Visualizzazioni totali

mercoledì 24 maggio 2023

ANARCHICI & ANARCHIA 3

 

ANARCHICI & ANARCHIA 3

Aristide Ceccarelli (Ceccano, Frosinone, 27 marzo 1872 - Roma, 5 agosto 1919) è stato un anarchico e sindacalista italiano.

Biografia

Nato in Ciociaria, Aristide Ceccarelli diviene giovanissimo militante anarchico e all'età di 20 anni è già uno dei più noti militanti anarchici di Roma. Di professione stagnino, viene arrestato per la prima volta nel luglio 1894 insieme ad altri militanti del «circolo 9 Febbraio», viene assolto per insufficienza di prove, prima di essere nuovamente arrestato e confinato alle Isole Tremiti il 27 agosto 1894.

Liberato nel marzo 1896, Ceccarelli rientra a Roma e ricomincia la sua militanza, divenendo uno dei punti di riferimenti del movimento romano. Soprannominato «Refrattario», diviene un apprezzato conferenziere e autore di articoli di giornali nonostante la sua modesta cultura di partenza.

Subito dopo l'attentato ad Umberto I (aprile 1897) ad opera dell'anarchico Pietro Acciarito, viene chiamato in causa dallo stesso Acciarito che lo accusa di complicità insieme tra gli altri a Romeo Frezzi (assassinato dalle forze dell'ordine durante un interrogatorio). Durante il processo Pietro Acciarito ritratterà pubblicamente accusando le autorità di avergli estorto la confessione con la violenza.

Liberato, Aristide Ceccarelli entra nel movimento sindacalista con l'obiettivo di modificarne l'indirizzo riformista in senso rivoluzionario. Il 25 agosto 1901 viene eletto nella Commissione esecutiva della Camera del lavoro di Roma. Il 7 settembre diventa Segretario della più importante istituzione del movimento operaio romano. Dopo essere stato colpito da tubercolosi nel 1903, trascorre un periodo di ricovero all'ospedale di Nettuno, al termine del quale riprende la propria attività con maggior entusiasmo.

In cerca di fortune, nel 1905 emigra con tutta la famiglia in Argentina. Qui viene sottoposto a stretta vigilanza dopo essere stato segnalato dall'ambasciata italiana a Buenos Aires. Nell'agosto del 1907 fa ritorno a Roma e poco dopo partecipa all'importante Congresso anarchico internazionale di Amsterdam. Il 3 novembre 1910 viene eletto nella Commissione esecutiva della Camera del lavoro di Roma e nel luglio seguente nella Commissione esecutiva del Congresso anarchico che si sarebbe tenuto nel settembre successivo.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale, Ceccarelli si butta a capofitto nella lotta antimilitarista. Dal 1919, a causa del peggioramento della sua salute, si ritira dalla militanza pur mantenendo qualche flebile attività giornalistica. Aristide Ceccarelli muore di tubercolosi, a Roma, il 5 agosto 1919.

«Oggi il proletariato romano, accompagnando la salma dell'anarchico Aristide Ceccarelli, [...] ha fatto una grandiosa manifestazione delle forze sovversive romane. Il Ceccarelli, che per oltre un ventennio ha lottato con fermezza per le sue idee, meritava queste grandi onoranze dei lavoratori. Sono intervenute tutte le leghe della Confederale, i gruppi anarchici ed i circoli socialisti. I vessilli sovversivi erano numerosissimi: circa 200. La folla immensa che ha sfilato lungo il percorso si calcola in alcune migliaia.» (Necrologio de L'Avanti)
Un gruppo di anarchici (foto dal libro di Bianca Ceccarelli “Mio padre l’anarchico”)
 


 (foto dal libro di Bianca Ceccarelli “Mio padre l’anarchico”)
 

 

Carlo Cafiero (Barletta 1° settembre 1846 - Nocera Inferiore, Salerno, 17 luglio 1892) è stato pensatore e uomo d'azione anarchico. È conosciuto come esponente della corrente comunista-anarchica ed è l'autore del Compendio del Capitale.

Biografia

Carlo Cafiero nasce a Barletta il 1° settembre 1846 da Ferdinando e Luigia Azzarini. La sua è una famiglia di tendenza conservatrice appartenente alla ricca borghesia agraria pugliese. Un fratello di Carlo, Pietrantonio (1836-1911), sarà deputato in più di tre legislature.

La gioventù

Discepolo di Emilio Covelli al seminario di Molfetta, dopo aver terminato gli studi superiori si iscrive in Giurisprudenza a Napoli. Laureatosi, entra in possesso di un grosso patrimonio in seguito alla morte del padre e si trasferisce a Firenze (allora capitale del Regno d'Italia), dove la famiglia vorrebbe avviarlo alla carriera diplomatica. Cafiero però sembra maggiormente attratto da altri interessi (occultismo, etnologia, studio delle civiltà orientali...) e prende a girare per l'Europa. Dopo un breve periodo in Francia (1870), ospite del pittore Giuseppe De Nittis, si trasferisce a Londra, dove, dopo aver visto con i propri occhi la penosa condizione in cui versa la classe operaia londinese, si "converte" alle idee socialiste.

L'incontro con Engels e l'attività in favore dell'A.I.T

A Londra incontra personalmente Friedrich Engels e abbraccia le idee marxiste. Engels lo invita a recarsi in Italia per contrastare l'influenza di Giuseppe Mazzini e Bakunin nelle sezioni italiane dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori. Partito da Londra nel maggio 1871, si stabilisce inizialmente a Firenze, entra in contatto con i vari circoli democratici della città toscana e conosce Luigi Castellazzo, presidente di una Società Democratica Internazionale, impegnatissima in quei giorni nel sostenere la Comune di Parigi. Una volta finita l'esperienza fiorentina, si sposta prima a Barletta e poi a Napoli, dove la situazione della locale sezione dell'AIT è assai confusionaria a causa delle scorrettezze dell'ex-presidente Stefano Caporusso. Cafiero prova a rimediare alla situazione concedendo maggiori responsabilità alle figure che egli riteneva più capaci, tra cui l'anarchico Carmelo Palladino, studente pugliese trapiantato in Campania. Quando il 20 agosto le autorità sciolgono la sezione napoletana, Cafiero subisce un'accurata perquisizione della sua casa e poi è tratto in arresto.

Rilasciato dopo pochi giorni, partecipa al congresso operaio di Roma (XXII congresso delle società operaie, 1-6 novembre) come oppositore della maggioranza mazziniana. In quel periodo collabora col foglio internazionalista «La Campana» di Napoli, prosegue il rapporto epistolare con Fredrich Engels e "assiste" al conflitto tra la sezione dell'Internazionale di Napoli, di chiaro orientamento bakunista, e il Consiglio Generale di Londra, indirizzato, specie dopo il convegno del settembre 1871, verso la burocratizzazione e centralizzazione dell'organizzazione.

L'amicizia con Bakunin e l'anarchismo

Inizialmente neutrale di fronte alla disputa tra bakunisti e marxisti, durante i primi mesi del 1872 si schiera apertamente con la fazione anarchica pro-Bakunin. Si reca allora in Svizzera per incontrare personalmente Bakunin, grazie al quale consolida ancor più la sua scelta collettivista-anarchica. In questo periodo invia una lettera ad Engels, nel quale gli illustra la sua posizione in favore dell'anarchismo. Diviene così uno dei militanti più attivi del movimento anarchico italiano.

Durante il congresso di Rimini (4-6 agosto 1872), che riunisce le sezioni italiane dell'Internazionale, Cafiero è il presidente dell'assemblea e Andrea Costa il segretario. Il convegno sancisce la definitiva rottura con la maggioranza marxista del Consiglio nazionale di Londra: gli italiani si erano oramai indirizzati verso il federalismo e l'autogestione, i seguaci di Marx verso la gerarchizzazione centralizzata dell'AIT. Cafiero partecipa anche, in qualità di osservatore, al convegno de L'Aja (2-7 settembre), nel corso del quale Bakunin e gli anarchici saranno di fatto espulsi.

Nascita dell'Internazionale antiautoritaria

Diventato uno degli anarchici più intransigenti, Cafiero si reca a Zurigo per incontrare Bakunin e partecipare con lui al convegno di Saint-Imier indetto dalla Federazione anarchica del Giura. Questo congresso sancirà la nascita dell'Internazionale antiautoritaria (16-17 settembre 1872)

Seguendo i principi organizzativi di Bakunin, insieme ad Andrea Costa, Giuseppe Fanelli, Errico Malatesta e Lodovico Nabruzzi, entra a far parte dell'Alleanza Internazionale dei Socialisti Democratici, una sorta di organizzazione segreta, dotata di speciali statuti, che doveva svolgere la funzione di organizzazione politica da affiancare all'Internazionale. Per conto della Federazione italiana conduce inoltre un'indagine nei confronti di Carlo Terzaghi, sospettato d'avere rapporti con la polizia, che si concluderà con la sua espulsione dall'organizzazione.

In occasione del secondo congresso delle sezioni italiane dell'AIT, convocato a Mirandola ma svoltosi a Bologna (15-16 marzo 1873), Cafiero è arrestato, sottoposto ad interrogatori e poi prosciolto in istruttoria. Nella seconda metà del 1873 si reca in Svizzera da Bakunin, con il quale decidono di acquistare un terreno e costruirvi una villa, che prenderà il nome di "la Baronata", che avrebbe dovuto servire da rifugio sicuro per i rivoluzionari di tutta Europa. Alcune divergenze sulla gestione finanziaria della villa determinano però vivaci discussioni con Bakunin e la fine dell'amicizia tra i due. Questa vicenda personale si va ad inserire nel quadro dei vari tentativi insurrezionali del 1874, tra cui quello di Bologna che si concluderà con il suo arresto.

La fine dell'amicizia con Bakunin e il fallimento delle insurrezioni lo portano a distaccarsi per un momento dal movimento anarchico e a trasferirsi in Russia, dove si unisce in matrimonio con la rivoluzionaria Olimpia Kutusov al fine di sottrarla alle persecuzioni zariste. Tornato in Svizzera, vende altri suoi averi e, nel 1875, ritorna in Italia, prima a Milano, dove entra in contatto con il gruppo de «La Plebe», poi a Bologna, Firenze e Roma. Dalla capitale inoltre fa il corrispondente per il «Bulletin de la Fédération Jurassienne», per cui scrive articoli, firmati con lo pseudonimo "Gregorio", sulla situazione sociale della penisola.

Dopo la conclusione dei processi per i fatti del 1874, terminati con verdetti assolutori, la Federazione italiana si prepara per alcuni convegni a carattere regionale e per quello nazionale di Firenze-Tosi, che si svolgerà in piena campagna per sfuggire alle misure repressive delle autorità che non smettevano di dare la caccia agli anarchici.

La svolta insurrezionalista e comunista anarchica

All'interno del movimento Cafiero si fa portatore di una linea insurrezionalista fondata sulla «propaganda col fatto», che possa attirare l'attenzione dell'opinione pubblica al di là o meno del successo delle azioni. Proprio Cafiero, insieme a Malatesta, è incaricato di illustrare il progetto anarchico insurrezionalista italiano al congresso anarchico internazionale di Berna (26-29 ottobre 1873).  

Dopo la morte di Bakunin (1° luglio 1876), che nel frattempo si era riappacificato con Cafiero, all'interno del movimento anarchico si dibatte a lungo sulla sostituzione del programma collettivista («a ciascuno secondo il suo lavoro»), adottato inizialmente anche dall'Internazionale antiautoritaria, con quello comunista anarchico («ad ognuno secondo i suoi bisogni»). Cafiero fa parte di questa tendenza, quantunque egli pensi che a ciò si possa arrivare solo con un'insurrezione generale. Non a caso l'inverno tra il 1875 e il 1876 Cafiero l'aveva passato con Malatesta ad esplorare le zone Matese (zona fra Campobasso e Caserta in cui si susseguivano le azioni di brigantaggio), secondo loro pronte per accogliere una nuova insurrezione anarchica, e allacciando contatti con vari libertari italiani in grado di costituire un gruppo unito e deciso, quello che poi passerà alla storia come Banda del Matese. Cafiero, che aveva tenuto il comando della banda a turno, insieme a Pietro Cesare Ceccarelli e ad Errico Malatesta, è fermato insieme ad altri esponenti del gruppo e trattenuto prima nel carcere di Santa Maria Capua Vetere e poi in quello di Benevento. Durante la fase detentiva si dedica alla traduzione e alla stesura del primo libro de Il Capitale di Karl Marx.

Al processo per i fatti del Matese, che si celebra a Benevento nell'agosto del 1878, Cafiero viene difeso dal giovane avvocato Francesco Saverio Merlino. Comprendendo l'importanza dell'evento, l'anarchico barlettano utilizza le udienze come cassa di risonanza per le sue idee: davanti alla giuria egli illustra il significato di «comunismo e anarchia», principi base del programma comunista anarchico; Cafiero definisce il comunismo come la collettivizzazione dei beni e dei capitali, «nella federazione universale delle associazioni produttive», e l'anarchia come il contrario della gerarchia: «uno stato verso cui tutta l'umanità s'incammina». Alla fine del processo lui e tutti i suoi compagni sono assolti e liberati.

L'esilio in Francia e Svizzera

Risolti momentaneamente i problemi giudiziari, Cafiero lascia l'Italia e parte per la Francia, fermandosi nei pressi di Versailles, a Les Molières. Nel 1879 viene dato alle stampe il Compendio del primo volume de "Il Capitale", che godrà del pubblico elogio dello stesso Marx a cui era stata inviata una copia. Intanto la moglie Olimpia, dopo una drammatica fuga dalla Siberia, riesce a raggiungere la Svizzera, nello stesso periodo in cui Cafiero è invece attivamente impegnato nel movimento anarchico francese, anche perché quello italiano è sottoposto alle dure repressioni delle autorità dopo l'attentato di Giovanni Passannante ad Umberto I. Il 18 novembre 1879 è espulso dalla Francia, insieme a Malatesta, per aver partecipato ad una riunione nel corso della quale era stato malmenato un funzionario di polizia. Recatosi in Svizzera, si stabilisce prima a Ginevra, dove entra in rapporti con gli anarchici del gruppo che ruota intorno a «Revolté», storico periodico fondato da Kropotkin, poi a Berna ed infine a Lugano.

Venduta la villa de "La Baronata", Cafiero acquisisce un po'di finanze che gli permettono di proseguire con maggiori tranquillità la propria attività anarchica, che soprattutto durante il periodo luganese risulterà molto florida grazie agli stretti rapporti con un nucleo di internazionalisti formato da Gaetano Grassi, Florido Matteucci, Egisto Marzoli, Filippo Boschiero ed altri. A Lugano scrive anche il saggio Rivoluzione, che sarà pubblicato in parte su «La Révolution social» di Saint-Cloud (20 febbraio-31 luglio 1881).

Allontanatosi da Lugano nell'ottobre 1880 per partecipare al convegno della Federazione anarchica del Giura di Chaux de Fonds (9-10 ottobre), vi pronuncia il celebre discorso su Anarchia e comunismo, incentrato sulla convinzione che la rivoluzione sia una legge che regola la storia dell'umanità e che rende possibile il progresso dei popoli nel corso del tempo:

«La rivoluzione è causa ed effetto di ogni progresso umano, è la condizione di vita, la legge naturale dell'umanità: arrestarla è un crimine; ristabilire il suo corso è un dovere umano».

Presiede poi anche il congresso della federazione socialista dell'alta Italia (Chiasso, 5-6 dicembre 1880), dove reitera la sua opposizione alle elezioni e al sistema parlamentare. Il congresso, al solo scopo di promuovere agitazione sociale, stabilisce ugualmente di partecipare alle manifestazioni di Roma in favore del suffragio universale. Cafiero e Cipriani sono delegati da alcuni gruppi a parteciparvi, ma a causa del rinvio della manifestazione dal 27 gennaio al 10 febbraio sono costretti a rinunciarvi.

A Lugano incontra Anna Kuluscioff e di lei si avvale per un progetto sulla ristampa dei Saggi di Carlo Pisacane, che erano stati ritrovati in una biblioteca di un liceo del luogo. L'operazione però non andrà mai in porto. Traduce e legge De l'autre vivre di Alexandre Herzen e si scaglia contro l'idea, ventilata da molti anarchici italiani, sull'abbandono dell'insurrezionalismo e l'inserimento nella vita parlamentare ed elettorale del paese. Il più clamoroso voltafaccia all'anarchismo è quello di Andrea Costa, contro cui Cafiero scrive una lettera, indirizzata agli internazionalisti Vittorino Valbonesi e Ruggero Moravalli, che sarà pubblicata su «Il Grido del popolo», giornale diretto da Francesco Saverio Merlino.

Cafiero, Malatesta e Merlino sono gli esponenti di maggior spicco dell'ala rivoluzionaria del movimento e si preparano a portare avanti la loro linea anche al congresso internazionale di Londra, a cui Cafiero non parteciperà e scriverà solo la circolare di convocazione. Insieme a Malatesta e a Vito Solieri, internazionalista in esilio a Londra, Cafiero firma anche la nascita del periodico «L'Insurrezione», che però non sarà mai pubblicato. Si dichiara a favore dell'«insurrezionismo» , purché spontaneo, non organizzato strutturalmente, come poi spiega in una lettera indirizzata a «Il grido del popolo».

Il 4 settembre 1881 viene arrestato nella sua casa di Ruvigliana, vicino a Lugano, insieme al greco-rumeno Apostolo Paolides e ad un gruppo di anarchici piemontesi. Rilasciato dopo una breve detenzione, nell'inverno 1881-82 lascia la Svizzera per recarsi a Londra, dove frequentemente si incontra con Kropotkin e Malatesta.

Il rientro in Italia e la tattica elettorale

Rientrato in Italia nella primavera del 1882, annuncia, fra la sorpresa generale, la sua adesione alla tattica elettorale. Nonostante stiano cominciando a manifestarsi i primi segni della malattia mentale che in seguito limiteranno il suo attivismo, prende contatto con Enrico Bignami e Osvaldo Gnocchi-Viani, redattori de «La Plebe», ed invia una lettera ad Alcibiade Moneta, direttore de «La Favilla» di Mantova, dichiarando che di fronte alle scelte elettoralistiche dei socialisti egli sceglieva di non isolarsi dalle masse, dichiarando che era «meglio fare un solo passo con i compagni nella via reale della vita che rimanere isolati a percorrere centinaia di leghe in astratto» (aprile 1882).

Attraversato da una profonda crisi interiore, ne discute con Kropotkin e Malatesta, sostenendo di voler rinunciare «non all'ideale, ma alla pratica anarchica, non all'anarchia, ma all'anarchismo».

I problemi di salute

Dopo l'arresto avvenuto a Milano il 6 aprile, Cafiero mette in atto il primo tentativo di suicidio in carcere . Prosciolto dall'accusa, è accompagnato al valico di frontiera di Chiasso e inizia a girovagare in cerca d'alloggio, ma è respinto da quasi tutti gli alberghi che mal si fidano di lui a causa delle sue pietose vesti e del suo portamento incerto. Profondamente depresso per la situazione, tenta un nuovo suicidio anche questa volta non riuscito. In suo soccorso giunge l'amico Emilio Bellerio, che lo accoglie nella sua casa di Locarno fino ai primi mesi del 1883 (esclusa una parentesi a Prato Sornico). Alterna periodi di grave sofferenza ad altri di relativa tranquillità, ma politicamente è quasi inattivo. Di tanto in tanto scrive qualche lettera agli amici ed interviene su «La Plebe» (1° novembre 1882) in una polemica con Candelari sulla teoria del valore di Marx.

In occasione delle elezioni politiche dell'ottobre 1882 è portato come candidato-protesta in vari collegi (Corato, Firenze, Torino), ma non viene eletto anche se riporta moltissimi voti. Scrive un elogio di Emilio Covelli, altro candidato-protesta, sostiene Giuseppe Barbanti e, ad elezioni terminate, incita Andrea Costa ad entrare in Parlamento senza esitazioni.

Partito improvvisamente dalla Svizzera verso l'Italia (febbraio 1883), si ferma a Fiesole (Firenze), dove prende alloggio. Dopo qualche tempo viene ritrovato completamente nudo in mezzo ai monti del luogo: si trova in un totale stato di follia. Le analisi successive confermeranno la diagnosi.

Durante la degenza riceva la visita di molti suoi compagni, tra cui Francesco Pezzi e Grassi. La moglie Olimpia si batte per averne l'affidamento, ottenendo prima il trasferimento al manicomio di Imola (febbraio 1886) e poi l'affidamento in custodia (16 novembre 1888). Così Cafiero passa alcuni mesi ad Imola, circondato dall'affetto dei compagni e della moglie, poi per un breve periodo compare anche nella casa paterna di Barletta, dove dopo tanto tempo incontra il fratello e molti vecchi concittadini. La sua salute sembra migliorare, ma una nuova ricaduta lo porta ad un altro ricovero a Nocera Inferiore. La moglie Olimpia è costretta a ritornare ancora una volta in Russia.

Carlo Cafiero muore per tubercolosi intestinale a Nocera Inferiore (SA) il 17 luglio 1892. Dopo la sua morte si sviluppa nel movimento anarchico e socialista il culto della sua memoria, "affidato" non solo ad artisti e militanti, ma anche ai semplici popolani che gli riconoscevano l'impegno in favore degli sfruttati e degli oppressi.

Il pensiero

Per Cafiero il fine di ogni agire è la libertà, che certamente non è da intendere nel solo riconoscimento dei diritti borghesi. La via cui far ricorso per liberare l'umanità dalle catene, che limitano la libertà individuale e quella dei popoli, è la rivoluzione violenta (in questo senso concorda con Marx ed Engels):

«Non solo l'ideale, ma la nostra pratica e la nostra morale rivoluzionaria sono contenute nell'anarchia; la quale viene così a formare il nostro tutto rivoluzionario. È per ciò che noi l'invochiamo come l'avvenimento completo e definitivo della rivoluzione; la rivoluzione per la rivoluzione».

Per Cafiero non può esistere libertà senza anarchismo (l'anarchia è l'unica condizione possibile per il libero sviluppo sia dell'individuo che della società), così come non può esserci uguaglianza senza comunismo (il comunismo è la riappropriazione di tutte le ricchezze della terra, precedentemente espropriata dalla minoranza al potere).

Il suo pensiero comunista-anarchico è certamente contrapposto all'individualismo:

«Non solo si può essere comunisti; bisogna esserlo, a rischio di fallire lo scopo della rivoluzione una volta ci dicevamo "collettivisti" per distinguerci dagli individualisti e dai comunisti autoritari, ma in fondo eravamo semplicemente comunisti antiautoritari, e, dicendoci "collettivisti" pensavamo di esprimere in questo modo la nostra idea che tutto dev'essere messo in comune, senza fare differenze tra gli strumenti e i materiali di lavoro e i prodotti del lavoro collettivo... Non si può essere anarchici senza essere comunisti. Dobbiamo essere comunisti, perché nel comunismo realizzeremo la vera uguaglianza. Dobbiamo essere comunisti perché il popolo, che non afferra i sofismi collettivisti, capisce perfettamente il comunismo. Dobbiamo essere comunisti, perché siamo anarchici, perché l'anarchia e il comunismo sono i due termini necessari della rivoluzione.»

Cafiero era convinto che la società futura, realizzata dall'anarchia, avrebbe permesso una più equa distribuzione delle ricchezze e dei beni, la cui produzione sarà nettamente maggiore rispetto all'attuale perché conseguenza spontanea del lavoro libero e dei lavoratori liberi, mossi dal solo desiderio di contribuire alla realizzazione di una società migliore e quindi privi di interessi egoistici e capitalistici. Per Cafiero in futuro ognuno potrà contribuire alla realizzazione della società secondo le proprie capacità e ricevere secondo i propri bisogni.

Note


  1. Termine utilizzato in quell'epoca per definire l'insurrezionalismo.

  1. Secondo altre ipotesi si sarebbe trattato di un tentato salasso di sangue andato male.

Bibliografia

Opere di Cafiero

  • Il Capitale di Carlo Marx brevemente compendiato da Carlo Cafiero, Milano 1879
  • Anarchia e Comunismo. Discorso tenuto a Cahux de Fonds il 9-10 ottobre 1880, «Le Révolte», 13-27 novembre 1880
  • Révolution, «La Révolution Sociale», 20 febbraio 1881 e 29 maggio 1881
  • Bibliografia generale di Carlo Cafiero, a cura di Pier Carlo Masini e G. Bosio, Mo, giugno-settembre 1951
  • Rivoluzione per la rivoluzione, a cura di G. Bosio, Roma 1970
  • Karl Marx, Fredrich Engels, Corrispondenza con italiani (a cura di G. del Bo), Milano 1964;
  • Un gruzzolo di lettere familiari di Carlo Cafiero, a cura di F. De Angelis, Piano di Sorrento 1987;

Opere su Cafiero

  • Max Nettlau, Michael Bakunin, I-II, London 1896-1899
  • James Guillaume, L'Internationale. Documents et souvenirs, I-IV Paris, 1905-1910
  • Carlo Cafiero, «Il Pensiero», Roma, 1° gennaio 1911
  • Errico Malatesta, Al caffè, 1922
  • Nello Rosselli, Mazzini e Bakounine. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Torino, 1927
  • P. C. Masini, Carlo Cafiero, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, 2003, pp. 281-285
Banda del Matese
 

 

 

 


 

Olimpiada Kutuzova Cafiero

 Sconosciuto

 Olimpiada Evgrafovna Kutuzova Cafiero (1843 – ca 1893)

La Baronata

 Gloup gloup - Opera propria

 La Baronata, villa acquise par Carlo Cafiero au printemps 1873. Bakounine y séjourna.

Cafiero - Anarchie et Communisme, paru dans Le Révolté, 13 novembre 1880

 

 
 







 
Carlo Dalmazio Carrà (Quargnento, 11 febbraio 1881 - Milano, 13 aprile 1966) è stato un pittore e docente italiano che per una parte della sua vita condivise i principi del socialismo anarchico.

Biografia 

Carrà nasce a Quargnento (Alessandria) l'11 febbraio 1881 da Giuseppe e Giuseppina Pittolo. Nel 1893, ancora dodicenne, deve recarsi a lavorare a Valenza Po, dapprima come garzone muratore, successivamente in qualità di apprendista decoratore murale. Nella cittadina piemontese, così come a Milano, dove si trasferisce nel 1895, segue corsi serali di disegno. Coinvolto nel clima di fermento politico e sociale che caratterizza gli ultimi anni del secolo, partecipa alle dimostrazioni contro la campagna d'Africa e assiste ad alcuni drammatici episodi durante i moti del 1898. Nel 1899 va a Parigi, dove lavora come decoratore nei padiglioni allestiti per la Grande esposizione del 1900. Nella capitale francese ha la possibilità di conoscere la pittura antica e moderna. Entrato in contatto con il movimento anarchico francese, incontra l'ex-comunardo Amilcare Cipriani e assiste a un comizio di Sébastien Faure. Nel 1900 Carrà si reca a Londra per approfondire la propria cultura e pratica artistiche e per cercare un nuovo lavoro. Si lega con un gruppo di fuorusciti italiani, fra cui Emidio Recchioni e Alessandro Baccherini, che si ritrovano abitualmente nella pensione gestita da Mario Tedeschi. Legge importanti opere del pensiero politico socialista e anarchico (Fourier, Owen, Saint-Simon, Bakunin ecc.) e assume posizioni individualistico-libertarie. Alla morte di Umberto I, re d'Italia, assassinato il 29 luglio 1900 dall'anarchico Gaetano Bresci, Carrà, insieme con Tedeschi e altri anarchici, diffonde un manifesto, duramente criticato da Errico Malatesta, in cui si prendono le distanze da quell'atto terroristico. Dipinge, inoltre, un ritratto del re ucciso, che viene esposto nella sede londinese del Circolo monarchico italiano. Rientrato in Italia nello stesso anno, Carrà lavora dapprima a Milano, presso una fabbrica di ventagli; svolge quindi l'attività di decoratore murale nel Canton Ticino e in varie città della Lombardia. A Milano Carrà frequenta la trattoria Lazzari, a Porta Tenaglia, luogo d'incontro di socialisti e di anarchici. Queste relazioni, il contatto quotidiano con il mondo del lavoro, lo studio delle opere di teorici dell'anarchismo individualista e del marxismo, dei testi di Bergson, di Nietzsche e di Sorel, rappresentano elementi che, tra il 1901 e il 1904, inducono Carrà ad «appassionar[si] ai problemi politici», a percepire «l'urgenza di una risoluzione radicale dei problemi sociali».  Si trova tra la folla durante gli scontri tra anarchici e cavalleria in occasione dei funerali di Angelo Galli, il giovane anarchico ucciso dal custode della Macchi e Passoni nel maggio 1906. 

Questa circostanza è all'origine della trasposizione di quell'evento nel quadro d'impostazione futurista I funerali dell'anarchico Galli (1906-1911) e della frase «noi metteremo lo spettatore al centro del quadro», che apparirà nel Manifesto tecnico della pittura futurista (1910). In quegli stessi anni Carrà esegue disegni per alcune pubblicazioni anarchiche, tra cui la Libreria Editrice Sociale fondata da Giuseppe Monanni e Leda Rafanelli al loro arrivo a Milano, le loro riviste «Sciarpa nera» e «La Rivolta» (di cui traccia l'emblema), «La Barricata» di Parma e «La Rivolta» di Pistoia, delle quali compone la testata. Dipinge ritratti di Friedrich Engels, di Pietro Gori e di Nietzsche, e illustra testi di Paolo Valera. Insegna, inoltre, presso la Società Cooperativa Umanitaria, fondata a Milano dopo le barricate del 1898. Nel 1904 ottiene la direzione artistica della Cooperativa Pittori e Imbiancatori di Milano. Nel 1905 vince il premio della Scuola Superiore d'Arte Applicata del Castello Sforzesco, che gli consente di essere ammesso l'anno seguente all'Accademia di Brera, dove segue i corsi di Cesare Tallone. Entrato in contatto con Giuseppe Pellizza da Volpedo, Gaetano Previati, anch'essi orientati politicamente in senso socialista, Carrà passa dall'originario realismo ai modi del divisionismo. L'ingresso all'Accademia e il trasferimento di domicilio in via Brera hanno l'effetto di diradare in misura sempre maggiore i rapporti di Carrà con il gruppo anarchico dell'osteria Lazzari. Nella riconsiderazione retrospettiva della sua esistenza, Carrà svilisce il grado di rilevanza avuto dall'anarchismo nella sua maturazione intellettuale e artistica. Sottolinea il «divario» esistente tra l'andamento «occasionale» delle sue scelte ideologiche e il procedere «istintivo» e sicuro di quelle artistiche.  Tuttavia, in alcuni manifesti del futurismo, di cui Carrà è coautore e autore, si avvertono consonanze con alcuni principi dell’estetica anarchica e del sindacalismo di Sorel in particolare. Con gli anarchici e con i futuristi Carrà condivide non solo una profonda avversione nei confronti dell'egemonia culturale esercitata dalla borghesia, ma anche la convinzione che all'arte e agli artisti spetti una funzione di primo piano nella costruzione di una società su basi completamente rinnovate, in sintonia con i progressi della scienza e della tecnica. Nella progettualità politica di Sorel Carrà intravede, inoltre, una maggiore aderenza alla problematica storica e sociale dell'epoca rispetto a quella dei socialisti riformisti, quali, ad esempio, Eduard Bernstein, Karl Kautsky, Filippo Turati, Leonida Bissolati. Queste convinzioni politiche sono, tra l'altro, alla base dell'amicizia che, a partire dal 1909, lega Carrà a Renzo Provinciali e a Filippo Corridoni. Nel 1912 Carrà espone a Parigi, presso la galleria Bernheim Jeune, opere, quali La Stazione di Milano (1909), L'uscita dal teatro 1909, I funerali dell'anarchico Galli (1910-1911), che traducono efficacemente i principi di un'estetica volta a esaltare «le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa».  Durante i soggiorni nella capitale francese, Carrà stringe rapporti di amicizia con artisti d'avanguardia, come Georges Braque, Pablo Picasso – che lo avvicinano ai principi della pittura cubista – Guillaume Apollinaire, Gustave Kahn, Amedeo Modigliani, Medardo Rosso, anch'essi nella maggior parte simpatizzanti dell'anarchismo. Nel 1911 Carrà inizia una stretta collaborazione con gli scrittori de «La Voce» (tra cui Ardengo Soffici, Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper). Collabora assiduamente al quindicinale «Lacerba», fondato nel 1913, diretto da Giovanni Papini e Ardengo Soffici e diventato l'organo del movimento futurista. Partecipa alle «serate futuriste», dove si realizza quella percezione estetica «attiva» già propugnata da Proudhon.  Allo scoppio della guerra, con l'amico Corridoni, la maggior parte dei futuristi e i gruppi legati alle riviste «La Voce» e «Lacerba», Carrà condivide l'adesione alla corrente interventista. Nel settembre 1914, insieme a Umberto Boccioni e a Luigi Russolo, Carrà firma la Sintesi futurista della guerra. Con Boccioni, Russolo e Marinetti viene arrestato per avere organizzato manifestazioni interventiste. Nel 1915, dipinge il collage Manifestazione interventista. Nello stesso anno pubblica il libro Guerrapittura, dove esalta il «nazionalismo futurista» e la guerra che aumenta le «possibilità creative».  Contemporaneamente, dopo un «travaglio di coscienza», che lo induce a considerare che la lotta rivendicativa «non comporta se non una generica e superficiale dialettica di assai scarso valore storico» , Carrà abbandona definitivamente i principi del socialismo anarchico. Le convinzioni interventiste e nazionaliste lo spingono ad assumere toni di intolleranza ideologica. «Quando ci si convincerà che la gentetta socialista – che ogni giorno, ogni minuto sputa sentenze sulle libertà dei popoli – come pure quella pseudoanarchica, sono alla libertà dei popoli molto più nocive della cosiddetta "borghesia sanguinaria, cinica, guerrafondaia"?».  Verso la fine del 1915 Carrà pone fine alla sua collaborazione con i futuristi. Negli articoli Parlata su Giotto (31 marzo 1916) e Paolo Uccello costruttore (30 settembre 1916), pubblicati sulla nuova edizione de «La Voce», uscita nel dicembre 1914 e diretta da Giuseppe De Robertiis, Carrà contrappone alla dottrina estetica e politica del futurismo, a suo avviso ormai superata, una poetica volta a stabilire una stretta connessione tra opera pittorica e tradizione artistica italiana. Iniziatore, nel 1916, della pittura «metafisica», insieme con Giorgio de Chirico – che ritrova nel 1917 nell'ospedale di Ferrara, insieme con Alberto Savinio, Corrado Govoni e Filippo De Pisis – Carrà orienta la propria ricerca pittorica verso un «realismo magico», un misticismo fantastico, propugnato anche da «Valori Plastici», rivista diretta da Mario Broglio, alla quale Carrà collabora dal 1919 al 1921. A giustificazione delle sue scelte artistiche e politiche Carrà adduce l'esigenza impellente di non accompagnarsi più ad alcuno, di essere solo sé stesso, di rimanere fuori dalle correnti di qualsiasi tipo, nella convinzione che «i "movimenti"» contino poco, «siano essi fatti in nome della tradizione o della rivoluzione, poiché quello che conta è l'individuo».  Carrà ha ormai maturato un individualismo non più volto ad assimilare rivoluzione artistica e rivoluzione sociale, ma improntato ai valori dell'idealismo e alla ricerca di un «nuovo misticismo».  Avverte il bisogno di riproporre nella sua pittura «le cose ordinarie»  sottratte dalle contingenze; di riavvicinarsi alla natura (al mare della Liguria e della Versilia, in particolare), nella ricerca di un «ordine nuovo», di una «trascendenza plastica», di una rappresentazione del reale che ne colga il mistero. Nel 1919 Carrà sposa a Milano Ines Minoja dalla quale ha, nel 1922, un figlio. Nel novembre 1922 partecipa alla costituzione della Corporazione nazionale delle Arti Plastiche, nella convinzione della necessità di una valorizzazione sociale delle arti, che ritiene perseguibile attraverso strutture associative e sindacali. Nel dicembre successivo assume la carica di critico d'arte sul giornale «L'Ambrosiano», che mantiene per venti anni. Collabora anche alle riviste «Esprit nouveau», «Convegno», «La Fiera letteraria», «La Ronda», «Tempo» ecc. Nel 1942 Carrà dipinge due affreschi nel Palazzo di Giustizia di Milano (Giustiniano che libera uno schiavo e Giudizio Universale), opere che definisce di carattere sociale e che, a causa delle polemiche suscitate per l'assenza di riferimenti a simboli del regime, vengono fatte ricoprire dalle autorità fasciste. Dal 1941 fino al 1952 occupa la cattedra di pittura all'Accademia di Belle Arti di Brera. Nel dopoguerra, collabora come critico d'arte a «Milano Sera», «Omnibus» ecc. Da sempre fecondo disegnatore, Carrà illustra, fra l'altro, L'Odissea, tradotta da Salvatore Quasimodo, Un coup de dés di Mallarmé e L'après-midi d'un faune, tradotto da Ungaretti. Muore a Milano il 13 aprile 1966.

Note


  • Fonte: E. Civolani, Carlo Dalmazzo Carrà, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 328-330

  • La mia vita, pp. 67-70

  • La mia vita, p. 82

  • Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909

  • Du principe de l'art et e sa destination sociale (1865), Parigi, 1939, pp. 70-71

  • La mia vita, pp. 45-46

  • La mia vita, p. 123

  • Guerrapittura, pp. 5-6

  • Il rinnovamento della pittura in Italia, parte IV, «Valori Plastici», maggio-giugno 1920, p. 55

  • Misticità e ironia nella pittura contemporanea, parte IV, «Valori Plastici», luglio-agosto 1920, p. 69

  • Il quadrante dello spirito, «Valori Plastici», 15 novembre 1918, p. 1
    Carlo Dalmazzo Carrà

    Sconosciuto - Proa

    Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni and Gino Severini in front of Le Figaro, Paris, February 9, 1912

    I funerali dell'anarchico Galli (1906-1911).
     
    Manifestazione interventista 1914

     
    Le figlie di Loth, un dipindo di Carlo Carrà 1919
     
    Carlo Carrà 
     
    Costantino Cavalleri è un propagandatore, un anarchico e una storica figura dell'anarchismo in Sardegna.

    Biografia

    Originario di Orroli (Nuoro), Costantino Cavalleri opera principalmente a Guasila (Cagliari) nella biblioteca "S'arkiviu-bibrioteka "T. Serra", intitolata all'anarchico di Barrali (Cagliari) che combatté nella guerra di Spagna: Tomaso Serra.

    Grazie alla biblioteca, Cavalleri ha curato la pubblicazione, tra la fine degli anni 80 e l'inizio degli anni 90, di una serie di periodici: Anarkiviu: bulhitinu bibriografiku de s'arkiviu bibrioteka de kurtura populhari "T. Serra" (Bollettino bibliografico dell'archivio biblioteca di cultura popolare "T. Serra"); Nihil (Supplemento" Quadrimestrale di dibattito, analisi, approfondimenti storici, teorici, metodologici" al bollettino" Anarkiviu") e definito anche come il "foglio dell'Unione anarchici sardi"; Su gazetinu de sa luta kontras a sas presones  (Il Gazettino della lotta contro le prigioni)ecc. Attraverso questa fitta attività propagandistica, Cavalleri ha cercato di dare un indirizzo unitario alle lotte anarchiche dei sardi: negli anni 80 partecipa alla costituzione del "Comitato di Solidarietà con il Proletariato Prigioniero Sardo Deportato", a sostegno delle istanze dei prigionieri sardi, negli anni '90 è il promotore della nascita dell'Unione Anarchici Sardi e nel 2002, attraverso l'unico numero del Zornale pro su Fruntene de Liberatzione Natzionale Sardu - ARREXINIS - RAIKINAS - RADICI (Giornale per il Fronte di Liberazione Nazionale Sardo- RADICI), ha rilanciato l'idea di un Fronte unitario che coinvolgesse tutte le aree dell'antagonismo isolano.

    Cavalleri ha compiuto e compie un intenso lavoro nonostante le pressioni, da parte delle forze di repressione politica , tendenti a criminalizzarlo e intimidirlo nella sua opera di dar voce agli oppressi che ha sempre sostenuto in particolare appoggiando le lotte dei detenuti. La criminalizzazione di cui è stato oggetto lo ha indicato, secondo il magistrato milanese Ambrosio, come il collante dell'anarchismo europeo in particolare per le zone della Grecia e della Spagna. Nonostante queste pressioni (in Sardegna parlare ed esporsi è spesso pereguitato dalla magistratura italiana, vedi il caso del complotto separatista 1983 , Fraria  2003-4, A Manca pro S'Indipendentzia 2006  e altri esempi), Cavalleri opera in una tipografia che ha creato decine di opuscoli e libri in appoggio delle lotte dei Sardi e altri europei, finalizzate alla dignità ed emancipazione delle persone e contro uno Stato che si presenta non come un'istituzione per garantire i diritti dei cittadini ma come uno strumento usato da una minoranza di sfruttatori per opprimere la maggioranza del popolo.

    Articolo tratto dal Settimanale anarchico Canenero (numero 11, 20 Gennaio 1995)

    Beni per complessivi 2.220 miliardi sono stati posti sotto sequestro dallo Stato in varie regioni d'Italia, Sardegna esclusa. Evidentemente nell'isola non vi sono omini di malaffare, neppure Scamazzon e soci che si sono presi 9 miliardi dalle casse della Regione. Ma gli uomini dello Stato qualcosa dovevano sequestrare a qualche sardo. Così se la sono presa con un isolano del tutto speciale Francesco “Sirbone” Catgiu, detenuto in quel di Voghera, reparto speciale, malato di claustrofobia. Acuta. Catgiu si trova in galera da circa undici anni, ritenuto colpevole di sequestro di persona. In più, nel suo percorso carcerario, c'è stato un omicidio nel carcere di Rebibbia, quindi egli si trova sempre sotto pressione da parte dei suoi aguzzini. Ora, egli è affetto da una forma di claustrofobia acuta e combatte da anni per essere trasferito in una colonia aperta. Quando egli prende un attacco sfascia tutta la cella, per cui a suo carico c'è un numero considerevole di denuncie per “danni allo Stato” e per “offesa a pubblico ufficiale”. Come rimborso per questi danni, lo Stato gli ha sequestrato dal suo libretto personale di carcerato la modestissima somma di lire 400.000 Da novembre Catgiu sta facendo lo sciopero della fame nel carcere speciale di Voghera.

    Note


  • Un numero de su Gazetinu

  • Leggere articoli del SISDE in cui Cavalleri è definito un esponente di spicco dell'area anarco-insurrezionalista: Sardegna. Laboratorio politico e A come anarchia in tutte le sue anime

  • Tra il 1983 e il 1985 in Sardegna sono state compiute diverse azioni e attentati (omicidi, 2 sequestri di persona, di cui uno avvenuto nel Lazio, e vari attentati dinamitardi) firmate dal Movimento Armato Sardo (MAS), che si definiva di ideologia tendenzialmente marxista. Secondo molti investigatori il MAS non è mai stata un'organizzazione rivoluzionaria, bensì un paravento politico per coprire semplici fatti legati almondo della criminalità. Verrano rinviate a giudizio due persone condannate in primo grado nel 1988 a 26 e 7 anni di carcere. Nel 1993 però la corte d'appello ribalterà la sentenza e assolverà entrambi gli imputati.

  • Sulla chiusura del Fraria e Sui fatti di Cagliari (ottobre 2003)

  • Bibliografia

    • Costantino Cavalleri, Sardegna: Anarchismo e lotta di liberazione nazionale, Edizioni “La Fiaccola” Ragusa, 1983
    • Costantino Cavalleri, L'anarchico di Barrali, editziones de s'Arkiviu-Bibrioteka T. Serra, 1992
    • Costantino Cavalleri, Internazionale Antiautoritaria Insurrezionalista, un progetto di organizzazione informale. Documenti, materiale, corrispondenza per un dibattito sempre aperto
    • Costantino Cavalleri, L'anarchismo nella società postindustriale: insurrezionalismo, informalita, progettualita anarchica alle soglie del duemila, editziones de s'Arkiviu-Bibrioteka T. Serra, 2006
    • Costantino Cavalleri, Sardegna: anarchismo e lotta di liberazione nazionale
    • Costantino Cavalleri, L'anarchismo al bando: La strategia repressiva anti-anarchica attuale messa a nudo nei suoi elementi politici, giudiziari, polizieschi e la necessità della riaffermazione compatta dell'anarchismo insurrezionalista, editziones Arkiviu-bibrioteka "T. Serra", 2006
    2841 visualizzazioni9 anni fa
     




    0

    Dante Carnesecchi (Vezzano Ligure, 12 marzo 1892 - La Spezia 27 marzo 1921) è stato un anarchico italiano e anarco-futurista assassinato in un agguato poliziesco. Alla sua epoca fu un personaggio quasi leggendario, bollato come malfattore solamente per aver semplicemente vissuto la sua breve esistenza come tutti avrebbero il diritto di fare: dignitosamente e seguendo le proprie inclinazioni individuali.

    Biografia

    Nativo di Arcola (SP), è personaggio di rilievo nel movimento anarchico spezzino: uomo audacissimo, il più temibile sovversivo di un gruppo, di cui fanno parte Abele Ricieri Ferrari ("Renzo Novatore"), Tintino Persio Rasi ("Auro D'Arcola") e Sante Pollastro. Accusato di aver partecipato all'assalto della Polveriera di Vallegrande il 4 giugno 1920, Carnesecchi viene tratto in arresto nel settembre successivo, dopo l'occupazione delle fabbriche. Il giornale "Il Libertario" della Spezia racconta che la stampa conservatrice sta facendo «un gran can can per l'arresto del terribile pregiudicato Carnesecchi, sul quale pendevano 4 mandati di cattura, che fu uno degli assalitori della Polveriera e che aveva la casa piena d'armi d'ogni genere. E se non ridi, di che rider suoli? Il Carnesecchi non è mai stato ricercato, tanto vero che tutti lo hanno veduto fino al giorno dei suo arresto passeggiare tranquillamente in città e dintorni e perfino in Pretura ed in Tribunale. E nientemeno aveva 4 mandati di cattura! O perché non lo hanno preso prima? Mistero!». 

    L'adolescenza e le prime esperienze anarchiche

    Dante Carnesecchi nasce a Vezzano Ligure il 12 marzo 1892, suo padre, Biagio Giuseppe, figlio di poveri contadini, abbandonata la natìa toscana muore a Vezzano Ligure (Sp) nel 1901, lasciando però la famiglia (la moglie Lucia Fontana e i figli Dante, Isolina, Lidia Enrichetta) in buone condizioni finanziarie: alcune case in campagna e molti terreni sulla collina .

    Probabilmente Dante inizia precocemente a lavorare ed anche a frequentare gli ambienti anarchici, visto che al tempo ad Arcola e dintorni pullulavano di anarchici. Era coetaneo di Abele Ricieri Ferrari (conosciuto come Renzo Novatore) e di Tintino Persio Rasi (detto Auro D'Arcola), che definirà Carnesecchi come « un gigante dell'azione», con cui peraltro nel 1919 formerà lo zoccolo duro degli anarchici individualisti e futuristi spezzini.

    Non si possono giudicare le vicende della sua vita se non circostanziandole nel clima in cui esse si estrinsecarono. Dopo secoli di ottundimento, la cultura italiana rialzava la testa e lanciava messaggi all'Europa, il paese era attraversato da idealismi diversi che muovevano per la prima volta nella sua storia le moltitudini.

    Erano tempi difficili e di grandi ingiustizie sociali. In quei primi anni del novecento le masse erano miserabili e senza diritti. Il contesto in cui si agitava la classe operaia era violento: una violenza che aveva imparato nelle trincee convivendo giorno dopo giorno con la morte. Per lunghi anni lo Stato aveva addestrato questi uomini psicologicamente e fisicamente ad uccidere. Per lunghi anni lo Stato aveva dato a questi uomini l'illusione che le cose dopo la guerra sarebbero cambiate, che alla fine sarebbe stato riconosciuto il giusto indennizzo al sangue dei miserabili versato per la patria. Erano questi i tempi in cui i miserabili pretendevano l'indennizzo promesso.

    Nonostante la probabile prematura militanza anarchica, prima del 1919 le cronache locali non parlano di lui. Questo silenzio può essere legato alla scomparsa della relativa documentazione  ma anche alla personalità del personaggio estremamente cauto, diffidente e restio a confidare a chiunque le sue azioni.

    Il primo documento che ci parla di lui è del 1912: il foglio matricolare che descrive la visita di leva. Nel 1913, a ventun anni, forse in attesa di imbarcarsi per gli Stati Uniti, Dante soggiorna in Francia. Qui lascia la prima traccia della sua militanza: frequenta gli ambienti anarchici, così infatti viene schedato dalla polizia francese.

    La personalità di Carnesecchi è ben complessa e difficilmente inquadrabile in un ristretto ambito. In parte la si può comprendere leggendo uno stralcio dell'articolo I nostri caduti: Dante Carnesecchi, pubblicato su «L'Adunata dei Refrattari» nel 1929 (si noti il linguaggio tipico dei futuristi) a firma del suo amico Tintino Persio Rasi (Auro D'Arcola):

    «Tra quella nidiata d'aquilotti libertari che dai colli arcolani, dominanti a mezzogiorno la conca azzurra del golfo di Spezia e a tramontana la vallata del Magra, spiccavano il volo verso tanti quotidiani ardimenti, si distingueva sopratutti Dante Carnesecchi. Alto, atletico, volto energico, parco di parole, rapido nel gesto, tagliente lo sguardo: una giovinezza creata per l'azione, e nell'azione interamente spesa.Se il tipo assoluto d'Ibsen qualcuno può mai averlo realizzato, questi fu Dante Carnesecchi. Egli era realmente una di quelle eccezionali individualità che bastano a se stesse.Gran parte delle sue gesta rimarranno per sempre ignorate, poiché, fu solo a compierle e ne portò il segreto nella tomba.Non aveva amici, non ne ricercava: non affetti, mollezze, piaceri. In seno alla stessa famiglia viveva senza vincoli. Verso la madre, come verso le sorelle che lo adoravano, si comportava con la freddezza di un estraneo. Egli, a cui pur non difettavano i mezzi, coricava sul duro letto senza materasso, onde evitare di provare dell'attaccamento agli agi di casa. Un individuo simile non era fatto per essere amato. E dell'amore non conobbe né le estasi sublimi, né le dedizioni mortificanti.Strana natura. Perfino verso noi, tra i più vicini, il suo animo insofferente elevava un'ultima barriera isolatrice, come a sottrarsi ed a proteggersi dalle possibilità d'ogni intima comunione. Certo, egli era il più odiato dai nemici nostri, il più temuto dagl'indifferenti, il più ammirato dai compagni e dagli spiriti liberi: ma era anche colui che non si lasciava amare, che non fu amato.Nessuno poteva esercitare un qualsiasi ascendente su di lui. Refrattario ad ogni influenza esteriore, egli era all'altezza delle sue azioni, che mandava in piena consapevolezza ad effetto, fidando solo sulle sue forze.Ogni progetto, riduceva alle proporzioni di un'operazione aritmetica, accomunando ad un'estrema audacia un'estrema prudenza, una piena sicurezza in sé, ed una risolutezza tacita quanto irriducibile. Nello sport quotidiano allenava il corpo alla resistenza, all'agilità, all'acrobazia, alla velocità, e il polso alla fermezza; nella temperanza scrupolosa conservava la pienezza del suo vigore fisico e della sua lucidità mentale; nella musica ricercava le intime sensazioni per ricrearsi liberamente lo spirito.Perciò egli era boxeur, lottatore, ciclista, automobilista, corridore, acrobata, tiratore impareggiabile; suonatore e compositore di un virtuosismo piuttosto arido e cerebrale; ottimo poliglotta».

    L'esperienza negli Stati Uniti: 1913-1915

    È probabile che la chiave di volta di tutta la vicenda di Dante debba ricercarsi in quei quasi tre anni passati negli Stati Uniti, a contatto colla più avanzata esperienza capitalista e col bieco e disumano sfruttamento perpetuato sui minatori americani. Il 17 maggio 1913 si imbarca da Le Havre sulla nave Rochambeau e nove giorni dopo sbarca a New York insieme a Giovanni Lombardi, di Vezzano Ligure. Allo sbarco i due dichiarano di essere diretti a Pueblo, da Cesare Vegnuti, cugino del Lombardi . Da questo momento in poi si perdono le tracce di Dante e del suo compagno, anche se è certo che nell'ottobre del 1913 Cesare Vegnuti muore nella grande tragedia mineraria di Dawson. 

    Ma dov'era stato Dante fino a quel momento? È un mistero irrisolto. È assai probabile che abbia partecipato alle rivolte del Colorado.

    La sua ritrosia a parlare di sé stesso non ci lascia memoria (ricordando l'articolo I nostri caduti: Dante Carnesecchi: «... Gran parte delle sue gesta rimarranno per sempre ignorate, poiché, fu solo a compierle e ne portò il segreto alla tomba».) 

    Intanto, nelle miniere intorno a Pueblo, proprio in quel periodo scoppia una grande rivolta con scioperi e scontri a fuoco tra minatori (molti ispanici e italiani) e vigilantes, affiancati dalla Guardia Nazionale, al servizio del padronato.

    Il massacro di Dawson

    Scioperi e scontri si fanno sempre più violenti in particolare nelle miniere controllate da Rockefeller (The Colorado Coalfield War, 1913-1914) , trovando un tragico epilogo a Ludlow (Colorado), il 20 aprile 1914.

    Quel giorno, dopo una lunga giornata di lotta tra scioperanti e la Guardia Nazionale del Colorado, due donne, undici ragazzini, sei minatori sindacalisti locali e uno nazionale vengono trucidati dalle forze al servizio del padronato. In risposta, i minatori armati decidono di attaccare decine di miniere, dando vita a diversi scontri con la Guardia Nazionale del Colorado.

    Lo sciopero era stato organizzato dalla United Mine Workers of America (UMWA) contro le società di estrazione di carbone del Colorado. Le tre maggiori società minerarie erano proprietà dei Rockefeller: Colorado Fuel & Iron Company, RMF e Victor-Fuel Company (VAF). Ludlow, situato a circa 19 km a nord-ovest di Trinidad, in Colorado, è ormai una città fantasma. Il posto del massacro è sotto il "controllo" della UMWA, che eresse un monumento in granito, in memoria dei minatori e delle loro famiglie e dei caduti in quel tragico giorno.

    Il rientro in Italia

    Dopo l'ingresso dell'Italia nella Grande Guerra (maggio 2015), Dante viene richiamato alle armi nel giugno 1915. È sicuramente contrario al conflitto, ma rientra in Italia nell'ottobre-novembre dello stesso anno portando con sé due oggetti emblema del suo pensiero: un modernissimo fucile automatico ed una chitarra . Nel novembre 1915 si presenta al distretto reduce dall'estero ed è inviato immediatamente al fronte. Ma Dante non ha alcuna intenzione di partecipare a questo macello ed è per questo che simula a più riprese attacchi epilettici, riuscendo incredibilmente a farsi riformare. Il 29 aprile 1916 viene congedato dal'Ospedale militare di Ravenna.

    La Spezia, città in cui da ora in poi ruoterà la vita di Dante Carnesecchi, all'inizio del secolo era una delle più importanti roccaforti militari. Caratterizzata dalla presenza dell'Arsenale militare e di alcune delle più importanti industrie belliche italiane, era circondata da una serie di forti e polveriere che ne dominavano il golfo.

    Dante inizia a lavorare nella Vickers Terni, una fabbrica che durante la guerra produceva armi da guerra, ma i cui operai era di predominanza anarchica. Nell'ottobre del 1917 lo scoppio della rivoluzione bolscevica in Russia suscita emozioni e speranze anche tra i proletari in Italia. Speranze che si accentueranno nel novembre del 1918, al momento della fine della Grande Guerra. In quel momento nella classe operaia comincia per davvero a serpeggiare l'idea che occorra fare come in Russia ed effettivamente a molti la rivoluzione appare un frutto maturo che aspetta solo di esser colto.

    Anno 1919: moti operai ed un tragico comizio a Santo Stefano Magra

    Nel 1919 Dante nasconde nei suoi boschi Renzo Novatore, ricercato per diserzione dalle autorità italiane, e sempre nello stesso anno partecipa in prima linea ai moti operai alla Spezia e ai disordini contro il carovita.

    Il 13 giugno il suo nome compare per la prima volta nelle cronache giudiziarie: a Santo Stefano Magra gli anarchici locali chiamano i compagni spezzini per tenere un comizio rivoluzionario, si presentano Dante Carnesecchi, Tintino Rasi (Auro D'Arcola), Luigi Picchioni e Pasquale Bellotti.

    Il maresciallo dei carabinieri vieta il comizio, ma Carnesecchi ha una reazione violentissima, così riportata negli atti processuali:

    «... Mentre il Carnesecchi avanzatosi verso il Blanc minacciosamente gesticolando gli gridava: "Ma chi è Lei un prefetto, un viceprefetto? Lei è nulla, vada via. Autorità più non ve ne sono, comandiamo noi. Vogliamo fare quello che abbiamo fatto a Spezia", trovasi al fianco sinistro del vicebrigadiere il Picchioni ed a fianco del carabiniere Vannini il Bellotti, echeggiarono quasi contemporaneamente quattro colpi di rivoltella ed i due militi caddero mortalmente feriti... ».

    I quattro anarchici fuggono e l'anarchico, sfuggito alla cattura, si dà alla latitanza. Da allora in poi gli avvenimenti si susseguono in una sequenza frenetica e il suo nome compare sempre più spesso nei ritagli dei giornali, sebbene nel gennaio 1920 venga assolto totalmente dall'accusa di omicidio.

    L'assalto alla polveriera

    Ritrovata la piena libertà, Dante Carnesecchi continua la sua attività di ribelle antiautoritario alla Spezia, una città che a causa del contesto sociale fortemente condizionato dal ribellismo anarchico e dall'insofferenza all'autoritarismo delle truppe di mare potrebbe esplodere da un momento all'altro in una grande rivolta.

    In questo contesto l'assalto alla polveriera di Vallegrande del 4 giugno 1920 fa probabilmente parte di un piano anarchico molto più vasto. Dante Carnesecchi dà il suo contributo a quello che è un vero e proprio atto insurrezionale, che avrebbe potuto anche sfociare in una rivoluzione e la cui portata ancora oggi non è stata appieno compresa dagli storici del mondo accademico. (Probabilmente essi ritengono e ritennero che non esistessero le premesse per un atto rivoluzionario di ampie proporzioni. Si potrebbe obiettare sostenendo che molte rivoluzioni esplosero senza che ci fossero apparentemente sufficienti premesse per poter riuscire).

    La divisione dei partiti operai frammenta però l'unità della classe operaia, risultando di ostacolo all'attuazione del piano rivoluzionario. Le condizioni sociali però erano mature e solo dopo tre mesi, il 31 agosto, inizia l'occupazione delle fabbriche da parte delle maestranze in lotta. I marinai fanno sventolare per molti giorni la bandiera dei Soviet sulla caserma Duca degli Abruzzi. Carnesecchi, latitante, perché ricercato per l'assalto alla polveriera, partecipa attivamente all'organizzazione dell'occupazione.

    Terminata l'occupazione in maniera non felice, Carnesecchi in modo rocambolesco viene tratto in arresto il 28 settembre.

    La morte

    Rimesso in libertà, dopo sei mesi di carcere preventivo, per mancanza di qualunque indizio, l'anarchico è vittima di un agguato ordito da sette carabinieri, ben noti in zona per aver provocato e arrestato altri sovversivi. «Si trattava - scriverà Auro D'Arcola - di una caserma speciale, fuori classe, a cui erano stati chiamati, mediante concorso volontario, una dozzina di militi scelti tra i più brutali e i più sanguinari dell'arma».

    Dante Carnesecchi viene assassinato a Termo d'Arcola la sera del 27 marzo 1921, a pochi passi da casa sua. Secondo la versione delle “forze dell'ordine” egli aveva cercato di aggredire dei carabinieri, provocando la conseguente reazione degli stessi, ma tale versione sarà smentita in seguito dalla madre di Dante e dai suoi amici e compagni.

    Di Dante Carnesecchi alla Spezia attualmente non esiste più né la tomba né il ricordo delle sue gesta e del suo pensiero.

    Scritti e testimonianze del periodo

    Attraverso una serie di scritti, articoli e testimonianze è possibile ripercorrere la vita di Carnesecchi e delinearne i tratti salienti della sua personalità.

    L'assalto alla polveriera di Vallegrande, l'occupazione delle fabbriche e la cattura

    • Scritto estratto dal sito dell'Arma dei Carabinieri:

    «Il 4 giugno 1920 un gruppo di 60 facinorosi tenta un colpo di mano contro i forti e l'arsenale della Spezia. La grande quantità di armi custodita rende la zona un bersaglio interessante per chiunque voglia fomentare i disordini. In silenzio e con la precisione di un buon reparto paramilitare, i 60 piombano sul corpo di guardia N della polveriera di Vallegrande. Le armi delle nove guardie passano di mano. Poco dopo viene neutralizzato il corpo di guardia G e la via è libera verso il recinto dei depositi con le sue tonnellate di armi e munizioni. Un giovane carabiniere emiliano, Leone Carmana, riesce invece a non perdere la testa. Fa sbarrare la porta d'accesso e si apposta con il suo fedele moschetto. Non c'è tempo per i consueti rituali ("Alto là, chi va là, fermo o sparo"): Carmana spiana con calma l'arma come se fosse al poligono ed infila una cartuccia dietro l'altra. A nulla vale il rabbioso fuoco degli assalitori, nemmeno una ferita al piede arresta il milite finché i rinforzi non chiudono la partita.» 

    Mentre da un rapporto rilasciato a Migliarina [vicino alla Spezia], delle ore 5 del 5 giugno 1920, da un maresciallo dell'arma dei carabinieri si estrae questo significativo stralcio:

    «Il predetto maresciallo di Fossamastra, che assicura la banda essere in maggioranza composta di abitanti del Limone e del Termo capitanata dal Carnesecchi e dal Ferrari Abele, che il detto graduato vide e non arrestò... ».

    • Lettera del viceprefetto dopo l'assalto alla polveriera di Vallegrande:

    «I fatti di Spezia appaiono ben più gravi per l'ispirazione rivoluzionaria e per il contenuto evidentemente politico: essi senza dubbio fanno parte di una preparazione diretta a sovvertire l'ordinamento statale sono il frutto della propaganda e di una concezione anarchica che ha in questa circoscrizione lunghe e profonde radici. Fin dai primi momenti in cui io assunsi qui le mie funzioni ebbi sentore delle mene anarchiche e del proposito in parte deliberato degli estremisti di tentare qualche colpo di mano.

    Ben compreso della... necessità di sventare simili trame criminose dedicai tutta la mia attività a questo scopo. Con rapporto del 18 aprile io ebbi ad informare la S.V. d'un primo complotto organizzato dagli anarchici col supposto consenso parziale o colla tacita adesione delle truppe specialmente di mare. Si sperava allora sull'ammutinamento di un equipaggio di una nave ancorata in questo porto e sull'azione concomitante e violenta degli anarchici non solo del circondario ma anche della provincia vicina. Il complotto non poté avere per varie circostanze...

    Però fallito il colpo non desistettero gli organizzatori nei loro progetti d'azione diretta: che anzi in diverse riunioni ripresero le fila per un momento spezzate, e rinnovavano la fede di riuscire in un nuovo attentato che a breve scadenza si sarebbe deciso di eseguire. I disordini di Viareggio, poi quelli di Sarzana, l'agitazione stessa che si diffondeva alla Spezia sotto il pretesto del caro-viveri sembravano forse agli estremisti locali favorevoli all'attuazione dei loro propositi.

    Un'ultima visita fatta qui nella settimana scorsa da Errico Malatesta, parve infondere vigore al proposito e senza dubbio sospinse all'azione che fu stabilita per i primi giorni del giugno corrente. Il piano, a quanto riferivano i confidenti, era basato sempre sull'appoggio del personale di marina ed aveva per fine di impadronirsi della polveriera e dei forti, dell'arsenale, degli stabilimenti industriali, dei punti principali della città e degli edifici pubblici.

    Il piano doveva avere esecuzione in diverse parti contemporaneamente. Certo si trattava di un vasto disegno concepito follemente, senza alcuna visione pratica della sua difficile possibilità. La frase tipica con cui si vuole venisse deliberato: "Da cosa nasce cosa". Questa frase illumina le finalità del tentativo. Si faceva altresì molto affidamento nella partecipazione al movimento, una volta iniziato, della massa operaia, in ispecie in quella iscritta nell'unione sindacale. Se però il piano era troppo vasto ed audace per riuscire era tuttavia tale da destare le più serie preoccupazioni di fronte alle conseguenze gravissime che ne sarebbero scaturite se fosse stato anche in minima parte effettuato. Ed io non mancai di apprestare i mezzi di resistenza e fui ben sollecito di preavvisarne S. E. il Comandante in Capo della Piazza con ripetute e frequenti conferenze personali di cui l'ultima risale al pomeriggio di giovedì 3 corrente mese...

    Senza l'intervento e la condotta ammirevole del carabiniere Carmana il tentativo criminoso avrebbe avuto ben diverso risultato I rivoltosi procedevano in silenzio sarebbero riusciti ad occupare la polveriera ove si contenevano ingenti quantità di esplosivi con quale pericolo è facile immaginare. Il carabiniere va premiato con un'alta ricompensa al valore... ».

    • Articolo da «IL SECOLO XIX» del 29 settembre 1920 intitolato Il famoso "Carnesecca:

    «Il pregiudicato Dante Carnesecchi, colpito di ben quattro mandati di cattura per omicidio nella persona di un carabiniere, per attentato alla polveriera di Vallegrande, per reati contro la proprietà, è stato assicurato alla giustizia in una brillante operazione dei reali Carabinieri al Termo d'Arcola.

    Al momento dell'arresto s'era nascosto in un armadio ed aveva accanto una rivoltella carica. La sua casetta come quella di un brigante degli antichi tempi era un vero arsenale di rivoltelle e di fucili con parecchie riserve di polvere pirica... ».

    • Articolo di Renzo Novatore da «Il Libertario» del 7 ottobre 1920:

    «Dante Carnesecchi è una delle più belle figure dell'individualismo anarchico. Alto, vigoroso, pallido e bruno. Occhi taglienti e penetranti di ribelle e di dominatore. Ha l'agilità di un acrobata ed è dotato di una forza erculea. Ha ventotto anni.

    È un solitario ed ha pochissimi amici. L'indipendenza è il suo carattere. La volontà è la sua anima. Nelle conversazioni è un vulcano impetuoso di critica corrodente. È sarcastico, ironico, sprezzante... Sembra un paradossale ed è un logico. Le sue verità bruciano. La sua anima misteriosa e complicata è un mare sempre agitato da furiose tempeste dello spirito. Non ha mai scritto nulla ma ha pensato molto... E il suo pensiero non si aggira nel piccolo cerchio vizioso dei luoghi comuni. Va oltre... Le figure come la sua sono rarissime.

    Parlarne troppo a lungo si corre sempre il rischio di guastarle. È un anarchico veramente individualista. Ecco tutto... Ora nel primo rastrellamento di delinquenti sociali fatto nei dintorni di Spezia, per ordine di Giolitti, Olivetti, e D'Aragona, è stato arrestato anche lui. "In una brillante operazione" fatta da cento e più carabinieri del re guidati da un loro ufficiale hanno invaso la sua casa e lo hanno catturato. La stampa merdosa della borghesia idiota e democratica, liberale e monarchica, ne ha dato l'annuncio trionfale ricamandolo di particolari talmente foschi da fare invidia ad uno di quei ripugnanti romanzi che solo quella carogna di Carolina Invernizio, buon' anima, sapeva scrivere. Naturalmente tutto ciò che si è scritto su di lui è falso come è falsa e bugiarda l'anima fangosa e putrida d'ogni miserabile giornalista venduto. Per amore della verità dobbiamo dire (a costo di disonorarlo) che non è pur vero che sia pregiudicato.

    È giovane. Ama intensamente la libertà e la vita. Lo vogliamo fuori!

    Anarchici individualisti A Noi!» 

    Il rilascio, la premeditazione e la raccapricciante morte

    • Testimonianza di Auro d'Arcola:

    «Durante il periodo dell'immediato dopoguerra, il territorio del circondario di Spezia fu particolare teatro d'una serie incessante di attentati anarchici contro le proprietà, le polveriere, le caserme, le autorità, le reti ferroviarie e telegrafiche. Ingenti patrimoni appartenenti allo Stato ed ai privati andarono distrutti; numerosi carabinieri ed agenti della forza pubblica perirono sotto la folgore della rivolta; il prestigio dell'autorità affogava nel ridicolo; i rivoltosi rimanevano ignoti, malgrado i numerosi arresti a casaccio. Il sospetto dell'autorità ' cadeva sul gruppo d'audaci che scuoteva le basi dell'ordine e della sicurezza borghese. E più del sospetto avevano la certezza che il Carnesecchi fosse tra questi, se non l'anima certamente il più temibile. Ma egli era un giovane senza precedenti giudiziari: un incensurato che non lasciava traccia delle sue colpe. Si tentò, tuttavia, più volte d'incolparlo. Invano. La polizia si accaniva ad arrestarlo. La magistratura mancava d'ogni prova perfino indiziaria per procedere. E non tardava a rilasciarlo in libertà. Non rimaneva che sopprimerlo» (Auro D'Arcola).

    • Articolo tratto da «Il Libertario»  dal titolo "I funerali di Dante Carnesecchi" del 7 aprile 1921:

    «... con tutto ciò egli era lo spauracchio, il babau, lo spettro incubante dell'autorità, solo perché era un anarchico ed una figura fisicamente atletica ed energica. Un insieme di ombre, di esagerazioni iperboliche, di vociferazioni fantastiche valse a creare nell'autorità uno stato d'animo tenebrosamente odioso da indurle, dopo esperita ogni altra via, alla soppressione del nostro amico. Mercoledi, quando il giornale andava in macchina, ebbero luogo i funerali del caro indimenticabile compagno nostro Dante Carnesecchi assassinato dai carabinieri della stazione del Limone. La questura fece del suo meglio per applicare l'ostruzionismo e la censura ai manifesti degli anarchici e della Camera del Lavoro Sindacale. Soltanto alle ore 14,30 poterono essere affissi, vale a dire soltanto due ore e mezzo prima dei funerali... Malgrado questi miserevoli espedienti migliaia di compagni e di lavoratori intervennero ai funerali che riuscirono seri, imponenti, commoventi. Il carro era coperto di corone e la bara era avvolta da un labaro rosso, su cui era scritto in nero: Giù le armi! Vi erano i vessilli degli anarchici, dei comunisti, dei socialisti e delle organizzazioni aderenti alla Camera Sindacale e a quella Confederale. Senza che nessuno l'avesse chiesto spontaneamente nell'ora dei funerali lungo il percorso del corteo, dall'Ospedale Civile per via Provinciale al Cimitero dei Boschetti, tutti i negozi in segno di lutto erano chiusi e tutti salutavano commossi la salma del compagno nostro. Quando il corteo giunse sullo spiazzale della camera mortuaria del Cimitero vi si erano già riversati tutti gli abitanti del Limone, Termo d'Arcola e paesi vicini, accorsi tutti ad attestare la stima e l'affetto al povero assassinato e la protesta contro i suoi assassini. Dissero commoventi ed inspirate parole per gli anarchici il compagno Pasquale Binazzi ed Ennio Mattias per la Camera Sindacale».

    • Articolo da «IL SECOLO XIX» del 30 marzo 1921 intitolato Conflitto mortale con i carabinieri:

    «Dante Carnesecchi di anni 29 noto anarchico, era da tempo ricercato dai carabinieri, quale sospetto colpevole della uccisione di un milite dell'arma. La notte scorsa i carabinieri lo trovarono al Termo d'Arcola insieme a due suoi compagni e lo fermarono. Il Carnesecchi estratto rapidamente il pugnale tentò di colpire e liberarsi: al suo tentativo rispose un colpo di rivoltella che lo ferì a morte. I suoi due compagni si dileguarono rapidamente nella oscurità inseguiti da altri colpi di rivoltella che pare abbiano raggiunto il segno e colpito uno dei fuggenti, perché sono state trovate sulla direzione della loro fuga, larghe tracce di sangue. Dal luogo del conflitto venne chiamata telefonicamente la P.A. che accorse rapida, come è consuetudine sua, e raccolse il Carnesecchi agonizzante. Infatti costui mentre la lettiga giunse all'ospedale spirò». 

    Testimonianza dei compagni e della madre:

    Gli anarchici denunciano apertamente i militi e li accusano di avere «proditoriamente e selvaggiamente assassinato» il loro compagno di ideali: il 27 marzo i carabinieri del "Limone", racconta «Il Libertario», «sono sortiti dalla caserma come "cannibali ebbri ed armati", al comando di un "nefasto brigadiere", e si sono recati "al canto provocatore di Bandiera rossa ed altri inni sovversivi in ricerca della preda designata al Termo d'Arcola". Qui hanno schiamazzato, bevuto e costretto, con la violenza, la gente a rincasare, poi sono piombati su C., che usciva di casa con lo zio Azeglio e l'amico Franceschini portando con sé una chitarra, e hanno brutalmente colpito Azeglio con una frusta e sparato a Franceschini, senza ferirlo. Quanto a Carnesecchi, egli è stato schiaffeggiato dal brigadiere e investito dai militi con "una briaca, tempestosa sfuriata di nervate", prima di essere abbattuto da una fucilata alla schiena e colpito da numerose rivoltellate e pugnalate, mentre i carabinieri urlavano "Vigliacco! Voglio spezzarti il cuore con una revolverata!" e il brigadiere ordinava "Prendi il pugnale, spaccagli il cuore!"».

    Il 29 marzo 1921 la mamma di Carnesecchi smentisce la versione dell'accaduto, diffusa da "Il Tirreno" e da altri giornali conservatori, puntualizzando che il 27 marzo i carabinieri hanno ingiunto al figlio e ai suoi due compagni di fermarsi e di alzare le braccia: «Mio figlio e gli altri obbedirono chiedendo a quei sette [...] chi fossero. Rispose il brigadiere qualificandosi e mio figlio declinò allora il suo nome. A questo punto il brigadiere, saputo che davanti aveva mio figlio, gli vibrò uno schiaffo e tutti i carabinieri incominciarono a colpire con nerbate e pugnalate i tre disgraziati, i quali tentarono di salvarsi con la fuga. Mio figlio venne travolto e gettato a terra dove fu colpito da vari colpi di rivoltella e dì fucile. [...] È pure falso che mio figlio fosse colpito da mandato di cattura».

    • Articolo pubblicato su «Gli Scamiciati» di Pegli il 9 aprile 1921, (serie II, num.12, pag.2) intitolato Assassini!:

    «La sera del 27 marzo, alla stazione di Termo d'Arcola, una squadra di carabinieri vestiti in borghese, usciti fuori dalla nuova caserma messa alla vicina Limone non sappiamo il perché...  partirono in numero di dieci, bene armati di fucili americani e di pugnali, e bene innaffiati di vino, al canto di "Bandiera rossa" s'avviarono in cerca della vittima da tempo predestinata: Dante Carnesecchi, l'anarchico spauracchio, uscito da pochi giorni dalle carceri di Sarzana ove era stato parecchi mesi in attesa del processo che poi non venne... Egli stava in quell'ora, in casa sua, suonando la chitarra in compagnia di uno zio violoncellista. Accostatisi a casa sua i dieci manigoldi vi s'appiattarono e al momento opportuno, cioè quando il buon Dante uscito da casa sua s'accingeva ad accompagnare lo zio all'abitazione di lui, sbucarono fuori con i fucili spianati e perquisirono quelle loro due prede. Vistele disarmate incominciarono "la funzione". Terribili colpi di nervo colpirono il nostro compagno alla faccia; egli si difese come poté colla chitarra che teneva in mano, ma questa ben presto andò in frantumi ed egli con un gesto disperato (aveva la faccia letteralmente spaccata dai nervi ferrati) riuscì a divincolarsi e a fuggire. Non aveva fatto ancora dieci passi che una raffica di colpi l'atterrò. Appena a terra gli furono sopra e gli vibrarono trenta pugnalate. Poi col calcio dei fucili gli spaccarono la testa. L'assassinio fu compiuto con tanta malvagità e tanta brutalità impossibili a concepirsi. Lo derubarono di tutto e poscia minacciarono di morte (vigliacchi, ormai egli era già in agonia!) anche i militi della Pubblica Assistenza che andarono per portarlo via. Un milite piangente nel caricarlo sulla barella gli disse: "Coraggio Dante". Ed egli, col filo di voce che ancora gli rimaneva: "Sono episodi della vita... Non è niente... Datemi dell'acqua... Muoio". Il brigadiere sempre col pugnale in mano urlò infuriato: "Ah vigliacco! Vivi sempre. Sei più duro d'un bue". E gli sputò ancora addosso... ».

    Note


  • F. Bucci, R. Bugiani, M. Lenzerini, Dante Carnesecchi Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 325-326

  • Nonostante non nasca in una famiglia ricchissima, probabilmente Dante discende dalla nobile famiglia dei Carnesecchi, che ebbe anche una lunga tradizione progressista. Approfondimenti: Cenni sulla discendenza

  • La documentazione sul Carnesecchi è molto scarsa: manca anche la busta nel CPC

  • Abitante in Pueblo, Box Elder street 823

  • da Emigrati.it

  • Un esperienza cosi intensa e drammatica giustificherebbe la fredda determinazione dimostrata in seguito in ogni sua azione.

  • Per una conoscenza più ampia dei fatti di Dawson: I Fantasmi italiani di Dawson

  • History Colorado Coalfield War

  • Come una sorta di novello Joe Hill italiano, che Dante potrebbe aver conosciuto negli USA. Non era comunque propriamente nella norma che un emigrante tornasse dagli U.S.A. con un fucile automatico

  • Associazione Nazionale Carabinieri

  • Si noti come il saluto, popolarmente conosciuto come fascista, fosse in realtà utilizzato prima di Mussolini dagli antiautoritari e antifascisti (frange della sinistra, formazioni paramilitari antifasciste quali il Fronte Unito Arditi del Popolo, legionari fiumani ecc.), scaturito casualmente dopo un assalto degli Arditi Assaltatori e pronunciato da un capitano di questi con il probabile intento di incoraggiare la sfida all'avversario.
    Quando il fascismo ebbe fra le mani il potere, il cosidetto duce si affrettò ad eliminare tale saluto, che poteva risultare troppo egualitario, e sostituirlo con un ben più "coerente": «Al duce», onde far ben comprendere che i più o meno reali proponimenti "di sinistra" del primo fascismo, erano definitivamente riposti.

  • Storica rivista diretta da Pasquale_Binazzi

    1. Si adombra la premeditazione dell'omicidio, dimostrata dalla creazione di una nuova caserma vicina al luogo dove abitava il Carnesecchi, formata da militi particolarmente motivati in chiave repressiva.

    Bibliografia

    • F. Bucci, R. Bugiani, M. Lenzerini, Dante Carnesecchi Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 325-326





    Dario Cagno (Torino, 11 agosto 1899 - Torino, 23 dicembre 1943), anarchico e antifascista italiano. 

    La vita

    L'anarchico Dario Cagno nato a Torino l'11 agosto del 1899, di professione artigiano, appena quattordicenne si imbarcò a Genova su una nave mercantile; pellegrinò per vari paesi fino al rimpatrio coatto dagli Stati Uniti negli anni della Prima guerra mondiale. È comunque attivo durante il ventennio.

    La condanna per diserzione e l'espatrio

    Nel 1920 fu condannato a tre anni di carcere per diserzione. Scontata la pena espatriò in Francia dove entrò poi in contatto con gli ambienti dell'emigrazione antifascista. Assumette l'incarico di «corriere sovversivo» rientrando più volte in Italia fino al settembre del 1934, quando venne preso e assegnato al confine nell'isola di Ponza per tre anni e riassegnato in seguito al confinoeper altri cinque anni, a Ponza, Ventotene, Pisticci, Castel di Guido. A Ponza partecipa ad una rivolta collettiva subendo una condanna a 10 mesi di carcere.

    Il ritorno a Torino

    Liberato condizionalmente nel novembre del 1942, si rende irreperibile e torna a Torino dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, dove si stabilì in via Accademia Albertina 38 e quasi subito iniziò la militanza nella Resistenza in una formazione gappista di anarco-comunisti.

    Nella Torino industriale, l'attività armata andò di pari passo con la riorganizzazione di classe attraverso la creazione di commissioni sindacali clandestine e comitati d'agitazione di fabbrica che, a partire dai grandi scioperi del marzo 1943, furono affiancati da nuclei "gappisti" impegnati in sabotaggi ed eliminazioni di aguzzini fascisti.

    Successivamente, sempre nella zona di Torino, durante l'insurrezione dell'aprile 1945 alle "Ferriere Piemontesi", combatté anche il raggruppamento anarchico denominato "33° battaglione SAP "Pietro Ferrero"" e negli scontri cadde Ilio Baroni.

    La Resistenza e la condanna a morte

    La prima eliminazione decisa dai gappisti torinesi fu quella del seniore della Milizia Domenico Giardina. L'azione viene fissata per il mattino del 24 ottobre del 1943. Esecutori lo stesso Garemi e Cagno. Alle 8,30 del giorno fissato, i due gappisti attesero l'ufficiale fascista nei pressi della sua abitazione, posta in una traversale di corso Vittorio: allorchè Giardina imboccò via Carlo Alberto diretto al comando della Legione, Garemi e Cagno gli scaricarono addosso le loro rivoltelle. Mentre Giardina cadeva a terra colpito mortalmente, i due gappisti si diedero alla fuga.

    Il colpo era riuscito, ma la polizia si scatenò immediatamente sulle tracce dei "giustizieri". Non passarono 48 ore e i due gappisti vengono entrambi catturati. Due mesi dopo, il 23 dicembre, Garemi e Cagno furono torturati e fucilati nella caserma Monte Grappa. È questa la prima azione della Resistenza antifascista a Torino ad opera dei Gruppi d'Azione Patriottica (GAP).

    Dario Cagno è ricordato con Aldo Gagnor in un'altra lapide dedicata ai dipendenti Cimat caduti per la libertà, collocata all'interno della cancellata della azienda scomparsa, in corso Trapani 95/a.

    Riferimenti

    • Asct, scheda anagrafica
    • Aisrp, Banca dati Partigianato piemontese
    • "La Fiaccola Ardente", 1, n. 4, giugno 1946, p. 3
    • R. Luraghi, Il movimento operaio torinese durante la resistenza, cit., p. 121
    • T. Imperato, Anarchici a Torino, cit., p. 53 e sgg.
    • Antifascisti nel Casellario politico centrale, Roma, Anppia, Quaderno n. 5, 1990


     



    Emilio Canzi (Piacenza, 14 maggio 1893 - Piacenza, 17 novembre 1945) è stato uno storico leader degli Arditi del Popolo di Piacenza, combattente nella Rivoluzione spagnola (conosciuto con il nome di battaglia di "Ezio Franchi") e comandante unico della XIII Zona operativa  dell'Appennino Tosco-Emiliano nella resistenza antifascista.

    Biografia

    Nato a Piacenza il 14 maggio 1893, Emilio Canzi svolge il servizio militare in Libia fino a quando viene congedato il 10 settembre 1919 come invalido di guerra. All'avvento del fascismo, Canzi diviene un militante degli Arditi del Popolo, un gruppo antifascista della prima che si opponeva militarmente alle squadracce di Mussolini. Inizia così la sua militanza ininterrotta nella lotta "militare" antifascista, che lo porterà, grazie al suo passato di sergente maggiore dei bersaglieri, a diventare istruttore militare della "sezione" piacentina inquadrata nel “Battaglione Cantarana” (dal nome di un quartiere proletario della città) e composto da 200 miliziani . La stima di cui godeva era tale che nel momento in cui dichiara la sua natura anarchica ai compagni socialisti e comunisti, posti sotto il suo comando, viene unanimemente acclamato con un «Viva Canzi».

    Nel 1922 si trova in Francia, dove è accusato di aver ucciso un fascista. Rientrato in Italia nell'agosto 1927, si ferma nella sua Piacenza. Nell'aprile 1928 riesce a rientrare in Francia, stabilendosi a Parigi. Nel dicembre 1933 diviene responsabile della corrispondenza del «Comitato a favore delle vittime politiche», fondato il 29 ottobre a Puteaux.

    Emilio Canzi e la Spagna

    Fin dall'insurrezione del luglio 1936 , Canzi combatte attivamente nella Rivoluzione spagnola, dove è conosciuto come "il colonnello anarchico" o anche "Ezio Franchi". Milita inizialmente nella Colonna Ascaso, poi nelle Brigate Garibaldi. Viene ferito il 16 giugno 1937 a Huesca, in seguito al quale in settembre è poi inviato in Francia, a Bagnolet, dove si attiva nel Comitato d'aiuto alla Spagna.

    La zona di Huesca era luogo di accanitissimi combattimenti fra i miliziani antifascisti ed i franchisti. In quella stessa zona operava la Colonna Italiana - comandata dall'anarchico Giuseppe Bifolchi - e la 29ª Divisione (prima denominata Colonna Lenin del POUM). Fra i combattenti italiani ci sono Etrusco Benci , Pietro Fancelli , Mario Traverso , Giuseppe Fusero, Pasquale Fioravanti e Camillo Lanzilotta (nome di battaglia "Lancillotto" o "Nathan"). In Spagna Canzi vedrà cadere un altro importante personaggio dell'anarchia italiana protagonista nella Difesa di Parma del 1922: Antonio Cieri, che assieme al socialista internazionalista Guido Picelli  comandava gli Arditi del Popolo proprio a Parma.

    Emilio Canzi e la resistenza

    In Francia, Canzi si occupa anche di organizzare l'esilio delle frange antifasciste verso la Francia e il Belgio, ma viene arrestato dai tedeschi il 26 ottobre 1940 a Parigi e in seguito deportato nel campo di Hinzer. Nel 1942, su richiesta dell'OVRA, viene estradato in Italia e inviato al campo di concentramento di Anghiari, da cui viene poi condannato a scontare cinque anni di confino a Ventotene. Alla caduta del fascismo fa parte di quelli del gruppo di Ventotene che viene liberato durante il trasferimento verso Arezzo dall'alpino tenente Rouep , che seppur ancora idealmente vicino al fascismo aveva deciso di liberare il gruppo antifascista e di consegnare i documenti a Mario Perelli, uno dei successivi comandanti delle Brigate Bruzzi e Malatesta operanti a Milano di concerto con i socialisti delle Brigate Matteotti.

    Raggiunta Piacenza nel settembre 1943, "il colonnello anarchico" incomincia ad organizzare la costituzione di alcune Bande Partigiane. Arrestato ancora una volta dai tedeschi nel 1944, ottiene nuovamente la libertà grazie ad uno scambio di prigionieri che gli permette di riprendere posto nelle fila delle formazioni partigiane della XIII° zona operativa del piacentino. La sua formazione, che opera autonomamente, viene inserita in una brigata Garibaldi , successivamente è però arrestato da partigiani di indirizzo stalinista. Verrà immediatamente reintegrato al comando della XIII zona operativa, con la qualifica di comandante unico, che manterrà fino alla Liberazione. Lo stato d'arresto infatti dura molto poco grazie anche alla durissima presa di posizione del comando delle Brigate Partigiane facenti capo a Giustizia e Liberta . .

    Gli ultimi giorni

    La sua morte, il 17 novembre 1945, avviene in un incidente stradale non molto chiaro (analogo "strano incidente", nello stesso periodo, avrà un altro comandante partigiano anarchico, Savino Fornasari) , come risulta dalla testimonianza di un comandante partigiano, poiché l'anarchico viene investito da una camionetta inglese. Ricoverato in ospedale a Piacenza per le ferite riportate, la fibra di Canzi, ormai stanca dalle tante battaglie fatte, non regge più e quando il colonnello anarchico vede arrivare la fine, chiama la figlia e fa distribuire i pochi soldi che gli restano agli infermieri, ringraziandoli così per l'umanità con cui era stato trattato.

    Piacenza e i funerali di Canzi

    • A Piacenza il Provveditorato agli Studi ordina la chiusura delle scuole durante il giorno dei funerali per permettere a tutti di partecipare alla cerimonia (persino il tribunale resterà chiuso per lutto cittadino).
    • Vengono inviati anche messaggi di cordoglio da parte di nomi di grande importanza della Resistenza, fra questi il Presidente del Consiglio Ferruccio Parri  (già comandante delle Brigate Partigiane Giustizia e Libertà) e del vicesegretario del PSI Sandro Pertini.
    • Per gli anarchici si evidenzia la presenza di un altro nome storico della storia dell'anarchia italiana, Alfonso Failla, col quale Canzi aveva preso parte a Carrara nel settembre 1945, due mesi prima della morte, alla conferenza costitutiva della FAI. Alfonso Failla ed Umberto Marzocchi tenteranno la mediazione, sopratutto Umberto Marzocchi nel seguito con i gruppi che formeranno i Gruppi Anarchici di Azione Proletaria.

    Sulla tomba di Emilio Canzi si trova scritto :

    "A
    EMILIO CANZI
    (Ezio Franchi)
    PARTIGIANO D'ITALIA
    MCML
    QUI
    TRA GLI ALTI MONTI E LA GENTE UMILE
    DONDE CON POCHI ANIMOSI
    INTRAPRESE L'ULTIMA SUA BATTAGLIA
    PER LA LIBERTÀ DEI POPOLI
    EMILIO CANZI
    VOLLE RIPOSASSERO
    LE SUE SPOGLIE MORTALI
    SPOSATA LA CAUSA
    DEI POVERI E DEGLI OPPRESSI
    DA COMBATTENTE LEALE ED INDOMITO
    IN TERRA D'ITALIA E DI FRANCIA
    IN BELGIO, IN ISPAGNA, IN GERMANIA
    PER IL TRIONFO DELLA LIBERTÀ
    PER LA GIUSTIZIA SOCIALE
    E PER UN'UMANITÀ MIGLIORE
    SOFFRÌ
    PERSECUZIONI, ESILIO, GALERA
    O TU
    CHE QUI PIETOSO T'AGGIRI
    ASCOLTA LA VOCE
    CHE AMMONITRICE ED IMPLACATA
    S'ALZA DA QUESTA TOMBA

    Cimitero di Peli.

    Emilio CANZI
     

    Emilio Canzi: Comandante Prtigiano Anarchico della divisione Piacenza e già combattente nella rivoluzione spagnola


    Statua di Emilio Canzi a Peli di Coli [foto Lucia Baldini].
     
     
    Uno dei simboli degli Arditi del Popolo. 
     

     
     
    Ersilia Cavedagni (Bologna, 2 aprile 1864 - USA) è stata un'anarchica italiana attiva anche in Svizzera e negli USA.

    Biografia

    Nata a Bologna da Francesco e Enrica Amadei, si sposa con l'anarchico Giulio Grandi ed ha una figlia di nome Edvige. Entrata a far parte del movimento anarchico, Ersilia diffonde con entusiasmo le idee libertarie collaborando con La Questione Sociale e L'Agitatore e spostandosi a più riprese in Romagna, nelle Marche, a Napoli e a Roma per tessere rapporti più solidi tra i gruppi presenti in quei territori. In Italia, nei primi anni '90 del XIX secolo, ha rapporti con Teresa Fabbrini, nella cui casa trovano accoglimento per discussioni o dimorare brevemente anarchici come Genunzio Bentini, Giuseppe Manetti, Emanuele Canepa, Enrico Girola, Paolo Schicchi, Pietro Gori, Francesco Pezzi e Luisa Minguzzi.

    Dopo l'arresto nel 1894 di Teresa Fabbrini, Arturo Chellini e Vittorio Caiani, nel 1898 viene segnalata in Svizzera come collaboratrice a L'Agitatore di Neuchâtel insieme a Felice Vezzani e soprattutto Giuseppe Ciancabilla, di cui diviene la compagna. Dopo essere stata a Parigi insieme a Ciancabilla, i due si spostano negli USA, per la precisione a Paterson, dove il compagno dirige il giornale La Questione Sociale. Sempre sotto stretta sorveglianza poliziesca, nel 1903 è segnalata a San Francisco, dove l'anno successivo Ciancabilla muore di tisi a soli 32 anni.

    Nel 1906 è Philadelphia, nel 1910 a New York ed infine a Seattle, dove convive con l'anarchico spagnolo Leon Morel. Dopo un breve periodo a Vancouver, nel 1923 è segnalata la sua presenza a New York e poi nel 1926 a San Francisco. Nel 1932 sottoscrive un aiuto per Il Martello di Carlo Tresca che si trovava in gravi difficoltà economiche.

    La sua data di morte non è certa, anche se probabilmente è successiva al 1941, quando si ha l'ultima segnalazione della polizia italiana. 

    UNA VITA SPESA A FUGGIRE DALLA POLIZIA, SINO A SPARIRE DEL NULLA: LA STORIA DI ERSILIA CAVEDAGNI, ANARCHICA

    Biagio Cerrito, detto Gino, (Messina, 11 febbraio 1922 - Firenze, 4 settembre 1982), militante anarchico, è stato uno dei maggiori studiosi della storia dell'anarchismo e del movimento operaio e socialista in Italia.

    Biografia

    Nato a Messina, all'inizio del 1943 partecipa alla resistenza antifascista insieme a Piero Butitta e Michela Bicchieri. Creatore del Gruppo Anarchico di Messina, contribuisce allo sviluppo del nuovo movimento anarchico e di quello sindacalista militando nella Confederazione Generale del Lavoro.

    Laureatosi in Storia nel 1951 con una tesi intitolata Radicalismo e socialismo in Sicilia (1860-1882). Dall'anno seguente diviene assistente alla cattedra di Storia moderna della Facoltà di Magistero dell'Università di Messina. Nel 1959, nella medesima facoltà, tiene il corso di Storia dei trattati e dal 1962 quello di Storia moderna.

    Negli anni '60, insieme ad Alfonso Failla, Ugo Mazzucchelli, Mario Mantovani e Umberto Marzocchi contribuisce al rilancio della FAI, fondata nel 1945, partecipando in particolare al Congresso di Carrara del 1965 (31 ottobre-4 novembre) che però vedrà una prima importante scissione interna al gruppo e la conseguente nascita dei Gruppi di iniziativa anarchica (GIA).

    Nello stesso anno si trasferisce a Firenze, presso la cui Università ottiene l'incarico di Storia contemporanea nella Facoltà di Magistero. Nel 1969 gli viene finalmente assegnato l'incarico di professore aggregato e quindi ordinario di Storia contemporanea al Magistero fiorentino.

    Tutto il suo materiale relativo agli studi di storia sociale e dei movimenti politici italiani e stranieri (compresi quelli anarchici), sono oggi conservati nel Fondo Biagio Cerrito. Notevole è la documentazione sul sindacalismo anarchico e rivoluzionario, l'antimilitarismo e la rivoluzione spagnola, su sui Cerrito aveva compilato circa 800 schede di antifascisti anarchici presenti nelle fila repubblicane della Colonna Italiana.

    Gino Cerrito muore il 4 settembre 1982.

    Bibliografia

    • Gli anarchici nella Resistenza apuana, a cura di Adriana Dada, Collana: Storia e società del Novecento, 4, Lucca, Maria Pacini Fazzi, 1984
    • Dall'insurrezionalismo alla settimana rossa: per una storia dell'anarchismo in Italia, 1881-191, Crescita politica editrice, 1977
    • Il ruolo della organizzazione anarchica, RL, Pistoia, 1973
    • L'antimilitarismo anarchico in Italia, RL, Pistoia, 1968

    CERRITO, Biagio detto Gino

    La rivista "Sempre" conservata nella serie Periodici dell'archivio Cerrito

    Deliapida - Opera propria



     


    YouTube
    L'archivio di Gino Cerrito (1922-1982 ...
     
    Ritratto di Gino Cerrito nel 1972 

    Giovanna Caleffi (Gualtieri, 4 maggio 1897 - Genova, 14 marzo 1962 ), conosciuta come Giovanna, è stata un'anarchica italiana, moglie di Camillo Berneri e madre di Maria Luisa e Giliana Berneri.

    « Siamo radicalmente rivoluzionari, anche quando ci poniamo come educatori. »

    ~ Giovanna Caleffi, Società senza Stato, 1946 

    Giovannina Caleffi nasce a Gualtieri (Reggio Emilia) il 4 maggio 1897 presso una modesta famiglia di agricoltori, in cui i genitori, Giuseppe e Caterina Simonazzi, oltre a Giovannina hanno altri quattro figli.

    È questa un'epoca in cui molte famiglie, viste le enormi difficoltà economiche in cui si dibatte l'Italia, scelgono di emigrare negli USA in cerca di nuove fortune. Così fanno anche il padre e il figlio maggiore, che si dirigono a Pittsburgh (USA) mentre il resto della famiglia rimane a Gualtieri.

    Il socialismo e l'incontro con Camillo Berneri

    Evidentemente negli Stati Uniti padre e figlio riescono a trovare lavoro, permettendo alla famiglia di vivere senza grossi problemi.

    Giovannina, che tutti chiamano Giovanna, frequenta la scuola primaria in paese, poi dal 1914 si trasferisce a Reggio Emilia per completare gli studi. Qui inizia a frequentare il circolo socialista ed assiste ad alcune conferenze di Camillo Prampolini che la fanno sentire vicina alle idee socialiste. Allieva di Adalgisa Fochi, scrittrice e attiva conferenziere nel circolo femminile socialista, a 15 anni Giovanna si allontana dalla fede cattolica, non senza che ciò comporti delle liti in famiglia.

    Conseguita la licenza per l'insegnamento nel 1915, inizia immediatamente a lavorare prima alla scuola elementare di Santa Vittoria di Gualtieri (RE) e l'anno dopo, già di ruolo, presso le scuole elementari di Montecchio Emilia (RE). È questo l'anno in cui incontra Camillo Berneri, figlio di Adalgisa Fochi, all'epoca studente liceale e militante nella Federazione Giovanile Socialista, che ben preso abbandonerà per abbracciare l'anarchismo. Per seguire la madre, Camillo Berneri si sposta ad Arezzo, dove sarà poi raggiunto da Giovanna l'anno seguente. Innamoratisi, i due si sposano il 4 novembre 1917 a Gualtieri con il consenso dei genitori visto che entrambi sono ancora minorenni.

    Con Camillo chiamato al fronte e poi inviato al confino, il 1° marzo 1918 nasce la primogenita della coppia, Maria Luisa. La seconda figlia dei due, Giliana, nascerà invece il 5 ottobre 1919, a Firenze, dove nel frattempo la coppia si era trasferita. Entrambe le figlie saranno in seguito anarchiche di rilievo nel panorama nazionale e internazionale.

    L'anarchismo “non militante”

    A Firenze, la casa Berneri-Caleffi diviene un punto di riferimento di anarchici e antifascisti: Gaetano Salvemini, i promotori del Circolo di cultura fiorentino (es. Piero Calamandrei), Carlo e Nello Rosselli, Ernesto Rossi, Piero Jahier ecc.

    La vita in comune con Camillo la porta anche ad approssimarsi all'anarchia, anche se inizialmente non può essere considerata un'attiva militante. Si occupa principalmente delle figlie, di lei Camillo diceva al suo amico Gaetano Salvemini: «Non è anarchica nel senso di essere una militante, però accetta le mie idee e le condivide in gran parte».

    Con l'avvento del regime fascista in Italia, cominciano i guai anche per la famiglia Berneri-Caleffi: Camillo subisce due aggressioni, poi rifiutatosi di giurare fedeltà al regime - procedura obbligatoria per tutti i professori (Camillo aveva iniziato ad insegnare filosofia a Camerino) - è costretto ad espatriare nell'aprile del 1926. Inizialmente Giovanna trascorre alcuni mesi presso la casa della suocera, poi il 1° agosto del 1926 riesce a ricongiungere tutta la famiglia a Saint-Maur-des-Fossés (periferia di Parigi). Tra una difficoltà e l'altra, nel 1929, per colpa del presunto amico Ermanno Menapace, in realtà spia dell'OVRA, Camillo Berneri subisce una serie di arresti ed espulsioni che lo costringono ad una nuova fuga verso svariati paesi europei. Giovanna sostiene il marito scrivendo lettere ai compagni anarchici e all'avvocato Paul De Bock di Bruxelles. Lei stessa, in quanto moglie di Berneri, è attentamente sorvegliata dalla polizia, inoltre è lei che mantiene in tutto e per tutto la famiglia: nel 1933, con l'aiuto della sorella e su consiglio di Louis Lecoin, apre una drogheria (rue de Terre-Neuve n° 20), il cui retro diverrà nel tempo un rifugio sicuro per i fuoriusciti anarchici.

    Sempre controllata dalle autorità, il 2 dicembre 1934 il Ministero dell'Interno francese, in seguito ad accertamenti su Maria Bibbi, sorella dell'anarchico Gino Bibbi ed amica della Caleffi, con cui divide anche la gestione del negozio, chiede informazioni alla Prefettura di Milano.

    Morte di C. Berneri e la militanza anarchica

    Con l'avvento della rivoluzione in Spagna, Camillo parte per schierarsi con i miliziani antifascisti e Giovanna si ritrova di nuovo sola ad occuparsi delle figlie. In guerra, è risaputo, la morte deve essere messa in preventivo, ma Giovanna non si aspettava certo che il suo Camillo potesse essere ucciso da mano stalinista; così invece accade, il 5 maggio 1937 a Barcellona: Camillo Berneri è assassinato insieme a Francesco Barbieri dagli stalinisti e Giovanna accorre al suo funerale insieme alla figlia Maria Luisa.

    Profondamente addolorata per la morte del marito, Giovanna prende ad attivarsi come propagandista anarchica e a diffondere le sue idee attraverso una fitta corrispondenza con gli anarchici d'America che chiedono contributi per le varie iniziative. Pubblica nel 1939 un appello non firmato su «L'Adunata dei Refrattari» in favore degli anarchici espulsi dalla Francia ed internati nei campi di concentramento, che sarà tradotto e diffuso sulla stampa internazionale da Emma Goldman. Mantiene inoltre sempre vivo il ricordo del marito in vari modi: promuove a Parigi il «Comitato "C. Berneri"» e nel 1938 pubblica Pensieri e Battaglie, con prefazione della stessa Goldman, una raccolta di scritti vari del marito; scrive articoli su giornali, riviste, e ne difende pubblicamente la memoria.

    Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l'occupazione nazista, Giovanna Caleffi viene arrestata e incarcerata una prima volta, su ordine del regime fascista, il 28 ottobre 1940 (3 mesi di detenzione a La Santé), poi nel febbraio 1941 viene deportata in Germania e trattenuta ben cinque mesi prima di essere condotta in Austria per essere consegnata alle autorità italiane. Incarcerata a Reggio Emilia, è condannata il 25 agosto ad un anno di confino a Lacedonia (Avellino) con l'accusa di «aver svolto all'estero attività sovversiva dimostrandosi elemento pericoloso per gli ordinamenti politici dello Stato». Una volta scontata la pena ritorna a Gualtieri, dove però le viene negato il passaporto per la Francia in quanto è riconosciuta come un' anarchica militante; si dà quindi alla latitanza nell'Italia meridionale.

    Nel 1943 incontra Cesare Zaccaria, anarchico e vecchio amico di famiglia, con cui va a convivere a partire dal febbraio 1943. Comprensibilmente condizionata dalla morte del marito per mano comunista, invia ai compagni anarchici della Federazione Comunista Libertaria di Livorno una lettera (Napoli, 12 aprile 1945) in cui li invita a non stringere rapporti con la locale sezione della CLN, ricordando loro proprio i tragici fatti della rivoluzione spagnola che aveva visto molti anarchici cadere per mano stalinista.

    Il dopoguerra

    Liberata l'Italia dal fascismo, si attiva per la ricostituzione del movimento anarchico: stringe rapporti con Armido Abbate e Pio Turroni, editori dei giornali clandestini «La Rivoluzione libertaria» (1944) e «Volontà». Quest'ultimo sarà trasformato poi in rivista in seguito alle delibere del Congresso di Carrara (1945) e si avvarrà nel tempo di personalità del calibro di Silone, Camus, Salvemini ecc.

    Giovanna contribuisce in maniera notevole alla rivista, dedicandovi gran parte del suo tempo e delle sue energie:

    «Non si tratta di una rivista fatta da intellettuali, da gente colta, dalla penna facile per i quali lo scrivere è un piacere o una professione. «Volontà» è messa insieme, in generale, con il modesto contributo di lavoratori che sentono impellente il bisogno di esprimere la loro critica anarchica alla società ed agli avvenimenti attuali e di inserirvi le loro idee di rinnovamento sociale e di giustizia».

    Nel settembre 1945 (15-19 settembre) partecipa con Cesare Zaccaria e la figlia Giliana, tutti delegati dell'Alleanza Gruppi Libertari Campani, al congresso costitutivo della Federazione Anarchica Italiana. Cura anche le edizioni RL e la Collana Porro, editando inoltre pubblicazioni di Malatesta, Voline, Luigi Fabbri, Carlo Doglio ecc. Scrive su varie riviste anarchiche e non: «Umanità Nova», «L'Adunata dei Refrattari», «Controcorrente» di Boston; «Il Mondo», «Il Lavoro nuovo» di Genova ecc. Pubblica la brochure Società senza Stato (1946) e poi, insieme a Cesare Zaccaria, si batte in favore del controllo delle nascite diffondendo l'opuscolo Il controllo delle nascite (1948), contenente una raccolta di articoli apparsi nel 1947 su «Volontà», immediatamente sequestrato dalle autorità. I due sono processati per propaganda contro la procreazione ma vengono assolti entrambi con formula piena nel maggio del 1950.

    Si impegna anche in alcune iniziative ludico-ricreative per i figli di genitori anarchici: nel biennio 1948-49 si attiva per consentire ai bambini di «compagni del Sud» di andare in vacanza presso «famiglie del Nord Italia». Dal 1951, in ricordo della figlia Maria Luisa prematuramente scomparsa all'età di 31 anni, organizza a Paino di Sorrento una colonia estiva per i bambini/e figli di anarchici e anarchiche di tutte le nazionalità grazie alla casa privata messa a disposizione da Cesare Zaccaria. L'esperienza sarà interrotta momentaneamente nel 1957 a causa del deficit economico e soprattutto per via della fine del rapporto tra Giovanna e Cesare.

    Il periodo genovese

    Nel 1956 Giovanna si stabilisce a Genova Nervi, dove vi trasferisce prima la sede amministrativa di «Volontà» e poi anche le strutture per la stampa. Nel numero del gennaio 1959 di «Volontà» compare la lettera di Zaccaria che spiega il motivo del suo abbandono al movimento anarchico e alla rivista, che nel frattempo veniva stampata a Nervi.

    Nonostante tutto, Giovanna vorrebbe proseguire l'esperienza della colonia e si attiva per trovare dei finanziatori. Dopo vari tentativi alla fine riuscirà ad acquistare un terreno nella pineta di Ronchi (MS), a 700 metri dal mare, che le permetterà di far nascere la Comunità «Maria Luisa Berneri» e a cui peraltro si adopererà sino alla morte. Grazie a quattro persone che costituiscono un nuovo gruppo gestionale, la Colonia sopravvive per tre anni anche dopo che la figlia Giliana decide di abbandonare l'attività anarchica.

    Ammalatasi gravemente, è accudita dall'anarchico e amico Aurelio Chessa. Proprio tra le braccia di Chessa, Giovanna Caleffi muore il 14 marzo 1962 all'uscita dall'ospedale di Genova Nervi dove era stata ricoverata.

    Giovannina Caleffi

     Sconosciuto 

     Giovanna Berneri, ou Giovanna Caleffi, née le 5 mai 1897 à Gualtieri (Reggio Emilia, Italie), morte le 14 mars 1962 à Gênes (Ligurie), est une militante anarchiste, rédactrice de la revue italienne Volontà.


     

    Giovanna Caleffi con le figlie Maria Luisa (alla sua destra) e Giliana Berneri
     

    Giovannina Caleffi


    Giovanna Caleffi e Cesare Zaccaria

     


     



    Mario Buda, conosciuto anche come Mike Boda, (Savignano sul Rubicone, 13 ottobre 1884 – Savignano sul Rubicone, 1° giugno 1963) è stato un anarchico insurrezionalista, considerato il responsabile dell'attentato che il 16 settembre 1920 fece saltare in aria la sede della banca Morgan & Stanley di New York. A partire degli anni '30 divenne un informatore della polizia segreta fascista (OVRA).
     

    Biografia

    Primi anni ed emigrazione negli USA

    Nato in Romagna, a Savignano sul Rubicone, Mario Buda cresce in una regione che all'epoca era un vero e proprio centro nevralgico dell'anarchismo nazionale e internazionale. È molto probabile quindi che abbia conosciuto sin da ragazzo le idee anarchiche, anche se non risultano notizie riguardo a sua attività politiche. 

    Mario Buda cresce irrequieto, a quindici anni viene arrestato per rapina e poi, poco più avanti, subisce una nuova condanna per schiamazzi notturni. Nel 1904 è chiamato a svolgere il servizio militare, dove probabilmente inizia a prendere confidenza con gli esplosivi e le armi.  Congedato, svolge qualche lavoro come apprendista calzolaio, ma non trovando stabilità economica nel 1907 decide di emigrare negli Stati Uniti. Qui svolge innumerevoli lavori: giardiniere, operaio in una ditta telefonica, muratore, operaio in una fabbrica di cappelli ecc. Poichè in America vive lunghi periodi di terribile difficoltà economica, nel 1911 decide di far rientro in Italia. Due anni dopo si reca nuovamente negli Stati Uniti, stabilendosi a Roxbury, appena fuori Boston (Massachusetts), dove lavora come operaio nel settore delle calzature.  

    Conosce Nicola Sacco durante lo sciopero di Hopedale del 1913 e Bartolomeo Vanzetti 3 anni dopo, a Plymouth. Frequenta il gruppo anarchico dei due italo-americani e contemporaneamente milita anche in quello legato a Luigi Galleani. Nel suo tempo libero, Mario Buda dedica il suo tempo all'organizzazione di tre scuole anarchiche italiane, dove agli immigrati italiani vengono impartiti i rudimenti dell'anarchismo. 

    Nel 1916 viene arrestato a Boston per aver partecipato a una manifestazione contro l'intervento degli USA alla Prima guerra mondiale. Durante il procedimento a suo carico si rifiuta di prestare giuramento sulla Bibbia ed è condannato a cinque mesi di carcere. Per sfuggire alla chiamata dell'esercito dopo l'entrata degli Stati Uniti in guerra, nel 1917 si autoesilia con Sacco e Vanzetti ed altri compagni a Monterrey (Messico), dove s'era formata una vivace comunità di anarchici italiani. Buda si guadagna da vivere come operaio di una lavanderia, condividendo il suo suo stipendio insieme agli altri membri della comunità.

    Attività insurrezionali

    Nel 1917 è imputato insieme ad altri dieci anarchici (tra cui l'amico Carlo Valdinoci) per un attentato all'ufficio di polizia di Milwaukee (24 novembre) che aveva provocato la morte di 10 poliziotti e di una civile. L'azione sarebbe stata una rappresaglia anarchica contro l'uccisione di due compagni durante la manifestazione antimilitarista tenutasi a Milwaukee il 9 settembre 1917. Le autorità però non riusciranno mai a dimostrare la colpevolezza degli accusati, anche perché molti di questi si trovavano in carcere al momento dell'attentato. Come risposta alla repressione anarchica, in tutto il paese si susseguono gli attentati esplosivi (il 2 giugno 1919 esplodono bombe a Paterson, New York, Boston, Philadelphia, Cleveland, Pittsburgh e Whashington), quantunque la maggior parte non creeranno gravi conseguenze.  In questo clima, il 16 ottobre 1918 viene promulgata la New Immigration Act, mediante la quale potevano essere espulsi gli stranieri coinvolti o semplicemente accusati di attività sovversive. Saranno moltissimi gli anarchici reimpatriati nel paese d'origine a causa di questa legge.

    Amico di Sacco e Vanzetti, viene ritenuto loro complice (gli altri due sospettati erano Coacci e Orciani: il primo fu espatriato in Italia il 16 aprile, il secondo uscì dalle indagini dopo aver presentato un'alibi di ferro) di una delle rapine che poi costeranno la condanna a morte ai due anarchici, ma Buda sparirà nel nulla, facendo la propria ricomparsa pubblica solo qualche mese dopo.

    L'attentato di Wall Street

    L'11 settembre 1920 gli anarchici Sacco e Vanzetti, dei quali Buda è amico e compagno di attività politiche, vengono incriminati per la rapina di South Braintree ed il clima, già surriscaldato dalla promulgazione delle leggi antianarchiche, letteralmente s'incendia.

    Cinque giorni dopo, il 16 settembre, un uomo percorre Wall Street con un carretto trainato da un cavallo e si ferma tra la sede della banca “Morgan & Stanley” e la Borsa valori. A mezzogiorno il carretto, carico di esplosivi, esplode grazie ad un comando a distanza. La banca ed altri edifici vengono letteralmente distrutti. Muoiono 38 persone e altre duecento vengono ferite.

    Le autorità statunitensi rispondono prontamente. L'inchiesta è affidata a William J. Flynn, direttore tra il 1919 e il 1921 del Bureau of Investigation, il precursore del FBI. A proposito di Flynn, il procuratore generale Palmer disse: « Flynn è un cacciatore di anarchici... il più grande esperto di circoli anarchici degli Stati Uniti». 

    Viene immediatamente seguita la pista anarchica ed in particolare quella che porta ai seguaci di Luigi Galleani legati al giornale Cronaca Sovversiva. Per Flynn l'attentato era una risposta all'arresto di Sacco e Vanzetti. In particolare le attenzioni si rivolgono proprio su Mario Buda, sulla base alla testimonianza del fabbro ferraio che gli aveva affittato il cavallo poi usato per trainare il carro esplosivo. L'anarchico romagnolo però riuscirà a far perdere le tracce, fugge da New York e si imbarca verso l'Italia.

    Buda informatore e agente provocatore dell'OVRA

    Rientrato in Italia, dopo qualche tempo Mario Buda viene arrestato a Savignano con l'accusa di aver partecipato agli scontri tra fascisti e antifascisti del 28 febbraio 1921, durante i quali aveva perso la vita un maresciallo dei carabinieri. Accusato insieme ad altre 15 persone, sarà poi assolto per insufficienza di prove.

    Il 10 agosto 1922, durante la perquisizione della sua casa, viene ritrovato diverso materiale anarchico, soprattutto vengono poste sotto sequestro numerose lettere ricevute da anarchici americani con i quali era rimasto in contatto, tra cui una lettera di Nicola Sacco. Tra il 1925 e il 1927 fa il pendolare a Rimini, dove ha trovato lavoro come calzolaio. Buda non fa mistero della sua amicizia con Sacco e Vanzetti e da Savignano porta avanti come può il sostegno in favore dei due italo-americani che nel frattempo erano stati condannati a morte. Tre giorni prima dell'esecuzione della condanna di Sacco e Vanzetti, Buda viene arrestato ed in seguito condannato a cinque anni di confino da scontare nell'isola di Lipari, dove incontra nuovamente Luigi Galleani e fa la conoscenza di Umberto Tommasini. 

    Al confino riceverà numerose visite da parte di un giornalista americano e di altre persone (tra cui Dante Sacco, figlio di Nicola) che intendono riabilitare la memoria dei due anarchici italo-americani. L'8 luglio 1929, dopo un anno e mezzo di confino a Lipari, viene trasferito nell'isola di Ponza dove rimarrà sino alla sua liberazione avvenuta il 19 novembre 1932.

    Rientra al paese natale dove lo aspetta la madre molto malata, ma la detenzione l'ha profondamente segnato. Probabilmente le sue idee sono venute talmente meno che non solo si allontana da qualsiasi pensiero sovversivo, ma addirittura viene assoldato come informatore dell'OVRA (polizia segreta fascista). Il 14 marzo 1933, tre mesi dopo il rilascio, l'ex-anarchico ottiene il regolare passaporto per l'espatrio e raggiunge la Francia con l'obiettivo di infiltrarsi negli ambienti anarchici italiani. Rimarrà oltralpe sino al 30 giugno 1933. 

    Nel 1934, si unisce in matrimonio con rito religioso insieme a Sara Randi, andando ad abitare nella casa dell'anziana madre. Nel frattempo, i giornali comunisti Bandiera rossa (stampato a Parigi) e L'Unità e gli ambienti anarchici lo indicano pubblicamente come provocatore al servizio dell'OVRA. Qualcuno, soprattutto tra gli anarchici, avanzerà persino il sospetto che abbia svolto tali servigi anche al confino e persino prima, immediatamente dopo il suo ritorno in Italia. Non esistono prove al riguardo, tuttavia sorgono dubbi perché a Savignano non ebbe mai reali problemi con i fascisti locali. Inoltre, nella lettera scritta dal confino a Benito Mussolini l'8 gennaio 1931, Buda riporta: «[subito dopo il suo arresto, il 20 agosto 1927]... il questore di Forlì, ad un mio parente che era andato per parlargli in mio favore, disse chiaramente che conosceva bene ciò che avevo fatto durante il mio soggiorno in America ».

    Nel 1937 viene inviato in Francia con il nome in codice di «Romagna», il suo compito è quello di partecipare ad una riunione insieme ad Umberto Tommasini, Giobbe Giopp e Gino Bibbi che intenderebbero compiere un attentato contro Mussolini. I tre anarchici si fidano di Buda, il quale però informa l'OVRA che così riuscirà ad arrestare Luigi Tocco e Luigia Battaini, che dovevano procurare il denaro necessario per l'attentato. L'OVRA fingerà di ricercare Mario Buda per coprire il suo ruolo di informatore, ma eviterà di arrestare tanto lui quanto Tommasini (altrimenti sarebbe stato chiaro che il confidente era proprio lo pseudo-anarchico savignanese), il quale non sospetterà mai dell'amico ed anzi continuerà a corrispondere con lui anche dopo la Seconda guerra mondiale.

    Ultimi anni di vita

    Nel 1942 Buda viene cancellato dall'elenco dei sovversivi e di lui da quel momento le notizie si fanno rarefatte. Si sa che nel 1944 muore la madre e nel 1956 la moglie. . L'anno prima, nel 1955, aveva ricevuto la visita dello storico Paul Avrich, che stava lavorando al libro Anarchist Voices. An Oral History of Anarchism in America e voleva ricostruire con lui tutte le sue vicissitudini personali. Avrich giunse alla conclusione che l'anarchico di Savignano era stato effettivamente il responsabile dell'attentato. 

    Mario Buda resterà a Savignano fino al giorno della sua morte, avvenuta il 1° giugno 1963.

    Note


  • «L'uomo che fece esplodere Wall Street». La storia di Mario Buda

  • Questi dati biografici sono stati prelevati da Giorgio Dell'Arti, La Storia di Mario Buda, Io Donna, 26 gennaio 2002

  • Directors, Then and Now: William J. Flynn, sur fbi.gov.

  • In Acs, Fondo confinati politici, «Buda mario, Lettera a S. E. Benito Mussolini»

    1. Paul Avrich, Sacco and Vanzetti: The Anarchist Background, Princeton University Press, 1991

    Bibliografia

    • Paul Avrich, Ribelli in paradiso. Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti, Nova Delphi Libri, 2015.
    • Presutto, Michele, L'uomo che fece esplodere Wall Street. La storia di Mario Buda, Altreitalie, n.40, 2010
    • Stella, Gian Antonio, L'Orda. Quando gli Albanesi eravamo noi, Biblioteca Universale Rizzoli, pp. 13–14
     

    The Wall Street bombing is among the deadliest criminal acts in American history

    Unknown author 

    Bomb in Wall Street, 1920

    Mario Buda era membro dei gruppi galleanisti che pubblicavano il giornale Cronaca Sovversiva
     

    La tomba di Mario Buda
     

     

    Pietro Bruzzi (Maleo, Lodi, 20 marzo 1888 - San Vittore Olona, Milano, 19 febbraio 1945) è stato un anarchico milanese e un protagonista di primo piano della resistenza antifascista.

    Biografia

    Pietro Bruzzi, nasce a Mella (provincia di Milano) il 20 marzo 1888 e diventa presto un agitatore e organizzatore di primo piano. Il suo nome è legato a quello di numerose azioni antifasciste.

    Nel 1909 è uno dei redattori del popolare settimanale «La Protesta Umana», di Nella Giacomelli ed Ettore Molinari. Nel 1916 non essendosi presentato al suo ordine di mobilitazione, viene imprigionato per due mesi per resistenza alle forze dell'ordine che erano venute a cercarlo. Inviato ad un reggimento di Tortona, fuggirà durante il tragitto rifugiandosi in Svizzera e poi in Francia.

    Tornato in Italia alla fine della guerra (Prima guerra mondiale) fu detenuto per diserzione e condannato a morte, pena che gli verrà commutata in 20 anni di carcere. Redattore nel 1921 del periodico milanese «L'individualista», viene accusato, insieme a Ugo Fedeli e Francesco Ghezzi, anch'essi redattori del periodico, d'aver partecipato alla preparazione dell'attentato compiuto al Teatro Diana di Milano il 23 marzo del 1921, che comporta l'interruzione della pubblicazione. Per evitare di essere arrestato fugge clandestinamente in URSS, ed in seguito in Germania, Austria e Belgio.

    Trascorrerà in seguito, diversi anni in Francia collaborando alla rivista individualista «Eresia di oggi e di domani» (n°1, aprile 1928 al n°9, marzo 1929), pubblicata a New York. Nel marzo del 1928 viene arrestato a Parigi.

    Espulso dalla Francia insieme a Gigi Damiani e Angelo Bruschi, si trasferiscono tutti e tre nel 1931 in Spagna, dove diventano membri del "Comitato di Solidarietà degli Anarchici Italiani", diretto da Rafael Martinez e di cui facevano parte anche Castellani e Virgilio Gozzoli.

    Nel 1933 le autorità fasciste ottennero la sua estradizione dalla Spagna e viene confinato all'isola di Ponza fino al mese di giugno del 1939. Scontata la pena torna a Milano e partecipa alla resistenza anarchica in Lombardia contro il fascismo.

    Nel 1943 pubblica clandestinamente L'Adunata dei Libertari sottotitolato «Organo della FAI» (Milano n° 1 18 giugno 1944).

    A Milano, Pietro Bruzzi è tra i principali agitatori antifascisti, ma viene subito catturato e dopo esser stato atrocemente torturato, viene fucilato dalle SS naziste il 19 febbraio 1945 a San Vittore Olona.

    Gli anarchici dopo la sua morte, in suo onore, costituiranno le Brigate Bruzzi e Malatesta forti di 1.300 partigiani.

    Bibliografia

    • L. Bettini « Bibliografia... », op. cit. Italino Rossi La ripresa del movimento... op. cit. // «Adunata dei refrattari», 31 gennaio 1942

     

     
    Tomba di Pietro Bruzzi al Cimitero Maggiore di Milano

    Zibibbo Antonio - Opera propria

    tomba del partigiano anarchico Pietro Bruzzi nel cimitero Maggiore di Milano

    Pino Cacucci (Alessandria, 1955) è uno scrittore italiano, molto vicino all'anarchismo. 

    Biografia

    Nel movimento anarchico

    Cacucci cresce a Chiavari, dove ha i suoi primi contatti con il movimento anarchico. Nel 1974 partecipa alla fondazione del Gruppo Durruti del Tigullio e frequenta il Circolo Studi Sociali "Pietro Gori" di Genova. Distributore di "A - Rivista Anarchica", per la quale collabora ancora adesso come fotografo e occasionalmente autore, viene schedato per la sua attività di propaganda .

    Nel 1975 si trasferisce a Bologna per frequentare il DAMS. Nel capoluogo emiliano frequenta il Cassero di Porta S. Stefano (oggi Circolo anarchico "Camillo Berneri"), dove incontra Libero Fantazzini, padre di Horst.

    Negli anni '80 Cacucci comincia a spostarsi nel Sudamerica, spazio che assume ben presto un ruolo importante sia nella sua narrativa che nella sua vita. Cacucci passa infatti molto tempo in zone come il Nicaragua, che frequenta con l'amico Stefano Tassinari (anch'egli scrittore, ma comunista) attratto dalla «miscela rivoluzionaria di socialismo tropicale e cristianesimo di base» , e il Messico. Cacucci ha anche stretto amicizia con alcuni noti scrittori sudamericani, come Luis Sepúlveda.

    Col tempo Cacucci ha allargato i soi orizzonti politici, salutando favorevolmente il movimento no-global e, in virtù del suo interesse per le combinazioni politiche sudamericane, solidarizzando con i governi "progressisti" susseguitisi dagli anni '90 al primo decennio del XXI secolo, come quelli di Lula, della Kirchner  o di Evo Morales.

    Pubblica il suo primo libro, "Outland Rock", nel 1988: quello stesso anno vince il Premio Mystfest. Il secondo, "Puerto Escondido", diventa invece un film diretto da Gabriele Salvatores.

    Lo scrittore libertario

    Con la sua terza opera comincia un percorso di riscoperta della storia e delle personalità dei movimenti di resistenza: con "Tina", Cacucci scrive infatti la biografia di Tina Modotti, fotografa e militante comunista messicana.

    Dopo "Tina", Cacucci si occupa di altri ritratti libertari, spesso rendendoli in forma di racconto breve: è il caso di quelli contenuti nei volumi "Ribelli!" (2001) e "Nessuno può portarti un fiore" (2012), pubblicati a dieci anni di distanza ma strutturati in maniera pressoché identica. Cacucci descrive, tra le altre, molte personalità anarchiche poco note l lettore medio, come Francisco Sabaté, Sacco e Vanzetti, Alexandre Marius Jacob (Ribelli!), Clément Duval, Sante Pollastro, Louis Chaval, Horst Fantazzini (Nessuno può portarti un fiore). Cacucci tende comunque a evidenziare, nei suoi racconti, il lato libertario di ogni protagonista, indipendentemente dalla sua adesione all'anarchismo.

    Nel libro "Oltretorrente", Cacucci descrive le giornate di Parma del 1922, durante le quali gli antifascisti guidati da Guido Picelli e Antonio Cieri sconfissero le squadracce di Italo Balbo.

    Il caso: In ogni caso nessun rimorso

    Il recupero ancora oggi più importante operato da Cacucci è quello compiuto con "In ogni caso nessun rimorso" (Longanesi, 1994), libro che racconta la vicenda della Banda Bonnot, gruppo anarchico illegalista di Jules Bonnot, la cui memoria è stata in passato osteggiata anche dal movimento anarchico ufficiale. Il successo di "In ogni caso nessun rimorso" all'interno dei movimenti di contestazione emerge anche dalla presenza costante del titolo nella pratica di piazza definita book bloc, tipica del movimento studentesco .

    Tuttavia, il libro è stato criticato dal settimanale anarchico "Canenero", che nella riscrittura della vicenda della Banda Bonnot ha visto un tentativo di depotenziare e rendere sostanzialmente innocuo l'esempio della rivolta degli anarchici francesi:

    «Ammettiamo che è la nostra malignità a bisbigliarci all'orecchio che tutto ciò mira essenzialmente a consolare la noia mortale che affligge la vita degli individui ormai mansuefatti. Per non parlare poi dell'impatto che possono avere queste opere all'interno del movimento, dove in un certo senso assolvono lo stesso compito svolto dalle vecchie canzoni anarchiche, quelle bellicose, piene di sangue e dinamite, che tutti conoscono a memoria e che è tanto bello cantare – possibilmente in coro – al fine di riscaldare i cuori intirizziti dalla glaciazione sociale del momento. I più speranzosi accarezzano l'ipotesi che questi libri didascalici possano incitare all'azione, ma a noi sembra più verosimile pensare che servono soprattutto a sollevare il morale dei compagni, fornendo loro una rappresentazione facile da consumare. [...] Ma, in fin dei conti, poco importa se l'attuale riscoperta di Bonnot e dei suoi compagni sia motivata da intenzioni buone oppure cattive. Per quel che ci riguarda, questa operazione non può che contribuire all'edificazione di quella formidabile contraffazione estetica che, al di là di ogni previsione, è sul punto di ricoprire la totalità dell'esistente. [

    I compagni di "Canenero" hanno criticato lo stesso Cacucci, accusandolo di aver lucrato sulla storia del movimento anarchico, di cui egli stesso ha fatto parte:

    «Non possiamo esimerci dallo spendere alcune parole sul conto dello stesso Cacucci. Evidentemente la rivoluzione non paga, di certo non quanto avrà pagato la Longanesi per questo libro. Per chi un tempo è stato un “anarchico” – come Cacucci, per l'appunto – cosa c'è di meglio del capitalizzare quanto si è avuto modo di conoscere bene? Nulla di strano, dunque. Neanche ritrovarlo in mezzo ad altri prodotti in plastica sugli scaffali di un supermercato. Come tanti altri reduci, Cacucci ha compreso che in quest'epoca della depressione è molto più redditizio sbriciolare ogni idea e azione fino ad ottenerne un prodotto culturale, con una evidente predilezione per ciò che in partenza non lo era affatto, piuttosto che perdersi dietro alle utopie. »

    Note


  • P. Cacucci, La mia anarchia, da A - Rivista Anarchica, anno 40 n.358

  • P. Cacucci, "Nicaragua, violentemente dolce", da Nuova rivista letteraria, n.6 ottobre 2012

  • L. Apicella, Cacucci e il nuovo libro: “Metto in discussione il capitalismo con 7 storie di uomini liberi”, Il Fatto Quotidiano

  • Carmilla Online, NEW EPIC BLOC. Tre anni dopo il "memorandum" sul NIE (Primi aggiornamenti 2011), carmillaonline.com

  • "In ogni caso nessun rimorso", da Canenero, n. 43, 20 dicembre 1996, consultabile su finimondo.org

    1. "In ogni caso nessun rimorso", da Canenero, n. 43, 20 dicembre 1996, consultabile su finimondo.org

    Bibliografia

    Romanzi

    • Outland rock (Transeuropa, 1988; ristampa Mondadori, 1991; ripubblicato Feltrinelli, 2007)
    • Puerto Escondido (Interno Giallo, 1990; ripubblicato Mondadori)
    • Tina (Interno Giallo, 1991; ripubblicato TEA; ripubblicato Feltrinelli)
    • San Isidro Futból (Granata Press, 1991; ripubblicato Feltrinelli, 1996)
    • Punti di fuga (Mondadori, 1992; ristampato Feltrinelli, 2000)
    • La polvere del Messico (Mondadori, 1992; ripubblicato Feltrinelli nel 1996)
    • Forfora (Granata Press, 1993; ripubblicato in edizione ampliata con titolo "Forfora e altre sventure" per Feltrinelli, 1997)
    • In ogni caso nessun rimorso (Longanesi, 1994; ripubblicato TEA; ripubblicato Feltrinelli, 2001)
    • Camminando. Incontri di un viandante (Feltrinelli, 1996)
    • Demasiado corazón (Feltrinelli, 1999)
    • Ribelli! (Feltrinelli, 2001)
    • Gracias México (eltrinelli, 2001)
    • Mastruzzi indaga (Feltrinelli, 2002)
    • Oltretorrente (Feltrinelli, 2003)
    • Tobacco, con Gloria Corica e Otto Gabos (Bande Dessinée, 2005)
    • Nahui (Feltrinelli, 2005)
    • Un po' per amore e un po' per rabbia (Feltrinelli, 2008)
    • Le balene lo sanno (Feltrinelli, 2009)
    • Sotto il cielo del Messico (Feltrinelli, 2009)
    • La giustizia siamo noi (Rizzoli 2010)
    • Nessuno può portarti un fiore (Feltrinelli, 2012)
    • Vagabondaggi (Feltrinelli, 2012)
    • Mahahual (Feltrinelli, 2014)
    • Quelli del San Patricio (Feltrinelli, 2015)

    Teatro

    • L'ombra di Rodolfo (da "Un po' per amore e un po' per rabbia" - Feltrinelli, 2008)
    • Viva la vida! (Feltrinelli, 2010)

     
     
     









    Pino Cacucci
     
    Sante Caserio

    Sante Geronimo Caserio (Motta Visconti, 8 settembre 1873 - Lione, 16 agosto 1894) è stato un anarchico italiano che nel 1894 pugnalò a morte il presidente della repubblica francese Marie-François Sadi Carnot. Mai pentito del gesto, fu condannato a morte per ghigliottinamento.

    «La patria non esiste per noi poveri operai. La patria per noi è il mondo intero... voi siete i rappresentanti della società borghese, Signori giurati; se voi volete la mia testa, prendetevela; ma non crediate con questo di arrestare la propaganda anarchica.» 
     

    Biografia

    La famiglia

    Nato a Motta Visconti (Milano) in una modesta famiglia, Sante Geronimo Caserio è il settimo di otto figli. I genitori, Martina Broglia e Antonio, gli mettono il nome Geronimo in onore al celebre capo Apache. Suo padre era stato arrestato nel 1848 con l'accusa di contrabbando nel periodo delle guerre napoleoniche. Le guardie austriache l'avevano fermato al confine del fiume Ticino puntandogli contro le pistole e minacciando di far fuoco. La paura provata in quei momenti, oltre ad una tara ereditaria, scateneranno in Antonio delle fortissime crisi epilettiche che da quel momento lo accompagneranno per tutta la sua vita.

    Educato cristianamente, la vita del piccolo Sante si divide tra la frequentazione della piccola scuola del paese e la partecipazione alle funzioni religiose. 

    Primi contatti con gli ambienti anarchici

    Morto il padre nel 1887 per colpa della pellagra, una malattia diffusa tra le classi più povere dell'epoca, all'età di 10 anni Sante Caserio, non volendo pesare sulla madre, a cui sarà sempre affezionato, si trasferisce a Milano in cerca di lavoro. Assunto come apprendista garzone in una panetteria, con i pochi soldi guadagnati, invece di spenderli al gioco o nelle osterie, inizia a leggere giornali e libri e ad interessarsi di questioni politico-sociali.

    Grazie alla lettura di giornali anarchici, all'età di 18 anni compie una maturazione politica tale che lo porta a definirsi anarchico, anche se i primi contatti con quegli ambienti erano avvenuti ben prima. Le sue letture preferite sono quelle di Kropotkin e Hugo, che ben descrivevano quei patimenti umani che lui stesso viveva. Sante non è un abile oratore, di conseguenza non ha parte molta attiva nelle riunioni dei vari gruppi anarchici. Di più, sapendo di dare un dispiacere alla madre e sapendo anche di rischiare il licenziamento, inizialmente non palesa le sue idee antiautoritarie.

    È il fratello maggiore il primo a scoprire che Sante è diventato anarchico, facendo nascere animate discussioni in famiglia. Quando poi è la volta del datore di lavoro a fare la scoperta, Caserio viene immediatamente licenziato.

    Attività anarchiche e antimilitariste

    «Ho pensato sempre che di debiti alla patria ed ai suoi pasciuti ne abbiam pagati e ne paghiamo di troppi. La difendano coloro che se la godono, la patria!»

    Sante a Milano è tra i fondatori di un piccolo circolo anarchico denominato A Pè («A Piedi», nel senso di senza soldi). Pietro Gori lo ricorderà come un compagno molto generoso, raccontando di averlo visto, davanti alla Camera del Lavoro, dispensare ai disoccupati pane e opuscoli anarchici stampati con il suo misero stipendio.

    Nel 1892 è tra gli anarchici arrestati con l'accusa di aver distribuito volantini ai i soldati Porta-Vittoria. Processato, viene condannato a otto mesi di reclusione. La notizia della pena inflitta causerà un grande dolore alla madre e l'insorgere di una malattia che perdurerà diversi mesi.

    Rilasciato su cauzione, per sfuggire al servizio militare trascorre tre mesi a Lugano svolgendo la mansione assistente panettiere; poi attraversa il paese ed è arrestato a Losanna e Ginevra. Il 21 luglio dello stesso anno arriva in Francia, precisamente a Lione, dove trova lavoro come corriere postale. In seguito trascorre tre settimane a Vienne ed infine nel mese di ottobre raggiunge Cette, dove viene assunto in una panetteria come fornaio.

    Ricoverato in ospedale per un mese, dopo la dimissione comincia a frequentare un gruppo di anarchici incontrato al Café Gard.

    L'assassinio di Carnot

    Caserio prosegue nel lavoro di fornaio a Cette fino al 23 giugno 1894, quando si dimette dopo un alterco col titolare. Con i soldi della liquidazione si reca all'armeria di William Vaux, in via La Caserne, acquista un coltello con una lama di 16 cm recante la scritta «Souvenir di Toledo»  e si dirige verso la stazione di Montbazin. Alle 15:00 prende il treno per Vienne, ma l'obiettivo è quello di arrivare a Lione, raggiunta effettivamente domenica pomeriggio (24 giugno) dopo aver percorso a piedi i 27 km che la separano da Vienne.  Caserio sapeva che quel giorno il presidente della Francia, Marie François Sadi Carnot, era in visita alla città e che alle 21:15 aveva appuntamento al teatro dell'opera.

    Egli ha probabilmente tutta l'intenzione di uccidere il presidente e per questo si dirige verso il corteo presidenziale. Così, durante il processo, racconterà i fatti accaduti:

    «Avevano appena detto che erano le 9 e 5, tutti cominciavano ad agitarsi. Non era passata che una sola carrozza chiusa, in procinto di giungere dall'Opéra alla Borsa per ripartire al più presto in senso opposto. Poi abbiamo ascoltato la Marsigliese. All'improvviso son passati veloci, per assicurare la libertà del passaggio su via della Repubblica, quattro cavalieri della guardia repubblicana. Poi sono arrivati a piccoli passi dei militari a cavallo in plotoni di cinque fila o poco meno. Dopo la prima truppa un cavaliere da solo aveva la sua trombetta senza suonarla. Poi un secondo plotone come il primo. Infine il calesse scoperto del presidente della Repubblica, di cui i cavalli avevano la testa a circa tre passi dalla parte posteriore dell'ultimo plotone.
    Nel momento in cui gli ultimi cavalieri della scorta mi sono passati di fronte, ho aperto la mia giacca. Il pugnale era, con la punta in alto, in un'unica tasca, dal lato destro, all'interno sul petto. L'ho afferrato con la mano sinistra e in un solo movimento, spingendo i due giovani fermi davanti a me, riprendendo il manico con la mano destra e facendo scivolare con la sinistra la guaina che era caduta per terra, mi sono diretto vivamente ma senza scattare, dritto verso il presidente, seguendo una traiettoria un poco obliqua, in senso contrario all'andamento della vettura.
    Sono saltato sul marciapiede ed ho appoggiato la mano sinistra sul bordo dell'auto, e in un solo colpo ho portato leggermente dall'alto verso il basso, col palmo della mano indietro, le dita serrate al pugnale fino alla guardia, nel petto del presidente. Ho lasciato il pugnale nella ferita ed era rimasto attaccato al manico un pezzo di carta di giornale.
    Sferrando il colpo, ho gridato, forte o meno, non lo saprei dire: “Viva la Rivoluzione!”. A colpo assestato, mi sono inizialmente rigettato all'indietro; poi vedendo che non mi si fermava subito e che nessuno sembrava aver compreso cosa avessi fatto, mi sono messo a correre avanti alla carrozza e passando accanto ai cavalli del presidente, ho gridato “Viva l'anarchia!”, grido che i guardiani della pace hanno ben udito. Poi sono passato davanti ai cavalli del presidente, e dietro la scorta, dirigendomi sulla sinistra di traverso per cercare di passare attraverso la folla e sparire. Delle donne e degli uomini hanno rifiutato di lasciarmi passare, poi hanno gridato dietro: “Fermatelo!”. Un gendarme, di nome Nicolas Pietri, mi ha messo la mano al colletto e sono stato subito fermato da una ventina d'altri.» 

    Intanto, dopo essere stato operato dal Dottor Poncet, il presidente Carnot muore alle 00:45 del 25 giugno all'Hotel della Prefettura.

    L'arresto

    Sante Caserio è immediatamente tratto in arresto e portato alla stazione di polizia in rue Molière. I giornalisti possono vederlo in faccia, mentre se ne sta in piedi, accanto al muro, con i polsi ammanettati e la testa china. Indossa un abito di lana marrone chiaro e un cappello dello stesso colore. 

    Interrogato dal prefetto di polizia e da altri funzionari, dichiara di essere italiano e di avere 22 anni. Quando gli si chiede il nome risponde forte e chiaro: Geronimo Sante Caserio.

    Viene portato alla Prigione di Saint Paul, a Lyon, edificio C, nella cella numero 41. Nel frattempo in molte città francesi erano scoppiate numerose proteste anti-italiane e diversi cittadini di origine italiana erano stati malmenati.

    Il giorno seguente, Caserio viene portato al Palazzo di Giustizia per essere interrogato dal Giudice Istruttore M. Benoist:
    «Vediamo Caserio, perché avete vouto uccidere il presidente? Avete rancore contro di lui?»
    «No, era un tiranno. L'ho ucciso per questo.»
    «Sei un anarchico?»
    «Sì. Sono orgoglioso di esserlo.»
    «Perché l'hai ucciso?»
    «Lo dirò alla giuria. Conoscerà il motivo del mio gesto. Vi spiegherò le mie ragioni.»
    «Hai complici?»
    «No. Ho fatto da solo, senza essere spinto da nessuno.»
    «Conosci qualcuno a Lione? Avete conoscenze qui?»
    «Nessuno. Non conosco la città. Ho sempre lavorato lontano da qui, a Vienne, in una panetteria, fino ad un anno fa.»
    «Insisti che non hai complici?»
    «Sì, però, a proposito, il presidente è morto?»...

    Sante, che indossa una camicia di forza, è costretto a mettersi in posa per le foto della stampa. In carcere, prima del processo, rifiuta i conforti religiosi, appare sereno, addirittura sarcastico quando chiede al direttore del carcere di poter scrivere una lettera al nuovo presidente di Francia Jean Casimir-Perier. Vorrebbe chiedergli un finanziamento, dal momento che egli era potuto diventare presidente per merito suo che aveva ucciso Carnot.

    Col passare del tempo, l'isolamento fa però sentire i suoi effetti e cominciano ad insorgere in lui i primi sintomi della depressione.

    Il processo

    Il processo si svolge in due soli giorni, il 2 e 3 agosto; Caserio ha un avvocato d'ufficio, Porthus. Di fronte alla Corte di Giustizia e alla giuria, l'imputato si presenta inizialmente calmo, tranquillo e sorridente. Con lo sguardo osserva minuziosamente tutta la sala e i presenti. Ascolta le domande aiutato da un interprete (non conosceva perfettamente il francese) e risponde con voce monotona. Il Procuratore Generale, Fochier, interroga i testimoni: il generale Vorius, capo della Casa Militare del presidente, il generale Voisin, i dottori Ollier, Poncet, Lacassagne e altri luminari della Facoltà di Medicina di Lione. Tra i testimoni c'è anche il soldato e delatore Leblanc, che aveva conosciuto Caserio in ospedale e a cui avrebbe confessato la volontà di uccidere il presidente. Questo, secondo l'accusa, dimostrerebbe che c'era la premeditazione. 

    Durante i due giorni non si mostra mai pentito, non chiede mai pietà, respinge il tentativo di voler dimostrare l'esistenza di un complotto ordito insieme ad altre persone. Nega con vigore che Pietro Gori sia stato il suo maestro, addossandosi ogni responsabilità. Quando il giudice gli offre la possibilità di ottenere l'infermità mentale se avesse fatto i nomi di alcuni compagni, Caserio rifiuta sprezzantemente rispondendo con una frase che ha fatto storia: «Caserio fa il fornaio, non la spia».

    L'interrogatorio

    Vediamo alcuni stralci dell'interrogatorio processuale secondo la ricostruzione di Rino Gualtieri in Per quel sogno di un mondo nuovo 

    Sante scrolla le spalle.
    «Vostro padre fu malato?»
    «No signore.»
    «Voi appartenete ad un'onesta famiglia. Vostra madre, giudicando dalle sue lettere, è una donna di sentimenti elevati. Frequentavate la scuola, ma spesso mancavate.».
    Sante sorride: «Se avessi avuto maggiore istruzione sarebbe stato meglio.»
    «A dieci anni eravate garzone di calzolaio, facevate da angelo nelle processioni.»
    «I ragazzi non sanno quello che fanno.»
    «Voi avete atteso il Presidente per assassinarlo?»
    «Sissignore.»
    «Vediamo come siete arrivato a questo punto. Fu dopo il processo agli anarchici a Roma nel 1891 che siete diventato anarchico?»
    «No.»
    «Avete frequentato le conferenze dell'avvocato Gori?»
    «Quando Gori venne a Milano io ero già anarchico.»
    «Ma le seguiste, le conferenze?»
    «Ci andavano tutti ed andai anch'io.»
    «La vostra famiglia fece il possibile per togliervi dall'anarchia?»
    «Voglio bene alla mia famiglia ma non può sottomettermi al suo volere. La mia famiglia è l'umanità.»
    «A Milano facevate parte del gruppo cui apparteneva Ambrogio Mammoli?»
    «Anche se lo conoscessi non lo direi, non sono un agente di polizia.»
    «Nel 1892 foste arrestato mentre facevate propaganda anarchica fra i soldati in un quartiere detto di Porta Vittoria?»
    «Sissignore.»
    «Nel 1893 foste disertore?»
    «La mia patria è il mondo intero.»
    «Voi sapevate che il giorno in cui avete ucciso il Presidente era l'anniversario della battaglia di Solferino, nella quale i francesi sparsero il loro sangue in aiuto degli italiani?»
    «Il 24 giugno so che è la festa di S. Giovanni, patrono del mio paese. E poi tutte le guerre sono guerre civili.»
    «L'accusa sostiene che voi abbiate compiuto il delitto premeditatamente.»
    «È vero.»
    «Voi avete ucciso il Presidente perché siete anarchico?»
    «Sì.»
    «E come tale odiate tutti i capi di Stato?»
    «Sì.»
    «Una volta diceste pure che sareste andato in Italia ad uccidere il Re e il Papa.»
    Sante sorride: «Il Re e il Papa non si possono ammazzare insieme, perché non sono mai insieme.»
    «Un soldato vi intese dire in febbraio che sareste andato a Lione ad uccidere Carnot.»
    «Faccio rilevare che nel mese di febbraio non potevo dire che sarei andato a Lione per suicidare [testuale] Carnot, perché allora non si poteva sapere che il Presidente vi sarebbe andato.»
    «Se la verità intera, non si può sapere, è pero certo che dopo il rifiuto della grazia a Vaillant, Carnot ricevette lettere di minaccia dagli anarchici; che ne dite? Voi dovete avere dei capi.»
    «Nessuno mi comandò, eseguii tutto da me solo.»
    «Con quale diritto avete ucciso il Presidente, il diritto naturale lo proibisce, questo lo sapete?»
    «Ho ucciso quell'uomo perché era un simbolo, il responsabile di quanto era accaduto giusto l'anno prima, il 24 giugno 1893 ad Aigues Mortes alle saline vicino a Nimes.»
    «E l'ha ritenuto responsabile anche di non aver concesso la grazia a Vaillant?»
    «Assolvere tutti senza nemmeno una condanna è stata un'infamia, è come se i miei connazionali fossero stati uccisi una seconda volta. Vaillant è un'altra questione.»
    «Quando i capi di uno Stato condannano non è per capriccio ma vi fu prima un giudizio, voi invece vi siete fatto accusatore, giudice e carnefice nello stesso tempo.»
    A questo punto Caserio stenta a capire e l'interprete gli fa capire ancora meno. Fra il pubblico si sente qualche moto d'ilarità.
    Quando alla fine comprende: «Ora stiamo parlando del fatto e non voglio dire perché mi sono vendicato. E i governi che fanno uccidere milioni di individui?»
    «Avete vent'anni, siete ben giovane per giudicare la società.»
    «Se sono giovane per giudicare la società, lo sono anche i militari che vanno a farsi ammazzare. Sono dunque degli imbecilli?»
    «Ma i militari difendono la loro patria.»
    «Difendono invece gli interessi degli industriali e dei banchieri, quindi sono degli imbecilli.»

    L'arringa di Caserio di fronte alla giuria

    Caserio, che in pratica ha scelto di non difendersi, chiede di leggere una dichiarazione alla giuria, una vera e propria apologia dell'anarchismo:

    «Signori giurati! Non pronuncerò una difesa, ma piuttosto una spiegazione del mio atto.
    Fin dalla tenera età, ho imparato che l'attuale società è organizzata in modo pessimo, tanto che ogni giorno ci sono diversi sventurati che si suicidano, lasciando mogli e figli nella più terribile disperazione. Gli operai, a migliaia, cercano lavoro senza poterlo trovare. Ci sono famiglie povere che chiedono l'elemosina per mangiare e tremano per il freddo; esse si trovano nella più grande miseria; i più piccoli chiedono da mangiare, e le loro povere madri non possono dargliene perché non hanno niente. Tutto quello che era in casa è già stato venduto o scambiato. Tutto quanto possono fare è solo di chiedere l'elemosina, e spesso vengono arrestate per vagabondaggio.
    Ho lasciato la mia terra natale perché mi veniva spesso da piangere nel vedere delle bambine di otto o dieci anni, costrette a lavorare 15 ore al giorno per una paga miserabile di 20 centesimi. Vi sono ragazze di 18 o 20 anni che lavorano anche 20 ore al giorno per un salario ridicolo. E questa non è solo la sorte dei miei compatrioti, ma di tutti gli operai che sudano tutto il giorno per un boccone di pane, nonostante che il loro lavoro crei molta ricchezza. Gli operai sono costretti a vivere nelle condizioni più miserabili, e il loro cibo consiste in un po'di pane, qualche cucchiaiata di riso, e dell'acqua; così quando arrivano a 30 o 40 anni, sono morti di fatica e vanno a finire i loro giorni negli ospedali.
    Inoltre, conseguenza di una cattiva alimentazione e del sovraffaticamento, queste tristi creature sono, a centinaia, divorate dalla pellagra – una malattia che, nel mio paese, colpisce, come dicono i dottori, quelli che sono malnutriti e conducono una vita fatta di fatica e privazioni.
    Io mi sono reso conto che vi sono molte persone che hanno fame e molti bambini che soffrono, mentre il pane e gli abiti abbondano nelle città. Ho visto molte industrie piene di abiti e di prodotti di lana, e ho visto anche dei magazzini che traboccano di grano e granturco, che servirebbero a chi ne ha bisogno. E, dall'altro lato, ho visto migliaia di persone che non lavorano affatto, che non producono niente e che vivono grazie al lavoro degli altri; che spendono ogni giorno migliaia di franchi per divertirsi; che corrompono le figlie degli operai; che possiedono abitazioni di quaranta o cinquanta stanze; venti o trenta cavalli; molti servitori; in una parola, tutti i piaceri della vita.
    Io credo in Dio, ma quando vedo una tale diseguaglianza tra gli uomini, mi rendo conto che non è stato Dio a creare l'uomo, ma l'uomo a creare Dio. Ed ho scoperto che sono quelli che vogliono proteggere le loro proprietà ad avere interesse a predicare l'esistenza del paradiso e dell'inferno, e a mantenere il popolo nell'ignoranza.
    Poco tempo fa, Vaillant ha lanciato una bomba nella Camera dei Deputati, per protestare contro l'attuale sistema della società. Non ha ucciso nessuno, solo ferito qualche persona; ma la giustizia borghese l'ha condannato a morte. E, non soddisfatta della condanna dell'uomo colpevole, ha perseguitato gli Anarchici e arrestato, non solo quelli che conoscevano Vaillant, ma anche quelli che erano presenti ad una pubblica lettura anarchica.
    Il governo non ha pensato alle loro mogli e ai loro figli. Non ha pensato che l'uomo detenuto in cella non è l'unico a soffrire, che i piccoli chiedono il pane. La giustizia borghese non si è fatta turbare dal caso di questi innocenti, che non sanno nemmeno che cosa sia la società. Non è colpa loro se il loro padre è in prigione; chiedono solo da mangiare.
    Il governo viene a frugare nei domicili privati, ad aprire lettere personali, a vietare letture pubbliche e incontri, a praticare l'oppressione più infame contro di noi. Anche oggi, centinaia di Anarchici sono arrestati solo per avere scritto un articolo in un giornale o espresso una opinione in pubblico.
    Ebbene, se il governo usa contro di noi i fucili, le catene, le prigioni, dovremmo forse noi, gli Anarchici, noi che difendiamo la nostra vita, restare chiusi in casa? No. Al contrario noi rispondiamo al governo con la dinamite, le bombe, i coltelli, i pugnali. In una parola, noi dobbiamo fare quello che è possibile per distruggere la borghesia e i governi. Signori della Giuria, voi siete i rappresentanti della società borghese. Se volete la mia testa, prendetevela; ma non crediate che in questo modo fermerete il movimento anarchico.
    Fate attenzione, l'uomo raccoglie ciò che semina.» 

    La sentenza

    Alla fine del secondo giorno viene letta la sentenza, che è quella ampiamente prevista: condanna a morte tramite ghigliottina.

    Quello stesso giorno Sante scrive una lettera all'amata madre per fargli avere la notizia della condanna:

    «Cara madre, vi scrivo queste poche righe per farvi sapere che la mia condanna è la pena di morte.
    Non pensate [male] o mia cara madre di me? Ma pensate che se io commessi questo fatto non è che sono divenuto [un delinquente] e pure molto vi dirano che sono un assassino un malfattore. No, perché voi conosciete il mio buon cuore, la mia dolcezza, che avevo quando mi trovavo presso di voi? Ebbene anche oggi è il medesimo cuore: se ho commesso questo mio fatto è precisamente perché ero stanco di vedere un mondo così infame.
    Ringrazio il signor Alessandro che è venuto a trovarmi ma io non voglio confessarmi.
    Addio cara mamma e abbiate un buon ricordo del vostro Sante che vi ha sempre amato.» (Lione, 3 agosto 1894)

    L'esecuzione

    Caserio inizialmente sembra tranquillo, ma via via che passano i giorni si mostra sempre più cupo e depresso. Ogni tanto però gli torna il buonumore oppure cerca semplicemente di dissimulare i suoi patimenti lasciandosi andare a divertenti battute:

    «San Pietro non mi aprirà le porte del paradiso e sarò inviato all'inferno con Ravachol, Henry e Vaillant, e lì, noi quattro, organizzeremo una rivoluzione tra i dannati, pugnaleremo il diavolo e apriremo le porte del Paradiso.» 

    Sante firma un documento preparato dal suo avvocato in cui chiede che il suo corpo non venga utilizzato dalla scienza, dal momento che anche da morto non voleva diventare strumento in mano alla ricca borghesia. Avrebbe preferito esser cremato, ma a Lione non esistevano forni crematori adibiti a tale scopo.

    Il 15 agosto il suo avvocato d'ufficio riceve un telegramma che gli intima di presentarsi in carcere perché l'esecuzione è prevista per il giorno seguente. Alle prime ore della mattina di giovedì 16 agosto arriva in carcere il boia, Louis Antoine Stanislas Deibler, lo stesso che aveva ghigliottinato gli anarchici Ravachol, Vaillant e Henry.

    Alle 4:30 del mattino, il direttore del carcere, Raux, il dottor Blanc e l'avvocato Porthus entrano nella sua cella, lo svegliano e gli dicono di prepararsi. Sante capisce che è giunta la sua fine, trema ed ha difficoltà a vestirsi. Gli chiedono se ha qualcosa da dire, risponde «NO!». Gli chiedono se desidera l'assistenza di un prete, risponde «NO!». Gli offrono un pò di alcol, risponde ancora una volta «NO!». 

    In piedi, davanti al patibolo, negli ultimi secondi della sua vita, Sante si ricompone, i tremori terminano e muore come un anarchico; deciso, forte e coraggioso. Dalla sua bocca esce un ultimo grido di guerra, che motiverà tanti altri che ricorderanno negli anni avvenire il suo gesto... Sono le cinque del mattino e per l'ultima volta si sente la sua voce di anarchico, un urlo traboccante di desiderio di giustizia e di incoraggiamento per tutto il movimento:

    «Forza, compagni! Viva l'anarchia!».

    Il cadavere senza testa è posto nel veicolo e trasportato al vecchio cimitero di Guillotière, dove il commissario di polizia Picard ne supervisiona la sepoltura. Il boia, dopo aver ripulito i suoi strumenti, si mette in viaggio per Montbrison, dove avrebbe dovuto ghigliottinare un'altra persona.

    Dopo la morte si susseguiranno in Francia tumulti contro gli italiani e gli anarchici scesi invece in strada a solidarizzare con Caserio. Un anarchico viene arrestato per aver gridato la propria simpatia verso Caserio in un locale pubblico e un carcerato viene percosso violentemente per lo stesso motivo. Il gesto dell'anarchico italiano aveva risvegliato qualcosa nel cuore dei ribelli oppressi di Francia.

    In ricordo di Caserio

    Sulla figura di Caserio si è in seguito diffusa una vasta quantità di opere destinate a ricordarne la memoria. Oltre alla letteratura (libri, articoli, scritti vari), in particolar modo si è sviluppata una tradizione popolare di canti e di memoria collettiva che dura ai giorni nostri. Numerosissime sono le canzoni a lui dedicate, che in parte sono state tramandate oralmente ma che ancora oggi vengono cantate con la stessa emozione di un tempo. 

    Canzoni

    • Le ultime ore e la decapitazione di Sante Caserio, di P.Cini
    • La ballata di Sante Caserio, di Pietro Gori
    • Sante Caserio del gruppo anarchico Youngang
    • Su fratelli pugnamo da forti, de Les anarchistes
    • Partito da Milano senza un soldo di autore anonimo
    • Mesanoc an sl'aqua, della Banda Brisca
    • L'interrogatorio di Caserio

    Letteratura

    • In difesa di Sante Caserio, di Pietro Gori

    Bibliografia

    • Gianluca Vagnarelli, Fu il mio cuore a prendere il pugnale, edizioni Zero in condotta, 2013
    • Giovanni Ansaldo, Gli anarchici della Belle Époque, Le Lettere, Milano 2010
    • Errico Malatesta, Dialoghi sull'anarchia, Gwynplaine edizioni, Camerano (AN) 2009
    • Rino Gualtieri, Per quel sogno di un mondo nuovo, Euzelia editrice, Milano 2005
    • M. Antonioli, Sante Geronimo Caserio, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 333-335
    • Pier Carlo Masini, Storia degli anarchici ital. da Bakunin a Malatesta, Milano 1969
    • E. Sernicoli, Gli attentati contro i sovrani, principi e primi ministri (note cronologiche in appendice al libro L'anarchia e gli anarchici, Milano 1894)
     
    Copertina de Le Petit Journal del 2 luglio 1894, con un'illustrazione dell'assassinio di Sadi Carnot

    Signature not readable - Le Petit Journal supplément illustré, 1894-07-02 (BnF Gallica)

    Illustration of French President Sadi Carnot's assassination

     
    Copertina de Le Petit Journal del 2 luglio 1894, con un'illustrazione dell'assassinio di Sadi Carnot

    Signature not readable - Le Petit Journal supplément illustré, 1894-07-02 (BnF Gallica)

    Illustration of French President Sadi Carnot's assassination

     
    Caserio in prigione

    Unknown (postcard) 

    Casério dans la chambre d’attente de la cour d’assises - 1894.

    Copertina di Le Progrès illustré, del 20 agosto 1894, illustrazione dell'esecuzione di Caserio, avvenuta a Lione il 16 agosto 1894 nei pressi della prison Saint-Paul all'angolo tra la rue Smith e cours Suchet.

    Sconosciuto 

    L'exécution de Caserio in Le Progrès illustré, couverture du N° ? du dimanche 20 août 1894 du "supplément littéraire du Progrès de Lyon. Jeronimo Caserio (1873-1894), anarchiste assassin du président français Sadi Carnot fut executé le 16 août 1894, sous la guillotine installée près de la prison Saint-Paul, à l'angle de la rue Smith et du cours Suchet, Lyon, France.

     

    le-petit-journal-30-julio-1894

    SANTE
     
    Portrait of Sante Caserio (1873-1894) Italian anarchist, assassin of Sadi Carnot 
     

    xit666's avatarSante Caserio  By xit666
     

    Sante Caserio uccide Sadi Carnot, illustrazione di Flavio Costantini

    Sante Caserio

    by Primitive Tape

     
     
     


     


    Nessun commento:

    Posta un commento