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mercoledì 3 maggio 2023

ANARCHICI & ANARCHIA 1

 ANARCHICI & ANARCHIA 1

Aldo Aguzzi (Voghera, 20 agosto 1902 – Buenos Aires, Argentina, 31 maggio 1939) è stato un militante e propagandista anarchico italiano. Espatriato nel 1923 a Buenos Aires, fu politicamente molto attivo in Argentina.

Sostenitore di Malatesta, inizia a militare nel gruppo anarchico di Voghera. Iscritto all'Istituto tecnico, frequenta la Camera del Lavoro dove esercita una forte influenza, «il più istruito e uno dei più audaci» secondo la polizia. Il 13 aprile 1920, è arrestato dopo aver pronunciato un violento discorso durante una manifestazione di solidarietà ad un antifascista. Liberato, invita i militanti da Il Libertario a battersi per strappare dalle prigioni i disertori della Prima guerra mondiale. Per sfuggire alle aggressioni fasciste, parte clandestinamente in Argentina nell'agosto 1923 dove verrà raggiunto dalla sua compagna Maria Agnese Caiani.

A Buenos Aires, si unisce ad altri compagni (Camillo Daleffe, Luigi Tibiletti, Carlo Fontana, Pasquale Caporaletti, Giacomo Sabbatini e Carlo Marchesi) per creare il gruppo L'Avvenire che stamperà a partire dal 1° dicembre 1923 l'omonimo giornale, nel quale denuncia gli orrori della dittatura firmando diversi articoli con lo pseudonimo di Lucio d'Ermes i Agal, e invita a sostenete i compagni imprigionati sia in Italia che dalla tirannia sovietica. Rende un omaggio soprattutto al compagno russo Aaron Baron vittima dei bolscevichi.

Militante anarco-comunista, rimane sempre aperto al dialogo con la corrente anarchica individualista e gli illegalisti espropriatori, e soprattutto con Severino Di Giovanni. Collaborerà inoltre con la rivista Culmine edita da quest'ultimo, ma rifiuterà di allearsi con i rappresentanti della democrazia borghese. Sempre solidale con le vittime della repressione politica, pubblicherà nel 1925 diversi giornali Agire, Libertà, per prendere le difese di Sacco e Vanzetti, di Castagna e Bonomini.

Aguzzi è uno degli organizzatori dell'atto del Primo Maggio 1925 al salone «XX Settembre», organizzata dall'Alleanza Antifascista Italiana (AAI), dove viene permesso di parlare ad antifascisti come Luigi Zanetti, Severino di Giovanni, Giuseppe Pellegrini, Romeo Gentile e Clemente Daglia. Il 13 febbraio 1927, fa uscire il primo numero de Il Pensiero, nel quale rende omaggio a Práxedis G. Guerrero e Nestor Makhno e promette di vendicare Sacco e Vanzetti (dieci numeri usciranno sino a settembre 1927). Scrive anche sul giornale L'Adunata dei Refrattari di New York.

È arrestato il 24 dicembre 1927, dopo l'attentato commesso contro la National City Bank. Riconosciuto innocente, è liberato e pubblica sin da gennaio 1928 un nuovo giornale, L'Allarme in cui fa campagna per liberare Simón Radowitzky dal campo di Ushuaia. Il 23 maggio 1928, una bomba posta da Di Giovanni esplode al Consolato italiano facendo numerose vittime. Aguzzi è arrestato un'ora dopo l'esplosione, ma non verrà condannato che a 30 giorni di prigione per detenzione illegale di due pistole. Nel marzo del 1929, prende la difesa di Severino Di Giovanni calunniato da Diego Abad de Santillán sul giornale La Protesta. Nell'aprile 1930, crea il giornale Anarchia, ma dopo il colpo di Stato di Uriburu, si esilia a Montevideo. Sin dal 1932, dopo la caduta della dittatura, ritorna a Buenos Aires dove pubblica ancora Sorgiamo!.

Durante la primavera del 1937, giunge a Barcellona, dove dopo l'assassinio di Camillo Berneri da parte degli stalinisti, farà parte della redazione di Guerra di Classe, che lascerà nel novembre 1937 per unirsi a Solidaridad Obrera. Nel maggio del 1938, lascia la Spagna, risiede per un certo periodo a Marsiglia, dove continua a denunciare le attività degli stalinisti in Spagna, poi torna a Buenos Aires dove prosegue la sua attività militante.

Il 31 maggio 1939 pone fine ai suoi giorni ingerendo una dose di cianuro. Il suo suicidio fu visto da alcuni come la fine definitiva dell'influenza italiana nell'anarchismo argentino, dal momento che dopo questo fatto sostanzialmente l'immigrazione italiana fu principalmente di matrice fascista.

Ciclo de mitin por Simón Radowitzky con la intervención de Aldo Aguzzi (Buenos Aires, noviembre de 1927)

Mitin por Simón Radowitzky con la intervención de Aldo Aguzzi (Buenos Aires, 30 de noviembre de 1927)
 
 
Portada del libro de Aldo Aguzzi Economía fascista (1935)

Portada de la edición inglesa del libro de Aldo Aguzzi
 
Camillo Berneri (Lodi, 20 maggio 1897 - Barcellona, 5 maggio 1937) è stato un filosofo, uno scrittore e un anarchico italiano, fautore di un anarchismo antidogmatico. Fu assassinato dagli stalinisti durante i drammatici eventi della rivoluzione spagnola del 1936-39. 
 

Nato a Lodi il 20 maggio 1897, il piccolo Camillo Berneri girovaga in diverse città italiane al seguito della madre, la scrittrice e insegnante socialista Adalgisa Fochi.  Dopo Palermo, Milano, Cesena e Forlì, nel 1905 Adalgisa Fochi è chiamata a svolgere il proprio incarico professionale a Reggio Emilia Reggio, una città che segnerà il destino del giovane Camillo.

Formazione socialista

Nella città emiliana, poco più che bambino, Berneri entra a far parte della sezione giovanile del Partito Socialista, la Federazione Giovanile Socialista (FGSI). Membro del Comitato Centrale della Federazione Giovanile Socialista reggiana, è collaboratore di Giustizia, un giornale di Camillo Prampolini e Giovanni Zibordi,  e dell'organo nazionale della FGS: L'Avanguardia. Il suo primo articolo pubblicato nel giornale socialista è datato 1° febbraio 1914: Le menzogne del vecchio testamento.

Essendo l'unico studente del movimento giovanile, Berneri è particolarmente coccolato dai vecchi dirigenti del partito, anche perché aveva dato ampia dimostrazione di grandi capacità intellettuali (si vedano numerosi articoli sull'anarchico Saverio Friscia e su altri internazionalisti ) e di coerenza partecipando all'agitazione politico-sociale del periodo.

Ben presto però si accorgerà di non essere perfettamente in accordo con molti suoi giovani compagni della FGS, in particolare Berneri si rivela particolarmente critico per l'assenza di coerenza tra teoria e prassi, l'assenza di spirito di sacrificio tra i militanti, l'eccesso di burocrazia, il carrierismo politico e, soprattutto, l'assenza di principi internazionalisti e antimilitaristi ora che la Grande Guerra si avvicinava.

Allontanamento dal socialismo e conversione all'anarchismo

Nel 1915 sancisce il suo abbandono della FGS dimettendosi dal partito attraverso una Lettera aperta ai giovani socialisti da un giovane anarchico, nel quale denuncia il degrado del Partito Socialista riguardo all'ambigua posizione dei socialisti rispetto alla Grande Guerra:

«Chi segue con interesse e simpatia la vostra azione politica nei riguardi dell'unione delle forze proletarie e rivoluzionarie vede nel vostro movimenti numerosi sintomi di sano risveglio; vede lo svolgersi di una sana crisi di coscienze. Io, che sono stato nel movimento vostro, e ne ho potuto conoscere l'ambiente e penetrarne l'anima, so di trovarmi ad una vasta crisi che non finisce negli sterili disgregamenti dello scisma, ma rappresenta una luminosa speranza, una sicura promessa, una nuova, viva, reale forza rivoluzionaria...» 

In particolare, era stata la tragedia dei fatti di Reggio Emilia (25 febbraio 1915),  quando una manifestazione socialista antimilitarista era stata repressa violentemente ed aveva provocato la morte di due giovani operai (Mario Baricchi e Fermo Angioletti) , ad allontanarlo dal Partito Socialista . Le divergenze con i socialisti erano peraltro già emerse in alcuni articoli interventisti ed anglofili pubblicati da L'Avanguardia e a cui Berneri aveva risposto prontamente e polemicamente. Ad aver condizionato il suo allontanamento dal Partito Socialista era stata anche la sempre maggiore influenza esercitata nella società civile dal movimento anarchico italiano e soprattutto la sua grande amicizia con l'anarchico Torquato Gobbi.

Attività anarchica e antimilitarista

Dopo aver frequentato il liceo ad Arezzo, città in cui s'era trasferito al seguito della madre e dove aveva iniziato la militanza anarchica nel circolo cittadino Spartaco, il 4 gennaio 1917 si sposa civilmente con Giovanna Caleffi, una ragazza che era stata allieva di sua madre alla Scuola Normale (magistrale) di Reggio Emilia. 

Chiamato nel marzo seguente all'adempimento del servizio militare, seppur in profondo conflitto interiore con le sue idee antimilitariste, svolge un breve periodo all'Accademia Militare di Modena, prima di essere trasferito al Genio Zappatori di Casal Monferrato a causa delle sue idee anarchiche e antimilitariste che evidentemente diffondeva tra i commilitoni. 

Imperterrito, prosegue nelle sue battaglie antimilitariste come al suo solito, col pensiero e l'azione (nel 1914 aveva tentato di dar vita all'«Unione Studentesca Antimilitarista», che però ebbe vita brevissima), ma l'ultimo anno della guerra lo vede al fronte, essendovi stato condotto sotto scorta:

«Si combatte e si muore. Le viole spunteranno sul suolo bagnato di sangue, lungo i fossati dell'acqua arrossata; e in questa primavera vermiglia ho visto delle violette sulle rive d'un canale» (Ospedale da campo 238, marzo 1918)

Denunciato per due volte dal tribunale di guerra, al termine della stessa deve completare i tre anni di servizio militare, ma viene inviato al confine nell'isola di Pianosa essendo egli ormai un noto sovversivo che aveva assiduamente partecipato agli scioperi fiorentini del luglio 1919.

Una volta congedato inizia a collaborare assiduamente con la stampa anarchica celandosi dietro lo pseudonimo Camillo da Lodi: «Umanità Nova», organo dell'Unione Anarchica Italiana (alla cui nascita aveva dato il suo importante contribuito), «Pensiero e Volontà», «L'avvenire anarchico», «La Rivolta», «Libero accordo»  e «Volontà». 

Intanto il 1° marzo 1918 era nata la sua primogenita, Maria Luisa. Il 5 ottobre dell'anno seguente nascerà la seconda figlia, Giliana. Entrambe, influenzate dal pensiero dei genitori, diventeranno anarchiche e cercheranno alla morte del padre di portarne avanti il pensiero e la memoria.

Di fronte alla rivoluzione russa

Berneri, allo scoppio della rivoluzione russa del 1917, s'era già conquistato una solida fama grazie alle sue grandi capacità intellettuali. Inizialmente, come molti anarchici, assiste con entusiasmo alla rivoluzione d'ottobre, segnalandosi in particolare con la pubblicazione di un articolo d'elogio della stessa dal titolo Per un silenzio ingiusto . Ben presto però si renderà conto che il socialismo autoritario dei bolscevichi stava via via marginalizzando le spinte libertarie indotte dagli anarchici, imponendo quindi non una dittatura del proletariato ma una dittatura di partito.

Lo sviluppo autoritario della rivoluzione lo porterà a riflettere sulla necessità della costruzione di un'organizzazione anarchica, individuando proprio in questa mancanza la posizione d'inferiorità dell'anarchismo rispetto al marxismo-leninismo. Compito degli anarchici, secondo Berneri, dovrebbe essere quello di colmare questa lacuna. 

Pur sostenendo che ogni processo rivoluzione determini comunque l'emergere di una dittatura capeggiata da un nuovo gruppo dominante («In questo senso è legittima e necessaria una vera e propria dittatura dei lavoratori» ), egli critica apertamente il carattere accentratore e gerarchico della dittatura del proletariato dei bolscevichi, ironizzando sul mito leninista di cui s'erano ormai imbevute le masse proletarie italiane e che si esplicitava nel motto Viva Lenin. Questo slogan, secondo l'anarchico di Lodi, non faceva altro che innescare un'idea attendistica che allontanava le masse dalla rivoluzione anziché avvicinarla: «Le masse non hanno ancora compreso che la rivoluzione non si attende ma si vuole, si vuole e si fa. Il "verrà Lenin" si tira dietro il "verrà la rivoluzione": due non sensi che hanno pure radice nel fatalismo degli italiani e in quel fondo di religioso senso di aspettazione che è uno dei più potenti elementi di conservazione delle cose» .

Articoli come Militarismo bolscevico, pubblicato su «Umanità Nova» il 29 ottobre 1921, in cui critica la nascita dell'armata rossa guidata da Lev Trotzky, segnano il definitivamente allontanamento di Berneri dalle posizione bolsceviche, ritenute ormai indifendibili a causa dell'emergere di una classe dominante di burocrati  sempre più autoritaria, come peraltro già manifestato drammaticamente durante la repressione di Kronstadt e dell'Ucraina.

L'avvento del fascismo

Nel 1922 si trasferisce a Firenze, dove il 17 novembre si laurea in filosofia con una tesi ad indirizzo pedagogico dal titolo La campagna dei clericali piemontesi per la libertà della scuola in rapporto alla campagna clericale in Francia (1831 – 1852). In Toscana frequenta assiduamente il circolo culturale fondato da Carlo Rosselli ed Ernesto Rossi, ha rapporti con «Italia libera» e collabora con «Non mollare!», «Conscientia» e numerose altre riviste (anche non politiche).

L'avvento del fascismo segna per lui e gli altri compagni l'inizio di gravi disagi. Come riporta Vittorio Moneta, dirigente del fascio di Camerino,  Berneri si palesa come antifascista nel 1925 in occasione della visita del re a Macerata, quando ai suoi studenti di Camerino, dove insegnava filosofia, che gli chiedevano un giorno di vacanza per salute il re, risponde con imprecazioni contro Mussolini e i Savoia.

Dopo una serie di aggressioni verbali e fisiche, Berneri nel 1926 decide di rifuggiarsi in Francia, dove nonostante le gravi difficoltà economiche inizia la frequentazione dei compagni antiautoritari per riorganizzare le fila del movimento anarchico e antifascista, proseguendo nella sua collaborazione con la stampa libertaria e dedicandosi sempre con passione ai suoi studi. Le sue attività evidentemente non aggradano nemmeno la polizia francese, tant'è che Berneri viene più volte fermato e poi espulso dal paese nel 1928.

Fa rientro in Francia poco dopo, prima di essere arrestato in Belgio nel dicembre del 1928 in seguito all'operazione antifascista che in Francia aveva portato all'arresto di diversi fuoriusciti italiani tra cui Carlo Rosselli. Perennemente controllato dalle autorità fasciste, Berneri girovaga in vari paesi (Svizzera, Germania, Belgio, Lussemburgo e Olanda), subendo anche diversi fermi e arresti. La vita da esiliato è difficile, sia per lui che per la moglie e le figlie Maria Luisa e Giliana.

Il regime continua a perseguitarlo attraverso agenti provocatori - tra cui Ermanno Menapace, ritenuto un amico ma in realtà rivelatosi una spia dell'OVRA fascista - e trame di ogni tipo, che lo costringono a nuovi trasferimenti, ma ciò non gli impedisce di denunciare l'attività fascista, per esempio attraverso le opere Mussolini alla conquista delle Baleari e Lo spionaggio fascista all'estero. Non solo, dopo la nascita di Giustizia e Libertà in Francia, un'organizzazione antifascista fondata dai fratelli Rosselli e altri esuli italiani, l'anarchico di Lodi stabilisce con loro solidi rapporti, seppur caratterizzati anche di aspre discussioni critiche. 

La rivoluzione spagnola e la sua tragica morte

Lo scoppio della rivoluzione spagnola, nel luglio 1936, lo spinge alla partenza immediata verso la penisola iberica, che lo vede prender parte alla battaglia del Monte Pelato. Insieme a Carlo Rosselli, con cui si sente particolarmente in sintonia , e Mario Angeloni fonda la sezione italiana della colonna internazionale Francisco Ascaso. Trasferitosi poi a Barcellona, dà vita all'edizione spagnola di «Guerra di classe».

Durante la rivoluzione spagnola Berneri non si astiene dal criticare quelle forze che, all'interno del campo repubblicano e “democratico”, perseguivano obiettivi “particolari” o ritenuti comunque pericolosi per la rivoluzione (vedi critiche agli stalinisti o agli anarchici possibilisti) . In breve gli eventi precipitano, culminando con i fatti del tragico maggio barcellonese , dove Camillo viene ucciso insieme al compagno di lotta Francesco Barbieri, il 5 maggio 1937, dagli agenti della GUGB (polizia segreta, SEZ dell'NKVD) che avevano organizzato un apposito commando composto da comunisti italiani e spagnoli.

I fatti

«... Verso le 6 del pomeriggio un gruppo di "mozos de escuadra" e di "bracciali rossi" del PSUC irrompe nel portone numero 3. Li comanda un poliziotto in borghese; in tutto, saranno una dozzina. Salgono gli scalini di marmo che portano al primo piano e bussano alla porta di Berneri. Ad aprire è Francesco Barbieri, 42 anni, anarchico di origine calabrese. Nell'appartamento, oltre Berneri, c'è la compagna di Barbieri e una miliziana. - Il poliziotto in borghese intima ai due anarchici di seguirlo. - E per quale motivo? - Vi arrestiamo come controrivoluzionari. - Barbieri è paonazzo. - In vent'anni di milizia anarchica - dice - è la prima volta che mi viene rivolto questo insulto. - Appunto in quanto anarchici, siete controrivoluzionari. - Il suo nome fa Barbieri irritato - Gliene chiederò conto presto. - Il poliziotto rovescia il bavero della giacca e mostra una targhetta metallica con il numero 1109. - I due anarchici vengono portati via, mentre la compagna di Barbieri chiede invano di poterli seguire. - Ma il viaggio è breve, di quelli che non ammettono testimoni. Berneri è gettato a terra in ginocchio e con le braccia alzate, e da dietro gli sparano a bruciapelo alla spalla destra. Un altro colpo alla nuca, lo finisce. Barbieri segue la stessa sorte, ma il lavoro è meno pulito, gli assassini sprecano più colpi. Più tardi, verso sera, i cadaveri vengono abbandonati nel centro della città... ».

Così Tosca Tantini racconterà in una lettera alla madre di Camillo, Adalgisa Fochi, gli ultimi istanti di vita dell'anarchico:

«Verso sera vennero otto individui per eseguire una perquisizione. Fu solo allora che comprendemmo di essere chiusi in un cerchio dal quale difficilmente si sarebbe usciti. Ci guardammo preoccupati, solo Camillo sorrideva: “Non è il momento di sorridere” gli dicemmo. “Lo so – ci rispose - ma che volete farci? Chi poteva precedere una cosa simile?” Gli invasori cominciarono un via vai; asportarono molte cose fra cui in nostri materassi. Tutti eravamo nervosi per quanto succedeva, escluso il suo Camillo, che continuava a lavorare. “Lavorate anche voi – ci disse – nel lavoro troverete la calma.” A un certo momento uno della pattuglia incominciò ad osservare gli incartamenti che Berneri teneva sopra il tavolo da lavoro. Subito dopo l'investigatore uscì e per le scale lo sentimmo gridare: “Arriba està un assunto muy serio”. Poi diede disposizioni perché una camionetta venisse a prendere tutto. Fu solo allora che Berneri perdette la sua serenità, il suo ascetico viso si fece rosso infiammato, poi bianco. “Piuttosto che mi tocchino una sola cartella – ci disse – preferisco che mi taglino una gamba. Anche la vita sono disposto a dare, ma che non tocchino una carta.” Si rimise tosto a tavolino e, mano a mano, che il suo lavoro proseguiva, il suo viso si ricomponeva, tanto che la serenità ritornò nel suo sguardo. Verso le sei del giorno 5 lo pregammo di tralasciare e, cedendo alle nostre insistenze, venne nell'anticamera con noi. E poiché il mortaio tirava verso la nostra casa egli per distrarci faceva dello spirito e ci raccontava delle storielle divertenti. In quelle condizioni di spirito lo trovarono i carnefici, quando verso le sette vennero a prenderlo. Pochi istanti prima Berneri aveva preparatole scarpe e l'impermeabile a portata di mano, come presentisse di dovere uscire. Si vestì con la massima calma e, tranquillamente sulla soglia ci strinse la mano sorridendo, come per incoraggiarci. Che nobiltà d'animo! Che coraggio! Dopo due giorni di ricerche l'ho rivisto all'ospedale clinico crivellato di pallottole. Gli occhi erano spalancati ed in essi si leggevano non la paura, ma il disprezzo. Il pugno alzato era chiuso come volesse colpire qualcuno. Quella tragica visione è scolpita nella mia memoria». 

Il commiato degli anarchici

«... Durante il mattino il corpo straziato di Camillo Berneri fu trovato dove era stato gettato dalle guardie del PSUC, che lo avevano preso dalla sua casa la sera precedente. Berneri... era sfuggito agli artigli di Mussolini e aveva combattuto i riformisti (compresi i leader della CNT) nel suo organo influente, «Guerra di Classe». Egli aveva definito la politica stalinista in poche parole: "odora di Noske". Con parole audaci aveva sfidato Mosca: "Schiacciata tra i prussiani e Versailles, la Comune di Parigi aveva dato inizio ad un fuoco che aveva acceso il mondo. Che i generali Goded di Mosca lo ricordino". Egli aveva dichiarato alle masse della CNT: "Il dilemma guerra e rivoluzione non ha più senso. Il solo vero dilemma è: o la vittoria su Franco grazie alla guerra rivoluzionaria, o la sconfitta". Come terribilmente vera era stata la sua identificazione di Noske con gli stalinisti! Come il socialdemocratico Noske aveva fatto rapire e assassinare Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, così gli stalinisti avevano assassinato Camillo Berneri. Ricordiamolo con l'amore che portiamo al nostro Karl e alla nostra Rosa. Mentre scrivo, compagni, non posso fare a meno di piangere, piangere per Camillo Berneri. L'elenco dei nostri morti è lungo quanto la vita della classe operaia. Fortunati furono quelli che caddero combattendo apertamente i loro nemici di classe, nel mezzo della battaglia con i loro compagni a fianco. Molto più terribile è morire soli, per mano di coloro che si chiamano socialisti o comunisti, come è accaduto a Karl e a Rosa, come stanno morendo i nostri compagni nelle camere di esecuzione dell'esilio siberiano. Un'angoscia particolare fu quella di Camillo Berneri. Morì per le mani di "marxisti-leninisti-stalinisti", mentre i suoi più cari amici, la Montseny, Garcia Oliver, Peirò, Vasquez stavano consegnando il proletariato di Barcellona ai suoi esecutori. Giovedì 6 maggio. Ricordiamo questa data... ». 

Il pensiero

Contro ogni dogmatismo

È necessario immediatamente dire che l'opera teorica di Berneri è rimasta ovviamente incompiuta a causa della sua prematura scomparsa, nonostante ciò la letteratura anarchica è disseminata di centinaia di suoi scritti pubblicati sulle varie riviste e giornali su cui scriveva.

Berneri prosegue sulla strada tracciata da Malatesta, ovvero cerca di sviluppare il metodo malatestiano, basato sulla separazione tra giudizi di fatto e giudizi di valore, nel tentativo di trovare nuove vie che rendano quindi l'azione anarchica più aderente alla realtà dei fatti, e quindi più concreta, senza però cambiarne la finalità ultima.

L'anarchismo di Berneri può definirsi come un anarchismo antidogmatico, revisionista ed eclettico. Esso è frutto anche di una contingenza storica particolare, ovvero l'esaurirsi dell'anarchismo nato nel 1872, stretto tra il sorgere dei fascismi e dei nazionalismi da un lato, e il nascere del movimento comunista internazionale, sorto sulla scia della vittoriosa rivoluzione d'ottobre, della quale non si conoscono ancora contraddizioni ed orrori, e che così tanto fascino esercitava sulle masse proletarie, stremate dalla guerra e dalla miseria crescente.

«Ho abbandonato il socialismo perché mi sentivo dare dell'anarchico, entrato nel movimento anarchico mi sono fatto la fama di repubblicano federalista. Quello che è certo è che sono un anarchico sui generis, tollerato dai compagni per la mia attività, ma capito e seguito da pochissimi. I dissensi vertono su questi punti: la generalità degli anarchici è atea, ed io sono agnostico; è comunista, ed io sono liberalista (cioè sono per la libera concorrenza fra lavoro e commercio cooperativi, e tra lavoro e commercio individuali); è anti-autoritaria in modo individualista, ed io sono semplicemente autonomista federalista (Cattaneo completato da Salvemini e dal Sovietismo). Quanto al mio antifascismo esso non è meno sui generis... ». 

Berneri si trova a riflettere, nel periodo che va dall'affermarsi del fascismo in Italia alla guerra civile spagnola, sulle cause della crisi dell'anarchismo, della quale intuisce la portata storica. L'antidogmatismo di Berneri era confliggente con il dogmatismo nel quale tendeva a rinchiudersi l'anarchismo d'allora. Per esempio mosse delle critiche al tradizionale ateismo anarchico, sostenendo invece una posizione agnostica.

Polemizzò duramente con le concezioni "ultra-individualistiche" e antiorganizzatrici che avevano spaccato il movimento anarchico impedendone il radicamento sociale. Ugualmente Berneri criticava le teorie economiche rigidamente comuniste e collettiviste optando per una posizione di eclettismo. Anche qui si può notare il lascito malatestiano, in particolare per quanto riguarda la distinzione tra i giudizi di fatto e i valori.

Questa distinzione si traduce in una distinzione tra dimensione economica e dimensione politica: la dimensione politica si basa comunque su un giudizio di valore, la dimensione economica su un giudizio di fatto. Tale approccio porta Berneri a scrivere: «Sul terreno economico gli anarchici sono possibilisti (...) sul terreno politico (...) sono intransigenti al 100%».

L'anarchismo può essere, di volta in volta, mutualista, collettivista, comunista, individualista (o combinazione di queste dottrine) mentre non può che rimanere rigido nel campo politico, ovvero nella negazione dell'autorità. Conciliare realismo ed idealismo è quindi quello che il revisionismo di Berneri si pone come obiettivo. All'antidogmatismo di Berneri nel campo economico e filosofico, corrisponde un antidogmatismo anche in campo polittico.

Berneri critica l'astensionismo anarchico, che si era tramutato da strumento tattico e mezzo di agitazione, in un periodo in cui peraltro la gran parte della popolazione era priva del diritto di voto, ad un vero e proprio dogma, una specie di elemento di costume di cui il movimento anarchico si serviva per mantenere integra la sua fragile identità.

Come si può notare, la gran parte dei dubbi e dei nodi che Berneri ha affrontato sono ancora oggi attuali, purtroppo Berneri non ha potuto portare a termine le sue riflessioni data la sua prematura scomparsa. I dubbi di Berneri sono i dubbi dell'anarchismo stesso, quando questi inizia a comprendere i propri limiti e le ragioni della propria sconfitta.

 L'interesse per la piscoanalisi e le questioni religiose

Dei suoi interessi per la psicologia e della sua partecipazione ai corsi di professor Enzo Bonaventura, uno dei primi cultori italiani di psicoanalisi freudiana, si hanno solo notizie frammentarie, ma i suoi studi anche in questo campo gli torneranno particolarmente utili in occasione della pubblicazione delle sue opere sociologiche sul fenomeno fascista (es. Mussolini grande attore).

Scrisse anche altri articoli sull'argomento inerente la psicanalisi, tra cui La gerarchia sensoriale secondo Leonardo  e I Limiti dell'io mentale . Dei suoi studi psicologici si avarrà anche nelle sue analisi delle questioni religiose, che seppur da agnostico destarono in lui sempre grande interesse.  In particolare seguì nel circolo filosofico fiorentino le lezioni di prof. Fracassini e prof. Bonaiuti, entrambi sacerdoti, ai quali Berneri riconobbe una grande preparazione e onestà intellettuale.

L'epistolario

La vita, l'impegno politico, l'intenso lavoro intellettuale di Camillo Berneri traspaiono dal suo ricco epistolario. Da esso, infatti, emergono le idee, le letture, le critiche, la fatica e il piacere dello scrivere, i fatti di una biografia che si costruisce nella "Reggio di Prampolini", nell'Italia del fascismo e, ben presto, in una terra d'asilo, la Francia, e in una di lotta, la Spagna.

Nell'epistolario sono conservate lettere di Berneri a suoi corrispondenti, ma soprattutto le lettere che a Berneri scrivono personalità dell'antifascismo come Piero Gobetti, Gaetano Salvemini, Max Nettlau, Pietro Nenni, Carlo Rosselli, Mario Bergamo, Alberto Jacometti e molti altri ancora. Sebbene siano numerose le lettere di corrispondenti anarchici (non mancano quelle del reggiano Torquato Gobbi), nell'epistolario emerge anche il quadro dei complessi e variegati rapporti con personalità che non fanno parte del movimento anarchico – repubblicani, socialisti, militanti di Giustizia e Libertà – il che dimostra come Berneri sia esente da pregiudizi settari e/o da intolleranze ideologiche.

Berneri nella Guerra civile spagnola

Il tentativo di Berneri di conciliare realismo ed idealismo caratterizza anche l'attività militante svolta in Spagna prima del suo assassinio.

Berneri si trova a denunciare la mancanza di una chiara strategia politica degli anarchici spagnoli - oscillanti tra un intransigentismo di principio, impossibile per la presenza di altre forze rivoluzionarie e per le condizioni particolari in cui si dibatte la rivoluzione - e un arrendevole atteggiamento compromissorio. Il primo caratterizzava la base, il secondo invece era appannaggio dei vertici, dei leader carismatici di CNT e della F.A.I., che ad eccezione di Buenaventura Durruti e pochi altri, accettarono la ricostituzione del governo centrale e periferico dello Stato, finendo persino per ricoprire cariche istituzionali.

Essi giustificavano questo fatto affermando che la rivoluzione sociale doveva essere subordinata alla lotta antifranchista e che la realizzazione del programma comunista anarchico, definito nel congresso della CNT (Saragozza 1936) avrebbe comportato l'instaurazione di una «dittatura anarchica».

Per Berneri, viceversa, guerra e rivoluzione dovevano procedere congiunte, perché la sconfitta dell'uno avrebbe determinato, come logico corollario, la sconfitta dell'altro. Il popolo spagnolo, infatti, era insorto non solo contro Francisco Franco, ma anche per un mondo nuovo, più libero e più giusto.

I fatti dettero ragione a Berneri. Lo scontro tra anarchici e sinistra antistalinista da un lato e comunisti e partiti borghesi dall'altro, determinato anche dalla politica compromissoria della CNT fece precipitare la situazione. Lo smantellamento progressivo di tutte le conquiste rivoluzionarie, il compromesso con i partiti e gli «Stati borghesi» (Francia e Inghilterra) la sempre più evidente interferenza sovietica, il delinearsi sempre più chiaro e netto di una sorta di dittatura bolscevica portarono alla disillusione fra le file degli autentici rivoluzionari. Migliaia di anarchici abbandonarono indignati il paese, lo sconforto si tramutò in disfatta.

In Spagna si vide il "fascismo rosso" - come lo definì Elio Vittorini - al lavoro e questo fascismo rosso portò alla vittoria il fascismo vero. Berneri, preoccupato di questa involuzione autoritaria, denunciò, dalle colonne di «Guerra di classe», le manovre controrivoluzionarie dei comunisti e il tradimento dei leader sindacali. Per questo venne ucciso senza pietà.

Con la morte di Berneri e la sconfitta della rivoluzione libertaria in Spagna si chiude definitivamente una fase storica dell'anarchismo. La repressione da parte dei regimi totalitari e la Seconda guerra mondiale ridurranno il movimento anarchico a poco più di un movimento residuale. Ma gli "anni 60" e la nuova contestazione antiautoritaria del porteranno nuova linfa al movimento anarchico e l'ideale libertario sarà nuovamente di attualità. 

Adalgisa Fochi, madre di Camillo
 

Manifesto dell'UAI

Camillo Berneri alla scrivania
 
Giovanna Caleffi con le figlie Maria Luisa (alla sua destra) e Giliana Berneri


 

La postazione a difesa dell'entrata del palazzo della sede regionale della CNT a Barcellona durante le 'giornate di maggio' del 1937 (c ABC Reggio Emilia)
 
funerali di Berneri (El Pais)
 
 
 
 


Camillo Berneri, né le 20 mai 1897 en Italie à Lodi et mort dans la nuit du 5 au 6 mai 1937 à Barcelone en Espagne probablement assassiné par des agents du Guépéou est un philosophe, écrivain et militant communiste libertaire italien.
 
Sconosciuto -   Creato: 1 gennaio 1936
 

 
 destra). ABC Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa, Reggio Emilia, Fondo Serge Senninger (c)
 
Reggio Emilia
 
Arezzo
 

 




 
 



Carlo Abate (Milano, 20 ottobre 1859 - Barre, Vermont, USA, 1° agosto 1941) fu uno scultore anarchico.

Diplomato a Brera, nel 1888 divenne socio onorario dell'Accademia. Nel 1894 il suo gruppo scultoreo Panem nostrum quotidianum fu premiato alla Triennale di Milano.

Alla morte della moglie Enrichetta Corbello e di tre dei suoi figli, nel 1896 emigrò con gli altri due figli negli Stati Uniti, stabilendosi a New York, poi a Quincy, nel Massachusetts, e infine, nel 1899, a Barre, nel Vermont, dove diresse la rivista anarchica «Cronaca Sovversiva» fondata da Luigi Galleani. Nella testata della rivista, disegnata da lui, stava la scritta, tratta da Orazio, « Ut redeat miseris, abeat fortuna superbis », cioè « la fortuna lasci i potenti per andare dai miseri ».

Insegnò disegno nella locale scuola per emigrati italiani. Sue opere sono conservate nella Galleria d'arte moderna di Milano e nel museo di Barre. 

 

Abate: Targa di B. Cairoli, 1891

Cesare Agostinelli (Ancona, 30 ottobre 1854 - Ancona, 23 aprile 1933) è stato un anarchico italiano.

Cesare Agostinelli nasce ad Ancona da Pacifico, giornaliero, liquorista, cappellaio. “Cesarì” o “Tigna” – soprannome, il secondo, testimone di una tenacia che talvolta tracima in ostinazione, come peraltro Malatesta rileva in alcune lettere – è uno dei personaggi più noti dell'anarchismo in Italia fra Ottocento e Novecento.

Repubblicano, quindi internazionalista, riceve le prime condanne già negli anni Settanta e nel 1881 è ammonito per contrabbando di tabacco. L'anno seguente si associa alla pubblica protesta per la condanna ad Amilcare Cipriani ed è processato insieme a Vincenzo Matteuzzi, Augusto Tacchini e Carlo Fanti. Nel giugno 1883 è condotto al domicilio coatto di Ponza, dove resta fino al dicembre 1884.

Appena rilasciato, s'imbarca per l'Argentina con Malatesta, Francesco Natta, Francesco Pezzi e Galileo Palla: secondo alcune fonti, giunge in Patagonia e s'inventa cercatore d'oro. Rientra non più tardi dell'autunno 1885, quando contravviene agli obblighi dell'ammonizione ed è perciò processato. In questo periodo collabora al periodico «Il Paria», poi a «Il Libero Patto», per il quale cura una rubrica (Ergastoli industriali) sullo sfruttamento degli operai.

Tuttavia, quella del giornalista non è l'attività che predilige, preferendo stimolare gli altri a scrivere, mentre per sé riserva sovente la gestione finanziaria dei fogli. Si mette in evidenza nelle iniziative promosse dal Circolo "Studi Sociali", accanto ad Adelmo Smorti, con cui condividerà gran parte della sua vita di militante,

Il 16 novembre 1890 pubblica un manifesto astensionista (Non votate!), che esce come supplemento al settimanale socialista-anarchico maceratese «La Campana», di cui è amministratore. Nel gennaio 1891 partecipa al Congresso di Capolago, a marzo è denunciato per eccitamento all'odio di classe e a luglio gli sono inflitti due mesi di carcere in seguito alle manifestazioni tenute ad Ancona per la festa del lavoro.

Propagandista infaticabile, fa della sua bottega il centro delle riunioni anarchiche anconitane e il recapito della stampa sovversiva italiana ed estera che egli stesso s'incarica di distribuire. Il 17 gennaio 1895 la commissione provinciale per il domicilio coatto lo invia a Porto Ercole. È poi condannato dal tribunale di Perugia per avere emesso grida sovversive transitando per la città umbra sul treno che lo porta alla sua nuova dimora forzata: Tremiti.

Presentato da radicali e repubblicani nel quadro delle candidature-protesta, Agostinelli è eletto nel consiglio comunale di Ancona (luglio 1895: 675 preferenze per lui), ma non vi entrerà mai a far parte. Da Lipari, dove nel frattempo è stato condotto, torna nella sua città nel novembre 1896 ed è immediatamente sottoposto a vigilanza speciale. Insieme a Smorti ed Emidio Recchioni organizza il rientro in Italia di Malatesta, che ospita e al quale offre la propria esperienza per la nascita de «L'Agitazione». È Agostinelli a presentare Luigi Fabbri – allora giovane studente di Macerata – a Malatesta nel rifugio anconitano di quest'ultimo.

Nel marzo 1897 firma il manifesto astensionista I socialisti anarchici ai lavoratori italiani. Al lavoro redazionale unisce un'intensa opera propagandistica, svolta attraverso riunioni e comizi che tiene anche nei paesi vicini al capoluogo marchigiano. All'indomani dell'attentato di Acciarito, è messo agli arresti insieme al gerente de «L'Agitazione» (Benedetto Faccetti), a Ruggero Recchi e a Recchioni, mentre il giornale è costretto a interrompere le pubblicazioni; quindi, per essersi rifiutato di sottoscrivere in questura l'impegno a mantenere la buona condotta, Agostinelli è di nuovo inviato all'isola di Ponza, in cui dimora dal maggio 1897 al maggio 1898. In quei mesi subisce fra l'altro un processo, al termine del quale sarà assolto, per avere denunciato su «L'Agitazione» le terribili condizioni in cui i coatti politici sono sottoposti nella colonia di Gavi.

Qualche settimana dopo il suo ritorno ad Ancona, parte per Fiume, dove risiede in compagnia di Tito Alfredo Baiocchi e lavora come cappellaio. In ottobre è espulso dall'Impero asburgico, tradotto in Italia, quindi ancora assegnato al domicilio coatto da scontare a Pantelleria. Firmatario della professione di anarchismo comparsa su «L'Agitazione» nel luglio 1900 in solidarietà con i processati di Ancona, qualche mese più tardi Agostinelli è prosciolto dal confino e può dunque fare ritorno nel capoluogo marchigiano. Al pari di tre anni prima, rifiuta di sottoscrivere l'impegno alla buona condotta, nondimeno stavolta resta in libertà. Al suo recapito sono inviati i principali fogli libertari italiani, nonché alcuni periodici che Malatesta gli spedisce da Londra.

Nel marzo 1902 è eletto nella commissione esecutiva della Camera del Lavoro di Ancona, ma a luglio – al pari di Smorti – si dimette per motivi di lavoro. Promuove i giornali «La Vita Operaia» e «Lo Sprone»: su quest'ultimo, nel giugno-agosto 1910, accende una polemica con Fabbri sul giudizio in merito alle lotte agrarie in Romagna e il 16 ottobre successivo pubblica un manifesto contro Giovanni Gavilli, di cui critica aspramente l'individualismo.

Il 9-10 febbraio 1913 partecipa a Fabriano al Congresso anarchico umbro-marchigiano. Agostinelli ospita Malatesta al ritorno di questi dall'Inghilterra, contribuendo poi alla ricostituzione del Circolo "Studi sociali". Entra quindi nella redazione di «Volontà», della quale diventa responsabile all'indomani della Settimana rossa e fino alla momentanea chiusura del giornale (luglio 1915). Ugo Fedeli ha scritto che «Malatesta, prima di prendere una qualsiasi iniziativa usava dire: "Sentirò Agostinelli", perché era sicuro che il buon senso di questo uomo del popolo rispecchiava sempre con molta chiarezza il punto di vista della generalità dei militanti».

Nel 1916 Agostinelli dà alle stampe due opuscoli antimilitaristi, subito bloccati dalle autorità, che ne vietano la diffusione; il 22 febbraio 1919 è sua la gerenza del numero unico «Guerra e Pace», curato da Fabbri e anteprima della nuova serie di «Volontà». L'anno dopo si trasferisce a Milano, va ad abitare insieme a Malatesta e assume l'amministrazione di Umanità Nova, sebbene manifesti inizialmente dubbi sulla realizzabilità del quotidiano.

Nel marzo 1921 è fra i 22 processati (e assolti) per l'attentato al teatro milanese Diana. Di nuovo ad Ancona, si allontana dall'azione politica, soprattutto a causa dell'età ormai avanzata, che peraltro gli impedisce di lavorare. Tuttavia, la vigilanza su di lui rimane pressante, «giungendo perfino, negli ultimi mesi di vita, all'infamia di privar[lo] senza motivo, con un sotterfugio, [...] anche di quel modesto assegno che, estrema risorsa, gli veniva spedito regolarmente dall'estero [da Recchioni]» («Almanacco libertario», 1935).

Dante Armanetti (Pontremoli, Italia, 26 marzo 1887 - Torino, 3 febbraio 1958) è stato un anarchico e antifascista italiano.

Biografia

Figlio di Angelo Armanetti e Elisabetta Sordi, frequenta la scuola sino alla 5° elementare. Assunto giovanissimo prima come operaio alla FIAT Ferriere di Torino e poi come rappresentante della Singer, inizia ben presto la militanza nel movimento anarchico.

Attività anarchica e antimilitarista

Allo scoppio della Grande Guerra diffonde propaganda libertaria e antimilitarista, impegnandosi attivamente nella raccolta di fondi per la stampa anarchica. Nell'agosto del 1917 partecipa alle manifestazioni contro la guerra e alle lotte sociali del dopoguerra ad esse collegate. Nel settembre 1920 è protagonista, insieme a tutti gli anarchici italiani, nel movimento di occupazione delle fabbriche che sembrerebbe prossimo ad incendiare la penisola con la rivoluzione sociale. Tre anni dopo, con l'avvento del fascismo, pagherà con l'arresto la partecipazione a quei moti e ad altre agitazioni.

L'avvento del fascismo

Dopo aver subito nel 1927 una nuova condanna per tentato espatrio illegale, due anni dopo si trasferisce a Mirandola (Emilia Romagna) per lavoro. Nei primi anni trenta Armanetti collabora al giornale clandestino «Voci di Officina», organo propagandistico del Partito d'Azione. Membro del gruppo anarchico «Barriera di Milano», costituito soprattutto da compagni toscani (Dario Franco, Settimo Guerrieri, i fratelli Vindice e Muzio Tosi ecc.), e del «Barriera di Nizza», fa parte del comitato di coordinamento dei gruppi anarchici di Torino.

Intanto il regime fascista, che si fa sempre più autoritario, lo arresta ancora, questa volta insieme a I. Innesti, F. Fasola e R. Alicardi per aver tentato nuovamente di espatriare. Dopo il rilascio, l'anarchico e antifascista subisce un nuovo attenzionamento e l'8 febbraio 1931 viene arrestato a Torino (con lui anche Arduilio D'Angina, Musio Tosi e Settimo Guerrieri) per «attività anarchica e diffusione di giornali antifascisti», ricevendo la condannato al confino di Lipari. Dopo il trasferimento a Ventotene, viene liberato il 9 febbraio 1933 ed immediatamente inizia a collaborare con «Voci d'officina». Esattamente tre anni dopo, insieme a Antonio Calamassi e Settimio Guerrieri, espatria in Francia avvalendosi dell'aiuto del Comitato Antifascista di Chambèri. A Lione, dove ha trovato il sostegno di altri antifascisti, verrà a sapere che la sorella Maria Felicita era stata processata per attività antifasciste dal tribunale speciale fascista.

In Spagna

Allo scoppio della rivoluzione spagnola del luglio 1936 si schiera prontamente col fronte repubblicano. Il 15 gennaio 1937 giunge a Barcellona, sei giorni dopo è già al fronte di Aragona ed è presente allo scoppio della battaglia di Monte Pelato. Le autorità italiane lo schedano nell'elenco dei sovversivi italiani residenti all'estero, anche se essendo già anziano e affetto da miopia non impugnerà le armi, dedicandosi alla cura dei relazioni tra i compagni della sezione italiana della Colonna Ascaso.

Armanetti prende parte al fianco degli anarchici ai drammatici moti di Barcellona del maggio 1937 che vede contrapposti anarchici e stalinisti in quello che sarà il prodromo della sconfitta repubblicana. Da quel momento in poi sarà la fazione stalinista catalana (PSUC, Partito Socialista Unificato della Catalogna) e spagnola (PCE, Partito Comunista Spagnolo) a prevalere e per gli anarchici la vita si farà sempre più difficile. Così, nello stesso anno, Armanetti conosce ancora una volta il carcere, ma questa volta i suoi aguzzini sono i "compagni" stalinisti che arbitrariamente lo arrestano per spionaggio e diserzione (con lui anche Ermanno Neri e Libero Mariotti).

In Francia

Dopo un anno di carcere espatria in Francia, dove viene arrestato ed internato nel campo di Saint-Cyprien. L'Unione Anarchica Italiana, appoggiata dalla CGT-SR e da Sébastien Faure, lancia un appello per la sua liberazione e per quella di Pompeo Crespi e Carlo Cocciarelli, anch'essi detenuti. Nel mese di ottobre del 1938 è imprigionato nel carcere di Montjuïc ed una volta libero fa rientro in Francia, ma quando Parigi cade in mano ai nazisti (1940) sceglie di trasferirsi a Bruxelles insieme a Armando Bientinesi, Aldo Demi e Ateo Vannucci.  

Il 16 agosto 1941 viene consegnato dalla polizia tedesca ai fascisti italiani. Processato, il 17 novembre è condannato a 7 anni di carcere, ma dopo l'8 settembre viene liberato, partecipando alla Resistenza nella VII Brigata SAP dentro le Ferriere. Si occupa inoltre del giornale clandestino «Voce dei comunisti libertari» di Torino, che dopo la Liberazione si chiamerà «Era Nuova», con Furio Meniconi, Antonio Garino e Italo Garinei. Dopo il 1945, e fino al suo ultimo numero, sarà direttore del giornale.

Il secondo dopoguerra

In qualità di delegato piemontese partecipa al congresso interregionale della Federazione Comunista Libertaria (23-25 luglio 1945). Dal 1951 al 1956 dirige con Italo Garinei anche il «Seme anarchico» e il «Bollettino interno della Feerazione Anarchica Italiana (FAI)», pubblicato dal novembre 1952 al marzo 1953 con l'intento di preparare il V congresso della FAI (19-23 marzo 1953).

Dante Armanetti muore a Torino il 3 febbraio 1958. La salma è stata cremata il 6 febbraio e le ceneri deposte al Tempio Crematorio. 

Seme Anarchico, giornale anarchico fondato da Armanetti e Garinei
 

Enrico Adler (Sanremo, 1951 - Sanremo, 23 novembre 2008) è stato un anarchico, animalista ed ecologista italiano. 

Figlio di un partigiano, aderì all'anarchismo giovanissimo negli anni della contestazione studentesca, fondando con altri nel 1971 l'OAL, l'Organizzazione anarchica ligure. Negli anni '70 diviene una delle figure più carismatiche del gruppo Anarchico di Sanremo.

Insegnante di lettere, nel corso della sua vita viene anche eletto consigliere comunale dei Verdi a Sanremo. Aderisce inoltre all'ARCI e all'ENPA, l'Ente nazionale per la protezione degli animali, creando anche una comunità per il recupero dei tossico-dipendenti. Negli anni Novanta riaprì il circolo anarchico di Pegli.

Muore prematuramente nel 2008 per un tumore. 

Enrico Arrigoni (Pozzuolo Martesana, Milano 20 febbraio 1894 - New York, 7 dicembre 1986) è stato un anarchico individualista italiano.
 Arrigoni nasce a Pozzuolo Martesana (MI) il 20 febbraio 1894 da Luigi e Giuseppina Bianchi; operaio meccanico e pubblicista. Di modeste origini, il padre era un "sarto di origine contadina", frequenta le scuole fino alla 3a elementare per poi trasferirsi a Milano impiegandosi come garzone e, appena quattordicenne, specializzandosi nel lavoro al tornio. Si avvicina giovanissimo all'ideale anarchico in coincidenza, come molti militanti della sua generazione, delle manifestazioni successive alla fucilazione di Ferrer. Considerandolo "di carattere eccitante e di intelligenza viva", le carte di polizia cominciano a segnalarne le frequenti azioni nel luglio del 1912 quando viene sorpreso a distribuire in pubblico manifesti anarchici, e in seguito notano come partecipi "con assiduità a tutte le manifestazioni dei partiti estremi ed alle feste date in favore della stampa anarchica". Arrigoni è già in questo periodo un individualista, frequentando – amico soprattutto di Francesco Ghezzi e Ugo Fedeli – i gruppi di giovani anarchici che in questa fase vanno costituendosi intorno alle riviste animate, specialmente, dalla coppia Monanni-Rafanelli e poi anche da Carlo Molaschi. Con la deflagrazione della guerra si dimostra acceso antinterventista partecipando a tutte le manifestazioni e ai violenti scontri fra neutralisti e interventisti. Nell'aprile del 1916 è chiamato alle armi ed è inizialmente mantenuto, in quanto esperto meccanico, presso il suo posto di lavoro; in seguito, per sottrarsi al servizio militare, si rifugia, da disertore, in Svizzera, stabilendosi a Ginevra e frequentando gli ambienti de «Il Risveglio anarchico». Nel settembre dello stesso anno è arrestato in occasione di una manifestazione contro la guerra e cominciano così i suoi problemi anche con la giustizia elvetica che, protrattisi per oltre due anni, lo spingono al principio del 1918 a dirigersi in Olanda. Viene però arrestato, durate il viaggio, in Germania, presso Karlsruhe dove, una volta rilasciato, risiede prima di trasferirsi a Francoforte. Nel gennaio del 1919 la polizia lo segnala come coinvolto in un attentato terroristico in Svizzera, ma poco dopo egli sostiene di essere a stato Berlino dove, in occasione dei moti spartachisti, aveva partecipato all'occupazione del «Vorwaerts!». Sempre nel corso del 1919 è in Russia da dove, aiutato da Angelica Balabanoff e attraverso l'Ungheria, torna in Italia rimanendo in clandestinità per alcuni mesi per poi trasferirsi nuovamente in Germania, Francia e approdando in Spagna dove risiede per due anni e dove continua a militare attivamene perseguitato dalla polizia. Quando Arrigoni torna in Italia nel luglio del 1921 è ormai noto nel movimento anarchico con lo pseudonimo di "Brand" (in precedenza "Ciriaco", "Matteo Enrico", "Mario Brand" e poi "Harry Goni"), ha "l'intero corpo segnato da tatuaggi", è sfregiato da numerose cicatrici da arma da fuoco e alla polizia dichiara di avere perso la memoria. A Milano, sebbene sotto una condanna di dieci mesi con la condizionale, si impiega per oltre un anno come meccanico, poi tenta di fuggire ma è nuovamente arrestato e recluso per un furto ai danni dell'amico che lo ospitava. Espatria nuovamente sul finire del 1922, risiede per alcuni anni in Francia, nel 1924 è a Cuba e poi a New York da clandestino. Arrigoni negli USA risiede illegalmente fino al 1928; qui lavora come tornitore frequentando gli ambienti anarchici spagnoli e italiani (Circolo "Volontà"). Collabora saltuariamente con «L'Adunata dei refrattari», «Cultura obrera» e «Road of Freedom». Tra il 1928 e il 1932 pubblica «Eresia» una rivista ecclettica con forti tendenze individualiste (fra i collaboratori U. Fedeli, J. Conti e F. Ghezzi) e più tardi collaborerà con «Controcorrente», di Boston, e «Intesa libertaria». Nel 1936 è per un breve periodo in Spagna, a Barcellona, prima di tornare definitivamente negli USA. Nel Secondo dopoguerra, rimanendo sempre anarchico e professandosi "individualista per natura", fortemente influenzato da Stirner, collabora regolarmente con il Libertarian Book Club di New York. "Brand" muore a New York, novantaduenne, il 7 dicembre del 1986. 

Freedom: My Dream | Enrico Arrigoni (Frank Brand)

 

Ettore Aguggini (Milano, 23 marzo 1902 - Alghero (penitenziario), 3 marzo 1929) è stato un anarco-individualista italiano. Insieme a Giuseppe Mariani e Giuseppe Boldrini fu coinvolto nella Strage del Teatro Diana di Milano del 23 marzo 1921. 

Ettore Aguggini nasce a Milano il 23 marzo 1902 da Carlo e Giuseppina Ferrari. Rimasto orfano di madre a cinque anni, dopo aver abbandonato la scuola dell'obbligo inizia a lavorare come operaio in un'azienda meccanica e, contemporaneamente, ad interessarsi al pensiero di Max Stirner leggendo L'Unico e la sua proprietà .

Aderisce al movimento anarchico e nel primo dopoguerra entra a far parte di un gruppo milanese di tendenza anarco-individualista, di cui fanno parte quelli che diventeranno due suoi fedeli amici e compagni: Giuseppe Mariani e Giuseppe Boldrini. Nel biennio 1919-1921, contrassegnato da intense lotte sociali alle quali lo Stato risponde con dure campagne repressive, Aguggini dà il suo contributo a molte iniziative. Il 19 aprile 1919, dopo un attacco fascista alla sede del giornale socialista L'Avanti!, è presente alle prime manifestazioni antifasciste. Insieme ai suoi compagni, nell'ambito del periodo denominato biennio rosso, partecipa agli scontri di piazza con l'esercito e la polizia, progettando ed attuando due attentati contro il Ristorante Cova di Milano (26 giugno e 8 agosto 1920), in seguito ai quali, per sfuggire all'attenzionamento degli apparati repressivi dello Stato, sceglie brevemente di rifugiarsi clandestinamente a Zurigo insieme a Mariani e Boldrini.  Rientrati a settembre in Italia, i tre organizzano ed attuano un'azione diretta contro l'albergo Cavour (14 ottobre), che deve ospitare la delegazione inglese partecipante al congresso della Società delle Nazioni.

Nel 1921 Aguggini entra a far parte di un gruppo di antifascisti che intendono proteggere e difendere il quotidiano anarchico «Umanità Nova» dagli attacchi degli squadristi fascisti e della polizia. In seguito all'incarcerazione senza prove e relativo processo di molti militanti anarco-sindacalisti e anarchici (ottobre 1920), tra cui alcuni di «Umanità Nova» (Malatesta, Borghi e Quaglino), si levano alte in Italia le proteste contro l'ingiusta detenzione di Malatesta e compagni. I redattori del quotidiano anarchico», per smuovere le acque, a metà marzo del 1921 decidono di iniziare uno sciopero della fame.

Vista la drammatica situazione che si stava delineando (Malatesta era quasi settantenne e versava in non buone condizioni di salute), Ettore Aguggini ed i suoi compagni milanesi - tra cui Giuseppe Mariani, Giuseppe Boldrini ed Antonio Pietropaolo - decidono di mettere in atto una terna di attentati (alla centrale elettrica di via Gladio, alla sede del giornale socialista «l'Avanti» e all'albergo Diana, in via Mascagni, nei pressi dell'omonimo Teatro.) per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sull'assurda detenzione degli anarchici. 

L'attentato principale, nonché quello più difficile da attuare, era quello contro il questore Giovanni Gasti, che si pensava risiedesse in un appartamento dell'albergo Diana (separato dall'omonimo teatro da una semplice parete). Questa specifica azione, programmata per il 21 marzo 1921 (cinque giorni dopo l'inizio dello sciopero della fame dei tre redattori), era stato progettato da Ettore Agggini, Giuseppe Mariani e Giuseppe Boldrini (con la collaborazione di Elena Melli). Come detto, l'intenzione era quella di colpire l'albergo, ma per casualità, nonché per l'approssimazione con cui il tutto era stato progettato, l'esplosione provoca la deflagrazione del Teatro, provocando 21 morti e 80 feriti. Immediatamente i fascisti, per rappresaglia, danno l'assalto alla sede del giornale socialista «L'Avanti» e a quella di «Umanità Nova».

Viene immediatamente fermato ed arrestato Antonio Pietropaolo (avrebbe dovuto partecipare all'attentato contro la sede dell'Avanti!), facendo indirizzare le indagini verso gli ambienti anarchici milanesi. Ettore Aguggini, rifugiatosi prima a Lodi e poi ad Ancona, viene arrestato ai primi del mese di aprile quando si trova a San Marino. Anche i compagni ed amici Mariani e Boldrini subiranno la stessa identica sorte.

Il processo inizia il 9 maggio 1922 e vede alla sbarra proprio il gruppo milanese più una serie di anarchici accusati, per lo più ingiustamente, di complicità a vario titolo con gli esecutori materiali. Al presidente che l'interrogava durante il dibattimento e gli domandava le ragioni dell'attentato, Aguggini risponde:

«L'attacco è stato deciso dopo il sesto giorno di sciopero della fame di Malatesta e dei suoi compagni. In questi giorni abbiamo aspettato una risposta da parte del governo... ci aspettavamo che le autorità giudiziarie decidessero di fissare la data del processo. Attendevamo anche l'aiuto dei socialisti e, in definitiva, ci auguravamo che il popolo manifestasse invece di rimanere indifferente. In questa situazione, ci siamo ritrovati disperatamente soli.»

Ettore Aguggini viene condannato a trent'anni di carcere (Boldrini, che si proclamerà sempre innocente, e Mariani sono invece condannati all'ergastolo) ed internato al San Vittore di Milano. Dopo la presa del potere dei fascisti, viene trasferito al penitenziario di Alghero dove le condizioni di detenzione sono per lui estremamente difficili da sopportare. In una lettera che riesce a spedire al suo amico Giuseppe Mariani, detenuto a Santo Stefano, scrive:

«Sono abbandonato da tutti. Da quando sono ad Alghero ho ricevuto solo sessanta lire. Tu, che sei più noto nell'ambiente, fai sapere a... di inviarmi un pò di denaro. Lo sai che mangio molto, e soffro terribilmente per la fame. Provo dei disturbi che non avevo mai sperimentato. Cordiali saluti dal tuo Gavroche. ».

Non più ripresosi dai problemi di salute, Ettore Aguggini è morto appena ventisettenne nel carcere di Alghero il 3 marzo 1929.

La notizia della sua scomparsa fu ripresa anche dalla stampa clandestina anche non anarchica, come l'Unità , che in un articolo sottolineò le ristrettezze cui era stato sottoposto l'anarchico. 

Prima pagina de «La Stampa» che riporta la notizia della strage del Diana
 
Francesco Barbieri (Briatico, Vibo Valentia, 14 dicembre 1895 – Barcellona, 5 maggio 1937) è stato un militante e combattente anarchico italiano. Il suo nome è associato a quello più conosciuto di Camillo Berneri, poiché entrambi morirono a Barcellona durante i moti del maggio 1937, vittime della repressione stalinista. 

Biografia

Nato in un'agiata famiglia calabrese, intraprende gli studi superiori conseguendo il diploma di perito agrario nel 1914. A scuola conosce diversi esponenti socialisti ed anarchici. Barbieri si impegna risolutamente nella diffusione delle idee libertarie, contro la guerra e il militarismo in genere.

La polizia apre un fascicolo su di lui, schedandolo come sovversivo-anarchico. Nell'aprile del 1921 emigra in Argentina all'avvento del fascismo in Italia. Si stabilisce a Buenos Aires e, in un clima da guerra sociale e di repressione, entra a far parte del “Comitato Antifascista Italiano” e conosce numerosi anarco-sindacalisti della FORA. Con l'arrivo di Severino Di Giovanni in Argentina Barbieri, detto “Chico il professore”, si unisce alla banda di Di Giovanni, che sarà responsabile di numerosi attentati tra il 1927 e il 1928 contro gli interessi italo-americani a Buenos Aires, anche in risposta alle condanne ed esecuzione di Sacco e Vanzetti. Essi praticheranno anche degli “espropri” di banche per finanziare la propaganda e l'aiuto ai compagni vittime della repressione.

Dopo l'attentato del 3 maggio 1928 al Consolato Italiano che provoca la morte di nove persone, il movimento anarchico argentino critica aspramente il gruppo, che deciderà di dissolversi. Barbieri si trasferirà in Uruguay e poi in Brasile. Espulso verso l'Italia per esservi processato, riuscirà a fuggire e a raggiungere la Francia da cui sarà espulso a causa delle sue attività anarchiche ed antifasciste. Riparato in Svizzera, viene espulso. Stessa sorte gli tocca dopo aver raggiunto la Spagna.

Rientrato a Ginevra, allo scoppio della rivoluzione spagnola fa rientro nella penisola iberica, a Barcellona, ed il 25 luglio 1936 e si unisce alla colonna italiana che prende parte ai combattimenti sul fronte di Huesca.

Il 5 maggio 1937, trovandosi a Barcellona per via di una malattia, è arrestato dalla polizia agli ordini dei comunisti. Il suo corpo crivellato da colpi sarà ritrovato il giorno seguente insieme a quello di Camillo Berneri.

Il racconto della morte di Barbieri e Berneri


«... Verso le 6 del pomeriggio un gruppo di "mozos de escuadra" e di "bracciali rossi" del PSUC irrompe nel portone numero 3. Li comanda un poliziotto in borghese; in tutto, saranno una dozzina. Salgono gli scalini di marmo che portano al primo piano e bussano alla porta di Berneri. Ad aprire è Francesco Barbieri, 42 anni, anarchico di origine calabrese. Nell'appartamento, oltre Camillo Berneri, c'è la compagna di Barbieri e una miliziana. - Il poliziotto in borghese intima ai due anarchici di seguirlo. - E per quale motivo? - Vi arrestiamo come controrivoluzionari. - Barbieri è paonazzo. - In vent'anni di milizia anarchica - dice - è la prima volta che mi viene rivolto questo insulto. - Appunto in quanto anarchici, siete controrivoluzionari. - Il suo nome fa Barbieri irritato - Gliene chiederò conto presto. - Il poliziotto rovescia il bavero della giacca e mostra una targhetta metallica con il numero 1109. - I due anarchici vengono portati via, mentre la compagna di Barbieri chiede invano di poterli seguire. - Ma il viaggio è breve, di quelli che non ammettono testimoni. Berneri è gettato a terra in ginocchio e con le braccia alzate, e da dietro gli sparano a bruciapelo alla spalla destra. Un altro colpo alla nuca, lo finisce. Barbieri segue la stessa sorte, ma il lavoro è meno pulito, gli assassini sprecano più colpi. Più tardi, verso sera, i cadaveri vengono abbandonati nel centro della città... ». 

Così Tosca Tantini racconterà in una lettera alla madre di Camillo, Adalgisa Fochi, gli ultimi istanti di vita dell'anarchico:

«Verso sera vennero otto individui per eseguire una perquisizione. Fu solo allora che comprendemmo di essere chiusi in un cerchio dal quale difficilmente si sarebbe usciti. Ci guardammo preoccupati, solo Camillo sorrideva: “Non è il momento di sorridere” gli dicemmo. “Lo so – ci rispose - ma che volete farci? Chi poteva precedere una cosa simile? “Gli invasori cominciarono un via vai; asportarono molte cose fra cui in nostri materassi. Tutti eravamo nervosi per quanto succedeva, escluso il suo Camillo, che continuava a lavorare. “Lavorate anche voi – ci disse – nel lavoro troverete la calma.” A un certo momento uno della pattuglia incominciò ad osservare gli incartamenti che Berneri teneva sopra il tavolo da lavoro. Subito dopo l'investigatore uscì e per le scale lo sentimmo gridare: “Arriba està un assunto muy serio”. Poi diede disposizioni perché una camionetta venisse a prendere tutto. Fu solo allora che Berneri perdette la sua serenità, il suo ascetico viso si fece rosso infiammato, poi bianco. “Piuttosto che mi tocchino una sola cartella – ci disse – preferisco che mi taglino una gamba. Anche la vita sono disposto a dare, ma che non tocchino una carta.” Si rimise tosto a tavolino e, mano a mano, che il suo lavoro proseguiva, il suo viso si ricomponeva, tanto che la serenità ritornò nel suo sguardo. Verso le sei del giorno 5 lo pregammo di tralasciare e, cedendo alle nostre insistenze, venne nell'anticamera con noi. E poiché il mortaio tirava verso la nostra casa egli per distrarci faceva dello spirito e ci raccontava delle storielle divertenti. In quelle condizioni di spirito lo trovarono i carnefici, quando verso le sette vennero a prenderlo. Pochi istanti prima Berneri aveva preparatole scarpe e l'impermeabile a portata di mano, come presentisse di dovere uscire. Si vestì con la massima calma e, tranquillamente sulla soglia ci strinse la mano sorridendo, come per incoraggiarci. Che nobiltà d'animo,! Che coraggio!Dopo due giorni di ricerche l'ho rivisto all'ospedale clinico crivellato di pallottole. Gli occhi erano spalancati ed in essi si leggevano non la paura, ma il disprezzo. Il pugno alzato era chiuso come volesse colpire qualcuno. Quella tragica visione è scolpita nella mia memoria». 
 

Le Groupe International de la Colonne Durruti à l’enterrement de Buenaventura Durruti à Barcelone, le 23 novembre 1936.


 
Gabriella Antolini. (Masi Torello, Italia, 10 settembre 1899 - USA, Miami, 1° gennaio 1984) è stata un'anarchica galleanista soprannominata Dynamite girl.
 

Biografia

Nata nel ferrarese in una numerosa famiglia, gli Antolini nel 1907 si imbarcano sulla nave "Algeria" con destinazione New York. Da qui raggiungono la Louisiana, dove però la vita è durissima quanto e forse più dell'Italia. Ecco perché dopo cinque anni, e dopo la morte quasi immediata di Enrico, nato poco prima della partenza, la famiglia fa rientro in Italia.

Il movimento anarchico americano

In patria rimangono pochi anni, poi emigrano nuovamente negli Stati Uniti. Gli Antolini trovano occupazione in buona parte nelle fattorie agricole della zona, impegnati nella raccolta del cotone e della canna da zucchero, spesso lavorando fianco a fianco degli schiavi neri. È proprio il contatto con questi durissimi ambienti lavorativi che portano quasi tutta la famiglia ad avvicinarsi all'anarchismo, in particolare i suoi fratelli Alberto e Luigi paiono i più attivi e coscienti politicamente. Anche Gabriella è maturata, ha letto tanto e si è formata una coscienza politica che la porta ad abbracciare l'idea anarchica.

Raggiunti i fratelli nel Connecticut, qualche anno dopo il fratello le presenta l'anarchico August Segata, con il quale si sposa il 1° maggio 1916. Col marito e i fratelli frequenta in New Britain il Gruppo I Liberi, grazie al quale entra in contatto con molti anarchici galleanisti, come Carlo Valdinoci e Raffaele Schiavina, rispettivamente editore e direttore responsabile di «Cronaca Sovversiva».

L'arresto

Nel 1918 Valdinoci la invita a presentarsi a Youngstown col marito. Nella cittadina i due incontrano Luigi Backett, Carlo Valdinoci e tale Mario Rusca, che altri non è che Mario Buda. Sarà proprio quest'ultimo ad affidarle una valigia contenente 36 candelotti di dinamite da portare a Chicago. Gabriella, lasciato il marito, si dirige con Valdinoci prima a Steubenville, dove probabilmente avevano intenzione di incontrare Emilio Coda, che però in quei giorni non era presente in città. A questo punto Gabirella Antolini abbandona Valdinoci e prende un convoglio ferroviario destinato a a Chicago.

Nel corso del viaggio, un solerte controllore si insospettisce di quella giovane ragazza e avvisa le autorità di polizia, che dopo la perquisizione della valigia la traggono in arresto. Durante gli interrogatori, l'anarchica è reticente, fornisce nome e cognome falsi e poi si inventa nomi e circostanze con l'obiettivo di confondere le acque. Soprannominata dai giornali Dynamite girl, la polizia non riesce a tirarle fuori qualcosa di concreto.

Posta sotto processo, il 21 ottobre 1918 Gabriella Antolini è condannata a 18 mesi da scontare al Missouri State Penitentiary di Jefferson City e 2000 dollari di multa. In carcere conosce e diventa amica dell'anarchica Emma Goldman e della socialista Kate O'Hare. Dopo la liberazione dalla prigione di jefefrson City, viene immediatamente detenuta a St. Louis in attesa che si prenda una decisione sulla sua possibile estradizione in Italia. In sua difesa interviene un avvocato pagato dal marito della sua amica Kate O'Hare, che riesce ad evitarne l'espulsione nella penisola italiana.

Anarchica per tutta la vita

Una volta libera, Gabriella va vivere a Detroit, in Michigan, dove si unisce in matrimonio con Jerome Pomilia. Come il marito, di professione sarto, Gabriella trova occupazione nel campo della sartoria ed ha due figli. Durante la residenza a Boston, soddisfa la sua grande fame di cultura frequentando la Public Library e il Museeum of Fine Arts

Dopo il divorzio del 1940, l'anarchica si trasferisce nel 1950 a Needham (Massachusetts), dove si trovavano gran parte degli anarchici galleanisti ancora attivi. I suoi vicini di casa si chiamano Giovanni Scussel ed Emilio Coda, a dimostrazione che il suo ideale anarchico fu sempre lo stesso.

Nel 1950 si trasferisce in Florida, dove permane sino alla sua morte per colpa di un cancro, avvenuta nel gennaio del 1984.  

 

Omaggio a G. Antolini

  • Nel 1992, l'artista iraniana Siah Armajani ha omaggiato Gabriella Antolini con un'opera dal titolo «Gazebo per due anarchici: Gabriella Antolini e Alberto Antolini », in mostra al Storm King Art Center di New York.
  • Il 12 dicembre 2011 una bomba è esplosa fuori dall'Istituto Italiano di Cultura di Città del Messico. L'azione è stata rivendicata da un comunicato firmato dalla Celula Anarquista Revolucionaria Gabriella Segata Antolini/CARI-PGG.
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  • Siah Armajani
    American, born Iran, 1939–2020
    Gazebo for Two Anarchists: Gabriella Antolini and Alberto Antolini, 1992
    Painted steel and wood
    10 ft. 6 in. x 32 ft. 6 in. x 8 ft. 5 in. (320 x 990.6 x 256.5 cm)
    Gift of The Brown Foundation, Inc., the Ralph E. Ogden Foundation, Cynthia Hazen Polsky, an anonymous foundation, gifts in memory of Elizabeth Collens, and the Joseph H. Hazen Foundation Purchase Fund
    © Estate of Siah Armajani, courtesy Rossi & Rossi, Hong Kong and London
    Photo by Jerry L. Thompson
     
    Giliana Berneri (Firenze, 5 ottobre 1919 - Parigi, 19 luglio 1998), è stata un'anarchica italiana, figlia di Camillo e Giovanna Caleffi e sorella di Maria Luisa. 

    Giliana Berneri nasce a Firenze il 5 ottobre 1919 da Camillo e Giovanna Caleffi, sorella di Maria Luisa. Al momento della sua nascita il padre è militare, quando rientra a casa cominciano per Giliana e famiglia i trasferimenti di città in città.

    Le persecuzioni fasciste e l'esilio in Francia

    Nel 1926 le persecuzioni fasciste diventano assillanti, Camillo viene perseguitato dal regime ed è costretto alla fuga in Francia, dove sarà poi raggiunto da Giliana, Maria Luisa e la moglie. Poco dopo tutta la famiglia Berneri si trasferisce a Saint-Maur-des-Fossés. Qui, dal 1933, Giovanna Caleffi apre una drogheria (rue de Terre-Neuve n° 20), il cui retro diverrà nel tempo un rifugio sicuro per i fuoriusciti anarchici, che permette alla famiglia di sostenersi economicamente. Grazie a questa piccola attività le due sorelle Berneri riescono comunque a studiare e a mantenersi culturalmente attive.

    Nel luglio 1936 il padre accorre in Catalogna per partecipare agli eventi rivoluzionari spagnoli che stanno prendendo sempre più corpo. L'intento di Berneri è quello di costituire una Colonna italiana. L'OVRA segnala Giliana come attivista intenta nella raccolta di fondi pro-Spagna negli ambiti del fuoriuscitismo antifascista italiano (collaborando soprattutto con Giustizia e Libertà). La morte di Camillo Berneri (5 maggio 1937) segna una svolta drammatica nella vita di Giliana, Maria Luisa e della madre; il dolore per tutti è immenso e Giliana deve essere ricoverata presso la clinica Les Ormeaux di Saint Gervais-les Bains (Alta Savoia).

    Ripresasi dal dolore, si adopera nel 1939 per liberare Ernesto Bonomini, anarchico detenuto presso il Camp di Riecrus, a Mende, aiutandolo a fuggire negli USA. Nello stesso anno viene segnalata in “Rubrica di frontiera” come «anarchica da arrestare».

    Il dopoguerra

    Terminata la terribile dittatura fascista e finita la guerra, Giliana, la madre e il suo nuovo compagno Cesare Zaccaria partecipano a a Carrara (15-19 settembre 1945) al congresso costitutivo della Federazione Anarchica Italiana.

    Giliana è elemento di rilievo nel movimento anarchico francese negli anni 1940-1950, stimata e considerata da tutti i compagni non solo per il suo cognome, ma soprattutto per la capacità dialettica e il suo tono pacato e rassicurante. Giliana rifiuta cariche all'interno del movimento, pur facendo parte attiva nel "gruppo 5ème Arrondissment", divenuto poi "gruppo Sacco e Vanzetti" e infine "gruppo Kronstadt".

    Intanto nel 1946 Giliana si laurea in medicina a Parigi, specializzandosi in pediatria prima in psicanalisi poi, ed esercitando la professione di medico fino al 1989. In qualche modo Giliana realizza quello che era uno dei tanti interessi del padre, portando avanti una vera e propria tradizione familiare:

    «Non ho studiato medicina per un complesso di circostanze che me lo ha impedito, ma quasi tutta la mia cultura, che è più medica di quella che immagini, è biologica, fisiologica e psichiatrica. (Da anni sto studiando problemi di psicologia anormale). Quella della medicina è anche una tradizione di famiglia. Mio bisnonno, mio nonno, mio zio e una mia cugina sono stati e sono medici: quattro generazioni, dunque» (Camillo Berneri a Niccolò Converti) 

    Nonostante la caduta del regime fascista, la polizia "democratica" italiana continua seguire i movimenti di Giliana: nel 1948, nonostante abbia già conseguito la cittadinanza francese da un anno, il suo schedario riporta: «non ha dato più notizie di sé e si crede si trovi all'estero».

    Dopo la prematura morte della sorella Maria Luisa, avvenuta nel 1949, Giliana si adopera per un certo periodo con la madre per la costituzione e la gestione di quella che verrà chiamata «Comunità Maria Luisa Berneri», una colonia estiva per i figli e le figlie degli anarchici italiani, nata per ricordare Maria Luisa.

    L'11 marzo 1950, dopo 5 anni di convivenza, si sposa con Serge Senninger, ex comunista convertitosi all'anarchismo nel 1944 in occasione di una sua partecipazione ad una conferenza anarchica di «War Commentary», tenutasi a Londra presso la sede di «Freedom Press» (in quest'occasione conosce Maria Luisa Berneri, la quale poi in seguito, a Parigi, gli presenterà Giliana), faceva parte del Comité National con la carica di segretario generale e dell'Ufficio Propaganda. Dal loro matrimonio nasceranno Hélène (1950) e Franck (1955).

    Conflitti interni all'anarchismo francese

    In Francia partecipa a numerose iniziative e conferenze insieme a vari intellettuali, tra i quali Albert Camus e Georges Brassens, e collabora al giornale «Le Libertaire» (fondato da Louise Michel e Sébastien Faure nel 1895, dal 1944 organo della Fédération anarchiste e dal 1953 organo della Fédération Communiste Libertarie).

    Giliana, insieme a Georges Fontenis, partecipa nel 1950 alla fondazione, all'interno della Fédération anarchiste, dell'Organisation Pensées et Battailles, con lo scopo di ricordare l'opera di Camillo Berneri. Entrambi comunque condividono l'idea che gli anarchici possono facilmente incontrarsi con le aree più genuine del movimento comunista, rifiutando l'autoritarismo stalinista.

    Al congresso della Fédération anarchiste (23-25 maggio 1953), la deriva autoritaria porta ad una frattura interna e alla nascita della Fédération Communiste Libertarie. I cinque membri del "gruppo Kronstadt" si schierano tanto contro la Fédération anarchiste quanto contro l'Organisation Pensées et Battailles e vengono espulsi da entrambi i gruppi. Giliana pensa che tutto ciò sia stata una manovra per sostituire il pensiero del padre con quello di Georges Fontaines.

    Fine della militanza anarchica

    Profondamente delusa per quanto accaduto all'interno del movimento anarchico francese, prosegue la militanza nel "gruppo Kronstadt" sino al suo trasferimento a Montreuil-sous Bois, poi sceglie di abbandonare definitivamente l'attivismo anarchico.

    Giliana continua a mantenere rapporti epistolari con un ristretto gruppo d'amici e compagni. Nel 1962, la morte della madre la segna profondamente ed il dolore provato si va ad aggiungere a quelli già patiti per la morte del padre e della sorella Maria Luisa. A questo punto sceglie di donare tutta la sua documentazione in suo possesso (frutto dei lasciti di padre e madre) ad Aurelio Chessa, il quale pian piano costituirà l'importante Archivio Chessa-Berneri .

    Morta il 19 luglio 1998 a Parigi dopo una grave malattia, Giliana Berneri riposa presso il cimitero di Saint-Laurent-Nouan.

     
    Giliana Berneri con la madre Giovanna Caleffi (alla centro ed alla sua destra) e la sorella Maria Luisa
     
    Maria Luisa e Giliana Berneri con la madre Giovanna Caleffi
     
    Giliana Berneri amb sos fills Franck i Hélène (ca. 1959)
     
     
     
    Ilio Baroni (Massa Marittima, Italia, 25 maggio 1902 – Torino, 26 aprile 1945) è stato un operaio anarchico e un partigiano. Nonostante il Partito Comunista e i suoi accoliti lo abbiano spesso definito comunista, in realtà Ilio Baroni fu un militante del movimento anarchico torinese.

    Biografia

    Emigrato con la sua famiglia a Piombino, nel primo dopoguerra fa  le sue prime esperienze politiche militando nel movimento anarchico e nel 144° battaglione degli "Arditi del Popolo" contro il fascismo nascente. Nel giugno 1925 si trasferisce a Torino per sfuggire alla repressione e va ad abitare nel quartiere Madonna di Campagna, per passare poi in via Desana.

    Assunto come operaio alla Fiat Ferriere, mantiene stabili contatti specialmente con i compagni detenuti. Costantemente sorvegliato dalla polizia per la sua attività politica, nell'estate del 1936, a seguito dello scoppio della guerra civile spagnola, lascia la penisola insieme ad altri compagni per aggregarsi ai repubblicani spagnoli ma tutti vengono fermati alla frontiera dalla gendarmeria francese e rimpatriati in Italia. Rientrato a Torino, installa un'antenna clandestina che gli ha permette di ascoltare radio Barcellona e seguire direttamente gli sviluppi della guerra rivoluzionaria. Quando era nuovamente pronto a dirigersi verso la Spagna, gli eventi del maggio 1937 e l'omicidio degli anarchici per mano degli stalinisti spagnoli gli fecero cambiare idea. Nel dicembre del 1937 viene arrestato a Torino e nel giugno seguente viene condannato a cinque anni di confino nell'isola di Tremiti per attività di propaganda antifascista ed anarchica.

    Tornato in libertà il 6 dicembre 1942, riprende il lavoro alle Ferriere e diviene autorevole membro del Comitato di Agitazione torinese, contribuendo al successo degli scioperi nelle fabbriche del 1943-1944. Dopo l'occupazione della città da parte delle truppe tedesche, aderisce immediatamente alla resistenza prendendo il comando della 7ª brigata Squadre d'Azione Patriottica (SAP) "De Angeli" con il nome di battaglia di "Moro" (Nelle SAP militavano partigiani provenienti da diverse realtà politiche. Esse si proponevano l'obiettivo di difendere le industrie, sabotare la produzione fascista e rafforzare la coscienza antifascista con la propaganda.). Dal mese dell'ottobre 1944 è uno dei primi sottoscrittori del giornale «Nuova Era» - a cura di Fioravanti Meniconi, Dante Armanetti, Antonio Garin e Italo Garinei – i cui primi tre numeri saranno distribuiti nelle fabbriche torinesi.

    Il 26 aprile Baroni e i suoi attaccano la stazione Dora con successo, ma quando giunge una richiesta di aiuto dalla Grandi Motori, dove infuriava una battaglia tra partigiani e nazi-fascisti in fuga, egli non esita a fornire nuovamente il suo appoggio cadendo sotto il fuoco tedesco. Il giorno dopo la città sarà completamente liberata dai fascisti.

    «Baroni sa di rischiare tutto, ma come nel passato mette a repentaglio la sua vita per proteggere quella degli altri. Ecco Baritono che cerca di recuperare l'automezzo del suo distaccamento; Baroni è ora completamente allo scoperto e lo protegge, ma una raffica colpisce in pieno Baritono; Baroni continua a sparare, poi, d'un tratto, tutto tace; la sua arma non canta più; Baroni è morto; si è accasciato sulla sua arma; è caduto da eroe. (Fabbri).»

    In ricordo di Baroni

    Un lapide collocata a Torino, in corso Giulio Cesare angolo corso Novara, ne ricorda il sacrificio.

    A Torino è attiva una palestra sociale (Boxe Club Ilio Baroni) a lui dedicata.





Maria Luisa Berneri (Arezzo, 1° marzo 1918 - Londra, 13 aprile 1949), è stata un'anarchica italiana, figlia di Camillo e Giovanna Caleffi e sorella di Giliana.

« Le utopie autoritarie del XIX° secolo, sono principalmente responsabili dell'atteggiamento antiutopistico prevalente tra gli intellettuali di oggi. Ma le utopie non hanno sempre descritto società irreggimentate, stati centralizzati e nazioni di robot. Tahiti di Diderot o Notizie di Morris ci hanno presentato utopie in cui gli uomini erano liberi da costrizione sia fisica che morale, in cui essi lavoravano non per necessità o per un senso di dovere ma perché trovavano il lavoro un'attività piacevole, in cui l'amore non conosceva leggi ed in cui ogni uomo era un artista. Le utopie sono state spesso progetti di società che funzionavano meccanicamente, strutture morte da economisti, politicanti e moralisti; ma esse sono anche stati i sogni viventi di poeti. »

~ Maria Luisa Berneri, Journey through Utopia

Maria Luisa Berneri nasce ad Arezzo, il 1° marzo 1918, da Giovanna Caleffi e Camillo Berneri, due delle più importanti figure dell'anarchismo italiano. Il nome Maria le viene dato dai genitori in ricordo di una sua zia morta nel 1906.

L'esilio in Francia

All'età di 8 anni, Maria Luisa si trasferisce in Francia con la madre e la sorella Giliana (nata il 5 ottobre 1919) per seguire il padre costretto all'esilio in Francia in seguito alle persecuzioni fasciste.

Nonostante le continue fughe familiari per sfuggire ai fascisti, Maria Luisa ha un carattere solare e forte, studia molto e collabora con la madre alla gestione del piccolo negozio aperto a Parigi dalla madre nel 1933 e che serve a mantenere l'intera famiglia. A 13 anni ha conosciuto a Parigi Vero Recchioni, figlio dell'anarchico Emidio, a cui scriverà una lettera il 28 giugno 1935 manifestando tutto il suo giovanile entusiasmo per il pensiero anarchico e gli ideali del padre. Tutto questo ovviamente non passa inosservato e già dal 1934, non appena aveva cominciato ad attivarsi in favore dell'anarchia, le autorità avevano aperto un fascicolo a suo carico.

Maria Luisa si interessa di problemi sociali e politici e studia psicologia infantile, dopo gli studi liceali si iscrive alla Sorbonne e francesizza il suo nome in Marie Louise Berneri. Nell'aprile 1936 il consolato di Londra individua la sua nuova residenza al n° 21 di greek street soho, a Londra; in quello stabile, sempre secondo il consolato, risiedeva Francesco Galasso, bollato come un noto sovversivo, e persino Emma Goldman. Il fascicolo su di lei riporta: «Al secondo piano [ci sono] gli uffici di Vero Recchioni che oltre la redazione del giornale sovversivo Spain and the World si occupa della propaganda anarchica. Ha per segretaria [sic] la figlia del prof. Camillo Berneri». In realtà dal suo passaporto e dalle lettere del periodo risulterebbe che Maria Luisa all'epoca si trovava non a Londra bensì a Parigi, Vienna e Fontainebleau.

La morte del padre e il trasferimento in Gran Bretagna

Quando il padre, Camillo, si trasferisce in Spagna a combattere a fianco dei miliziani antifascisti, in qualità di delegato della Colonna Ascaso CNT-FAI(struttura militare fondata insieme a Rosselli e Angeloni), Maria Luisa e la madre lo vanno a trovare a Barcellona un paio di volte. Per questo le carte poliziesche la segnaleranno come una che «condivide le idee del padre».

Immediatamente dopo il 5 maggio 1937, giorno in cui Camillo Berneri è assassinato in Spagna dagli stalinisti, Maria Luisa decide di portare avanti le idee del padre: prima di tutto si fa regolarizzare i documenti dall'avvocato anarchico Louis Lecoin e, insieme alla madre, raggiunge Barcellona quando i funerali sono già in corso. Nella città catalana madre e figlia sono accolte dall'anarchico di Carrara Umberto Marzocchi; dopo un breve periodo Maria Luisa parte per Londra, dove nel dicembre 1937 si unisce in matrimonio con Vero Recchioni (Vernon Richards).

Grazie al suo fascino e alla sua abilità oratoria, Maria Luisa Berneri diviene una delle figure di spicco dell'anarchismo inglese, in particolare si staglia un ruolo importante all'interno dell'"Unione dei gruppi anarchici di Gran Bretagna". Così riporta il fascicolo aperto dalla polizia: «Il 12 settembre 1940: Berneri (la vedova) e figlia, attive anarchiche, cercano di riprendere i contatto con i compagni della regione parigina».

Attivatasi in favore degli orfani spagnoli, è redattrice di «Spain and the World» (1936-1939), giornale fondato da Vernon Richards e di cui Lilian Wolfe ne è l'amministratrice, di «Freedom»  (dal 1939 al 1945), unico organo antimilitarista britannico di quel periodo, oltre ad essere attiva colaboratrice della casa editrice anarchicaa «Freedom Press».

Si interessa agli sviluppi sociali della rivoluzione russa e pubblica nel 1944 Workers in Stalin'Russia, alcuni tratti da «War Commentary» per Anarchism the Russian Myth. Accusata nel 1945 di «attività sediziosa» per la sua attività propagandistica contro la guerra, riesce a non scontare nemmeno un giorno di carcere grazie ad un cavillo legale, contrariamente a Vero e compagni condannati a 9 mesi di detenzione. Una volta che Vero termina di scontare la pena, la coppia oltre a proseguire l'attività anarchica, anche intrattenendo rapporti con i compagni e le compagne delle americhe, si dedica alla fotografia e alla psicologia: Maria Luisa è fra i primi divulgatori dell'opera di Wilhelm Reich Sexuality and Freedom (recensito per «Now» nel 1945).

La prematura e improvvisa morte

Proprio quando Maria Luisa aveva raggiunto una certa stabilità ed una maturità tale da poter effettivamente divenire la prosecutrice ideale del pensiero dell'illustre padre, ecco che improvvisamente, dopo aver dato alla luce nel dicembre 1948 la sua prima figlia, peraltro morta subito dopo la nascita e che la segnerà profondamente e dolorosamente, Maria Luisa Berneri viene colpita da un'infezione virale che nel giro di pochissimo la porta alla morte il 13 aprile 1949.

Il suo corpo sarà cremato nel cimitero di Kensal Green:

«Al mattino del giorno 23, alla presenza della madre e de compagni di Londra, il marito e la sorella sparsero le sue ceneri sul terreno fra due alberi vetusti nel parco di Kenwood ad Hampstead»

Proprio a causa della improvvisa morte, Maria Luisa Berneri lascia incompiute alcune opere: una traduzione di Bakunin, iniziata con la collaborazione George Woodcock, gli appunti del padre sulla questione sessuale, alcune ricerche sugli aspetti rivoluzionari del marchese De Sade e alcuni scritti inediti di Sacco e Vanzetti.

In ricordo di Maria Luisa Berneri

Dopo la sua morte si costituisce un comitato in sua memoria che pubblica A tribute (1949), Journey through Utopia (1950), che è una rassegna del valore libertario della tradizione utopica, e Neither East nor West (1952), antologia dei suoi scritti pubblicati dal 1939 al 1948.

Dal 1951, in ricordo della figlia Maria Luisa, la madre, Giovanna Caleffi, organizza a Paino di Sorrento una colonia estiva per i bambini/e figli/e di anarchici e anarchiche di tutte le nazionalità, grazie alla casa privata messa a disposizione da Cesare Zaccaria. L'esperienza sarà interrotta momentaneamente nel 1957 a causa del deficit economico e soprattutto per via della fine del rapporto tra Giovanna e Cesare. Le difficoltà non impediscono però alla madre di cercare nuovi finanziatori che le permettano proseguire l'esperienza della colonia e mantenere così vivo il ricordo della figlia. Dopo vari tentativi alla fine riuscirà ad acquistare un terreno nella pineta di Ronchi (MS), a 700 metri dal mare, in cui nascerà la Comunità «Maria Luisa Berneri» e a cui si adopererà sino alla morte (1962). In seguito, grazie ad un nuovo gruppo dirigente formato da quattro persone, la Colonia sopravviverà per tre anni anche dopo che Giliana Berneri decise di abbandonare l'attivismo anarchico. 

Giovanna Berneri amb sa filla Maria Luisa Berneri (Arezzo, 1918)

Giovanna Berneri amb ses filles Marie-Louise Berneri, dreta, i Giliana Berneri, asseguda
(Florència, 1922)

Marie-Louise Berneri (esquerra) i Giliana Berneri (dreta) disfressades de carnaval (Camerino, 1925)

La família dels Berneri (Marie-Louise al costat de sa mare) i altres companys a París

Giovanna Berneri, al centre, amb ses filles Marie-Louise Berneri, a la seva esquerra, i Giliana Berneri (França, principis anys trenta)

Giovanna Berneri, al centre, amb ses filles Marie-Louise Berneri, a la seva esquerra, i Giliana Berneri (França, mitjans anys trenta)
 
Marie-Louise Berneri (París, mitjans anys trenta)

Marie-Louise Berneri
 
 
Marie-Louise Berneri fotografiat per Vernon Richards (1935) 
 
Marie-Louise Berneri fotografiat per Vernon Richards (1935) 
 
Marie-Louise Berneri fotografiat per Senya Fléchine (Semo) (1937) 
 
Marie-Louise Berneri
 
Marie-Louise Berneri i Vernon Richards
 

Maria Luisa Berneri e Lilian Wolfe
 
Marie-Louise Berneri en un míting a les portes d'una fàbrica (Glasgow, 1945)
 
Marie-Louise Berneri amb un grup de refugiats espanyols (Chorley, 1945)
 
 
Marie-Louise Berneri fotografiada per P. D. (1945)
 
Marie-Louise Berneri fotografiada per P. D. (1945)
 
Marie-Louise Berneri fotografiada per P. D. (1945)
 
Marie-Louise Berneri fotografiada per P. D. (1945)
 
Marie-Louise Berneri fotografiada per P. D. (1945)
 
Giovanna Berneri, al centre, amb ses filles Marie-Louise Berneri, a la seva dreta, i Giliana Berneri
(Sorrento, 1947)

 
Giovanna Berneri, al centre, amb ses filles Marie-Louise Berneri, a la seva dreta, i Giliana Berneri
(Sorento, 1947)

 
Giovanna Berneri, al centre, amb ses filles Marie-Louise Berneri, a la seva dreta, i Giliana Berneri
(Sorento, 1947)

 
Marie-Louise Berneri fotografiada per Vernon Richards (setembre de 1948)
 
Marie-Louise Berneri fotografiada per Vernon Richards (1948) 
 
Marie-Louise Berneri fotografiada per Vernon Richards (1948)
 
 
Marie-Louise Berneri ou Marie-Louise Richards, née le 1 mars 1918 à Arezzo (Italie) et morte le 13 avril 1949 à Londres, est une psychologue, journaliste politique et militante anarchiste.
Creato: dopo il 1943

Marie-Louise Berneri ou Marie-Louise Richards, née le 1 mars 1918 à Arezzo (Italie) et morte le 13 avril 1949 à Londres, est une psychologue, journaliste politique et militante anarchiste d'origine italienne.
Created: 1 January 1937
 


 
 





Marcello Bernardi
(Rovereto, 18 giugno 1922 – Milano, 8 gennaio 2001) è stato un pediatra e pedagogista libertario affine alle idee di Ivan Illich. 

Biografia

Nato a Rovereto, nel 1934 si trasferisce nella città in cui risiederà fino al termine della sua vita: Milano. Durante la Seconda guerra mondiale, da strenuo oppositore del fascismo qual è, entra nelle fila della «Brigata Matteotti» che combatte la guerra partigiana contro il nazi-fascismo, esperienza che racconterà nel libro pubblicato nel 1955 col titolo La fine del giorno (1944-45).

Laureatosi in medicina e poi specializzatosi in pediatria, viene nominato docente di puericultura all'Università di Pavia, di auxologia all'Università di Brescia e Presidente del Centro d'Educazione Matrimoniale e Prematrimoniale.

Seguace del pediatra psicanalista Donald Woods Winnicott, diviene il referente italiano della pedagogia radicale e libertaria portata avanti da Ivan Illich negli USA e Paulo Freire in Brasile, che comunque si aggancia alla tradizione libertaria di William Godwin, Lev Tolstoj, Francisco Ferrer y Guardia ecc.).

«Vorrei ricordare ai genitori le parole di un famoso pedagogo olandese: "ogni bambino è un principe della luce che poi con l'educazione diventa una sorta di cretino". In tanti anni di lavoro mi è capitato di vedere molti ragazzini, quasi tutti, dotati di immaginazione, coraggio, sete di conoscere, e pochi, quasi nessuno, provvisti della virtù di quell'obbedienza cieca, pronta e assoluta che molti educatori e genitori vorrebbero. Ma poi, mediante l'educazione, sono stati corretti, svuotati, di immaginazione e di coraggio e riempiti di obbedienza. Voglio dire che bisogna fare in modo che ogni persona, anche in età infantile, sia libera di essere ciò che è e non subisca quel processo di smantellamento della libertà a cui tutti continuiamo ad essere sottoposti». 

Nel 1978 pubblica Discorso a un bambino, vero e proprio manifesto della pedagogia libertaria:

«Se ti dicono sempre che sei bravo, sta'in guardia:
qualcuno cercherà di sfruttarti.
Se ti dicono sempre che sei intelligente, sta' in guardia: qualcuno cercherà di farti schiavo.
Se ti dicono sempre che sei buono, sta' in guardia: qualcuno cercherà di opprimerti.
Ma se ti dicono Studia, non temere, tu potrai fare un mondo senza scuole;
se ti dicono Taci, non temere, tu potrai fare un mondo senza bavagli;
se ti dicono Obbedisci, non temere, tu potrai fare un mondo senza padroni;
se ti dicono Chiedi Perdono, non temere: tu potrai fare un mondo senza inferni.
Non credere a chi ti comanda, a chi ti punisce, a chi ti ammaestra, a chi ti insulta, a chi ti deride, a chi ti lusinga, a chi ti inganna, a chi ti disprezza.
Essi non sanno che tu sei ancora un Uomo Libero.» (Discorso a un bambino)

Ha pubblicato numerose opere inerenti l'argomento pedagogico, tra cui Il nuovo bambino (1972), autentico best seller e collabora con numerose pubblicazioni periodiche. Per molti anni ha tenuto una rubrica di risposta alle lettere dei genitori su «l'Unità». Nei suoi scritti Bernardi risulta particolarmente critico nei confronti della scuola: mentre la pedagogia moderna attribuisce agli insegnanti la colpa di non preparare bene gli alunni, egli individua nel sistema scolastico il meccanismo classista portato avanti dall'elite dominante per escludere gli studenti meno abbienti (a meno che questi non possano essere funzionali agli interessi delle stesse).

«L'educazione è uno scambio, un modo di esistere, di fare, di affrontare la vita. La vera scuola non è quella, grottesca, fatta di programmi uguali per tutti e dl classificazione, in cui non si va per ricevere, ma per diventare primo della classe. Il sistema scolastico, così come è strutturato oggi, è valido solo per creare egoisti. Non dimentichiamo che il mondo sociale del bambino non è per lui uno dei mondi possibili, ma l'unico. Così il primo della classe o l'asino dovranno mantenere con ogni mezzo il loro rango. Il primo sarà perciò indotto a recitare sempre la parte del “superiore” e il secondo a ricorrere a ogni truffa pur di sopravvivere. É la cosiddetta teoria dell'etichettamento in cui tutte le energie sono convogliate per tenere in vita il personaggio definito dall'etichetta. Un'ottima introduzione al più spietato egoismo.» 

Appassionato di cultura orientale, cintura nera di judo 3° dan, Marcello Bernardi utilizza questa disciplina come metodo pedagogico di educazione per il corpo e la mente:

«I bambini sono leali, sinceri, generosi, non hanno paura, non conoscono la viltà; siamo noi che con la pretesa di “educarli”, insegnamo loro ad aver paura, ad essere vili, a diventare furbi. Dal judo ho appreso la sincerità, l'armonia, la decisione, il coraggio, il rispetto. Pensiamo al senso del colore della cintura: non è un grado, una gerarchia, ma un segnale di rispetto, un avvertimento sulla preparazione di chi la indossa. Di fronte ad una cintura gialla o marrone, so come comportarmi, cosa posso o non posso fare. Il judo insegna la generosità, elimina l'astio, il rancore, l'ansia di vincere.» 

Marcello Bernardi muore a Milano l'8 gennaio 2001. Il suo corpo è stato immediatamente cremato. 

 



 






 
Michele Angiolillo Lombardi, comunemente noto come Michele Angiolillo (Foggia, 5 giugno 1871 - Vergara, Spagna, 20 agosto 1897), è stato un anarchico italiano che l'8 agosto 1897 uccise il presidente del consiglio spagnolo Antonio Cánovas del Castillo. 
 

Michele Angiolillo Lombardi, figlio di Giacomo Angiolillo e di Maria Lombardi, nacque a Foggia il 5 giugno 1871 da una famiglia numerosa e di modeste condizioni economiche. Nonostante le difficoltà economiche riuscì a frequentare un Istituto tecnico; da giovanissimo si iscrive al "Partito Repubblicano Intransigente", assumendone, a poco più che vent'anni, la segreteria politica del circolo cittadino "Aurelio Saffi".

Nel 1892 iniziò a svolgere il servizio militare, a Napoli, come allievo ufficiale. È proprio durante questo periodo che fu accusato di propaganda sovversiva nell'esercito, per aver contestato, durante la commemorazione della Repubblica partenopea del 1799, il deputato radicale Matteo Imbriani. Venne allora degradato a soldato semplice e trasferito, prima a Borgo San Donato (Parma), successivamente alla "Quinta compagnia" di disciplina di Capua (una sorta di campo rieducativo per i militari "ribelli"). Dopo essersi congedato nel 1894, ritornò a Foggia e si allontanò dal Partito Repubblicano con cui non si sentiva più in sintonia a causa del suo radicalismo via via crescente.

A Foggia lavorò presso una tipografia, dove, durante le elezioni del 1895, scrisse, stampò e diffuse un manifesto di propaganda per la candidatura del socialista Nicola Barbato. Il "manifesto" conteneva una dura reprimenda contro il governo Crispi che aveva recentemente approvato leggi speciali contro gli anarchici (domicilio coatto, scioglimento di tutte le associazioni anarchiche, socialiste ed operaie). Le leggi severissime dell'epoca lo accusarono di «eccitamento all'odio fra le classi sociali», venne arrestato e poi rilasciato in libertà provvisoria.

Dopo aver scritto una lettera (31 agosto 1895) aperta all'allora Ministro di Grazia e Giustizia, pare per far sì che venisse concesso il patrocinio gratuito ad una zia, fu condannato a diciotto mesi di carcere e a tre anni di domicilio coatto alle Isole Tremiti. Condanna che non scontò mai.

La fuga in Spagna

Michele Angiolillo fuggì allora a Genova, poi a Marsiglia, infine a Barcellona, dove trova numerosa colonia di emigranti italiani. Nel giugno 1896 a Barcellona fu lanciata una bomba contro la processione del Corpus Domini. L'attentato fu quasi sicuramente una provocazione voluta dai clericali per favorire la repressione degli anarchici, socialisti, repubblicani. A seguito del fatto vennero incarcerati nella fortezza di Montjuich quattrocento rivoluzionari. Molti morirono per le torture subite e, degli ottantasette portati in tribunale, otto furono condannati a morte e altri nove a lunghi periodi di detenzione. Gli altri sessantuno imputati sebbene assolti dal tribunale furono egualmente deportati, per ordine del governo Cánovas nella colonia africana del Rio de Oro.

Nel frattempo, nell'agosto 1896, lasciò Barcellona, dove lavorava presso la tipografia della rivista «Ciencia Social», e ritornò a Marsiglia, dove dovette scontare un mese di carcere per aver fornito false generalità. Una volta espulso dalla Francia, si spostò a Liegi, poi a Bordeaux dove trova lavoro nella tipografia "Briannèe".

Agli inizi di marzo 1897, si spostò a Londra, dove entrò in contatto con diversi anarchici arrestati e torturati dal governo spagnolo. In questo clima che Angiolillo si convinse che fosse necessario un gesto nei confronti di Canovas, il vero simbolo del potere spagnolo.

L'attentato a Canovas

L'8 agosto 1897 l'anarchico italiano Angiolillo, giunto da Londra (dopo essere stato anche a Parigi, Bordeaux, e Madrid) con la precisa intenzione di vendicare gli orrori di Montjuich, attenta nella stazione termale di Sant'Aguida alla vita del presidente del consiglio spagnolo Antonio Cánovas del Castillo, assassinandolo. L'attentatore dichiarò di aver ucciso il presidente, probabilmente per evitare che altri anarchici fossero ingiustamente accusati.

Il processo e la condanna

Il 14 agosto ebbe inizio il processo a porte chiuse, dinanzi a un tribunale militare. Il suo difensore d'uffico, un tenente di artiglieria, chiese il riconoscimento dell'infermità mentale per il Michele Angiolillo, mentre il pubblico ministero ne aveva già chiesto la condanna alla pena di morte.

Alcuni testimoni raccontarono che ebbe un brevissimo dialogo con la moglie dell'ucciso. Questa gli avrebbe urlato: «Assassino! Assassino!». E, sempre secondo queste fonti, lui rispose: «Pardon, madame. Io rispetto te come signora, ma mi dispiace che tu sia moglie di quell'uomo».

Nel corso del processo, invece, l'anarchico italiano disse ai giudici: «Per la carneficina fatta, la mia vittima era da solo più che cento tigri, più che mille rettili. Essa personificava, in ciò che hanno di più ripugnante, la ferocia religiosa, la crudeltà militare, l'implacabilità della magistratura, la tirannia del potere e la cupidità delle classi possidenti. Io ne ho sbarazzato la Spagna, l'Europa, il mondo intero. Ecco perché non sono un assassino, ma un giustiziere!».

Angiolillo sarà garrotato il 20 agosto. Poco prima dell'esecuzione urlò: «Germinal!». Questo grido di libertà, titolo anche di un noto romanzo di Émile Zola, fu in seguito il nome di centinaia di giornali anarchici in tutto il mondo. Va anche ricordato che il titolo del romanzo di Zola non era altro che il nome del mese di primavera del calendario repubblicano riformato ai tempi della Repubblica rivoluzionaria della rivoluzione francese. Il significato simbolico del titolo del romanzo intendeva riferirsi quindi al rinascere dell'uguaglianza umana dai germogli della nuova era della rivoluzione sociale.


Esecuzione di Angiolillo.
 Creato: 1 gennaio 1897
The New York Times covering the execution of Michele Angiolillo.
 New York TimesCreato: 22 agosto 1897
 
O julgamento na corte militar espanhola do anarquista italiano Michelle Angiolillo. 
Le Petit JournalCreato: anni '90 del XIX sec. 
 
Michele Angiolillo, 1871-1897.
 
Michele Angiolillo assassinates spanish premier Cánovas. Drawing from a contemporary journal. 
SconosciutoCreato: 1 gennaio 1897
 
Nº de documento: 2147 Imprenta: Miguel Seguí - Editor, Barcelona Libro/ Álbum / Doc. Archivo: Historia de España en el siglo XIX : sucesos políticos, económicos, sociales y artísticos, acaecidos durante el mismo : detallada narración de sus acontecimientos y extenso juicio crítico de sus hombres Fecha Soporte: 1902 Fecha Tema: 1897 Materias: Arte y Arquitectura-Edificios civiles-Balnearios Ciencia y Tecnología-Armas Ocio-Indumentaria Oficios-Políticos Materia personajes: Angiolillo, Miguel Cánovas del Castillo, Antonio Topónimo: Arrasate - Gipuzkoa 
Ginés, V.Creato: fine del XIX sec. 
 
Asesinato de Cánovas del Castillo
 Juan Comba García - La Ilustración Española y Americana (1897-08-15) p. 9 Hemeroteca de la Biblioteca Nacional de España   Creato: 1 gennaio 1897
 

Pia Zanolli con il suo compagno Bruno Misefari
Pia Zanolli (Belluno, 21 ottobre 1896) è stata un'anarchica italiana compagna di Bruno Misefari.  

Nata a Belluno da Enrico e Antonietta Recati, di professione sarta e casalinga, Pia Zanolli cresce in una famiglia anarchica che per sfuggire a passibili persecuzioni giudiziarie durante gli anni tumultuosi della Prima guerra mondiale si trasferisce in Svizzera, a Zurigo. Qui, a partire dall'estate 1917, la famiglia Zanolli ospita frequentante l'anarchico Bruno Misefari, rifugiatosi in Svizzera in quanto disertore. Pia e Bruno si innamorano, si frequentano e portano avanti insieme una vivace attività politica grazie al fervente attivismo della comunità anarchica italo-svizzera.

Vicino a Misefari nel suo peregrinare per l'Europa e l'Italia (espulso dalla Svizzera, si reca prima in Germania e poi nel 1919, dopo l'amnistia, fa rientro nella penisola), viene arrestata a Domodossola (VB) nel dicembre 1919 insieme al compagno.

Iscritta dal regime fascista nell'elenco dei sovversivi pericolosi da arrestare, si unisce in matrimonio con Bruno Misefari nel 1931. L'anno seguente Pia Zanolli si trasferisce a Ponza per raggiungere il marito, mandato al confino politico in quella colonia dal fascismo.

Dopo la morte del marito, Pia Zanolli ha dedicato gran parte del suo tempo a raccogliere e archiviare materiale inerente il pensiero e le opere del compagno. Nel 1967 ha pubblicato la biografia di Misefari dal titolo L'anarchico di Calabria, che è stata in seguito rieditata cinque anni dopo.

Si ignorano luogo e data di morte. 

Pietrino Arixi (Villasor [?], Cagliari, 1922 - Villasor [?], Cagliari, 1996) è stato un anarchico italiano e un'importante figura dell'anarchismo sardo. A causa di alcune sue coraggiose prese di posizione contro l'autoritarismo e la guerra subì le persecuzioni della “giustizia” che lo condannò a lunghi periodi di internamento in alcuni famigerati istituti psichiatrici. 

Biografia

Pietrino Arixi nasce nel 1922 in una famiglia di Villasor, un piccolo paese ubicato a circa 25 km da Cagliari. Di origine molto povera, sperimenta sin da bambino le fatiche del lavoro, esperienza che all'epoca era del resto comune a molti altri suoi coetanei sardi (e non solo sardi), svolgendo i più svariati lavori: bracciante, spigolatore, servo pastore ecc. Tutto questo sino al momento di svolgere il servizio militare, in cui in lui affiora l'istintiva repulsione all'autoritarismo che non lo abbandonerà in tutta la sua vita: :«Ho sempre odiato il servizio militare, gli eserciti, i soldati e le guerre che scatenano».

Più avanti, dopo la caduta del fascismo nel 1943, svolge il ruolo di attendente nel campo degli americani, divenendo testimone diretto di tutta quell'umanità di povera gente che giungevano a chiedere l'elemosina ai “liberatori”:

«Ricordo che a chiedere l'elemosina agli americani venivano persone anche da Iglesias e non rare erano le ragazze che con essi si prostituivano».

Nel 1948 Arixi intenderebbe sposarsi, ma il prete del paese non vuole celebrare le nozze perché la futura moglie è incinta. La coppia prova a celebrare il matrimonio a Cagliari, ma anche nel capoluogo i due troveranno diversi ostacoli.

«Se avessi saputo prima che la vita dell'operaio è un inferno continuo non sarei entrato in chiesa neppure se mi avessero puntato il mitra in faccia».

Nel frattempo era soppravissuto lavorando come minatore, mietitore e bracciante. Proprio nel Sulcis , tra i minatori, conosce i primi elementi del pensiero anarchico, che in seguito approfondirà durante un lungo periodo di convalescenza trascorso in Svizzera, dove era emigrato in cerca di lavoro. È proprio in questa fase che inizia a leggere e raccogliere libri e riviste del movimento anarchico.

Desideroso di vivere l'anarchismo in prima persona, entra in contatto con gli anarchici di Genova e di Carrara. Nella cittadina toscana, vera e propria roccaforte anarchica, viene fermato dai carabinieri per un controllo. Trovato privo di documenti e con un libro anarchico in tasca, viene caricato con la forza su una camionetta, ma avendo opposto resistenza Arixi è definito “pazzo” e per questo condannato al ricovero coatto di 4 mesi nell'ospedale psichiatrico di Siena. Di quel periodo dirà in seguito:

«Muri spessi come non mai, inferriate alle finestre, personale dalla struttura mentale del secondino e completamente disumanizzati tanto che i rapporti che riescono a instaurare con i ricoverati non differiscono da quelli intercorrenti tra un allevatore di bestiame e gli animali allevati, con la sola differenza che le bestie, essendo materia produttrice di ricchezza, richiedono certe attenzioni e cure, al contrario dei malati di mente...».

Rientrato a Villasor, prosegue la sua difficile esistenza: bracciante, operaio e qualche lavoretto saltuario. Entra anche in contatto con l'anarchismo sardo, stringendo amicizia in particolare con Tomaso Serra e Costantino Cavalleri, e si impegna nello studio e ricerca di materiale anarchico. Si dedica con passione anche alla composizione di oltre 500 mutetus (poesie in limba sarda); nell'ottobre del 1971, mentre impazza la guerra in Vietnam, definita da Arixi «uno dei peggiori massacri che la storia possa mai ricordare», dà pubblicamente fuoco per protesta a 77 mila lire di pensione, poi, armato di due pistole giocattolo, entra nella chiesa del paese e minaccia un frate che là si trovava. Arrestato, spiega che il suo era solo un gesto simbolico per far capire quanto fosse brutto avere un'arma puntata addosso e quanto sia criminale la guerra.

«In pieno periodo di inquisizione –dice Arixi- il mio gesto avrebbe comportato la condanna alla pena capitale. In regime democratico (?) si agisce in maniera più pulita e si ricorre o alla galera o al manicomio». Così è. Infatti viene ricoverato nel manicomio cagliaritano di Villa Clara, da cui però riesce a fuggire e ad inscenare una clamorosa e drammatica protesta contro la guerra: raggiunta la centrale piazza Yenne di Cagliari, si cosparge di benzina e si dà fuoco, proclamando il suo odio all'imperialismo. In seguito spiegherà il suo gesto dicendo: "Io sono un prigioniero, un incompreso: come Galileo Galilei, come Silvio Pellico. Sono una vittima del sistema come Jan Palach. Volevo bruciare: l'ho fatto per dimostrare la mia innocenza"».

Nonostante le gravi ustioni riesce a salvarsi, ma è nuovamente ricoverato in ospedale psichiatrico. Una volta dimesso riprende la solita difficile vita con la moglie, con cui alla fine era riuscito a legarsi ufficialmente, e i figli. Per mettere insieme un pasto decente, Pietrino Arixi spesso si reca nelle campagne del paese alla ricerca di lumache («Uno dei pasti più economici per i poveri come noi»). Ed è proprio durante una di queste ricerche che rinviene un'ascia nuragica, ingenerando in lui una nuova passione: l'archeologia. In pochi anni, da solo, scopre ben 35 siti (punici, romani, nuragici e prenuragici) e ritrova almeno 2000 reperti, che cataloga, studia e confronta da autodidatta. La sua idea è quella di «raccogliere quanti più reperti possibile per poi fare una unica donazione al Comune di Villasor, con la sola clausola di istituire un museo archeologico nel paese e sotto tale spinta costringere chi di dovere a intraprendere le ricerche necessarie per riportare in luce tutta la ricchezza archeologica della zona», ma nel 1980, scoperto dai carabinieri (Pietrino non faceva mistero in paese della sua passione...), è arrestato e trattenuto nel carcere cagliaritano di Buoncammino per 8 giorni ed in seguito condannato con la condizionale a 4 mesi e una multa.

In un primo momento le forze dell'ordine gli sequestrano tutti i reperti ritrovati, ma una volta restituiti si accorge però che alcuni "pezzi" sono incredibilmente e “misteriosamente” scomparsi (rubati?). Arixi, che nel frattempo prosegue la sua militanza anarchica, non demorde e riprende con passione le proprie ricerche archeologiche, riuscendo ad accumulare in un anno almeno 25 000 reperti. Questa volta documenta con una telecamera quanto è in suo possesso, dichiarando la propria disponibilità a donare tutto al comune di Villasor, a patto che si desse vita ad un museo apposito, ma «con queste cautele nessuno si è precipitato in casa a far man bassa degli oggetti: nessuno ha avuto tanta fretta, come invece avvenne la prima volta».

Coerentemente con il suo spirito antiautoritario, l'anarchico di Villasor dimostra il lassismo delle istituzioni e la loro scarsa voglia di difendere, al di là degli slogan, il proprio patrimonio naturale e culturale: «Possibile che un pazzo come me riesca a salvare dalla distruzione del tempo e degli eventi naturali, nonché dalla distruzione (...) degli uomini (...) migliaia di cocci e reperti, ma una volta che tali reperti finiscono nelle mani della gente "sana" (...) nonché "onesta" e retribuita (...) è possibile che tali reperti vengano dispersi in un semplice trasferimento?».

Nel 1994 i beni gli vengono ritirati. Nell'estate del 1996, a 74 anni, dopo una vita difficile e al limite dell'emarginazione sociale, Pietrino Arixi muore senza però aver visto la realizzazione del museo in cui avrebbe dovuto trovar posto tutto il materiale archeologico in suo possesso. Al contrario, tutto il materiale sull'anarchismo in suo possesso (libri, articoli, riviste ecc.) confluirà in S'arkiviu-bibrioteka "T. Serra" di Guasila , che era stata messa in piedi dall'anarchico Tomaso Serra.




 

Pietro Umberto Acciarito (Artena, Roma, 27 giugno 1871 – Montelupo Fiorentino, 4 dicembre 1943) è stato un anarchico italiano conosciuto per aver tentato nel 1897 di accoltellare il re d'Italia Umberto I. Acciarito fu quest'azione fu arrestato, processato e condannato all'ergastolo.

 Nato ad Artena (Roma) da Camillo e Anna Jossi, a causa delle ristrettezze economiche della sua famiglia Pietro Umberto Acciarito deve ben presto smettere di andare a scuola. A causa di problemi lavorativi, Pietro emigra nella vicina Roma per cercare un'occupazione più stabile.

Nella capitale riesce ad aprire una piccola officina dove svolge l'attività di fabbro, ma anche là il lavoro scarseggia e l'uomo non se la passa benissimo. Inizia proprio da questo momento a frequentare gli ambienti socialisti ed anarchici, ma non è molto conosciuto nell'ambiente e in tanti non lo reputano nemmeno anarchico.

Il 20 aprile 1897 Acciarito chiude definitivamente la propria officina e si reca dal padre, annunciandogli che sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero visti . Altri testimoni in seguito dichiareranno di aver sentito Pietro Acciarito pronunciare minacce contro "pezzi grossi". 

Il 22 aprile 1897 tenta di pugnalare a morte Re Umberto I, in occasione dei festeggiamenti dell'anniversario di matrimonio del “Re buono”. Al termine del pranzo di gala il Re si concede una passeggiata per fare un bagno di folla, ma giunta la carrozza a porta San Giovanni, fra il vicolo della Morana e il cascinale dei Valloni, Pietro si lancia con il suo pugnale sul Re, perde l'equilibrio e non riesce a colpirlo. Cade a terra e per poco non viene investito dalla carrozza. Arrestato immediatamente, la monarchia utilizza questo pretesto per un inasprimento della repressione. Già l'indomani del tentato regicidio, Di Rudinì favoleggia su un gigantesco complotto ordito ai danni della casa reale, nonostante Acciarito dichiari:

«Io l'attentato che ho fatto, prima di tutto non c'è complotto e non sono stato spinto da nessuno, ma lo feci perché ero in miseria. Si buttano li milioni in Africa e il popolo ha fame perché mancano li lavori. È questa la questione: è la micragna.»

Il 28 e 29 maggio 1898 si svolge il processo a suo carico. Nonostante non abbia ferito o ammazzato nessuno viene condannato ai lavori forzati a vita e a sette anni di segregazione cellulare. Udita la sentenza Acciarito proclama:

«Oggi a me, domani al governo borghese. Viva l'anarchia! Viva la rivoluzione sociale!»

Non contento della condanna di Acciarito, lo Stato italiano intende dimostrare a tutti i costi che si sia trattato di complotto antimonarchico. Per primo viene arrestato il falegname anarchico Romeo Frezzi, che morirà nel carcere di San Michele a causa dei maltrattamenti subiti durante l'interrogatorio. La polizia cerca di far passare la sua morte come un suicidio, ma viene smascherata dall'«Avanti», giornale socialista, suscitando gran clamore in tutto il paese.

Si tratta di una vera e propria trama ordita tra la fine del 1897 e l'inizio del 1898 dal direttore generale delle carceri e il Ministero della Giustizia con l'intento di incrementare e giustificare la repressione sociale. Nel novembre del 1897 si conclude con un «non luogo a procedere contro tutti gli imputati per difetto e insufficienza di indizi» il processo a carico di diversi anarchici (Pietro Colabona, Cherubino Trenta, Aristide Ceccarelli, Ernesto Diotallevi, Federico Gudino, Ettore Sottovia, Umberto Farina ed Eolo Varagnoli).

All'inizio del 1899 ne vengono fermati altri cinque, tra cui il noto anarchico romano Aristide Ceccarelli. Nonostante lo stato d'arresto in cui si trova, Pietro Acciarito è costretto a subire nuovi e pesanti interrogatori sul presunto complotto ordito ai danni dei Savoia. Alla fine, stressato e impaurito dalle minacce, Acciarito rilascia una falsa testimonianza. Il 22 giugno a Roma si tiene il processo per il "complotto", ma tutto si ritorce contro lo Stato italiano, visto che in aula l'anarchico ritratta e accusa le autorità di avergli estorto con la forza la confessione precedente. Peraltro i testimoni dell'accusa non riusciranno a dimostrare l'esistenza di un complotto antigovernativo. Un membro della giuria abbandona l'aula, il processo viene rinviato e poi insabbiato del tutto (nessun responsabile della macchinazione processuale verrà però incriminato).

Tutto questo però non servirà all'anarchico di Artena per cambiare il proprio destino, nonostante un ultimo vano tentativo di Francesco Saverio Merlino di ricorrere in Cassazione contro la condanna all'ergastolo.

Pietro Acciarito muore nel carcere di Montelupo Fiorentino il 4 dicembre 1943.

 


 

 

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