rionerese.
  • Crocco appare nel fumetto L'uomo del Sud (1978), illustrato da Alarico Gattia.

Musica

  • I Musicanova, gruppo fondato da Eugenio Bennato e Carlo D'Angiò, gli hanno dedicato la canzone Il Brigante Carmine Crocco, contenuta nel disco Brigante se more (1980).
  • Il Canzoniere Grecanico Salentino ha menzionato il brigante e il suo braccio destro Ninco Nanco nella canzone Quistione Meridionale, dall'album Come farò a diventare un mito (1983), il testo è stato composto dalla scrittrice Rina Durante, le musiche da suo cugino Daniele, il quale ripropose il pezzo nel disco E allora tu si de lu sud (2009). Lo stesso Canzoniere Grecanico Salentino, guidato dal figlio di Daniele, Mauro, lo rieseguì in Focu d'amore (2010).

Altro

  • L'attore e regista Michele Placido è suo discendente da parte paterna.
  • Il brigante è anche la mascotte dei tifosi della "C.S. Vultur Rionero", squadra di calcio del suo paese natale.
  • Sempre a Rionero, è stato inaugurato, nel novembre 2008, un museo etnografico a lui dedicato: La Tavern r Crocc (La Taverna di Crocco).
  • Nel 2011, la Ferrovia Circumetnea ha inaugurato due elettrotreni costruiti dalla Firema, ribattezzati Brigante e Donatello in onore del brigantaggio e del suo rappresentante.

 
La Tavern r Crocc (La Taverna di Crocco).

 

Carmine Crocco, known as Donatello or sometimes Donatelli (5 June 1830 – 18 June 1905), was an Italian brigand. Initially a Bourbon soldier, later he fought in the service of Giuseppe Garibaldi. Soon after the Italian unification he formed an army of two thousand men, leading the most cohesive and feared band in southern Italy and becoming the most formidable leader on the Bourbon side. He was renowned for his guerrilla tactics, such as cutting water supplies, destroying flour-mills, cutting telegraph wires and ambushing stragglers.
Although some authors of the 19th and the early 20th century regarded him as a "wicked thief and assassin" or a "fierce thief, vulgar murderer", since the second half of the 20th century writers (especially supporters of the Revisionism of Risorgimento) began to see him in a new light, as an "engine of the peasant revolution" and a "resistant ante litteram, one of the most brilliant military geniuses that Italy had".
Today many people of southern Italy, and in particular of his native region Basilicata, consider him a folk hero.

Life

Youth

Crocco was born into a family of five children in Rionero in Vulture, which was at the time part of the Kingdom of the Two Sicilies. His father, Francesco Crocco, was a servant of the noble Santangelo family from Venosa and his mother, Maria Gerarda Santomauro, was a housewife. His uncle Martino was a veteran of the Napoleonic army who fought in Spain during the Peninsular War, losing a leg, probably in the siege of Saragossa. Crocco grew up with the tales of his uncle, from whom he learned to read and write. While a child, Crocco began to develop an aversion towards the upper class, after his brother was beaten by don Vincenzo, a young lord, for killing a dog who had attacked a Crocco family chicken. His mother, pregnant at that time, tried to defend her son but the lord kicked her in the belly, forcing her to abort. His father was later accused of the attempted murder of don Vincenzo and was imprisoned without sufficient proof.
During his adolescence, Crocco moved to Apulia, to work as a shepherd, along with his brother, Donato. In 1845, Crocco saved the life of don Giovanni Aquilecchia, a nobleman of Atella, who had tried to cross the raging waters of the Ofanto River. Aquilecchia rewarded him with 50 ducats, permitting Crocco to eventually return to his home town from Apulia and find a new job. Crocco had the opportunity to meet don Pietro Ginistrelli, Aquilecchia's brother-in-law, who was able to secure the release of his father from prison.
However, by the time he was released Francesco Crocco was old and sick and this left Crocco to act as head of his family, working as a farmer in Rionero. Here he met don Ferdinando, don Vincenzo's son, who felt regret for his father's behavior against the family. Don Ferdinando offered him a job as a farmer on his property, but Crocco preferred to take money instead, which he used to avoid the military service, as during the Kingdom of the Two Sicilies, service was avoidable upon payment. The nobleman accepted but was killed on 15 May 1848 in Naples by some Swiss troops. Thus Crocco had to join Ferdinand II's army, but he deserted as a result of killing a comrade in a brawl. In his absence, his sister Rosina had to take care of the family.

Becoming an outlaw

During Crocco's absence. his sister, Rosina, then not yet eighteen years old, was courted by a nobleman, Don Peppino. Rosina was not interested in him and rejected him. Annoyed by his refusal, Peppino proceeded to defame her.
When Crocco heard about these events he was angry and decided to avenge his sister. Knowing the habits of Peppino, who generally attended a particular club to gamble in the evening hours, Crocco awaited his return at Peppino's home. When Don Peppino arrived, Crocco questioned him but the discussion ended in a fight, after Peppino hit Crocco with a whip.
Blinded by rage, Crocco pulled out a knife, killed Peppino and then fled to the Forenza woods. However this account is controversial because Captain Eugenio Massa, who collaborated on the Crocco's autobiography, conducted a detailed investigation on the spot and could not confirm that a murder had taken place in the circumstances described by Crocco.
While in hiding, Crocco met other outlaws and together they formed a band that lived on the proceeds of blackmail and robbery. Crocco returned to Rionero but was arrested on 13 October 1855. He escaped during the night of 13-14 December 1859, hiding in the woods between Monticchio and Lagopesole.

Expedition of the Thousand

At the same time Giuseppe Garibaldi was launching his Expedition of the Thousand, and the Kingdom of the Two Sicilies was soon on the verge of collapse, requiring all forces remaining at its command to confront Garibaldi. Garibaldi managed to defeat them, gain control of Sicily and then cross to the mainland, where he moved swiftly north towards Naples.
Garibaldi promised to forgive the deserters in exchange for military service and Crocco joined Garibaldi's army hoping for a pardon as well as other rewards. Crocco accompanied Garibaldi north to Naples and took part in the famous Battle of Volturnus. Although he displayed courage in battle, Crocco did not receive any medals or other honors and was also arrested.
He was taken to the prison in Cerignola but, with the help of noble Fortunato family (relatives of the politician Giustino), he was able to get away. Disappointed by the new Italian government's lies, Crocco was persuaded by noblemen linked to Bourbons and the local clergy to join the legitimist cause.
Meanwhile, Basilicata's population began to rise against the new government, because it did not get any benefit with the political change and became even poorer than before, while the bourgeois class (faithful to the Bourbons in the past) maintained its privileges, after having supported the cause of the Italian unification opportunistically. With the war and pecuniary support of the legitimists, he recruited an army of 2000 men, beginning the resistance under the flag of the Kingdom of the Two Sicilies.

In the service of Francis II

In 10 days, Crocco and his army occupied the entire Vulture area. In the conquered territory he ordered the badges and ornaments of the king Francis II to be once again displayed. The raids were bloody, ruthless and many people (especially liberal politicians and wealthy landowners) were kidnapped, blackmailed or brutally killed by Crocco himself or his members but, in most cases, people of lower classes regarded him as a "liberator" and supported his bands.
On 7 April 1861 Crocco occupied Lagopesole and, the day after, Ripacandida, where he defeated the local garrison of the "Italian National Guard". On 10 April 1861, his army entered Venosa and sacked it. During the siege of Venosa, Crocco's men killed Francesco Nitti, a physician and an ex-member of the Carbonari, as well as grandfather of the politician Francesco Saverio Nitti. Subsequently Lavello was invaded, where he set up a court which judged 27 liberals and the municipal coffers were emptied of 7,000 ducats, 6,500 of which were distributed to the people and then Melfi. Crocco's army also conquered parts of Campania (Sant'Angelo dei Lombardi, Monteverde, Conza, Teora), Apulia (Bovino and Terra di Bari).
Impressed by his victories, the Bourbon government in exile sent the Spanish General José Borjes to Basilicata, to reinforce and discipline the bands and warning the band chief about an imminent reinforcement of soldiers. The goal of Borjes was the capitulation of Potenza, the most well-defended stronghold of the Italian army in Basilicata. Crocco did not trust Borjes from the start and worried about losing his leadership, but he accepted the alliance. Meanwhile, another legitimist agent arrived: Augustin De Langlais from France, an ambiguous person about which little is known of his life, including the reason for his presence among the brigands.
Crocco, with the support of Borjes and De Langlais, conquered other towns searching for new recruits, including Trivigno, Calciano, Garaguso, Craco and Aliano. Crocco's army made its way to Potenza, occupying neighboring cities such as Guardia Perticara, San Chirico Raparo and Vaglio, but the expedition to the main city failed because of a clash between Crocco and Borjes on the military campaign.
After other battles and retreating to Monticchio, one of his headquarters, Crocco broke the alliance with Borjes because he did not want to serve under a foreigner and did not believe the promise of the Bourbon government about the provision of reinforcements. Disappointed, Borjes planned to go to Rome, to inform King Francis II but, during the journey, he was captured in Tagliacozzo and shot by Piedmontese soldiers headed by Major Enrico Franchini.

Last days

Without external support, Crocco turned to plundering and extortion to raise funds, cooperating with like-minded confederates and making raids from Molise to Apulia. Vespasiano De Luca, director of Public Safety in Rionero, invited him to sign a treaty of surrender but Crocco declined. Even without the help of the Bourbons, Crocco, skilled in guerrilla warfare, was able to harass the Piedmontese soldiers. Faced with the apparent invincibility of Crocco's army, the Hungarian Legion (who helped Garibaldi during the expedition of the thousand) intervened in support of the royal coalition.
Suddenly, Crocco was betrayed by Giuseppe Caruso, one of his lieutenants. Caruso went to the Piedmontese authorities and revealed Crocco's location and hideouts. Under the command of General Emilio Pallavicini (known to have stopped Garibaldi's expedition against Rome in the calabrian mountains), the royal army engaged and defeated Crocco. His band suffered many casualties, and some of his lieutenants, such as Ninco Nanco and Giuseppe "Sparviero" Schiavone, were captured and executed by firing squad, leaving Crocco to retire toward the Ofanto zone. After losing the last battle, he was forced to flee to the Papal States, hoping for help from Pius IX, whom he knew had previously supported the southern opposition.
Upon arrival Crocco was captured by papal troops in Veroli and imprisoned in Rome. He was then turned over to the Italian authorities and sentenced to death on 11 September 1872 in Potenza, but the sentence was commuted to hard labour for life. He was imprisoned on Santo Stefano Island, where he began writing his memoirs, with the help of Eugenio Massa, captain of the royal army, which published them in 1903, under the name Gli ultimi briganti della Basilicata (The last brigands of Basilicata). The manuscript was republished in the post-World War II era by other authors like Tommaso Pedio (1963), Mario Proto (1994) and Valentino Romano (1997). Crocco was later transferred to the prison at Portoferraio, where he died on 18 June 1905.

Legacy

Crocco is the main character of the production La Storia Bandita (The Bandit's Story) that is held every year in Brindisi Montagna. Artists such as Michele Placido, Antonello Venditti and Lucio Dalla have participated in the production.
The movie Il Brigante di Tacca del Lupo (1952), directed by Pietro Germi, is vaguely based on the Crocco's story.
He appears in the second episode of the Italian TV drama L'eredità della priora (1980) by Anton Giulio Majano.
He made a cameo appearance in the film 'o Re (1989) directed by Luigi Magni.
He is the main protagonist of the 1999 movie Li chiamarono... briganti! (They called them... brigands!) directed by Pasquale Squitieri, starring Enrico Lo Verso (in the role of Crocco), Claudia Cardinale, Remo Girone, Franco Nero among the others. The movie was unsuccessful and was quickly suspended from its run in cinemas, although reviewers claimed that the truth was uncomfortable to some viewers.
He is the main protagonist of the TV film Il generale dei briganti (2012) by Paolo Poeti; Crocco is played by Daniele Liotti.
The Italian actor Michele Placido, son of an immigrant from Rionero, claims to be a descendant of Crocco on his father's side.
The Italian musician Eugenio Bennato dedicated the song Il Brigante Carmine Crocco, from the 1980 album Brigante se more to him.
In November 2008, a museum dedicated to Crocco, named La Tavern r Crocc (English: The Tavern of Crocco) was opened in his home town.

 



Quote rosso1.png Ah, così eh? E allora mi costruirò un enorme esercito tutto mio, con Black Jack e squillo di lusso! Quote rosso2.png

~ Carmine Crocco in una lettera al re Vittorio Emanuele II
Carmine Crocco (5 giugno 1830 - 30 febbraio 1902), conosciuto anche come "Flagello di Dio" o "Lurido Terùn!", fu un leader della rivolta contadina dopo l'unificazione italiana, astuto guerrigliero che, senza un'ideologia politica, combatté contro l'oppressione della classe borghese e dell'esercito piemontese un barbaro, sudicio, analfabeta, terrone, delinquente, mafioso, bandito, stupratore, giocatore d'azzardo, massone, adepto del K.K.K. e chi più ne ha più ne metta, brigante che disertò l'esercito Sabaudo per combattere e ribellarsi all'Unità D'Italia 

Biografia 

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Carmine Crocco da bambino.
Carmine Donatello Crocco nacque a Rionero in Vulture, tristissimo paesino, per usare un parolone, di 23 abitanti situato su una sperduta montagna Lucana. Il padre era un brigante, la madre una brigantessa (prima ancora del Risorgimento). Era il 23° figlio dei Crocco, l'unico superstite tra i fratelli al colera ed alla peste bubbonica che infuriava in paese dal 1400.
Oltre a frequentare i peggiori bar rioneresi giocando al mezzo giro e a bere Aglianico, il piccolo Carmine diede subito sfoggio delle sue più celebri qualità: pare che all'età di 6 anni, dopo aver bisticciato con un coetaneo che gli aveva rubato una macchinina, abbia sgozzato quest'ultimo trascinando il cadavere per tutto il paese per poi buttarlo in un dirupo.
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Le famose scarpe-simbolo del brigante.
All'età di 19 anni realizzò il suo sogno: fare il calzolaio. Si aprì quindi una piccola bottega di scarpe per briganti, che presto diventò una ditta celebre in tutto il mondo: la Crocs S.p.A. Il suo sogno fu però interrotto quando un superbo signorotto del luogo, un certo Don Rodrigo Peppino, esattore delle tasse, lo fece processare per mancata emissione di scontrini (in quegli anni era infatti entrata in vigore la nuova riforma anti-evasione del nuovo ministro dell'Economia Quintino Mario Monti Sella). Ah, già che c'era, gli violentò la sorella. E la nonna. E il cane.
Come era prevedibile, la vendetta del giovane Crocco non tardò ad arrivare. Dopo qualche giorno dalla sentenza della Cassazione, che lo espropriò di tutti gli averi e lo costrinse all'arruolamento nelle file dell'esercito sabaudo, invitò con un pretesto Don Peppino ad una fiera del chili, in cui costrinse l'ignaro malcapitato a mangiare i resti dei suoi genitori per poi svelargli il piano e leccargli le lacrime davanti a tutta la città.

La latitanza e il terronismo terrorismo 

Leonida - Crocco.jpg
Crocco in tutta la sua grinta dopo aver massacrato l'esercito polentone.
Dopo aver litigato con il Sergente Maggiore capo istruttore durante l'addestramento militare, decise di scappare e darsi alla macchia. Ah, già che c'era uccise il Sergente a colpi di machete. E il compagno di stanza. E l'intero plotone.
Inspiegabilmente[citazione necessaria] fu messa una taglia sulla sua testa da parte del re Vittorio Emanuele II, ma tutto ciò spinse il novello brigante a ritirarsi sulle montagne ed organizzare atti terroristici contro l'oppressore Sabaudo, con lo scopo di creare uno Stato totalmente indipendente nel Sud dell'Itaglia.
Bandiera confederata sudista.gif
La bandiera utilizzata dai Lynyrd Skynyrd dai rivoltosi fedeli a Crocco.
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Crocco, ormai latitante, elude l'esercito Piemontese nascondendosi al mondo intero con un astuto travestimento.
Durante la latitanza riuscì ad organizzare un esercito di briganti, di quasi 2.000 uomini, che nella seconda metà dell'800 fece cagare sotto diede parecchi problemi al re ed al suo entourage, che vedevano sgretolarsi il sogno di governare autorevolmente una massa di imbecilli cagasotto, morti di fame ed ignoranti uno Stato unito, forte e compatto.
Quote rosso1.png Ghe pens mì! Quote rosso2.png

~ Vittorio Emanuele II decide di occuparsi personalmente della questione
Il re, dunque, rivoluziona e modernizza l'esercito italiano (pare che combattessero ancora con clave e fionde) e conduce una mirata e pacifica campagna militare nel Meridione: ordina infatti ai suoi uomini di sterminare migliaia di innocenti, di violentare le donne, di distruggere interi paesi, fucilazioni di massa qua e là di arrestare solo veri delinquenti, di distribuire caramelle e cioccolatini e di mettere dei fiori nei loro cannoni.
Come previsto, tutto questo provoca nient'altro che ostilità nell'animo dei meridionali, che in massa sposarono la causa di Crocco e dei suoi compagni, rendendo le cose sempre più difficili.
A Rionero, dove Crocco aveva posto il suo quartier generale, si ebbe lo scontro decisivo: al re, infatti, fu riferito da un brigante disertore dove si nascondeva il terribile assassino e questi, per far capire quanto l'Italia amasse e rispettasse i meridionali, mandò in avanscoperta e disarmati i reparti dell'esercito provenienti proprio dal Sud.
Quote rosso1.png Ogni battaglione avrà un nome in codice e una missione. Battaglione numero 5 alzate la mano! Voi sarete la prima ondata d'urto che chiameremo Operazione Scudo Umano; Battaglione numero 14, voi siete l'operazione "alle spalle dei terroni": seguirete il battaglione 5 e cercate di non farvi ammazzare, dannazione! Quote rosso2.png

~ Vittorio Emanuele II dà sfoggio di benevolenza al discorso alle truppe prima della battaglia.

Processo e morte

Ovviamente il destino di Crocco era segnato: fu imprigionato e i suoi uomini massacrati e lasciato marcire in cella per una cinquantina d'anni. Durante questo lasso di tempo fu condotto il classico processo all'italiana che, come tale, non si concluse mai.
Il povero Carmine, infatti, preferì lasciarsi morire di inedia che aspettare ancora la sentenza.

Luogotenenti di Crocco 

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I più fidati luogotenenti di Carmine Crocco.
  • Ninco Nanco
  • Nanco Ninco
  • Pinco Panco
  • Panco Pinco
  • Pinco Pallino
  • I Neoborbonici
  • Gli ZZ Top
  • I Lynyrd Skynyrd
  • Osama Bin Laden
  • Darth Vader

Filmografia 

Le sue vicende sono narrate in diversi film tra cui:
  • Li chiamarono... briganti!
  • Li chiamarono... mutanti! (versione Marvel)
  • L'eredità della priora
  • L'eredità di Carlo Conti
  • Il generale dei briganti
  • Il genitale dei briganti (con John Holmes)
  • Il brigante dei generali
  • Crocco e i suoi fratelli
  • Terronator
  • E.T. l'extra-terrone
  • La corazzata Crokkëmkin
  • Mr. Croccodile Dundee

Curiosità 

  • Il processo è attualmente ancora in corso.
  • Molte delle cagate cose narrate in questo articolo sono tratte da storie vere.
  • L'autore di questo articolo si tira fuori da ogni infamante accusa di Terronismo.

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Dal castello di Lagopesole il 6 aprile 1861 parte la marcia di Carmine Crocco 





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