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mercoledì 10 maggio 2023

ANARCHICI & ANARCHIA 2

 ANARCHICI & ANARCHIA 2

Alfredo Maria Bonanno (Catania, 4 marzo 1937) è un anarchico italiano considerato tra i maggiori teorici dell'anarchismo insurrezionale. 

Alfredo Maria Bonanno è un anarchico catanese, nato nel 1937, i cui scritti hanno avuto una grande influenza nella corrente anarchica insurrezionalista, sia nazionale che internazionale.

Dall'Antigruppo all'anarchismo

Dopo l'esame di maturità trova lavoro come impiegato di banca. Laureato in Economia con una tesi sul pensiero economico antico e Filosofia con una tesi sul rapporto tra Stirner e l'anarchismo , Bonanno comincia a lavorare come dirigente di una piccola industria: molla il lavoro sia per impossibilità di far coincidere l'antiautoritarismo col suo incarico sia per i continui contrasti con i padroni che lo accusano di essere "estremista" e filo-operaio.  L'avvicinamento al pensiero anarchico non tarda ad arrivare e già nel finire degli anni '60 comincia lo sviluppo della sua personale riflessione antiautoritaria, incentivata dall'esperienza intellettuale dell'Antigruppo.

Gli anni '70: la produzione teorica

Il 29 ottobre 1972 Bonanno viene arrestato e condannato a 2 anni di reclusione per aver contribuito alla pubblicazione del numero unico di "Sinistra Libertaria" con un articolo in cui si incita all'insurrezione popolare.  In realtà, "Sinistra Libertaria" è il «primo tentativo organico realizzato da alcuni compagni che si richiamavano alla prospettiva insurrezionale»  di costituire un movimento rivoluzionario dotato di un programma.

Continua a scrivere numerosi articoli e saggi, uno dei quali, La gioia armata  (1977), gli "costa" un anno e mezzo di prigione e la censura per lungo tempo:

«[...] devo ricordare che il libro è stato condannato in Italia alla distruzione. Una sentenza della suprema corte italiana lo ha destinato al rogo. In tutte le biblioteche dove si trovava un suo esemplare è arrivata una circolare del ministero degli Interni per ordinare l'incenerimento. Non sono stati pochi i bibliotecari che si sono rifiutati di distruggere il libro, ritenendo tale pratica degna dei nazisti e dell'Inquisizione, ma il volume non è consultabile per legge. Allo stesso modo il libro non può circolare in Italia e molti compagni ne hanno avuto sequestrate delle copie nel corso di innumerevoli perquisizioni domiciliari. Per avere scritto questo libro, sono stato condannato ad un anno e mezzo di prigione». 

A partire dal 1975, partecipa al progetto della rivista "Anarchismo", bimestrale che diventa strumento di dibattito dei gruppi anarchici d'azione. Oltre a pubblicare contributi dei gruppi e delle individualità italiane, "Anarchismo" lascia spazio alla traduzione di molti documenti politici di gruppi internazionali (First of May Group, Revolutionäre Zellen...), non solo anarchici (vengono pubblicate anche analisi sviluppate dal giornale "Theorie Communiste", vicino alla critica radicale ).

Nel 1978 traduce, con lo pseudonimo di Giuseppe Alvisi, un pamphlet intitolato "Il mio testamento politico" e lo diffonde attribuendone la paternità a Jean-Paul Sartre, filosofo famoso a livello mondiale e teorico dell'"esistenzialismo marxista". Il "falso d'autore", che è in realtà un testo dell'Ottocento di Joseph Déjacque, ha toni insurrezionalisti e delinea un dettagliato progetto politico anarchico. Di tutta risposta, il suscettibile Sartre minaccia di denuncia Bonanno.  Dopo gli "anni 80" è redattore responsabile delle Edizioni Anarchismo e di ProvocAzione. Grazie alla sua attività editoriale anarchica, pubblica suoi e altrui saggi su Stirner, Bakunin, Hegel, sul pensiero individualista, sull'insurrezionalismo e sul nichilismo.

L'attività editoriale e teorica di Bonanno prosegue nelle riviste e nelle pubblicazioni, tra le quali il settimanale "Canenero", pubblicato dal 1994 al 1997.

Questa intensa attività teorica e pratica gli costa molte denunce e arresti: nel 1989 viene arrestato, insieme a Pippo Stasi, con l'accusa di aver compiuto una rapina ad una gioielleria di Bergamo.

La montatura Marini

Il 16 novembre 1995 i procuratori Antonio Marini e Franco Ionta danno inizio ufficialmente ad un'indagine contro gli ambienti anarchici che sfocerà in un'ondata repressiva qualche tempo dopo: la notte del 17 settembre 1996 numerosissime perquisizioni domiciliari vengono messe in atto ai danni di decine e decine di anarchici di diverse città; alcuni, tra cui Bonanno, vengono arrestati immediatamente (altri subiscono "solo" delle denunce) con l'accusa di appartenere ad una fantomatica organizzazione denominata Orai (Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica Insurrezionalista). 

Alla conclusione del processo, 20 aprile 2004, solo 11 dei 68 imputati vengono condannati, tra i quali lo stesso Alfredo Maria Bonanno (3 anni e 6 mesi in prima istanza, divenuti poi 6 anni e 2000 euro di multa in appello) per apologia e propaganda sovversiva, pur non essendo riconosciuto come militante effettivo di quel gruppo (in qualche modo è stato accusato di esserne l'ideologo).

Anni 2000: l'arresto in Grecia

Ai primi dell'ottobre 2009, insieme all'anarchico greco Christos Stratigopoulos, è arrestato a Trikala (Grecia) con l'accusa di concorso in rapina.  Dopo oltre un anno di detenzione preventiva, a metà del novembre 2010 si svolge a Larissa il processo a carico dei due: Bonanno, dopo essere stato condannato a 4 anni, ridotti poi a due, è stato scarcerato in quanto maggiore di 70 anni. Christos Stratigopoulos è stato invece condannato a 8 anni e 9 mesi di carcere.

Il pensiero

L'intransigenza di Bonanno ha spesso suscitato vivaci polemiche e discussioni interne al movimento anarchico, determinando fratture e divisioni all'interno dello stesso. Il suo pensiero è stato influenzato dalla figura di Josep Lluís i Facerías, che «quantunque in teoria si definisse anarcosindacalista e difensore acerrimo dell'organizzazione centralista, nella pratica rivendicava l'espropriazione e l'azione diretta e come metodo organizzativo raccomandava il minimo gruppo d'affinità». 

Organizzazione informale e gruppi d'affinità

Contrapponendosi all'anarchismo di sintesi, egli ha sempre diffuso l'idea dell'"organizzazione informale" e insurrezionale, basata su "gruppi d'affinità" - ovvero in pratica sull'aggregazione temporanea di singoli soggetti e/o gruppi di affinità, con obiettivi limitati nel tempo e diversi da gruppo a gruppo – teorizzando «l'uso della violenza rivoluzionaria» nel quadro di una strategia di attacco allo Stato.

La riflessione sull'organizzazione informale nasce dalla constatazione dell'obsolescenza dell'organizzazione di sintesi. Bonanno, in effetti, non rifiuta (per lo meno nel primo periodo della sua riflessione) il concetto di organizzazione specifica, ma intende adeguarlo alla realtà delle lotte particolari, sottraendolo all'attendismo e alla burocratizzazione derivata dalla pre-esistenza dell'organizzazione rispetto alle lotte:

«[...] l'organizzazione reale, la capacità effettiva (e non fittizia) di agire insieme, cioè di trovasi, studiare un approfondimento analitico e passare all'azione, è in relazione all'affinità raggiunta e non ha nulla a che fare con le sigle, i programmi, le piattaforme, le bandiere e i partiti più o meno camuffati.
L'organizzazione informale anarchica è quindi un'organizzazione specifica che si raccoglie intorno ad affinità comuni. Queste non possono essere identiche per tutti, ma i diversi compagni avranno infinite sfumature di affinità, tanto più varie quanto più ampio sarà lo sforzo di approfondimento analitico che si è raggiunto». 

Bonanno non si limita a parlare di «gruppi d'affinità» (composti da anarchici), affiancando ad essi i «nuclei di base» , che rappresentano il mezzo attraverso il quale la massa (non composta soltanto da anarchici) sostiene l'attività insurrezionale attraverso la «confluttualità permanente» («non autorizzata dal dirigente sindacale»), l'«autogestione» («indipendenza assoluta da qualsiasi partito, sindacato o clientela»; «reperimento dei mezzi necessari all'organizzazione e alla lotta effettuato esclusivamente sulla base di sottoscrizioni spontanee») e l'«attacco» («rifiuto di ogni patteggiamento, mediazione, pacificazione e compromesso col nemico di classe»; «lotta di massa»; «sabotaggio») : si tratta, dunque, di una continuazione dell'insurrezionalismo "classico" (vedi propaganda col fatto) in quanto basata sul coinvolgimento della massa intorno a singoli temi (non si tratta più di compiere dei fatti che possano essere emulati dalla massa, ma di coinvolgere la massa nel compimento di fatti: il consenso della massa resta comunque un elemento imprescindibile).

Lo scontro di classe: inclusi ed esclusi

Da un punto di vista di classe, Bonanno ha elaborato una distinzione tra inclusi ed esclusi: il primo termine sta a indicare i possessori della conoscenza tecnologica, una ristretta minoranza di tecnocrati, che detengono il potere; il secondo indica la grande massa che, privata dello strumento di lavoro, usa passivamente la tecnologia, che la domina. Questa dialettica inclusi - esclusi caratterizza la società post-industriale, nella quale la struttura economica (produzione) si presenta estremamente flessibile proprio grazie alle nuove tecnologie. 

La questione carceraria

Grande importanza inoltre egli ha sempre attribuito alla “questione carceraria”, definita un'istituzione totale e un luogo in cui l'individuo viene scientemente spersonalizzato e privato della propria dignità, impedendo ogni possibile reinserimento nella società. Bonanno, non ritenendo efficace alcun riformismo, auspica l'azione diretta e la distruzione del carcere: «La miglior soluzione possibile, e in fondo la sola praticabile, per quel che riguarda il carcere è la sua completa distruzione».

Nell'ottica della distruzione del carcere, il miglioramento delle condizioni interne può essere accettato solo come obiettivo intermedio, utile a misurare le potenzialità d'attacco del movimento anticarcerario, ma mai come fine ultimo della lotta all'interno dell'istituzione carceraria. Le lotte dei detenuti sono il momento in cui la popolazione carceraria si unifica e hanno come scopo principale «sempre quello della costituzione o del rafforzamento dell'unità dei carcerati».  Le lotte possono esprimersi in diversi modi, tra i quali Bonanno considera anche i momenti di informazione e condivisione di cultura autogestita dai prigionieri. Proprio a tal proposito, egli indica nello studio della realtà carceraria e dei suoi processi di riforma un momento di comprensione complementare alla lotta anticarceraria:

«Alle attività politiche in senso stretto e a tutte quelle iniziative che vengono prese per studiare e affrontare con intenti migliorativi il problema delle carceri, i detenuti possono rispondere a mio avviso in un solo modo: con una attenzione programmatica. Cioè, da un lato documentarsi e studiare quali sono queste attività, indicando quali di esse hanno vero e proprio fondamento pratico e quali costituiscono solo fumo indirizzato a coprire scopi diversi; dall'altro, aggregarsi in vista delle possibili lotte di domani. Infatti è solo questo il mezzo che i carcerati possiedono per rendere più veloci le riforme, più significativi gli eventuali provvedimenti di miglioramento, più applicate le leggi di già esistenti». 

Una citazione espressiva

L'assoluta intransigenza del suo pensiero rivoluzionario è comunque riassumibile da queste sue stesse parole:

«Siamo rivoluzionari. Il mio scopo non è trovare lavoro alla gente, non me ne importa nulla. Io voglio lottare con chi cerca un lavoro perché lo voglio spingere a capire che è possibile, con certi mezzi, obbligare lo Stato a fare un passo indietro e continuare nell'attacco fino alla distruzione totale dello Stato [...] La nostra lotta armata si basa sui principi della semplicità, dell'azione diretta, della riproducibilità, della polverizzazione, della generalizzazione dell'attacco [...]. In quanto anarchici, siamo per il massimo coinvolgimento possibile della gente nel processo di liberazione, che deve per forza essere fatto violento».
 
 

Striscione in solidarietà di Alfredo Bonanno di fronte all'ambasciata greca a Berlino.

Einige solidarische AnarchistInnen - 2010

Solidarity Action for the italian Anarchist Alfredo Maria Bonanno in front of the Greek Embassy in Berlin








 
Armando Borghi (Castel Bolognese, 6 aprile 1882 - Roma, 21 aprile 1968) è stato scrittore, sindacalista e anarchico antiorganizzatore italiano. 

Armando Borghi nasce a Castel Bolognese (RA)  il 6 aprile 1882 in una modesta famiglia. Il padre fu giornalista, sindacalista ed internazionalista, vicino alle idee di Bakunin e di Andrea Costa, prima che questi si convetisse al parlamentarismo e venisse eletto come deputato socialista.

Scoperta dell'anarchismo e inizio della militanza

Grazie all'influenza del padre e dell'ambiente familiare, che gli mette a disposizione moltissimi libri, opuscoli, giornali internazionalisti e libertari, diviene anarchico in giovanissima età. Altri libri e giornali riceve anche da Serafino Mazzotti, intimo amico di Bakunin, anche se decisiva per la sua formazione pare essere la nascita de «L'Agitazione», il settimanale anarchico fondato nel 1897 ad Ancona da Errico Malatesta.

Nel 1898, a soli 16 anni, assiste ad un processo a carico di Malatesta. Nello stesso anno partecipa ai “moti per il pane” di Castel Bolognese e altri centri. Ricercato dalla polizia fugge ad Imola e poi a Bologna, dove lavora come lavapiatti e prosegue gli studi. Dopo il regicidio di Umberto I prende posizione in favore di Gaetano Bresci e per questo è costretto a nascondersi per un po'nelle campagne bolognesi. Rientrato a Bologna, costituisce un gruppo anarchico, dove si distingue per le sue capacità oratorie.

Antimilitarista convinto viene arrestato nel 1902 per incitazione alla renitenza alla leva. Più volte arrestato, talvolta riesce a fuggire dalle mani della polizia (es. il 23 ottobre 1905 evade durante il trasferimento alle carceri di Faenza da Castel Bolognese).

Nel maggio 1906 è chiamato a Ravenna a diviene direttore del settimanale «L'Aurora», dove pubblica una serie di racconti poi riuniti nell'opuscolo Il nostro e l'altrui individualismo (1907). In questo testo critica l'individualismo stirneriano (l'antagonismo di Borghi all'individualismo «scaturisce un'opposta maniera di concepire la vita e la lotta»), ritenendolo addirittura estraneo al movimento anarchico, dichiarandosi però contrario agli eccessi organizzativi e collocandosi nell'ambito del comunismo anarchico antiorganizzatore di stampo kropotkiniano, in cui l'azione individuale deve essere coordinata, senza dogmi o norme restrittive, con quella collettiva.

Identici concetti vengono espressi in Gli anarchici di fronte all'individualismo stirneriano, pubblicato su «Il Pensiero». Promuove la "Biblioteca Lux" con lo scopo di favorire la pubblicazione e la diffusione di opuscoli antimilitaristi. Dal luglio 1907 al 1910 svolge le mansioni di segretario del Sindacato provinciale edile (sindacato autonomo dalla Federazione nazionale e dalla CGL, entrambi in mano ai riformisti socialisti). Si unisce ai sindacalisti rivoluzionari contro la fazione riformista della Camera del lavoro, da cui scaturiranno due CdL, una riformista ed una rivoluzionaria nelle mani di sindacalisti e anarchici.

Borghi propugna l'azione diretta, l'organizzazione decentrata e federativa, individuando nel sindacalismo un mezzo decisivo per la costituzione di una società libertaria. Nel settembre 1909 è arrestato alla stazione ferroviaria di Brescia, picchiato per una notte intera e rimesso in libertà la mattina successiva. Nel 1911 viene denunciato per il suo sostegno agli operai metallurgici di Piombino in lotta. Collabora, dal 1910 al 1913, a «L'Agitatore» di Bologna, dove scrive anche un articolo in sostegno ad Augusto Masetti. Inizia ad avere forti legami con gli anarchici “stranieri”, frequenta gli ambienti di «Bataille syndicaliste», «Les Temps Nouveaux» di Jean Grave, «Le Libertaire». Entra inoltre in rapporti con Sébastien Faure, Charles Malato, James Guillaume e Amilcare Cipriani.

Espulso dalla Svizzera, dove si era recato per una conferenza, ritorna in Francia e poi in Italia, dove aderisce all'Unione Sindacale Italiana. Pubblica Fernand Pelloutier nel sindacalismo francese. E in Italia? (1913), in cui si avvicina indissolubilmente al sindacalismo rivoluzionario radicale. Al II Congresso dell'USI (Milano, 4-7 dicembre 1913) presenta una relazione sullo sciopero generale («L'Internazionale», 4 dicembre 1913). Va a convivere con l'operaia Ornella Fabbri, dalla cui relazione nasce nel 1914 un figlio, Comunardo, a cui poi le autorità imporranno il nome Patrizio.

Prima della Grande Guerra

È attivo durante la settimana rossa e per un soffio sfugge all'arresto. Allo scoppio della Prima guerra mondiale si schiera contro la guerra, scontrandosi all'interno dell'USI con con le tesi interventiste di Alceste De Ambris (i sindacalisti interventisti usciranno dall'USI per dar vita alla UIL).

Borghi diviene segretario nazionale dell'USI, poi fonda e dirige il nuovo organo nazionale della stessa, «Guerra di classe» (dal 1969 assumerà la denominazione di «Lotta di classe)». In novembre viene arrestato per i fatti della Settimana rossa e ritorna in libertà nel gennaio 1915 per effetto di un'amnistia. Nel 1915 si trasferisce per un po'a Modena e Piacenza, dove continua a lottare contro la guerra.

Nell'aprile 1916 viene internato a Firenze e poi nella vicina Impruneta. Nel giugno dello stesso anno riesce a partecipare al Convegno anarchico clandestino di Firenze. Alla fine del 1916 muore la sua compagna, poi viene internato a Isernia, ma nonostante tutto riesce ugualmente a mantenere i contatti con l'USI e gli anarchici, anche grazie a Virgilia D'Andrea, che diverrà la sua nuova compagna. Liberato nel dicembre 1918 si trasferisce a Firenze e poi a Bologna.

Il primo dopoguerra, l'avvento del fascismo e la rivoluzione russa

Dopo la fine della Prima guerra mondiale Borghi diviene uno delle figure di spicco della sinistra rivoluzionaria. Durante il Biennio rosso l'USI, che nel 1913 aveva circa 100mila aderenti, conta più di 300mila iscritti. Nel dicembre 1918 Armando Borghi si oppone alla confluenza dell'USI nella CGL, proponendo la nascita di un nuovo organismo eletto dalla base, ma la CGL rifiuta la proposta.

Nell'aprile 1919, dopo le ennesime violenze fasciste propone l'unità antifascista attraverso un comitato di rappresentanti dell'USI, CGL, PSI, Unione Anarchica Italiana e SFI. Arrestato precauzionalmente prima dello "sciopero" del 21 luglio 1919, partecipa allo sviluppo dei Consigli di Fabbrica, collabora alla fondazione di «Umanità Nova» e partecipa al Congresso di Bologna della Unione Anarchica Italiana (1-4 luglio 1920), appoggiando Maurizio Garino, relatore sui Consigli di Fabbrica, contro la diffidenza di molti compagni. Non si mostra contrario all'adesione alla III Internazionale, speranzoso di fermare la deriva autoritaria della Rivoluzione russa, anche se in molti sospettano che possa avere avuto delle "tentazioni" bolsceviche.

Nell'estate 1920 giunge in Russia per partecipare al Congresso di costituzione dell'Internazionale dei Sindacati Rossi (ISR), dove incontra Zinoviev, Lenin, Victor Serge e Kropotkin. Deluso rientra in Italia, dove è in atto l'occupazione delle fabbriche. Il 13 ottobre viene arrestato, poi la stessa sorte tocca a Malatesta e altri 20 militanti anarchici (Corrado Quaglino, Nella Giacomelli ecc.) con l'accusa di «cospirazione contro lo Stato» ed «associazione a delinquere». Si sviluppano agitazioni in tutta Italia in loro favore e nel marzo 1921 scoppia una bomba anarchica al Teatro Diana di Milano che sia Borghi che Malatesta condanneranno duramente.

Il 26 luglio inizia il processo a loro carico, grazie a Francesco Saverio Merlino, loro avvocato, vengono assolti. Uscito dal carcere oramai il fascismo imperversa e scopre anche che una delegazione dell'USI, nel luglio 1921, aveva firmato a Mosca un documento di unità coi comunisti e di adesione all'ISR (sola condizione, che resti indipendente dall'Internazionale Comunista). Borghi sconfessa subito l'operato della delegazione, annulla l'adesione all'ISR e poi si dimette anche dalla segreteria dell'USI. Nel IV Congresso dell'USI (Roma, 10-12 marzo 1922) la corrente favorevole all'ISR (Nicola Vecchi e Giuseppe Di Vittorio) è sconfitta dalla maggioranza (Borghi, Giovannetti e Carlo Nencini) che si oppone alla politica marxista. L'USI si divide quindi in due.

In Anarchismo e sindacalismo Borghi condanna senza mezzi termini l'autoritarismo, lo statalismo, il bolscevismo e ribadisce l'indipendenza del sindacato da ogni movimento politico, compresa la Unione Anarchica Italiana. Dopo la marcia su Roma, Borghi lascia l'Italia per Berlino, dove partecipa al Congresso dell'AIT (25 dicembre 1922 – 2 gennaio 1923) che darà vita all'Internazionale anarco-sindacalista. Come suo rappresentante è inviato in diversi paesi, dove partecipa a discussioni e comizi. Trasferitosi brevemente in Francia, pubblica L'Italia tra due Crispi. Cause e conseguenze di una rivoluzione mancata (1924), in cui ricostruisce i fatti del biennio rosso. Si impegna, in pieno fascismo, per la riorganizzazione degli anarchici e contro le provocazioni di personaggi come Ricciotti Garibaldi jr. 

Il periodo americano

Alla fine del 1926 è a New York, su invito del periodico «Il Proletario», dove tiene alcune conferenze. Seguito successivamente da alcuni compagni, dal figlio ed amici decide di stabilirsi a New York, dove si lega al gruppo de «L'Adunata dei Refrattari», di tendenza antiorganizzatrice. Anche negli USA proclama l'intransigenza assoluta nei confronti dei comunisti autoritari, il fascismo, l'antifascismo democratico ecc., entrando in polemica con la corrente anarchica de «Il Martello» di Carlo Tresca. Pubblica Mussolini in camicia (1927), che suscita molto scalpore. La polizia italiana, da sempre sulle sue tracce, ne chiede il fermo alle autorità statunitensi: nel giugno 1927 subisce un primo arresto durante la campagna in favore di Sacco e Vanzetti (sarà rilasciato dietro cauzione, grazie ad un Comitato pro-Borghi). Nell'aprile 1930 fugge all'ennesimo tentativo di arresto, in seguito al quale rimarrà ucciso il giovane anarchico, Carlo Mazzola. Vive un po'in clandestinità pubblicando opuscoli e articoli contro il fascismo, firmati con pseudonimi disparati ("Vattelapesca", "Armando Vattelapesca", "Etimo Vero", "Girarrosto", "Ihgrob", "Il ciabattino ribelle").

Nel 1933 muore Virgilia D'Andrea, sua compagna di vita e di ideali politici. Successivamente si lega all'anarchica Catina Ciullo. Segue con partecipazione agli eventi della rivoluzione spagnola, dove invece si reca il figlio.

Il 30 novembre 1940 viene arrestato e incarcerato. È liberato dopo 4 mesi grazie all'aiuto di Arturo e Walter Toscanini e di Gaetano Salvemini. Nel luglio 1944 prova a rientrare in Italia, ma le autorità americane gli negano l'espatrio, che avverrà solo nel 1945.

Il secondo dopoguerra

In Italia trova una situazione difficile, tutto il movimento anarchico è da ricostruire. Dopo la morte di Malatesta, Luigi Fabbri e Camillo Berneri, Borghi è considerato l'ultimo dei grandi anarchici italiani. Diffonde le sue idee antiorganizzatrici e contro la ricostruzione dell'USI, partecipando ovunque a dibattiti e comizi, redige opuscoli e pubblica Conferma anarchica (Due anni in Italia) (1949), un resoconto completo dell'atmosfera che si respirava in quegli anni.

Nel 1948 Borghi ritorna negli Stati Uniti, dove resta fino al 1953. Rientra in Italia, partecipa al V Congresso della FAI (Civitavecchia, 19-22 marzo 1953) dove viene nominato direttore di «Umanità Nova». Nel 1954 esce il suo libro più noto, Mezzo secolo di anarchia (1898-1945), con prefazione di Gaetano Salvemini. Collabora a «Il Mondo» e «Il Ponte», appoggia gli insorti della rivoluzione ungherese del 1956 e si schiera contro i controrivoluzionari americani della “Baia dei Porci” (Giù le mani da Cuba, «Umanità Nova», 28 ottobre 1962). Al Congresso della FAI di Senigallia (7-9 dicembre 1962) denuncia l'involuzione autoritaria castrista, schierandosi però contro gli USA e contro i presunti anarchici esuli cubani (considerati provocatori al soldo degli americani). Al Congresso di Carrara (31 ottobre-4 novembre 1965) prevale la corrente organizzatrice, in antitesi alle posizioni della corrente borghiana, allora Armando Borghi decide di lasciare la direzione di «Umanità Nova», appoggiando la nascita dei GIA (sostenuta, tra gli altri, anche da Pio Turroni e Aurelio Chessa).

Armando Borghi muore a Roma, dopo una lunga malattia, il 21 aprile 1968. È stato sepolto nel suo paese natale, Castel Bolognese. 

Virgilia D'Andrea, anarchica e compagna di Armando Borghi
 


Processo un Errico Malatesta e Armando Borghi. Milano, luglio 1921

 

 


BORGHI, Armando
 


 
 

 
 


 
 

 


 
Ernesto Bonomini (Pozzolengo, 18 marzo 1903 – Miami, 6 luglio 1986) è stato un anarchico italiano autore dell'omicidio di Nicola Bonservizi (1890-1924), corrispondente a Parigi de Il Popolo d'Italia e direttore della rivista di propaganda fascista Italie Nouvelle

La gioventù e l'emigrazione in Francia

Ernesto Bonomini nasce a Pozzolengo (BS) il 18 marzo 1903 da Giuseppe (mugnaio) e Teresina Dolci. È ancora molto giovane quando comincia a frequentare i socialisti, dimostrandosi antimilitarista fervente. Sorpreso ripetutamente a cantare inni sovversivi e perquisito, emigra in Francia per evitare rappresaglie alla sua famiglia (“fatta responsabile delle sue azioni”).

L'omicidio Bonservizi

A Parigi Bonomini diventa anarchico e il 20 febbraio 1924 spara, nel sontuoso ristorante "Savoia", al giornalista Nicola Bonservizi, vecchio collaboratore di Mussolini e capo dei fasci italiani in Francia, che morirà dopo alcune settimane di agonia. Semilinciato al momento dell'arresto, Bonomini dichiara il 20 ottobre 1924 di aver voluto vendicare, con il suo atto, «tutte le vittime del fascismo» e dice di non nutrire alcuna simpatia per il comunismo perché i suoi «compagni anarchici russi sono perseguitati dalla dittatura di Mosca nella stessa guisa che quelli italiani sono perseguitati dalla dittatura fascista». Malgrado le testimonianze a suo favore di Pioch e Blum e l'abile difesa dell'avvocato Torrès, viene condannato a otto anni di lavori forzati e a 10 di divieto di soggiorno, scampando alla pena capitale perché è ancora forte in Francia l'“indignazione sollevata dal barbarico eccidio di Matteotti” da parte della “Ceka fascista”. Detenuto a Riom (Auvergne), viene schedato il 31 gennaio 1929 dalla Prefettura di Brescia quale “socialista antimilitarista pericoloso” e descritto come persona dal “carattere spavaldo e prepotente”.

Gli anni 1932-1935

Rilasciato il 20 febbraio 1932, Bonomini esprime, in marzo, su «Lotta anarchica» di Parigi, il suo dispiacere perché i compagni sono divisi da «polemiche, rancori ed antipatie personali che come orrido cancro rodono il nostro movimento a beneficio del comune nemico» e lancia un appello al «fronte unico libertario». Arrestato nei giorni seguenti ed espulso dalla Francia, vive in Belgio per qualche mese. Tornato in Francia, lavora alla Librairie moderne di Lille, insieme al compagno d'ideali Umberto Marzocchi, fino all'aprile 1933, quando è arrestato per “rottura del bando” e condannato, il 5 maggio, a un mese di carcere, insieme allo stesso Marzocchi. Dopo aver scontato la pena, si stabilisce a Parigi, legandosi sentimentalmente a Louisette Bled (o Lucette Blel o Biel) e in agosto dichiara che a un nuovo arresto replicherà con un clamoroso sciopero della fame. Nel gennaio 1934 incontra l'anarchico Emidio Recchioni e il 20 aprile viene arrestato e fatto salire su un treno diretto in Belgio, dal quale riesce a scendere, rifugiandosi a Lille. In seguito fa il decoratore a Sartrouville, alle dipendenze del massimalista Amedeo Delai, e sottoscrive delle piccole somme per «Le Libertaire» di Parigi. Membro della FAPI e del Comitato anarchico per le vittime politiche d'Italia, interviene ai funerali di Recchioni e alle riunioni sovversive, che hanno luogo nella capitale francese, insieme a Pietro Pirola, Angiolino Bruschi, Carlo Rosselli, Camillo Berneri, Quisnello Nozzoli, Piero Corradi e Oreste Mombello. Nell'autunno 1935 partecipa al Congresso di Parigi degli anarchici italiani, poi si impegna nella dura battaglia contro la politica di espulsioni del governo francese e, in dicembre, è sospettato di voler rimpatriare per compiere un atto terroristico.

La guerra di Spagna

Alla fine di luglio 1936 Bonomini parte per Barcellona e in agosto è segnalato, insieme a Renato Castagnoli, Celso Persici, Bruno Bonturi, Francesco Barbieri e Ludovico Rossi, al valico di Port-Bou, dove, in veste di “commissario di frontiera”, controlla gli ingressi e le uscite dalla Spagna. Il 16 ottobre rende un commosso, fraterno omaggio, su «Le Libertaire» di Parigi, all'anarchico francese Louis-Emile Cottin, autore di un attentato a Clemenceau, caduto a Farlete (Huesca) otto giorni prima. Raggiunto dalla sua compagna a Barcellona il 4 novembre, Bonomini è oggetto, due settimane dopo, di un telegramma, con il quale la polizia fascista informa i prefetti italiani che Bonomini lavora in Spagna per la FAIB e li invita a vigilare su un suo possibile rientro. Il 14 aprile 1937 Bonomini mette in guardia i correligionari dall'offensiva anti-anarchica, avviata dai comunisti in Spagna con “l'intenzione di rieditare il tradimento di Kronstadt e dell'Ucraina libertaria”, e denuncia gli arresti dei compagni Tommasini, Cimadori, Bibbi e Fontana e le uccisioni di molti anarchici spagnoli. Al principio di maggio 1937 Bonomini sfugge casualmente alla liquidazione fisica da parte dei comunisti, che assassinano Camillo Berneri e Francesco Barbieri, suoi compagni di idee e di casa. Dato più volte per ferito e fucilato, Bonomini scrive il 16 agosto 1937 su «Guerra di classe» di Barcellona di essere rimasto in Spagna, malgrado il pericolo di essere trucidato dagli stalinisti, perché non intende abbandonare la rivoluzione spagnola «al suo tragico destino» e vuole «affrontare e sfidare il nemico sul terreno da lui scelto per distruggerci»: «la forza degli anarchici spagnoli» – aggiunge – «rimane intatta e le adesioni al movimento libertario vanno crescendo». Il 28 agosto Bonomini osserva in un altro articolo che nel luglio 1936 gli anarchici hanno confuso, «disgraziatamente», la rivoluzione totalitaria con la dittatura anarchica, temendo di violare i «sacrosanti principi dirigendo con una mano di ferro la rivolta popolare». Nel novembre 1937 Bonomini torna sulla situazione spagnola, menziona i rivoluzionari francesi, inglesi, tedeschi, americani, russi e bulgari, giunti in Spagna dopo le giornate del luglio 1936 e arrestati dopo i fatti del maggio 1937, e difende dalle calunnie l'anarchico Joaquín Ascaso, ex presidente del disciolto Consiglio di difesa dell'Aragona. Qualche mese dopo lascia Barcellona.

Dalla Francia al Belgio

L'8 aprile 1938 Bonomini è a Parigi, dove usa il falso nome di Antonio Falcelli (o Fancelli) e interviene alle riunioni degli anarchici e dei massimalisti. Imprigionato il 1° giugno 1938 per aver violato il decreto di espulsione, viene condannato, il 26 luglio, a un anno di carcere per uso di falsi documenti e il 3 marzo 1939 viene rinchiuso nel “campo di lavoro vigilato” di Rieucros (Lozère), dove impera la “più dura disciplina”. Evaso a fine aprile, insieme all'anarchico Giuseppe Picone Chiodo, già volontario in Spagna, Bonomini arriva il 13 maggio 1939 a Bruxelles, dove dice ai correligionari che intende chiudere in Italia la sua esistenza con un gesto clamoroso. Nella capitale belga frequenta Mario Mantovani, Giuseppe Bifolchi e Vittorio Cantarelli, che lo aiutano a procurarsi un “passaporto autentico” dal Consolato cubano di Bruxelles e un visto dalla compagnia Canadian Pacific per imbarcarsi su una nave, che lo porterà da Liverpool in Canada.

Negli USA

Giunto in Canada, Bonomini prosegue per New York, dove trova ospitalità presso i compagni de «L'Adunata dei Refrattari» e denuncia nel febbraio 1940 il totale allineamento di Mussolini alle posizioni di Hitler. Per evitare l'arresto cambia spesso alloggio e in dicembre abita presso Osvaldo Maraviglia, l'amministratore de «L'Adunata dei Refrattari». Dopo la fine del conflitto, resta in America e nell'ottobre 1946 replica a Giuseppe Mariani, unico sopravvissuto degli attentatori del teatro Diana, riaffermando la sua fiducia nell'utilità dei gesti di “rivolta individuale”, che Mariani ha ripudiato dopo la scarcerazione. Nel 1971 abita ancora negli USA, dove frequenta saltuariamente l'anarchico Frank Aldi di Porto Santo Stefano, da mezzo secolo emigrato in America, e altri compagni di fede. Muore a Miami il 6 luglio 1986.



[Scène de la vie de forçats au camp de Rieucros]
 
 

Ettore Bonometti (Brescia, 22 novembre 1872 – Brescia, 22 marzo 1961) fu un militante anarchico.  

Nato in una famiglia operaia da Giovanni ed Emilia Pasinetti, nel 1890 entra a far parte del circolo bresciano anarchico «La Rivolta» e poi in quello de «La Comune». Più volte arrestato per le sue idee, nel 1895 decide di emigrare in Svizzera e, da qui espulso, in Gran Bretagna, dove il 26 luglio 1896 partecipa con Francesco Cirri al Congresso della II Internazionale socialista.

Tornato a Brescia, la sua partecipazione ai moti popolari contro il governo reazionario che nel 1898 aveva massacrato gli operai milanesi, lo costringe a fuggire ancora in Inghilterra. Tornato in Italia nel 1912, è tra i fondatori dell'Unione Sindacale Italiana (USI), manifesta contro l'impresa imperialista di Libia e partecipa, nel giugno del 1914, ai moti della Settimana rossa.

Nel luglio del 1920, a Brescia, partecipa alla fondazione dell'Unione Anarchica Italiana (UAI) e favorisce la fuga di Errico Malatesta, ricercato dalla polizia. Con l'avvento del fascismo, emigra in Inghilterra da dove, espulso, si trasferisce in Svizzera. Rientrato clandestinamente a Milano, partecipa alla resistenza antifascista ma viene scoperto, arrestato e messo al confino.

Nel dopoguerra vive a Brescia e riprende la militanza anarchica. Iil 26 settembre 1945, insieme ad Ivan Guerini ed altri libertari del luogo, ricostituisce il Gruppo anarchico bresciano , che dopo la sua morte, avvenuta nel 1961, gli viene intitolato. Le sue lettere sono custodite nella Fondazione Luigi Micheletti di Brescia. 

Gaetano Bresci (Prato, 10 novembre 1869 - Isola di Santo Stefano, 22 maggio 1901), è stato un anarchico italiano, condannato all'ergastolo per aver messo in atto un'azione diretta (definito dallo stesso Bresci «UN FATTO») contro il Re Umberto I, colpito a morte da alcune pistolettate la sera di domenica 29 luglio 1900 a Monza. 

Gaetano Bresci nacque il 10 novembre 1869 a Coiano, frazione di Prato, in una famiglia piccoli contadini. Lavorò molto giovane in un'azienda di filatura e divenne rapidamente operaio qualificato. Fin da l'età di 15 anni militò nel circolo anarchico di Prato. Condannato una prima volta nel 1892 a 15 giorni di prigione per «oltraggio e rifiuto di obbedienza alla forza pubblica», fu schedato come «anarchico pericoloso» e relegato nel 1895 (ai sensi delle leggi speciali di Crispi) a Lampedusa. Amnistiato a fine 1896, emigrò negli USA. Giunse a New York il 29 gennaio 1898, si recò a Paterson (New Jersey), dove trovò lavoro in industria tessile e frequentò l'importante Comunità anarchica di emigrati italiani .

È negli USA allorché gli giunse la notizia dei gravi fatti del maggio 1898 di Milano, quando i cannoni del generale Bava-Beccaris  spararono sulla folla causando 80 morti e 450 feriti. 

Fu allora che decise che sarebbe rientrato in Italia per uccidere il re Umberto I: egli aveva infatti autorizzato Bava Beccaris a sparare sulla folla inerme, decorandolo poi con la "Gran Croce dell'Ordine Militare di Savoia" (5 giugno 1898) per i servizi resi al paese.

Il fatto

Gaetano Bresci uccise a Monza, la sera di domenica 29 luglio 1900, sparandogli contro tre colpi di pistola (o quattro, le fonti storiche non concordano) re Umberto I di Savoia. Il sovrano stava rientrando in carrozza nella sua residenza monzese dopo una premiazione in una società sportiva. L'omicidio - immortalato in una celebre tavola del pittore Achille Beltrame per la «Domenica del Corriere» - avvenne sotto gli occhi della popolazione festante che salutava il monarca. Bresci si lasciò catturare senza opporre resistenza.

Immediatamente dopo l'arresto dichiarò:

«Ho attentato al Capo dello Stato perché è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere. Concepii tale disegnamento dopo le sanguinose repressioni avvenute in Sicilia in seguito agli stati d'assedio emanati per decreto reale. E dopo avvenute le altre repressioni del '98 ancora più numerose e più barbare, sempre in seguito agli stati d'assedio emanati con decreto reale». 

Il processo, la condanna e la morte

Il processo contro Bresci fu istruito in brevissimo tempo. Il 29 agosto 1900, cioè un mese esatto dopo il delitto, Bresci comparve nella corte d'Assise di Piazza Beccaria a Milano. La sentenza era scontata in partenza. Gaetano Bresci aveva chiesto come difensore il deputato socialista Filippo Turati, ma questi aveva declinato l'incarico e fu sostituito dall'avvocato anarchico Francesco Saverio Merlino.

L'imputato mantenne un contegno conforme al personaggio che rappresentava. Freddo e distaccato, quasi sereno, ascoltò la lettura del capo d'accusa (per la verità retorico fino all'inverosimile) senza mostrare né pentimento né spavalderia.

Ecco il testo del suo interrogatorio in aula:

Presidente: «L'imputato ha qualcosa da aggiungere alla sua deposizione testé letta?»
Bresci: «Il fatto l'ho compiuto da me, senza complici. Il pensiero mi venne vedendo tante miserie e tanti perseguitati. Bisogna andare all'estero per vedere come sono considerati gli italiani! Ci hanno soprannominati “maiali“... »
Presidente: «Non divaghi... »
Bresci: «Se non mi fa parlare, mi siedo.»
Presidente: «Resti nel tema.»
Bresci: «Ebbene, dirò che la condanna mi lascia indifferente, che non mi interessa punto e che sono certo di non essermi sbagliato a fare ciò che ho fatto. Non intendo neppure presentare ricorso. Io mi appello soltanto alla prossima rivoluzione proletaria.»
Presidente: «Ammettete di avere ucciso il re?»

Bresci: «Non ammazzai Umberto; ammazzai il Re, ammazzai un principio! E non dite delitto ma fatto!»
Presidente: «Perché lo avete fatto?»
Bresci: «Dopo lo stato d'assedio di Sicilia e Milano illegalmente stabiliti con decreto reale io decisi di uccidere il re per vendicare le vittime.»
Quando il Presidente gli chiese perché aveva compiuto quel gesto, Bresci rispose:
«I fatti di Milano, dove si adoperò il cannone, mi fecero piangere e pensai alla vendetta. Pensai al re perché oltre a firmare i decreti premiava gli scellerati che avevano compiuto le stragi.»

Ascoltati i testimoni, i giurati si ritirarono per decidere e dopo pochi minuti il capo giuria ragionier Carione lesse il verdetto che dichiarava l'imputato colpevole e lo condannava ai lavori forzati.

Scontò la pena nel penitenziario di S. Stefano, presso Ventotene (Isole Ponziane) e per poterlo controllare a vista venne edificata per lui una speciale cella di tre metri per tre, priva di suppellettili.

Morì il 22 maggio 1901 "suicidato" dallo Stato e probabilmente venne ucciso anche prima di questa data ufficiale. Le autorità divulgarono la notizia del suo suicidio: impiccato per mezzo di un lenzuolo o un asciugamani.

Alcune coincidenze: un carcerato di Santo Stefano condannato all'ergastolo ottenne la grazia, il direttore raddoppiò il suo stipendio.

Vi è incertezza anche sul luogo della sua sepoltura: secondo alcune fonti, fu seppellito assieme ai suoi effetti personali nel cimitero di S. Stefano; secondo altre, il suo corpo venne gettato in mare. Le sole cose rimaste di lui sono il suo cappello da ergastolano (andato distrutto durante una rivolta di carcerati nel dopoguerra) e la rivoltella con cui compì il regicidio.

Contesto storico in cui maturò l'uccisione di Umberto I di Savoia

Nel 1898, a circa 30 anni dall'annessione della Lombardia al Regno d'Italia, la situazione economica era gravissima. Si ricorda che in questi 30 anni emigrarono circa 519.000 lombardi .

A Milano, a seguito dell'aumento del costo della farina e del pane, gravati dall'esosissima tassa sul macinato, imposta dal regno sabaudo, il popolo affamato insorse e assaltò i forni del pane. L'insurrezione durò vari giorni e fu repressa nel sangue con i fucili e i cannoni dai Carabinieri al comando del generale piemontese Bava Beccaris , che poi per questa azione di ordine pubblico fu insignito con la Croce di grand'ufficiale dell'ordine militare di Savoia, «per rimettere il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà " da Umberto I re d'Italia». Nella feroce repressione militare si calcola che vi furono piú di trecento insorti uccisi (i dati non sono precisi) e centinaia di feriti.

Gaetano Bresci, secondo la filosofia di un certo anarchismo militante, intese vendicare l'eccidio e rendere giustizia, perciò uccise il Re Umberto I di Savoia in quanto responsabile in capo di questi tragici avvenimenti.

Reazioni

Tutti gli amici più stretti e i parenti di Bresci vennero arrestati nel tentativo di dimostrare che Bresci non aveva agito individualmente ma aveva presto parte a un vastissimo complotto anarchico internazionale. Anche la polizia di Paterson fu mobilitata per dimostrare l'esistenza di tale complotto, ma non trovò assolutamente nessuna prova. «L'Avanti», divenuto capro espiatorio nonostante non fosse affatto vicino agli anarchici, subì un'aggressione da parte dei conservatori, in seguito alla quale vennerro arrestati alcuni lavoratori del giornale e nessun aggressore. Molti anarchici in tutta Italia vennero arrestati, colpevoli di apologia di regicidio. In effetti a Bresci venivano dedicate feste e brindisi, in Italia quanto a Paterson.

Gli intellettuali di fronte al regicidio

Molti intellettuali si mostrarono addolorati per la morte del re. La regina ricevette le “sentite condoglianze” di personalità quali Carducci, De Amicis, Bissolati, Don Albertario, Pascoli (scrisse un Inno al re) e Gabriele D'Annunzio (anch'egli scrisse un ode al re).

Ben pochi ebbero il coraggio di andare oltre la triste retorica di regime e tra questi, merita una citazione il frate francescano Giuseppe Volponi, che manifestò pubblicamente la propria solidarietà a Bresci e per questo fu condannato a 7 mesi di galera. Lev Tolstoj, pur sostenendo che uccidere i re fosse inutile e che occorresse, invece, «smettere di sostenere quel sistema sociale che li ha prodotti», analizzò in maniera più approfondita l'origine della violenza, sostenendo che questa viene dall'alto: «Se Alessandro di Russia, se Umberto non hanno meritato la morte, assai meno l'hanno meritata le migliaia di caduti di Plevna o in terra d'Abissinia».  Malatesta, come Tolstoj, riteneva che invece di uccidere un re, fosse essenziale uccidere tutti i re «nel cuore e nella mente della gente», sradicando «la fede nel principio di autorità a cui presta culto tanta parte del popolo»; così si sarebbe acquisita «quella forza morale e materiale che occorre per ridurre al minimo la violenza necessaria ad abbattere il regime di violenza a cui oggi l'umanità soggiace». Ancora come Tolstoj, Malatesta sapeva che la violenza provoca «reazioni a cui si è incapaci di resistere» ed è «sorgente di autorità». «Noi – dichiarò – aborriamo dalla violenza per sentimento e per principio, e facciamo sempre il possibile per evitarla». Tuttavia, Malatesta rivendicava il diritto di praticarla sulla base della «necessità di resistere al male con mezzi idonei ed efficaci». 

Reazioni della stampa

La carta stampata si schierò contro il regicida in maniera dura e risoluta: «L'Avanti» definì Bresci «un pazzo criminale»; il «Corriere Mercantile» di Livorno auspicò la pena di morte e la tortura; Francesco Crispi ne «La Tribuna» invitò le istituzioni alla dura repressione dei nemici interni della nazione.

Nessuno però raggiunse la triste retorica del quotidiano di Torino «La Stampa», che annunciò la morte di Umberto con queste parole:

«Mostruoso! Orribilmente mostruoso! Il sovrano più popolare, più buono, più mite, affezionato al suo popolo... il nostro re Umberto assassinato! Ma fin dove può ancora trascendere la pazzia di una belva umana se osa puntare una rivoltella contro un cuore così pietoso, così leale, Povero re! Povera patria nostra!».
 
Paterson, New Jersey, during the early 20th century
 
Bresci assassinating Umberto I of Italy
 Achille Beltrame - La Domenica del Corriere Created: 1 January 1900
 
Bresci uccide Umberto I di Savoia, illustrazione di Flavio Costantini
 

 

Dai fumetti di Santin e Riccomini: Bresci uccide Umberto I 

 

Gaetano Bresci during his trial

Unknown author - Created: circa 1900 
 

Scena del processo a Bresci nel tribunale di Milano, in un’illustrazione sul quotidiano francese 'Le Petit Journal'
Foto: White Images / Scala, Firenze
 
 
View of the now-abandoned prison on Santo Stefano Island
 

La morte di Bresci su 'Le Petit Journal'
Foto: White Images / Scala, Firenze
 
 


 


 

Carrara, colonna commemorativa dell'anarchico Bresci
 
 


Giampietro "Nico" Berti (Bassano Del Grappa, Vicenza, 3 aprile 1943), professore ordinario di Storia contemporanea e Storia delle ideologie del Novecento presso l'Università di Padova, è ritenuto il massimo esperto italiano di storia dell'anarchismo.

Ha scritto testi fondamentali sull'evoluzione del pensiero anarchico, rivolgendo una particolare attenzione all'anarchismo classico (Proudhon, Kropotkin, Bakunin, Malatesta). Ma si è più in generale occupato di storiografia dell'anarchismo, che ha riassunto nella nota formula da lui coniata «nella storia ma contro la storia».

È stato il coordinatore nazionale del Dizionario biografico degli anarchici italiani (BFS, 2003-2004).

Bibliografia

  • I fondamenti del pensiero di Michail Bakunin, Edizioni Antistato, Milano, 1977
  • Per una lettura attuale di Bakunin, in Bakunin cent'anni dopo, Edizioni Antistato, Milano, 1977
  • Marxismo e anarchismo nella Prima Internazionale: il significato di uno scontro, La Salamandra, 1979
  • La dimensione libertaria di Pierre-Joseph Proudhon, Città Nuova, Roma, 1982
  • Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Lacaita, Manduria, 1988
  • Michail Aleksandrovich Bakunin, in L'albero della Rivoluzione: le interpretazioni della rivoluzione francese (a cura di Bruno Bongiovanni e Luciano Guerci), Einaudi, Torino, 1989, pp. 30-33
  • Pëtr Alekseevic Kropotkin, in L'albero della Rivoluzione: le interpretazioni della rivoluzione francese (a cura di Bruno Bongiovanni e Luciano Guerci), Einaudi, Torino, 1989, pp. 334-337
  • Pierre-Joseph Proudhon, in L'albero della Rivoluzione: le interpretazioni della rivoluzione francese (a cura di Bruno Bongiovanni e Luciano Guerci), Einaudi, Torino, 1989, pp. 527-530
  • Marxismo e anarchismo di fronte alla Rivoluzione francese, in 1789: la rivoluzione e i suoi miti (a cura di Bruna Consarelli), Editrice Flaminia, Pesaro, 1993, pp. 341-370
  • Francesco Saverio Merlino. Dall'anarchismo socialista al socialismo liberale, Franco Angeli, Milano, 1993
  • Un'idea esagerata di libertà: introduzione al pensiero anarchico, Elèuthera, Milano, 1994
  • Errico Malatesta e il movimento anarchico e internazionale. 1872-1932, Franco Angeli, Milano, 2003
  • Socialismo, anarchismo e sindacalismo rivoluzionario nel Veneto tra Otto e Novecento, Il Poligrafo, Padova, 2004
  • Intervista agli anarchici. Nico Berti (a cura di Mimmo Pucciarelli), Galzerano, Salerno, 2009
  • Il comunismo anarchico, in L'età del comunismo sovietico. Europa 1900-1945 (a cura di Pier Paolo Poggio), Jaca Book, Milano, 2010, pp. 61-76
  • Libertà senza rivoluzione: l'anarchismo fra la sconfitta del comunismo e la vittoria del capitalismo, Lacaita, Manduria, 2012
  • Contro la storia. Cinquant'anni di anarchismo in Italia. 1962-2012, Biblon, MIlano, 2016

Opere scaricabili

Collegamenti esterni

Carrara, 31 agosto 1968, Teatro degli Animosi: Pietro Valpreda e Nico Berti (al centro), (seduto) Amedeo Bertolo e (alla sua sinistra) Antonella Frediani.


 









Gianfranco Bertoli in una foto del 1973.
 
Gianfranco Bertoli (Venezia, 30 aprile 1933 – Livorno, 17 dicembre 2000) autodefinitosi anarchico stirneriano, è stato il discusso autore dell'attentato alla Questura di Milano nel 1973. 

La strage

Il 17 maggio 1973 Bertoli lanciò una bomba a mano nel cortile della questura di via Fatebenefratelli a Milano, durante l'inaugurazione di un busto in memoria del commissario Luigi Calabresi, alla presenza dell'allora Ministro dell'Interno Mariano Rumor. La bomba non colpì il ministro, che si era già allontanato, ma uccise 4 persone e ne ferì 45.

L'attentatore fu subito arrestato. Si proclamò anarchico individualista, seguace delle teorie di Max Stirner. Dichiarò che voleva punire il ministro Rumor per la morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli. Al processo si comportò con grande dignità, negò il coinvolgimento di altri nell'attentato assumendosi tutte le responsabilità. Ad ogni modo, il movimento anarchico condannò all'unanimità il suo gesto, cosa che farà lo stesso autore anni dopo.

Nel 1975 fu condannato all'ergastolo. Durante il processo ebbe il conforto dei compagni del Centro Studi Libertari di Milano, fra cui Luciano Lanza, autore, anni dopo, di un libro sulla strage di piazza Fontana in cui, dopo averlo sostenuto per anni e offertagli la collaborazione alla rivista A, insinuò il dubbio che Bertoli fosse legato ai Servizi segreti. Questa insinuazione amareggiò molto Bertoli, come si può leggere nel carteggio fra questi e Alfredo Maria Bonanno, l'editore siciliano che non credette mai all'ipotesi del Bertoli infiltrato di destra. In carcere tenterà anche il suicidio per discolparsi da tali accuse.

Dal carcere, prima della rottura con Lanza e il Centro Studi, collaborò con A - Rivista Anarchica con molti articoli assai valutati nell'ambiente. Alcuni articoli furono raccolti nel volume Attraversando l'arcipelago, edizioni Senzapatria; scrisse anche Memorie di un terrorista, edizioni Tracce.

Il mistero insoluto

Secondo voci diffuse, non si sa da chi, Bertoli sarebbe stato informatore per il SIFAR. Inoltre, avrebbe avuto contatti con simpatizzanti di destra. Aumentano le voci in tal senso le testimonianze di Vincenzo Vinciguerra e Roberto Cavallaro.

La magistratura sospettò che la motivazione addotta dal Bertoli come causale del suo gesto non fosse veritiera e aprì un processo per complicità con Bertoli, a carico di esponenti di estrema destra. Il sospetto era che l'attentato fosse stato effettuato da Bertoli per punire Rumor, non per la morte dell'anarchico Pinelli, ma per non aver proclamato lo stato d'assedio dopo la strage di piazza Fontana. L'edizione de L'Unico e la sua proprietà di Max Stirner trovata in suo possesso, tra l'altro, era pubblicata da una editrice di destra di proprietà di Franco Freda.

Contrario a questa versione dei fatti è Francesco Cossiga, che davanti alla commissione Pellegrino affermò non essere credibile.

Bertoli rifiuterà di testimoniare al processo, adducendo come scusa l'impossibilità di parlare sotto l'effetto della droga alla quale era ormai avvezzo. Tutti gli indagati furono alla fine assolti.

Nel 2002 il generale Nicolò Pollari (ex-direttore del Sismi), sentito dai giudici della terza Corte d'Assise d'Appello di Milano ha confermato che Bertoli è stato un informatore del Sifar prima, e del Sid in seguito. Il generale ha anche confermato che Bertoli, ha avuto rapporti con i servizi segreti negli anni '50 fino al 1960 col nome "Fonte Negro". A seguito di queste accuse, Bertoli cadde in una profonda depressione, gridò al complotto ordito dallo Stato e tentò il suicidio. Negli ultimi anni, in semilibertà, visse a Livorno, vagabondo e drogato e divenne ultrà della locale squadra di calcio. Persi i vecchi amici di A - Rivista Anarchica, gli rimase vicino il solo Bonanno.

Opere

Bibliografia

  • Alfredo Maria Bonanno, Carteggio 1998-2000. Gianfranco Bertoli - Alfredo M. Bonanno, edizioni Anarchismo, 2003
  • Gianfranco Bertoli, Attraversando l'arcipelago, Edizioni Senzapatria, 1986
  • Gianfranco Bertoli, Memorie di un terrorista, edizioni Tracce

Videofilm

  • Pino Bertelli, Gianfranco Bertoli. Storia di un terrorista o La vita ancora, 1995


1994
 

Gino Bibbi (Avenza, Carrara, 5 febbraio 1899 - Carrara, 8 agosto 1999), è stato un anarchico individualista italiano, militante antifascista (cugino di Gino Lucetti, attentatore alla vita di Mussolini) e aviatore per conto dei repubblicani nella rivoluzione spagnola. 

Gino Bibbi nasce ad Avenza, Carrara, il 5 febbraio del 1899, figlio di un imprenditore del legname. Già sottotenente di fanteria, studia da ingegnere al politecnico di Milano, dove conosce, nel 1922, Camillo Berneri. Nel '23 viene pestato a sangue dai fascisti, dopo aver lanciato in faccia al gerarca Renato Ricci, nel centro di Carrara, volantini che definivano Mussolini «tragico pagliaccio». In seguito, durante un'altra aggressione fascista, viene ridotto in modo tale che sua madre, al solo vederlo, ne morrà di crepacuore.

Nel 1926, con la complicità di altri anarchici (la sorella Maria, il triestino Umberto Tommasini, il bresciano Leandro Sorio e il carrarino Stefano Vatteroni), fornisce la bomba SIPE che il cugino Gino Lucetti lancerà a Roma, l'11 settembre 1926, contro l'auto del duce. La bomba esploderà, ma Mussolini rimarrà illeso.

Gino Bibbi e la sorella Maria vengono arrestati 24 ore dopo l'attentato. La mancanza di prove lo farà passare dal carcere al confino, prima ad Ustica e poi a Lipari. Viene torchiato ad ogni occasione, ogni qual volta la polizia segreta fascista si trova ad indagare su episodi come l'attentato alla Fiera di Milano del 1928. Di lui si occupa il commissario Rizzo, lo stesso che "curava" l'espropriatore anarchico Sante Pollastri (già, il «bravo poliziotto che conosce il suo mestiere e che sa che ogni uomo ha un vizio che lo farà cadere!») e l'anarchico individualista Giuseppe Mariani, autore della strage al Teatro Diana di Milano, nel 1922.

Con il pretesto di completare gli studi di ingegneria, riesce a farsi trasferire all'Ucciardone di Palermo, da dove evade imbarcandosi per Tunisi su una nave argentina, grazie alla complicità di marinai anarchici. Da Tunisi, raggiunge Parigi dove impara a pilotare un aereo, insieme al fratello di Francisco Franco, Ramon, esule repubblicano in Francia. Passa in Spagna, dove, insieme a Gigi Damiani, prepara un piano per far evadere Errico Malatesta, sequestrato dal regime fascista nel sua casa nel quartiere Trionfale a Roma. Alcune soffiate allertano l'OVRA, e il progetto abortisce.

Nel 1934 apre un'officina a Valencia e viene accusato dal console italiano di produrre armi per gli anarchici. Nel 1936, allo scoppio della guerra civile, diviene pilota da caccia dell'aviazione repubblicana che, però, si sta trasformando rapidamente in un feudo stalinista. Bibbi, sfruttando le sue competenze ingegneristiche, sperimenta nuove armi per il Comitato Centrale delle Milizie di Catalogna, fra cui un lanciarazzi teleguidato con un raggio d'azione di 10 km. Gli viene commissionato un progetto di siluro teleguidato per attaccare le navi fasciste che bloccano i porti spagnoli. Nel dicembre del 1936 viene arrestato dalla polizia repubblicana e accusato di essere «una spia di Mussolini».

L'intervento del comitato regionale della CNT di Valencia gli salva la vita. Il 20 febbraio del 1937, ad Alicante, viene nuovamente arrestato dalla Guardia de Asalto (stalinista) insieme a Umberto Tommasini e ad altri tre compagni, nonostante avessero un'autorizzazione del Ministero della Marina e dell'Aviazione per compiere atti di sabotaggio nel porto franchista di Ceuta, in Marocco, utilizzando mine subacquee. Rinchiusi in una ceka (prigione privata comunista) vengono detenuti per settimane, interrogati, minacciati, malmenati. Tommasini riesce ad evadere. Solo l'intervento di Juan Garcia Oliver, ministro della Giustizia, presso il ministro degli Interni, il socialista Galarza che ne aveva disposto l'arresto, riuscirà a salvarlo. Dopo questa esperienza, Bibbi lascia la Spagna, pur continuando ad interessarsi, da Parigi, di altre azioni contro il fascismo e contro lo stalinismo. Fonda un gruppo anarchico indipendente.

Con Tommasini, nel 1937, progetta un nuovo attentato al duce, che non verrà però portato a termine per colpa della delazione dell'anarchico diventuto informatore dell'OVRA Mario Buda. Passato in Francia alla fine della guerra spagnola, è internato presso il campo di Gurs. Durante l'occupazione, riesce a nascondersi e quindi a tornare in Italia dove partecipa alla resistenza. È tra gli anarchici che libereranno Carrara dai fascisti .

Poi si rifugia in Brasile per un qualche periodo. Tornerà a Carrara nel 1948 e prenderà alloggio nelle case popolari, insieme alla moglie e a due figli. Le stesse case popolari di Avenza, dove rimarrà fino alla fine anche Alfonso Failla.

Aderisce alla Federazione Anarchica Italiana, da cui si ritira a metà degli anni cinquanta, «perché troppo subalterna al Partito Comunista Italiano». Nel convegno dell'Internazionale delle Federazioni Anarchiche del settembre 1968 a Carrara - quello cui intervenne Daniel Cohn-Bendit - è parte attiva nella rottura con i giovani del maggio francese:

«Sono venuti a proporre il fronte unito delle sinistre! Roba di cinquant'anni fa. Un suicidio!».

Il pericolo stalinista è diventato una tale ossessione per lui che all'inizio degli anni settanta si dirà che era arrivato a simpatizzare per "Nuova Repubblica", movimento fondato da Randolfo Pacciardi, vecchio amico ed ex-comandante della Brigata Garibaldi in Spagna. Fatto sta che si estranea del tutto dal movimento anarchico. Alla fine della sua vita si dichiarerà anarchico individualista: muore a Carrara l'8 agosto 1999, a più di cento anni. Si è fatto poi cremare, il fazzoletto rosso e nero annodato al collo. 

Gino Bibbi a l'illa d'Ustica (1927)
 


Gino Bibbi (primer per la dreta dels asseguts) amb altres confinats --entre ells Giuseppe Tonini, Fioravante Meniconi, Melli Tarantola i Antonio Di Donato-- a l'illa d'Ustica (1927)

 

Fitxa policíaca de Gino Bibbi

Gino Bibbi posant a prova armament per a la CNT
 

Gino Bibbi amb Edgard Leuenroth i Luce Fabbri (São Paulo, 1946)

 
Mugshot of Gino Bibbi.

 
Uploaded: Jan 18, 2016
 
Giuseppe Boldrini (Cicognara, Mantova, 20 novembre 1894 - Campo di concentramento di Mödling, uno dei sottocampi di Mauthausen, in Austria, marzo 1945?) è stato un anarco-individualista italiano. Insieme ad Ettore Aguggini e Giuseppe Mariani fu coinvolto nella Strage del Teatro Diana di Milano del 23 marzo 1921. 

Giuseppe Boldrini nasce a Cicognara (provincia di Mantova) il 20 novembre 1894 da Giovanni e Cecilia Madesani. Di professione operaio e minatore, si avvicina all'anarchismo ed in particolare alla corrente individualista. Entra in contatto con il gruppo milanese di cui fanno parte quelli che saranno due suoi amici e compagni: Ettore Aguggini e Giuseppe Mariani.

Le autorità cominciano ad interessarsi a lui ed al suo gruppo dopo i due attentati al ristorante Cova di Milano (26 giugno ed 8 agosto). Pochi giorni dopo, con Aguggini e Mariani, travestito da ferroviere passa la frontiera ed entra clandestinamente in Svizzera per sfuggire ad un possibile arresto. Dopo un periodo trascorso a Zurigo, i tre ritornano a Milano nel settembre 1920 con l'intento di partecipare alle rivolte del biennio rosso. Il 14 ottobre, Boldrini e compagni mettono a segno un'azione diretta contro l'albergo Cavour, che doveva ospitare la delegazione inglese partecipante al congresso della Società delle Nazioni.

Nel marzo del 1921, visto che dall'ottobre precedente molti anarchici - tra cui Malatesta, Borghi e Quaglino - si trovavano detenuti a San Vittore (Milano) senza alcuna specifica accusa, il gruppo milanese di Boldrini decide di mettere a segno una terna di attentati (alla centrale elettrica di via Gladio, alla sede del giornale socialista «l'Avanti» e all'albergo Diana, in via Mascagni, nei pressi dell'omonimo Teatro.) per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sull'assurda detenzione degli anarchici e costringere i magistrati quantomeno a fissare la data del processo.

Gli attentati sono programmati per il 23 marzo (Malatesta, Borghi e Quaglino avevano iniziato da cinque giorni lo sciopero della fame), ma le cose non vanno come pronosticate e l'azione contro il Diana si trasforma in una strage: 21 morti e 80 feriti. L'obiettivo non era il teatro ma l'albergo, dove si pensava risiedesse il questore Giovanni Gasti. Casualità e approssimazione trasformarono un gesto di solidarietà verso altri compagni in una drammatica strage che susciterà orrore anche nel movimento anarchico.

Boldrini fugge con Aguggini nella Repubblica di San Marino, poi in Svizzera e in Germania, dove lavora come minatore in Westfalia, celandosi sotto il falso nome di Taiani. Catturato, viene estradato in Italia e processato con i suoi compagni a partire dal 9 maggio 1922. Condannato all'ergastolo, Boldrini si dichiarerà sempre innocente, sostenendo di non essere stato presente al momento dell'esplosione.

Nel giugno 1922 viene rinchiuso nel penitenziario di Porto Longone (oggi Porto Azzurro), dove rimane in isolamento per 16 anni. Nel 1943 si trova in carcere a Parma. In seguito, i nazisti lo trasferiscono nel campo di concentramento di Mauthausen, dove si unirà alla cellula dei detenuti politici comunisti, formata anche da alcuni gappisti fra cui Augusto Cambi, che parla di lui con ammirazione, un punto di sicuro riferimento per tutti i deportati poiché aveva trascorso 22 anni nel carcere di Porto Longone, aveva imparato a vincere la solitudine allevando canarini ma soprattutto studiando e acquisendo una profonda cultura politica. Morì a Mödling, un sottocampo di Mauthausen, alla fine dell'inverno del 1945, probabilmente a marzo del 1945.

 

Prima pagina de «La Stampa» che riporta la notizia della strage del Diana
 
Giustino Bettazzi (Prato, 27 settembre 1899 - Torino, 24 gennaio 1944) è stato un anarchico italiano. 

Nato a Prato nel 1899 e residente da anni a Torino, dove svolgeva l'attività di rigattiere, Bettazzi fu arrestato il 7 gennaio 1944 con l'accusa di detenzione di armi.

A seguito dell'attentato partigiano contro l'albergo Genova, in via Sacchi 14, luogo di raccolta di nazifascisti, avvenuto il 22 gennaio 1944, i cui autori i fascisti non riuscirono a identificare, Bettazzi e altri quattro antifascisti, gli anarchici Brunone Gambino, Carlo Jori, Maurizio Mosso e il socialista Aldo Camera, furono prelevati dal carcere delle Nuove di Torino, condotti al poligono di tiro del Martinetto e qui fucilati per rappresaglia il 24 gennaio 1944.

I loro corpi furono poi portati sul luogo dell'attentato e gettati sul marciapiede della strada. Una lapide apposta sulla via ricorda il crimine fascista.


 
Lapide dedicata a Bettazzi Giustino, Camera Aldo, Gambino Brunone, Jori Carlo, Mosso Maurizio, in via Sacchi 14. Fotografia di Sergio D'Orsi, 2013


Luigi Bertoni (Milano, 16 febbraio 1872 – Ginevra, 19 gennaio 1947), detto anche "Il Santo", è stato un anarchico, tipografo, propagandista e sindacalista svizzero-italiano. Vissuto per gran parte della sua vita in Svizzera, fu uno dei principali protagonisti del movimento anarchico di quel paese. 

Luigi Bertoni nasce a Milano il 16 febbraio 1872 da Giuseppe e Carolina Dominioni. La madre è lombarda mentre il padre è originario del Canton Ticino, ed è proprietario di una drogheria. Nell'ambiente mazziniano e repubblicano del padre, il giovane Luigi avrà l'occasione di leggere opuscoli di propaganda socialista e anarchica, quest'ultima inviata da suo cugino Mosè Bertoni (Mosè dopo aver conosciuto Élisée Reclus e Kropotkin, parte nel 1884 dal Ticino per l'Argentina con moglie, figli, la madre e un gruppo di compaesani, intenzionato a fondare una colonia anarchica ma poi direttosi in Paraguay). Nel 1880 la famiglia si trasferisce a Como, città in cui Bertoni inizia a 13 anni l'apprendistato di tipografo ed è membro del sindacato. Dopo poco più di un anno viene licenziato «per essersi sfacciatamente rifiutato di lavorare qualche ora in più dell'ordinario anche dietro pagamento». A 14 anni trova lavoro a Mendrisio, in Canton Ticino, facendosi passare come operaio tipografo.

Il liberalismo

A 17 anni collabora con la rivista liberale ticinese in esilio «Vita Nuova», pubblicata a Ginevra, mentre a 18 anni – sollecitato dal cugino Brenno (fratello di Mosé), due giorni prima del colpo di Stato liberale di Bellinzona, ottiene dopo un esame il diploma di maestro, un trampolino di lancio «che avrebbe dovuto servirmi per concorrere agli impieghi dello Stato», professione che non eserciterà mai. Partecipa alla “Rivoluzione di settembre” – accanto ai liberal-radicali, stanchi del dominio clericali del Partito conservatore – «come umile segnale all'insurrezione...[...] soprattutto come membro di una delle famiglie più notorie del Cantone. La Rivoluzione scoppiava l'11 settembre a Bellinzona e armato da una carabina a doppio grilletto, di cui ignoravo d'altronde il maneggio, feci parte del gruppo che passando sopra il cadavere del Consigliere di Stato Rossi, un giovanotto di 25 anni, Capo del Dipartimento giustizia e polizia, s'impossessò del Palazzo governativo [...]. Intervenne l'autorità giudiziaria federale. Non arrestò nessuno». Tre giorni dopo – su invito dei redattori di «Vita Nuova» – lo troviamo a Ginevra sempre come tipografo: collabora a riviste liberali radicali ticinesi, è attivo nel sindacato e nel 1893 conosce alcuni anarchici della Federazione anarchica del Giura come Jacques Gross, Georges Herzig, Francois Dumartherey, Eugene Steiger, Auguste Spichiger, Alcide Dubois, Henry Soguel e i profughi comunardi francesi Antoine Perrare e Louis Pindy, partecipando al quindicinale anarchico «L'Avvenire».

La scoperta dell'anarchia

Respinto il liberalismo radicale e oramai divenuto anarchico, è redattore dal 1896 de «L'Emigrante Ticinese Illustrato», pubblicato a Berna e poi a Ginevra, in cui afferma che i sindacati devono opporsi decisamente alla produzione e alla mediazione dello Stato, «un'istituzione barbara che deve cadere per essere sostituita dalle associazioni costituite dal libero accordo». Vi sono due partiti in contrapposizione «il partito di coloro che vogliono lo sviluppo progressivo e il partito di quanti ne chiedono invece la soppressione e l'adattamento dell'individuo a una società senza autorità». Bisogna rompere completamente con il passato «non dobbiamo più partecipare a nessuna festa, a nessuna commemorazione della classe dominante, dividerci completamente da lei per schierarci contro». Coerentemente, nel 1895 rifiuterà il posto di direttore della tipografia cantonale ticinese, offerta dai liberali oramai al potere. Nel 1898 è segnalato per la prima volta dalla Polizia politica al Pubblico ministero della Confederazione per aver proposto, nel Sindacato tipografi ginevrino, la partecipazione al 1° Maggio. L'anno dopo è corresponsabile con altri due cittadini elvetici Emile Held e Carlo Frigerio, di una pubblicazione «L'Almanacco socialista anarchico», in cui tra l'altro, sono invitate tutte le forse repubblicane italiane a unirsi per abbattere la monarchia (articolo di Errico Malatesta). Il Governo elevetico, su pressioni di quello italiano, invia i tre autori davanti al tribunale, poi è costretto ad assolverli. Gli anarchici – in particolare gli immigrati italiani in Svizzera – esultano: finalmente sarà loro possibile agire alla luce del sole con il sostegno dei compagni svizzeri.

L'attività propagandistica

Nel luglio 1900 nasce a Ginevra il bimensile «Il Risveglio Anarchico», redatto inizialmente da esuli, poi da immigrati, che si rivolge alla numerosa immigrazione italiana, e «Le Réveil socialiste anarchiste», con la collaborazione di alcuni anziani di anarchici romandi. Il redattore responsabile dei due periodici, veri e propri organi ufficiali dell'anarchismo in Svizzera, è proprio Bertoni, che inizialmente si avvale della collaborazione di varie personalità: Barchiesi, Mario Bassadinna, Vivaldo Lacchini, Nino Samara, Felice Mezzani (dalla Francia)ecc. Il periodico bilingue, inizialmente quindicinale, dal 1905 al 1908 diviene settimanale, poi ancora bisettimanale fino al 1910, anno in cui si trasforma poi in due quindicinali distinti (4000 copie di tiratura). Nel tempo assumerà varie denominazioni, fino al 1925 quando diviene definitivamente Il Risveglio Anarchico / Le Révéil Anarchiste (dal 1940 al 1946 usciranno clandestinamente in formato opuscolo). All'attività editoriale dei due periodici, Bertoni affianca una casa editrice, le edizioni Risveglio/éditions du Réveil, che pubblicheranno una cinquantina di libri e opuscoli. Infine, negli anni Venti e Trenta, per il 1° maggio, esce sempre da Bertoni «Il Ticino Libertario», con la collaborazione degli anarchici ticinesi. 

Il periodico dà un forte impulso al movimento in Svizzera, all'inizio del secolo in fase embrionale, e fin dal suo primo numero esplicita una vita dichiaratamente associazionista: «L'associazione è un fatto biologico, una necessità sociale», e nel contempo sindacalista «per spingere anche il sindacato sulla via rivoluzionaria, dobbiamo tutti entrare nei sindacati». Bertoni esercita una considerevole propaganda in tutta la Svizzera, grazie anche a numerose conferenze: un centinaio all'anno (con punte di 130-140) per circa 40 anni. Perciò vi sarà un notevole sviluppo dei gruppi anarchici: quelli di lingua italiana da una decina nel 1902 diventano una trentina nel 1915, mentre la Fédération communiste anarchiste de la Suisse romande annuncia dieci gruppi nel 1907. Nel 1901 Bertoni si fa promotore del Groupe pour la défense de la liberté d'opinion, costituito in un'assemblea alla presenza di 250 anarchici socialisti, sindacalisti, che si preoccupa di raccogliere fondi e di informare il movimento operaio e l'opinione pubblica sui metodi antisociali e liberticidi della polizia svizzera, soprattutto nei confronti degli operai sia stranieri sia confederati. In quest'ambito si occupa pure dell'espulsione dal Canton Ticino dell'allora socialista Benito Mussolini, in Svizzera dal 1902 al 1904, il quale, grato dell'aiuto, tradurrà gratuitamente dal francese un'opera importante di Kropotkin, Le parole di un ribelle, che verrà pubblicato dalle edizioni del Risveglio. Nel 1912 Mussolini ricorderà così Bertoni: «È la bestia nera della borghesia elvetica. L'ho conosciuto a Berna nel 1903. Alto, secco, naso prominente, lineamenti angolosi, sbarbato. Ha dell'asceta. Scrive e parla, con grande correttezza, l'italiano e il francese. La sua coltura storica e sociologica è vastissima. È una delle prime teste pensanti dell'anarchismo internazionale. Operaio. Lavora da tipografo otto ore al giorno e gli rimane il tempo necessario per scrivere un giornale e tenere tournées di propaganda. La sua attività è prodigiosa. Il gruppo editoriale le Réveil è opera sua [...]. Odiatore del funzionalismo operaio, dei permanents, dei professionali, egli non ha mai voluto abbandonare la cassa del compositore. È uno spirito disinteressato».

Chiamato dai giornali borghesi “le gréviculteur”, cioè cultore di scioperi, è incarcerato più volte: nel 1902 accusato, in quanto membro del comitato di sciopero generale in Svizzera a Ginevra – grande movimento cui partecipano 15.000 – è condannato a un anno di detenzione. Ma la minaccia di un nuovo sciopero generale di protesta dei sindacati ginevrini previsto per il 1 maggio 1903, costringendo il governo ginevrino a graziarlo (anche senza la sua richiesta), dopo 132 giorni di detenzione.

L'azione sindacale

Dal 1902 Bertoni è segretario non rimunerato della CdL di Ginevra. Redige poi – insieme con A. Rouiller e di J. Karly – gli statuti della Fédération des Ounions Ouvrières de la Suisse Romande, fondata nel 1905, che, di esplicito orientamento sindacalista rivoluzionario, raccoglie una decina di camere di lavoro romande (70 sindacati e 8.000 membri, contro 40.000 della riformista Unione Sindacale Svizzera), ed è assai attiva fino al primo conflitto mondiale. Gli animatori di questa federazione sono sia anarchici, sia militanti socialisti e sindacalisti delusi dal riformismo; due “anime” che collaboreranno intensamente senza grandi conflitti interni, sia nei confronti del padronato e dello Stato, sia contro il riformismo dell'Unione Sindacale. Questo nuovo sindacalismo – che riesce ad organizzare operai di diverse culture, italiani, francesi, tedeschi, romandi e confederati – ha un proprio settimanale, «La Voix du Peuple», edito a Losanna poi a Ginevra, dal 1906 al 1914, e un'organizzazione chiaramente libertaria; infatti i segretari delle federazioni e delle Unioni Operaie non sono remunerati ed ogni Unione ha la sua completa autonomia d'azione. Esse lottano per il miglioramento delle condizioni di lavoro mediante l'azione diretta, preconizzano lo sciopero generale per poi fondare una società senza classi, senza stato, senza alcun dominio; sostengono il neomalthusianesimo, l'aborto, il libero amore, l'antimilitarismo e l'antiparlamentarismo; favoriscono la fondazione di cooperative di consumo e di produzione; patrocinato la straordinaria esperienza della Scuola Ferrer di Losanna, attiva ininterrottamente dal 1910 al 1919, una scuola proletaria, libertaria e razionalista, orgogliosa di non chiedere alcun sussidio allo Stato, con la collaborazione dei sindacati e del Libero Pensiero. Nel dicembre 1906 Bertoni è nuovamente imprigionato per 30 giorni a causa di un articolo che commemora il sesto anniversario di Gaetano Bresci, in quanto colpevole di «apologia di crimini anarchici» (l'autore dell'articolo, anonimo – di cui Bertoni si assume la responsabilità – è F. Mezzani).

Nel gennaio 1907 Bertoni viene ancora arrestato e il governo ginevrino ne decreta l'espulsione del cantone, con il sostegno della stampa locale che scrive «che il pericoloso anarchico ticinese Bertoni dovrebbe essere punito in modo esemplare» e che se l'ospitalità ginevrina è sempre stata grande «non deve andare fino a custodire nel seno della nostra madre la serpe che vuole succhiarle il meglio del suo latte». Il decreto tuttavia rimarrà lettera morta grazie alla rinnovata minaccia di uno sciopero generale. Nel 1909 è accusato di aver provocato una ferita alla mano di un gendarme nel corso dello sciopero dei tipografi, poi assolto. Nel 1912 è scarcerato senza processo, dopo un mese di detenzione a Zurigo, a causa di una falsa accusa di un funzionario del Consolato italiano.

L'antimilitarismo

Intensa è l'attività di Bertoni in ambito antimilitarista. È sua la proposta per un congresso antimilitarista, quello di Bienne del 1909, al quale partecipano i gruppi più radicali del movimento operaio in Svizzera: i sindacati romandi della Federazione delle Unioni Operaie, l'Unione Operaia di Zurigo che rappresenta 15.000 operai, la Lega Rivoluzionaria di Zurigo, una trentina di gruppi anarchici, due gruppi tolstojani e la sezione ticinese del Partito Socialista Svizzero. Si tratta di un congresso contrastato aspramente dalle autorità (ma il consiglio federale in una seduta straordinaria non riesce a trovare motivi validi per impedirlo), ma anche dall'Unione Sindacale Svizzera e dal Partito Socialista che accusano i promotori di essere agenti provocatori. In questo congresso, intenzionato a ricostruire la Lega Antimilitarista svizzera, si riscontrano due posizioni: Bertoni, gli anarchici e i sindacalisti rivoluzionari romandi leggono l'antimilitarismo come rifiuto individuale e collettivo di prestare servizio militare, mentre per gli svizzero tedeschi – vedi Fritz Brupbacher – significa propaganda disfattista nell'esercito borghese, apprendimento delle tecniche e delle armi, per poi riutilizzare la struttura militare come esercito militare, opponendosi quindi al rifiuto individuale.

L'opposizione dei sindacalisti svizzero-tedeschi, che rinviano il progetto a causa del contrasto tra il sindacalismo romando è l'Unione Sindacale, alla quale vogliono rimanere vincolati, impedisce la ricostituzione della Lega. Lo scoppio della guerra vede Bertoni impegnato nel tentativo di sostenere la posizione interventista degli anarchici italiani:

«Mi sono recato in Italia nel mese di settembre 1914 ed ho parlato a Caccivio, provincia di Como, in un comizio di operai e contadini contro la guerra. A Milano ho cercato pure di prendere la parola contraddittoriamente in un comizio del sindacalista Corridoni, appena uscito di prigione, e convertito alla guerra di rivoluzione agli ordini di sua Maestà! Ma la riunione terminò in un tumulto tra partigiani e avversari della guerra. In tutto il periodo di neutralità italiana ho collaborato con articoli settimanali a Volontà di Ancona, in risposta ai fautori di guerra, con il pretesto che avrebbe portato alla rivoluzione...fascista! In Svizzera nel mese di maggio 1915, quando l'entrata in guerra d'Italia divenne evidente, l'abbiamo distribuito in tutte le località della Svizzera in cui avevamo dei compagni, un volantino intitolato “Non partite!”. E in tutto il periodo della guerra, salvo il periodo da maggio 1918 a giugno 1919 trascorso in prigione, non ho cessato di preconizzare la fine della guerra tramite la rivoluzione, con centinaia di articoli e conferenze».

Nel frattempo, due importanti animatori del movimento anarchico e sindacale romando – G. Herzig e J. Wintsch - su posizoni “interventiste” abbandonano «Il Risveglio Anarchico».

Il primo dopoguerra

Nel maggio 1918, in un periodo di grandi manifestazioni di piazza – poi culminate nel primo e ultimo sciopero generale svizzero del novembre – Bertoni è arrestato a Zurigo con un centinaia di anarchici, in gran parte di origine italiani (fra gli altri, Francesco Ghezzi, Carlo Castagna, Ugo Fedeli, Bruno Misefari e Giuseppe Monnanni). Per alcuni mesi non potrà aver contatti con l'esterno, nemmeno con il suo avvocato. Processato nel 1919, dopo 13 mesi di detenzione, sarà assolto completamente con una decina di anarchici – dall'accusa di aver favorito il trasferimento di un carico di armi dalla Germania all'Italia. Al suo rientro alla stazione ferroviaria di Ginevra Bertoni viene accolto da 15.000 persone festanti. Fin dall'ottobre 1917 Bertoni condanna – pur simpatizzando per la rivoluzione – i metodi autoritari e centralizzatori bolscevichi. In seguito, oramai certo dell'eliminazione di qualsiasi opposizione interna di sinistra, dagli anarchici ai socialisti rivoluzionari, organizza a Bienne nel settembre 1922 un congresso “chiarificatore” in occasione del cinquantesimo anniversario dell'Internazionale antiautoritaria. Il convegno internazionale anarchico, al quale partecipa anche Malatesta, riafferma uno dei principi espressi nel 1872 e cioè che «ogni organizzazione di un potere politico sedicente provvisorio e rivoluzionario non può essere che un inganno in più e sarebbe così pericoloso al proletariato quanto tutti i governi esistenti oggidì!». Nessuna meraviglia se alla morte di Lenin «Il Risveglio Anarchico» scriverà:

«È appena morto un uomo di Stato, non un uomo del Popolo».

L'epoca fascista

Negli anni '20 e '30 l'anarchismo, di cui Bertoni è la figura di maggior spicco, rimane assai attivo nel movimento operaio, soprattutto nei Cantoni di Ginevra e di Vaud, dove i libertari riescono a promuovere delle federazioni sindacali edili combattive – “le bande à Tronchet" (dall'anarchico Lucien Tronchet, segretario del sindacato edile ginevrino) – benché affiliate all'Unione Sindacale Svizzera. D'altra parte, ben organizzati, i gruppi romandi (con la loro Fédération Anarchiste Romande) in collaborazione con quelli italiani in Svizzera, riescono a tessere un efficiente rete di propaganda antifascista, di aiuto finanziario e di espatrio per i profughi, per le loro famiglie e per i compagni rimasti in Italia (ricordiamo Antonio Gagliardi, Giuseppe Bonaria, Giuseppe Peretti, Carlo Vanza nel Ticino, Ferdinando Balboni a Basilea, Giuseppe Spotti a Zurigo, Bertoni e Carlo Frigerio a Ginevra). Per la sua vivace campagna antifascista, propagandata in ogni angolo della Confederazione elvetica, in particolare nelle colonie italiane, «La Squillica italica», settimanale dei fascisti italiani in Svizzera – chiamato da Bertoni “Squilla vandalica” –trabocca di insulti nei suoi confronti: «Questa vescica d'aria, questo straniero, gira la Svizzera tenendo conferenze sull'infamia fascista, invitando al contraddittorio, come se fosse possibile ad un italiano qualsiasi di vincere la nausea per accostarsi all'alito graveolente del signor Bertoni [...] Ebbene diciamo chiaramente che il giorno in cui Bertoni ci avrà stomacato a sufficienza, mobiliteremo le colonie a questi comizi, per dire, con esse, una parola inequivocabile: cioè BASTA!».

La minaccia cerca di realizzarsi in occasione di un nuovo comizio promosso da anarchici e socialisti a Ginevra, quando un gruppo fascista armato di randelli tenta di impedirgli di parlare, ma l'immediata reazione dei presenti mette in figura la squadraccia. Il Governo svizzero è costretto, forse per la prima e unica volta, a esternare davanti alle Camere la sua disapprovazione nei confronti dei fascisti, mentre «La Squilla italica» cerca di consolarsi pubblicando il telegramma di Mussolini: «Esprimo il mio compiacimento ai fascisti di Ginevra per il contegno tenuto nella giornata di venerdì 11 giugno». Quando scoppia la Guerra Civile Spagnola Bertoni e compagni promuovono imponenti manifestazioni in favore dei rivoluzionari, tengono comizi, raccolgono collette, fondano il gruppo clandestino «L'Atlante», che organizza il passaggio di volontari e le spedizioni di armi destinate ufficialmente al Messico. Sessantaquattrenne, nell'ottobre del 1936, accompagnato da Troncher, Bertoni si reca a Barcellona, e, inviato da Federica Montseny, è oratore al Convegno della gioventù anarchica spagnola, partecipa al Congresso internazionale anarchico, si reca in visita ai compagni svizzeri e italiani volontari nelle colonie anarchiche spagnole al fronte di Aragona. Chiarisce immediatamente la situazione nei seguenti termini: «Guerra e rivoluzione non vanno disgiunte», infatti «la Spagna si è alzata in armi non solo per custodire al popolo un dominio nazionale, ma per realizzare una di queste grandi trasformazioni della struttura economica». Progetto rivoluzionario non gradito ai comunisti: «In Spagna gli stalinisti erano inizialmente un minuscolo partita, ma l'aiuto russo così esagerato e sfruttato li aggrandì in numero, in influenza, in potenza, talmente che il loro dominio nelle sfere ufficiali divenne ben presto totale [...] L'intervento stalinista fu chiaramente diretto contro ogni realizzazione collettivisti per il ritorno all'economia borghese o statalizzata. Distruggeremo tutto quello che l'iniziativa popolare aveva creato, fu il ruolo del partito sedicente comunista e di tutta l'immonda banda di poliziotti inviati da Mosca». Sempre fervente sostenitore della libertà di opinione, di parola e di organizzazione, Bertoni era intervenuto nel 1928 quando, di fronte alle celebrazioni del Natale di Roma dei fascisti italiani in Svizzera, i deputati comunisti al Gran Consiglio avevano chiesto al governo di impedire la manifestazione fascista:

«Non si può essere più ridicoli di così. Si insorge contro il fascismo per aver soppresso le libertà pubbliche e poi si chiede altrettanto! [...] Comunisti e socialisti parlamentari paiono proprio perdere la bussola. Si ostinano a chiedere alle autorità borghesi la proibizione di manifestazioni e pubblicazioni fasciste. Evviva! Libertà per tutti. Che meschina contraddizione è mai quella di implorare restrizione ai diritti costituzionali stessi, invece di opporre manifestazione a manifestazione, stampa a stampa e botte da orbo ad ogni tentativo di sopraffazione».

Durante gli anni Trenta la situazione de «Il Risveglio / Le Révéil» si fa sempre più difficile. Nel 1934, il Governo – per difendere la finanza eE gli industriali che sostengono le potenze dell'Asse (in particolare la Germania) – decreta misure liberticide sulla stampa; giungono a «Il Risveglio / Le Révéil» i sequestri, le minacce di soppressione, e infine la soppressione totale, nel 1940. Bertoni e compagni non demordono: dopo sei Circolari parzialmente sequestrate, clandestinamente continuano la pubblicazione quindicinale del periodico, benché bilingue e in formato opuscolo, per tutto il periodo bellico. Bertoni denuncia la demagogia e la massiccia propaganda nazionalista della borghesia, mirante unicamente ad assumere il ruolo di salvatrice per la mancata invasione del territorio nazionale, mentre la realtà è assai diversa, «perché i paesi che avrebbero dovuto attaccarla, dopo approfondito calcolo, hanno concluso che potevano ottenere maggiormente, imponendole convenzioni leonine [...]. La Svizzera fornisce come capitali, viveri, trasporti, armamenti ecc. molto di più che in caso di rovina e devastazione dell'invasione della guerra» (1942). «La Svizzera non venne attaccata sia perché ha fornito e fornisce il lavoro di tutte le sue officine e ingenti capitali alla Germania, sia perché gran parte dell'enorme traffico italo-tedesco passa indisturbato attraverso il Gottardo e il Sempione. È evidente che la sospensione di tale traffico e la distruzione delle officine elvetiche sarebbero a tutto danno all'Asse» (1943).

Il sindacalismo nel secondo dopoguerra

Per quanto riguarda il socialismo e il sindacalismo svizzeri nel corso della guerra e nell'immediato dopoguerra Bertoni rileva come essi abbiano rinunciato alla loro essenza, cioè all'aspirazione e al progetto universali di eliminare il capitalismo e lo Stato e di creare una nuova società senza sfruttamento: essi «praticamente considerano il capitalismo come eterno». Il sindacalismo «si confonde con la filantropia, con la carità [...] in favore di esseri inferiori che hanno definitivamente accettato la loro inferiorità». Mentre il progetto del sindacalismo anarchico era quello di «togliere allo Stato le sue funzioni utili per affidarle al sindacato», per Bertoni è ormai lo Stato a togliere ai sindacati.

Colpito da emorragia cerebrale, Luigi Bertoni muore a Ginevra il 19 gennaio 1947. 


 


 

 


 



Dans la tourmente
by [Bertoni, Luigi]


Action et Réaction


Manifestino con il programma dei balli e di una conferenza a Vallorbe nel luglio del 1911 (Archives cantonales vaudoises, Chavannes-près-Renens).

Nell'ambito dei lavori di costruzione della galleria del Mont-d'Or (1910-1912), sulla linea ferroviaria Losanna-Parigi, Bertoni tenne più volte conferenze davanti agli operai italiani del cantiere, in particolare prima dello sciopero del settembre 1911.

Luigi Bertoni ("L'ami Bertoni") | Bibliothèque de Genève Iconographie
 

 
Mario Betto (Venezia, 31 dicembre 1909 - Barcis, 23 ottobre 1944) è stato un anarchico, antifascista e combattente nella rivoluzione spagnola italiano. Morì in un gesto di sacrificio estremo, facendosi esplodere in un tunnel per fermare l'avanzata dei nazifascisti. 
Mario Betto nasce a Venezia il 31 dicembre 1909 da Giuseppe e Rosa Formentini. Inizialmente comunista, viene ricercato dai fascisti insieme ai suoi due fratelli: Alberto ed Ulderico. Quest'ultimo più volte dovrà subire le persecuzioni fisiche degli squadristi che lo consideravano un pericoloso sovversivo. Nel 1923 la famiglia Betto ripara a Thais, vicino a Parigi, dato che in Italia la vita è per loro oramai impossibile. Dal 1930 al 1936 risiede a Parigi, svolgendo la professione di apprendista vetraio e muratore.  

Iniziata la Rivoluzione spagnola, Mario si arruola come volontario miliziano antifascista nell'agosto del 1936. Secondo quanto egli stesso racconterà alla polizia fascista, si trovava in Spagna per le ferie quando sarebbe stato coinvolto negli eventi della Rivoluzione spagnola. Si tratta ovviamente di una confessione fasulla rifilata ai fascisti, infatti egli dichiarerà loro di aver rifiutato l'arruolamento nelle forze armate repubblicane, ma in realtà vi sono prove del suo arruolamento nel “battaglione dei miliziani rossi” di Carlo Penchienati  e della sua partecipazione a tutti i combattimenti, da quello dell'Harama alla battaglia dell'Ebro (24 luglio 1938) 

Fra comunismo ed anarchia

Dopo gli scontri di Barcellona tra anarchici (e miliziani del POUM) e comunisti stalinisti (maggio 1937), Mario Betto si avvicina all'anarchismo. Nell'aprile-maggio del 1938 Mario Betto rientra in Francia, da cui viene però espulso, insieme ai fratelli, in quanto riconosciuti come militanti comunisti e “combattenti per la Spagna Rossa”.

Rientrato in Spagna, è viene arrestato dall'esercito repubblicano con l'accusa di diserzione ed incarcerato a Montjuich (fino al febbraio 1939), assieme ad anarchici e miliziani comunisti antistalinisti del POUM. È questa la prova del suo definitivo distacco dal partito comunista .

Rientrato in Francia dopo la fine della Rivoluzione, è arrestato e internato al campo di concentramento di Gurs, mentre la sua compagna Rosa Cervera Terricabras è arrestata. Impiegato nei lavori militarizzati di Pas-de-Calais, è arrestato dai tedeschi nel 1940 e internato in Germania. Anche i fratelli, temendo di essere prima o poi arrestati, erano già scappati in Francia,  ma ciò non impedisce che Ulderico venga internato nel ben noto e triste campo di concentramento di Vernet , dove è inserito nella sezione degli anarchici.

La Resistenza

Uscito dal campo nazista e rientrato in Francia nel novembre 1941, il mese seguente viene interorgato dalla polizia fascista a cui nega ogni militanza politica. Scontata la pena nel carcere francese (marzo 1942), rientra in Italia, a Visinale di Pasiano (Friuli Venezia Giulia), ed entra in contatto con i partigiani comunisti che ben conoscevano il suo sincero antifascismo . Con loro combatte nelle fila della "Brigata Antonio Gramsci" con il nome di battaglia di "Spartaco". È conosciuto in zona anche per la sua eccentricità, indossa un cappello a larghe falde sul genere dei campesinos, un cinturone con pistola a tamburo, grosso coltello e "collana di granate". I compagni anche per questo gli vogliono bene e Mario li ricambia con un coraggio e una tranquillità fuori dal comune. In molti ricorderanno di come Mario tenesse alto il morale a tutti i partigiani: Mario è il "vecchio" fra i "ragazzini", la grande esperienza militare, ottenuta dalla milizia antifascista in Spagna, è un riferimento fondamentale per i giovani.

Il coraggio di Spartaco: il sacrificio estremo per fermare i nazifascisti

Il 15 ottobre 1944, nella zona di Barcis (Friuli), i partigiani in ritirata avvistano un grosso contingente di nazifascisti che stanno iniziando un "rastrellamento". Spartaco e il giovane compagno partigiano Diana il 23 ottobre si offrono volontari, impedendo che la pericolosa azione potesse essere compiuta da partigiani che erano anche padri di famiglia, per l'azione di copertura: il piano prevede di far saltare la galleria di ponte Antoi e così bloccare l'avanzata dei nazifascisti.

I due partono in bicicletta col pesante fardello, fisico e morale, ma con una tranquillità tale che è come se «andassero a far merenda sul prato». Nel pomeriggio, la Brigata Antonio Gramsci in ritirata ode un forte boato a dimostrazione che l'operazione è riuscita: è saltata la galleria dell'Antoi. Quando Diana ritornerà solitario al campo partigiano, racconterà che mentre Spartaco si trovava circa a metà del tunnel ed era intento a preparare l'innesco per far saltare la galleria, i nazifascisti erano all'improvviso comparsi. "Spartaco", secondo il racconto del giovane compagno, aveva allora deciso di usare la "miccia corta", non prima però di esser riuscito a far allontanare il compagno Diana, facendo brillare le mine e sacrificando la sua vita pur di fermare i nazifascisti. Termina così la sua vita il 23 ottobre 1944, coerentemente con i suoi ideali di irriducibile combattente antifascista, salvando la ritirata ai compagni partigiani. 


 

Miliziani antifascisti spagnoli diretti verso i campi di concentramento
 
Scultura di Françoise Desnoyer dedicata ai miliziani antifascisti spagnoli a Saint Cyprien
 

 
 
Tomba di Mario Betto
 

Pasquale Binazzi (La Spezia, 12 giugno 1873 - La Spezia, 5 marzo 1944), è stato anarchico italiano, editore e direttore del giornale «Il Libertario» e organizzatore della Resistenza antifascista nella lunigiana. Proprio attorno alla sua figura e al suo giornale orbitano i futuristi di sinistra di tendenza anarchica dello spezzino, quali Renzo Novatore, Auro D'Arcola e Dante Carnesecchi. 

Pasquale Binazzi nasce alla Spezia il 12 giugno 1873. Comincia molto presto a lavorare come operaio meccanico all'Arsenale della città, abbracciando quasi immediatamente il pensiero libertario. Nel 1891 conosce Pietro Gori (in tournée per una serie di conferenze) e inizia a collaborare con alcuni giornali anarchici quali «L'Operaio», «I Raggi» e «La Luce».
È un militante anarchico molto attivo, la sua presenza è già segnalata durante i moti della Lunigiana, ai quali partecipa in qualità di organizzatore insieme a Luigi Molinari. Essendo ricercato perché anarchico è costretto ad abbandonare il lavoro e la città della Spezia. Il 22 gennaio giunge a Milano poi si sposta Lugano (Svizzera), dove, grazie all'interessamento di Isaia Pacini riesce a trovare un lavoro. In Svizzera non viene meno il suo attivismo: nel marzo 1894, proprio durante una conferenza anarchica in un teatro di Lugano, sfocciata in disordini, viene arrestato e dopo 15 giorni di prigione espulso e consegnato alle autorità italiane, che dopo averlo arrestato lo libereranno.

Binazzi è nuovamente arrestato nel gennaio 1895, insieme a Luigi Galleani, con l'accusa di aver costituito un'associazione sovversiva, è condannato nel febbraio seguente a 3 anni di carcere e mandato al confino nelle isole Tremiti. Liberato nel 1897, si ferma prima a Genova poi, nel 1899, ritorna alla Spezia, dove prende parte, nel 1901, alla creazione di una "Borsa del lavoro", di cui diviene segretario. La conoscenza di Zelmira Peroni è decisiva, sia perché diviene sua compagna di vita e sia perché insieme fondano, nel 1903, «Il Libertario» (a cui collabora anche Pompeo Scipione Barbieri), che in breve tempo riesce ad avere una grande risonanza nazionale. Insieme a Zelmira fonda pure una cooperativa editrice: "La Sociale" .

La propaganda contro il clericalismo

Fra il 1906 ed il 1911 si adopera pure per una profonda demistificazione del clericalismo, indicendo una serie di comizi e conferenze a livello locale e nazionale: è il periodo del cosiddetto "risveglio anticlericale nazionale", che trova la massima forma di diffusione con le manifestazioni di protesta per l'omicidio di Francisco Ferrer y Guardia [una lapide commemorativa di questi eventi fu posizionata nel 1913 a Novaggio, villaggio del Canton Ticino]. Nel 1910, alla Spezia, scrive e pubblica l'opuscolo Abbattiamo il Vaticano!, a memoria del grande pedagogista anarchico catalano.

L'agitazione fra gli operai e la guerra Italo-Turca

Pasquale Binazzi convoca alla Spezia nel gennaio del 1911 il "Convegno Anarchico Ligure", in cui si oppone ad ogni ipotesi di tipo organizzativo burocratico, che erano state presentate da suoi compagni presenti al convegno. Nella stessa estate, essendo stato anche sindacalista, si reca a Piombino per seguire da vicino le agitazioni operaie che poi evolveranno a sfavore degli operai. Va quindi a Roma ad assistere al Congresso Anarchico Italiano tenutosi nel settembre dello stesso anno, dove, assieme ad Aristide Ceccarelli, firma una mozione che chiede che la riorganizzazione del movimento anarchico sia rinviata al rientro di Errico Malatesta in Italia. Binazzi si oppone duramente a qualsiasi mediazione con i portatori di idee nazionaliste, esprimendo una durissima condanna, condivisa dai più, alla guerra Italo-Turca. Pasquale Binazzi nel novembre del 1913 si incontra con Errico Malatesta a La Spezia per definire linee e metodica d'intervento degli anarchici nel movimento operaio, ipotizzando che le lotte sindacali ed antimilitariste possano evolvere in propaganda insurrezionale in vista della rivoluzione sociale.

Il problema dell'interventismo

Quando scoppia il primo conflitto mondiale egli si trova al centro dello scontro tra anarco-interventisti e antimilitaristi, in quanto aveva dato spazio sul suo giornale ad articoli filo-Intesa.Il caso più eclatante è quello firmato di Maria Rygier, favorevole alla costituzione di gruppi di volontari anarchici che combattano per la Francia. Binazzi prende immediatamente le distanze da queste posizioni, ribadendo la sua visione internazionalista contraria ad ogni guerra portata avanti dai predoni capitalisti e riaffermando la sua contrarietà al coinvolgimento degli anarchici nel nascente movimento interventista di sinistra. Errico Malatesta condivide la posizione di Binazzi, il quale promuove, nel gennaio 1915 a Pisa, un Convegno nazionale, insieme ai compagni dell'«Avvenire Anarchico», onde coordinare tanto la propaganda antimilitarista quanto quella interventista, purché entrambi in linea col motto «guerra alla guerra». Egli ipotizza addirittura l'opportunità di trasformare il tutto in un movimento insurrezionale nazionale fondato questa parola d'ordine. Su «Il Libertario» viene quindi dato ampio risalto ai risultati delle conferenze socialiste di Zimmerwald e Kienthal. Ed è proprio il manifesto di Zimmerwald su cui Binazzi fa forza, anche se non è ben visto dagli anarchici esclusi dai lavori, esprimendo tutto il suo compiacimento perché un'ala del movimento socialista si sposta o ritorna su posizioni fieramente internazionaliste.

Binazzi si dimostra quindi "possibilista" verso la costituzione di un "Fronte Unito" con i socialisti che si oppongono al conflitto, che lo porta però a subire duri attacchi dal compagno Renato Siglich su «l'Avvenire anarchico», che lo accusa di annacquare l'ideale anarchico. A queste accuse Binazzi replica che la collaborazione con l'ala socialista internazionalista deve semplicemente collocarsi «nel quadro di una concezione pluralistica del movimento operaio, fondata sul riconoscimento della funzione autonoma delle diverse correnti e quindi della loro necessaria indipendenza organizzativa». Ovvero alleanza tattica in un momento così grave in cui i dettami dottrinari draconiani risultano secondari.

«Il Libertario» e l'avvento del fascismo

«Il Libertario» è per Binazzi il mezzo più efficace per diffondere le sue idee, naturalmente invise allo Stato italiano. Inatti, il 30 maggio 1917, la rivista è sospesa dalle autorità militari; in dicembre Binazzi è fermato con la sua compagna ed inviato nella colonia penitenziaria di Lipari. Liberato nel gennaio 1919, riprende la pubblicazione del giornale ed assiste, in aprile, al congresso costitutivo dell'Unione Comunista Anarchica Italiana.
Il 27 luglio 1919 è però nuovamente arrestato con l'accusa di aver preso parte, un mese prima, ad un attentato.

Il diffondersi dello squadrismo fascista fa sì che, il 29 ottobre 1922, la sede del giornale venga completamente distrutta, quando lui si trova ricoverato in ospedale. Proprio a causa del fascismo «Il Libertario» è portato avanti con enormi difficoltà sino al 1926, quando il regime fascista ne impone la chiusura definitiva, condannando la coppia a cinque anni di confino, ridotti poi a due. Il confino oramai è quasi un'abitudine per Binazzi, che vi era già stato spedito nel 1894 insieme a Gigi Damiani e all'inizio del '900. A Lipari aveva già "soggiornato" con Zelmira dal 1915 fino alla fine del primo conflitto mondiale, colpevoli di propaganda anti-interventista ed antimilitarista.

Ritornato per l'ennesima volta alla Spezia, l'indomito combattente libertario riprende la lotta con l'occupazione delle fabbriche nel 1920 e l'organizzazione degli Arditi del Popolo, necessari per ribattere colpo su colpo agli attacchi degli squadristi fascisti nelle zone "sovversive" dello spezzino e della Lunigiana, sempre con accanto la compagna Zelmira.

Il 4 novembre 1931 assiste al funerale di Luigi Galleani; nel 1937 torna alla Spezia, dove parteciperà clandestinamente alla Resistenza anarchica nella stessa città ed in Lunigiana, fino alla sua morte, avvenuta il 5 marzo 1944. 



 


 
Zelmira Peroni e Pasquale Binazzi (i primi due a sinistra) nel confino di Lipari nel 1927
 

 




Pino Bertelli

Paolo Grillo -  2010
 
Pino Bertelli fotografato da Paola Grillo nella Taverna Buenaventura Durruti (Barcellona, Spagna, 2007). «La sola epoca che mi commuove è quella della Banda Bonnot» (Louis Scutenaire).
 
Pino Bertelli (1943) è un anarchico, scrittore, fotografo, regista e critico cinematografico. 

Pino Bertelli è nato in una città -fabbrica della Toscana, tra Il mio corpo ti scalderà e Roma città aperta.

Dottore in niente, giornalista, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema. I suoi lavori sono elaborati su temi della diversità, della libertà, dell'emarginazione, dell'amore dell'uomo per l'uomo e per la difesa del Pianeta Azzurro come utopia possibile.

È uno dei punti centrali del neosituazionismo italiano.

Nel 1993, il regista tedesco Jürgen Czwienk, ha girato un film-documentario sulla vita politica e l'opera fotografica di Pino Bertelli: Fotografare con i piedi.

Il regista Bruno Tramontano ha realizzato un cortometraggio, (Adoro solo l'oscurità e le ombre), tratto dal suo libro: Cinema della diversità 1895-1987: storie di svantaggio sul telo bianco. Mascheramento, mercificazione, autenticità , 1988. Il pittore Fiormario Cilvini, ha illustrato lo stesso testo in una cartella di 18 disegni a colori e una scultura. I suoi scritti sono tradotti in diverse lingue. L'“International Writers Association” (Stati Uniti), lo ha riconosciuto scrittore dell'anno 1995, per la “non-fiction”.

Nel 1997 i suoi ritratti pasoliniani di “fotografia di strada” sono esposti (unico fotografo) in una mostra con 16 maestri d'arte a Villa Pacchiani (Santa Croce sull'Arno), che aveva come contenuto il tema Le figure delle passioni. Pier Paolo Pasolini, amico e maestro, gli ha regalato la prima macchina fotografica quando aveva quindici anni.

È direttore responsabile della rivista di critica radicale Tracce, de Il libro volante, direttore editoriale della casa editrice Traccedizioni, collabora con Le monde diplomatique, Fotographia, «Sicilia libertaria» e altre testate. Ha diretto la regia del documentario Franco Leggio, un anarchico di Ragusa (2006), della durata di 42 minuti, proiettato in anteprima in occasione dei trent'anni di «Sicilia libertaria».

Nel 1999 gli è stato conferito il Premio “Castiglioncello” per la fotografia.

Nel 2004 ha ricevuto il Premio Internazionale Orvieto, per il miglior libro di reportage: Chernobyl. Ritratti dall'infanzia contaminata. I suoi fotoritratti di strada si trovano in gallerie internazionali, musei e collezioni private. Il suo archivio fotografico è depositato all'Università di Parma. Un'antologia delle sue fotografie si trovano presso la Galleria degli Uffizi a Firenze. Una sua opera contro tutte le guerre (Nostra bambina delle guerre. Avete fatto un deserto di morti e l'avete chiamato pace!) è stata esposta alla mostra d'arte Biennale di Venezia, 2011. Fa parte di Reporters sans frontières.

È stato inoltre autore, insieme a Massimo Panicucci, di Ravachol: il cavallo zoppo della libertà (edizioni Anarchismo, 1987), una storia a fumetti ambientata in Italia che racconta del cavallo di nome Ravachol, che rifiuta di farsi ammazzare nel macello e irrompe violentemente nella vita sociale di una sonnacchiosa periferia italiana degli anni '50.

Note


Pubblicazioni

  • Né cinema né capitale, 1982
  • La dittatura dello schermo. Telefoni bianchi e camicie nere, 1984
  • L'arma dello scandalo. L'anarchia nel cinema di Luis Buñuel,1985
  • Ravachol: il cavallo zoppo della libertà (disegni di Massimo Panicucci), 1987
  • La macchina/cinema e l'immaginario assoggettato, trattato di liberazione degli sguardi, 1987
  • Zero in condotta. Manuale eversivo per un cinema del quotidiano,1992
  • La fotografia proibita, 1992
  • La rivolta situazionista (con scritti di Guy E. Debord, Raoul Vaneigem, Asger Jorn, Gianfranco Sanguinetti), 1992
  • Elogio della diversità e sabotaggio della civiltà dello spettacolo. Omosessualità, handicap, follia, alcoolismo, droga, razzismo, 1994
  • Cinema della diversità 1895-1987. Storie di svantaggio sul telo bianco. Mascheramento, mercificazione, autenticità , 1994
  • Della fotografia trasgressiva. Dall'estetica dei “freaks” all'etica della ribellione. Saggio su Diane Arbus, 1994
  • Jean Vigo 1905-1934. Cinema della rivolta, 1995
  • Farfallandia. La terra dell'amore blu, illustrazioni di Massimo Panicucci, 1995
  • Il circo obliquo. La terra che nessuno sa (con scritti dell'Unicef, Premio Nobel per la pace), illustrazioni di Massimo Panicucci, 1996
  • L'angelo del non-dove. Encomio sull'eresia dell'amore e sulla ribellione del cuore dei ladri di sogni, 1996
  • Luis Buñuel. Il fascino discreto dell'anarchia, 1996
  • Fotografia di strada 1992-1994 (con scritti di Rinaldo Bartaletti, Paolo Chiozzi, Fernando Tempesti, Giulio Sapelli, Hubertus von Amelunxen), 1997
  • Contro la fotografia. Il linguaggio sequestrato delle scimmie e l'incendio dell'impero dei codici. Teoria, pratica e messa a fuoco della scrittura fotografica, 1997
  • Cinema e anarchia. Nell'età della falsificazione e del conformismo sociale, 1981/1998, (3 volumi), 1998
  • Il pane & le rose della fotografia di strada, (con scritti di Ando Gilardi, Lanfranco Colombo, Italo Zannier, Nicola Micieli...), 1999
  • Crianças. Ritratti dall'infanzia brasiliana (con scritti di Rigoberta Menchù, Premio Nobel per la pace, Leonardo Boff, Marcelo Barros, Ando Gilardi, Oliviero Toscani...), 2000
  • Les incendiaires de l'imaginaire (con scritti di Alain Blanc, Eduardo Colombo, Ronald Creagh, Marianne Enckell, Marie-Dominique Massoni, Alain Pessin, José Maria Carvalho Ferreira...), 2000
  • Theorie der fotografie IV, 1980-1995 (a cura di Hubertus v. Amelunxen e scritti di Jean Baudrillard, Massimo Cacciari, Jacques Derrida, Jean-Claude Lemagny, Christian Metz, Paul Virilio...), 2000
  • Pier Paolo Pasolini. Il cinema in corpo. Atti impuri di un eretico (con scritti di Goffredo Fofi e Enrico Ghezzi), 2001
  • Sahrawi. Un popolo esiliato (con scritti di Dario Fo, Premio Nobel per la letteratura, Lanfranco Colombo, Maurizio Rebuzzini...), 2001
  • Livorno. Quartiere Venezia. Genti del Mediterraneo (con scritti di Francesco Bruni, Roberto Mutti, Paola Grillo), 2001
  • Sassetta/Immagini di un paese nel cielo verde (con scritti di Duccio Demetrio, Graziella Favaro, Gianna Ciao Pointer, Paola Grillo...), 2001
  • Ginegay. L'omosessualità nella Lanterna magica, 2002
  • Glauber Rocha. Cinema in utopia. Dall'estetica della fame all'estetica della libertà , 2002
  • Chernobyl. Ritratti dall'infanzia contaminata (con scritti di Valentin I. Baranov, Paola Grillo, Gianfranco Bologna, Roberto Mutti, Oliviero Toscani, Hubertus von Amelunxen), 2003
  • Della fotografia situazionista (con scritti di Ando Gilardi), 2004
  • Iraq. Ritratti dall'infanzia insanguinata (con scritti di Simona Pari, Paola Grillo, Maurizio Rebuzzini, Diego Mormorio, Giovanni Micali, dell'Unicef, Premio Nobel per la pace, 2004
  • La toscana del lavoro (con scritti di Paolo Benesperi, Mauro Lombardi), 2004
  • Amazônia. Ritratti dall'infanzia emarginata (con scritti di Marcelo Barros, Paola Grillo, Davide Faccioli, Italo Zannier), 2005
  • Burkina Faso. Ritratti dal popolo degli uomini integri (con scritti di Fernanda Pivano, Paola Grillo, Claudio Marra, Arturo Carlo Quintavalle), 2005
  • Dolci sorelle di rabbia. Cent'anni di cinemadonna (con uno scritto di Mirella Bandini), 2005
  • Cinema dell'eresia. Gli incendiari dell'immaginario: Jean Vigo, Luis Buñuel, Glauber Rocha, Pier Paolo Pasolini, Rainer Werner Fassbinder, Guy-E. Debord, Lars von Trier (con uno scritto di Renato Curcio), 2005
  • Guy-E. Debord. Il cinema è morto (con scritti di Enrico Ghezzi, Ken Knabb), 2005
  • Contro la fotografia della società dello spettacolo. Critica situazionista del linguaggio fotografico e una Conversazione con Ando Gilardi, 2006
  • L'uomo con la fotocamera. Lettera a Renzo Chini (con uno scritto di Ando Gilardi), 2006
  • Diane Arbus. Della fotografia trasgressiva. Dall'estetica dei “freaks” all'etica della ribellione (con uno scritto di Geraldina Colotti), 2006
  • I ragazzi dell'arcobaleno. Una comunità in cammino (con scritti di Giorgio Napolitano, Walter Daviddi), 2006
  • Dell'utopia situazionista. Elogio della ribellione, 2007
  • Il viaggio di Birdy (illustrazioni di Massimo Panicucci), 2007
  • Ladro di cinema. Saggio su Luigi Faccini (con scritti di Luigi Faccini e Morando Morandini), 2008
  • Tina Modotti. Sulla fotografia sovversiva. Dalla poetica della rivolta all'etica dell'utopia (con uno scritto di Maurizio Rebuzzini), 2008
  • Volti del Mediterraneo (con uno scritto di Predrag Matvejevic), 2009
  • Jean Vigo. Cinema della rivolta e dell'amour fou (con scritti di Enrico Ghezzi e Alfonso Amendola), 2009
  • Signora libertà Signora anarchia (con l'omelia funebre A Nanda, di don Andrea Gallo), 2009
  • Don Andrea Gallo e la Comunità di San Benedetto al porto di Genova. In direzione ostinata e contraria (con scritti di Simona Orlando e Pino Cacucci), 2010
  • Pikiéko. Il villaggio che adottò un uomo. Burkina Faso (con scritti di Lilli Gruber, Marcello Lippi, Simone Cristicchi, Antonio Natali, Silvano Granchi, Cinzia Chighine, Simonetta Avesani, Matteo Lucherini, Vittorio Piccini, Marco Bucciantini, Amos Tincani, don Andrea Cristiani, Matteo Lucherini...), 2010
  • Fotografia situazionista della rivolta. Dal sessantotto alle attuali insurrezioni nel mondo arabo (Prefazioni di don Andrea Gallo e Ando Gilardi), 2011
  • Insorgiamo!. L'insurrezione nell'epoca dei social network (con scritti di Roberto Massari e Antonio Gasbarrini), 2011

Videofilm

  • Della natura come pena. Il carcere aperto dell'isola di Gorgona, 1994
  • Gianfranco Bertoli. Storia di un terrorista o La vita ancora, 1995
  • Delicado, (videoclip dal vivo), Saxea Saxophone Quartet, 1995
  • Storia di Laura. Dalla violenza all'amore, 1995
  • André Verdet. Lettera di un ebreo da Buchenwald, 1995
  • Gianna Ciao Pointer. Lettera dalla fotografia situazionista, 1995
  • Lettera dal ‘68. Conversazione con Luciano della Mea, 1999
  • Sotto il cielo dell'Islam, 2000
  • Franco Leggio. Un anarchico di Ragusa, 2006
  • Opera in Blue. Tratto dalla nonOpera musicale di Massimo Panicucci, 2010

Canzone - Teatro

Ha scritto i testi e curato la regia della Trilogia dell'amore ludro, una sorta di Canzone-teatro di strada o di stracci che è stato portato in scena dalla “Compagnia Angeli del non-dove”:

  • Le stanze del cuore, (2001), dedicato a Pier Paolo Pasolini
  • C'era una volta e una volta non c'era (2003), dedicato a Piero Ciampi
  • La ballata del caffè cielo  (2005), dedicato a Fabrizio De André
  • Della passione di Tina, di Marika Tesser, Teatro a mezz'aria, 2010. Testo liberamente tratto da Tina Modotti. Sulla fotografia sovversiva. Dalla poetica della rivolta all'etica dell'utopia, di Pino Bertelli, 2008. («A Tina, per aver smesso di fotografare calle, rose o bicchieri e aver regalato al mondo qualcosa di cui tuttora ha bisogno: il sogno di un'utopia realizzabile anelando a un desiderio di libertà e bellezza. Il resto lasciamo che se lo spartiscano a suon di denari i critici d'arte e i mercanti di grido»)... Marika Tesser.
Note

  1. Le musiche delle canzoni della Trilogia dell'amore ludro, sono di Massimo Panicucci: mapak@tiscali.it

Situazionismo

  • Ravachol. Il cavallo zoppo della libertà (disegni di Massimo Panicucci), 1987
  • La rivolta situazionista (con scritti di Guy E. Debord, Raoul Vaneigem, Asger Jorn, Gianfranco Sanguinetti), 1992
  • Zero in condotta. Manuale eversivo per un cinema del quotidiano, 1992
  • Elogio della diversità e sabotaggio della civiltà dello spettacolo. Omosessualità, handicap, follia, alcoolismo, droga, razzismo, 1994
  • Contro la fotografia. Il linguaggio sequestrato delle scimmie e l'incendio dell'impero dei codici. Teoria, pratica e messa a fuoco della scrittura fotografica, 1997
  • Della fotografia situazionista (con scritti di Ando Gilardi), 2004
  • Cinema dell'eresia. Gli incendiari dell'immaginario: Jean Vigo, Luis Buñuel, Glauber Rocha, Pier Paolo Pasolini, Rainer Werner Fassbinder, Guy-E. Debord, Lars von Trier (con uno scritto di Renato Curcio), 2005
  • Guy-E. Debord. Il cinema è morto (con scritti di Enrico Ghezzi, Ken Knabb), 2005
  • Contro la fotografia della società dello spettacolo. Critica situazionista del linguaggio fotografico e una Conversazione con Ando Gilardi, 2006
  • Dell'utopia situazionista. Elogio della ribellione, 2007
  • Fotografia situazionista della rivolta. Dal sessantotto alle attuali insurrezioni nel mondo arabo (Prefazioni di don Andrea Gallo e Ando Gilardi), 2011
  • Insorgiamo! L'insurrezione nell'epoca dei social network (con scritti di Roberto Massari e Antonio Gasbarrini), 2011

Scritti di Pino Bertelli

Testi:
Canzoni

 








 
 
 


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