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lunedì 25 settembre 2023

ANARCHICI & ANARCHIA 11

 

A N A R C H I C I & A N A R C H I A 


GIANDALASINI, Andrea

Nasce a Carrara (MS) il 2 novembre 1882 da Cesare e Marianna Franchi, lizzatore, chiamato comunemente “Garbero”. È membro della Commissione esecutiva della cdl di Carrara dal 1911 al 1913. Nel marzo 1912 è presente a Parma al comizio contro la guerra in Libia e alle riunioni con lo stesso scopo che si tengono a Carrara. Nel 1913 aderisce al gruppo “18 Marzo” di Carrara e dal novembre 1913 al gennaio 1914, risulta attivo nell’organizzazione dello sciopero dei marmisti. Il 19 ottobre 1919 viene eletto nella commissione esecutiva della cdl di Carrara, carica che ricopre nuovamente nel 1921. Come rap-presentante della lega lizzatori della Camera del lavoro, prende parte al congresso dell’USI che si tiene a Parma dal 20 al 22 dicembre 1919. Fa parte della delegazione della Camera del lavoro di Carrara che nel gennaio 1920 firma con la controparte padronale un contratto di lavoro per i marmisti. G. è uno dei capi degli Arditi del popolo di Carrara e nel luglio 1921 guida gli arditi del popolo di Vinca verso Sarzana e per questo motivo nell’ottobre successivo viene emesso un mandato di cattura nei suoi confronti e arrestato il 23 novembre. Con sentenza del Tribunale di Massa del maggio 1922 viene condannato a tre anni e sette mesi di reclusione. Sospettato di complicità con Gino Lucetti nel fallito attentato a Mussolini, nel settembre 1926 G. viene arrestato, ma scarcerato il successivo 28 giugno per inesistenza di reato. Continua a essere attentamente vigilato fino al 1942 e sottoposto a misure precauzionali di PS (dic. 1929) oltre a perquisizioni domiciliari (1930). S’ignorano data e luogo della morte. (I. Rossi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Massa, Comm. Pubblica Sicurezza, Ass. politiche disciolte, b. 69; ivi,Questura, i serie, b. 13.
 
 
GIANGIACOMI, Palermo
Nasce ad Ancona il 14 marzo 1877 da Angelo e Marietta Battistini, operaio, facchino, quindi scrittore e bibliotecario. La sua appartenenza all’anarchismo si circoscrive al periodo giovanile. G. vanta una buona istruzione (2° anno dell’Istituto tecnico), che gli consentirà di fondare alcuni giornali, nonché di scrivere saggi, poesie e testi teatrali. Le autorità ne annotano l’affiliazione al-l’anarchismo nel 1894, quando G. si reca a Roma con l’intento – sembra – di compiere un attentato contro il primo ministro. Nondimeno, viene segnalata la sua ricusazione dei principi libertari sottoscritta presso la prefettura anconitana all’inizio del 1897. In quello stesso anno si arruola con altri volontari italiani nel corpo delle Camicie rosse guidato da Ricciotti Garibaldi (è inquadrato nel II Battaglione, che combatterà sotto il diretto comando del generale); su questa esperienza darà alle stampe una memoria (La battaglia di Domockos, Ancona 1901). Nel 1898 si arruola volontario nel reggimento Savoia Cavalleria. Rientrato ad Ancona nel 1901, trova lavoro al cantiere navale, e si impegna fin da subito come sindacalista in stretta collaborazione con la locale Camera del lavoro. Pubblicista molto fertile, commenta tutti i principali accadimenti della sua città, facendosi ospitare dalle testate di ogni indirizzo politico e inviando corrispondenze, fra l’altro, anche a «L’Avvenire sociale» di Messina e «L’Agitazione» di Roma con gli pseudonimi “Domokos” e “Montjuich”. In questo periodo le sue simpatie libertarie sembrano convivere con quelle repubblicane, che avranno infine la meglio. L’8 giugno 1902 rappresenta la locale Federazione socialista anarchica alla commemorazione di Garibaldi organizzata ad Ancona; qualche settimana più tardi presenzia, con Rodolfo Felicioli, alla inaugurazione della lega degli operai del cantiere navale. Ancora nel marzo 1905, in una corrispondenza a «Il Grido della folla» – dove peraltro commenta ironicamente il successo di una sua poesia, pubblicata e attribuita dall’«Avanti!» a Lorenzo Stecchetti –, G. si definisce “anarchico” e nell’aprile 1906 sottoscrive «La Vita operaia». Nei mesi seguenti, però, si attesta sulle posizioni repubblicane che conserverà fino alla ascesa al potere del fascismo. Alla vigilia della guerra libica sposa la tesi interventista, aderisce al comitato pro Albania, quindi alla Legione Picena, la quale progetta una spedizione oltreadriatico, che tuttavia non avrà luogo. Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, G. dichiara il suo favore per la partecipazione italiana e nel 1915 si arruola come volontario. Nel 1924 diverrà direttore della biblioteca comunale di Ancona e durante il fascismo manifesterà un “deciso atteggiamento patriottico” (pref. di Ancona, 10 mar. 1928), che gli varrà la cancellazione dallo schedario dei sovversivi. Muore nel capoluogo marchigiano il 22 marzo 1939. (R. Giulianelli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Ancona, Questura, Sorvegliati politici 1900-1943, b. 49b.
 
Bibliografia: principali scritti storico-politici di G.: Ave Marie e Tramonti, Ancona 1901; Antonio Elia, martire anconitano fucilato dagli austriaci il 25 luglio 1849, Ancona 1907; Martirio fecondo (F. Confalonieri), Ancona 1907; Tregue e Battaglie, Jesi 1907. Scritti su G.: R. Garibaldi, La camicia rossa nella guerra italo-turca 1897, Roma 1899; A. Bono, Palermo Giangiacomi, Fabriano 1941; N. Zazzarini, A quindici anni dalla morte di Palermo Giangiacomi, Senigallia 1954; G.M. Claudi, L. Catri (a cura di), Dizionario storico-biografico dei marchigiani, Ancona 1992, ad nomen; M. Antonioli, Alla ricerca dello pseudonimo perduto per il dbai, «Rivista Storia dell’Anarchismo», gen.-giug. 2002, pp. 76, 79.
 
 
​GIANI, Cesare
 
Nasce a Figline Valdarno (FI) nel 1868 in una famiglia che vedrà molti dei suoi componenti aderire all’ideale anarchico. G. vive fin da ragazzo il particolare clima dell’ambiente sovversivo e popolare di questa cittadina artigiana ed operaia. È testimone e partecipe, sebbene non coinvolto a livello giudiziario, della cosiddetta “rivolta del duino” che scoppia a Figline nel maggio 1898. Questo episodio insurrezionale costituisce il battesimo del fuoco dell’anarchismo figlinese, peraltro già influenzato dal movimento internazionalista fiorentino e dal nascente sindacalismo libertario dei minatori della vicina Castelnuovo. Un’iniziale manifestazione di protesta davanti al municipio per rivendicare pane e lavoro “trascende” in saccheggi di negozi e magazzini di generi alimentari, con violenti scontri a fuoco tra carabinieri e manifestanti, questi ultimi riforniti di armi presso la locale Società di tiro a segno. Un contadino rimane ucciso e ci sono molti feriti da ambedue le parti. Il Tribunale militare di guerra processa 41 sospetti organizzatori della sommossa e gli infligge pene pesantissime. I condannati sono in massima parte giovani ed anarchici. Fra questi Narciso Polacci che, sulla stampa anarchica e socialista, assurgerà a simbolo di tutti i perseguitati per i fatti del 1898. A G. rimane il testimone di organizzatore infaticabile del nutrito gruppo figlinese passatogli dal Polacci dopo una nuova condanna subita nel 1905. Nel gennaio 1906 G. parla a nome degli anarchici in un comizio unitario che si tiene nel centro minerario di Monastero di Cavriglia. Altri oratori sono i segretari delle cdl di Firenze Sebastiano Del Buono e di Arezzo Cesare Baldassini. Il mese successivo organizza, insieme ai compagni del Valdarno, una conferenza con P. Gori che si tiene al teatro Masaccio di San Giovanni. Negli anni fra il 1907 e il 1908, in accordo con Lamberto Guastini, promuove diversi convegni organizzativi finalizzati alla costituzione di una Unione territoriale dei vari gruppi della zona (Figline, San Giovanni, Montevarchi, Castelnuovo dei Sabbioni, Meleto, Pontassieve). In questo stesso periodo invia brevi corrispondenze locali al settimanale «Il Libertario» di Spezia riferendo sull’attività di propaganda, sulle vertenze sindacali dei minatori, sulle iniziative anticlericali. Il 26 marzo 1911, presenti mille persone “appartenenti a tutti i partiti”, tiene a Figline insieme a V.S. Mazzoni una solenne commemorazione di Gori (“intorno alla pubblica tribuna eretta in piazza Stanislao Morelli si schierarono le bandiere rosse e nere delle varie associazioni”). Possiede un’oratoria molto efficace e dai toni aulici. Nel dopoguerra, quando ci sono i funerali dei compagni, si incarica sempre di tenere l’orazione funebre essendo l’esponente più in vista del paese. Nel 1919 risulta diffusore della stampa anarchica («Il Libertario», «L’Avvenire anarchico», «Volontà»). Conosce personalmente E. Malatesta in occasione della sua venuta in Valdarno durante le lotte del Biennio rosso. Nel ventennio si mantiene antifascista ed a lui fanno ancora riferimento i compagni più giovani attivi nella cospirazione. Nel secondo dopoguerra resta in contatto con il locale gruppo “P. Gori”, aderente alla FAI, e continua a seguire la stampa e le vicende del movimento. Nel febbraio 1950, come si apprende dalle cronache di «Umanità nova», lo troviamo di nuovo a tenere un discorso di commiato in morte di un compagno (nel caso Luigi Sarri). E nella memoria dei vecchi militanti valdarnesi G. rimarrà sempre, con toscana ironia, “quello delle orazioni funebri”. Muore a Figline Valdarno il 29 settembre 1953. Al suo funerale, affollatissimo e in forma civile, ci sono fiori rossi e bandiere nere e la banda suona “Addio Lugano bella”. (G. Sacchetti) 

Fonti

Fonti: Necrologio «Umanità nova», 18 ott. 1953, p. 4; Intervista a Gino Brilli, San Giovanni Valdarno, 8 mag. 1982, a cura di G. Sacchetti.
 
Bibliografia: G. Bolis, L’antifascismo a Figline e nel Valdarno (1919-1942), Figline Valdarno s.d.; B. Bonatti, La rivolta del duino, Firenze 1981; G. Sacchetti, Sovversivi in Toscana (1900-1919), Todi 1983; I. Rosati, Pane e lavoro. I moti di Figline Valdarno, 3 maggio 1898, Firenze 1998; B. Bonatti, Il paese mite e ribelle. Figline nella rivolta del duino, San Giovanni Valdarno 1998.
 
GIANNANGELI, Antonio
 
Nasce a Secinaro (AQ) il 16 novembre 1899 da Domenico e Anna Livia Di Pietro, minatore. Emigrato negli USA nel marzo del 1920 si stabilisce prima a Steubenville poi a Wheeling (W. Virginia) dove lavora in miniera. Autodidatta, frequenta i circoli anarchici individualisti e fa attiva propaganda antifascista nelle miniere, viene perciò sorvegliato dagli agenti del Consolato italiano di Baltimora (Maryland) e inscritto in “Rubrica di frontiera” come “anarchico pericoloso”. Anche i familiari rimasti in paese sono fatti oggetto di attenzione da parte dei carabinieri del-la locale stazione che nel 1931 effettuano una perquisizione alla ricerca di armi e scritti sovversivi. Nel 1932 è segnalato come fiduciario del gruppo anarchico antifascista di Steubenville sotto il falso nome di “Tony Angelo”. Muore l’11 novembre 1933 in un incidente automobilistico insieme a un altro antifascista originario della sua zona. (S. Cicolani)

Fonti

Fonti: Archivio di Stato L’Aquila, Fondo Questura
 
 
​GIANNINI, Adarco
Nasce a Palaia (PI) il 15 luglio 1891 da Giovacchino e Giulia Faloni, bracciante. A sei anni segue i genitori a Firenze, a tredici comincia a lavorare in campagna, a ventuno emigra a Marsiglia e nel novembre 1913 sottoscrive una piccola somma per «L’Avvenire anarchico» di Pisa. Il Ministero dell’Interno chiede al console di identificare l’oblatore, potendo “trattarsi di persona pericolosa in linea politica”, e il diplomatico risponde che l’uomo è “Giannini Adarco di Palaia”. Nel 1915 G. non risponde alla chiamata alle armi e viene dichiarato disertore. Alla fine del 1916 è arrestato alle Bocche del Rodano ed estradato in Italia. Descritto il 3 marzo 1917, come “un settario esaltato e violento”, che “merita di essere attentamente vigilato”, è assegnato al 26° Reggimento di fanteria, di stanza a Piacenza, e segnalato alle autorità militari per la sorveglianza. A guerra finita torna a Marsiglia e nel novembre 1921 raccoglie una sottoscrizione per «L’Avvenire anarchico». Nel 1924-1925 è abbonato a «Pensiero e volontà» di Roma e nel settembre 1925 partecipa a un’agitata riunione libertaria, che si tiene a Marsiglia, dove impedisce, aiutato da Pietro Sini e Lorenzo Flores, che Giulio Bacconi malmeni Paolo Schicchi per le sue polemiche diffamatorie contro gli “anarchici già aderenti al movimento garibaldino”. Il 1° maggio 1926 G. assiste alla celebrazione della festa del lavoro nella Maison de Provence e il 19 giugno si reca, insieme a Bacconi e Odaire Martelli, a fare propaganda libertaria a Roquefort la Bedoule. Sempre legato a Schicchi, diffonde, in luglio, «La Diana» di Parigi fra gli anarchici individualisti del quartiere Endoume di Marsiglia. Il giornale – osserva il console italiano – ricorda, per la sua asprezza, «Il Picconiere», il «Ganellone», «Il Pozzo dei traditori» ecc., e fa supporre che la maggior parte degli articoli si debbano alla penna di Schicchi. Verso la fine del 1929 G. è ritenuto uno dei principali esponenti dei gruppi anarchici italiani di Marsiglia e un documento, conservato nel suo fascicolo, recita che il raggruppamento antifascista “più importante e preoccupante” fra quelli, che operano nella città focese, “è il movimento anarchico sia per il numero dei suoi aderenti e sia per la pericolosità che ognuno di essi presenta per i suoi precedenti penali e politici” Al principio del 1931 G. figura in una lista di sovversivi pericolosi, da vigilare attentamente, ed è iscritto nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto. Inserito, lo stesso anno, nel «Bollettino delle ricerche», come “anarchico pericoloso”, riduce in seguito il suo impegno e all’inizio del 1938 non svolge più, in Francia, un’attività antifascista significativa. Malgrado ciò, il 20 giugno 1938 la Prefettura di Pisa conferma la sua iscrizione nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto. S’ignorano data e luogo di morte. (F. Bucci – A. Tozzi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
GIANNINI, Aristide
 
Nasce a Massa il 25 gennaio 1894 da Benedetto e Assunta Tognarelli, muratore. Il 5 febbraio 1916 il Prefetto di Massa e Carrara in una missiva al Ministero dell'Interno rileva che G. è socio del circolo anarchico “Cafiero” di Capoccola. Per motivi di lavoro emigra prima in Francia e poi in Albania per stabilirsi in Liguria nei primi anni Venti. Dalla scheda biografica redatta dalla Prefettura della Spezia in data 27 gennaio 1929 risulta che durante il Biennio rosso “prese parte a tutte le manifestazioni di carattere rivoluzionario”. Il 14 gennaio 1929 viene denunciato perché a San Terenzio di Lerici in un locale pubblico ha redarguito un fascista con le seguenti parole: “Che cosa ne fai del distintivo, oggi, che per tale simbolo si muore di fame?”. Accusato di “oltraggio al distintivo del Fascio Littorio” ai sensi dell’art. 115 del codice penale, in relazione alla legge n. 2061 del 12 dicembre 1926 è condannato a 45 giorni di carcere. Uscito dal carcere viene diffidato dalla questura di Sarzana a non far ritorno nella provincia della Spezia. Nel febbraio 1938 il suo nome è inserito in un elenco di “pericolosi” attentatori della provincia di Massa e Carrara. Nel gennaio del 1930 viene arrestato a S. Bartolomeo (SP) per contravvenzione all’art. 158 della legge di PS e condannato dal Pretore di La Spezia a due mesi di reclusione. Continua ad essere sorvegliato fino ai primi anni Quaranta. Nella sua scheda al Casellario Politico Centrale c’è un appunto senza data con la seguente dizione: “Da assegnarsi al confino in caso di guerra”. S'ignorano luogo e data di morte. (F. Bertolucci)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
GIANNINI, Emilio
 
Nasce a Codena frazione di Carrara (MS) l’8 gennaio 1875 da Pietro e Caterina Castellini, cavatore. Con il fratello minore Ernesto (n. a Codena il 1° maggio 1877) condivide la militanza libertaria a cavallo del secolo. La Prefettura di Massa e Carrara il 6 novembre 1896 stila un prospetto biografico in cui lo descrive come “lavoratore assiduo” che “trae dal lavoro i mezzi di sostentamento”, di “carattere mite” con una “discreta intelligenza”. Ha frequentato le scuole elementari e giovanissimo si è avvicinato agli ideali libertari. Prima del 1894 ha fatto parte del gruppo anarchico di Codena e nel 1896 viene richiamato sotto le armi e partecipa alla guerra con l’Etiopia. Gradualmente si allontana dalla militanza politica e dopo l’ascesa al potere del fascismo non si ritrovano più tracce della sua attività. Nel 1931 viene radiato dallo schedario dei sovversivi. S'ignorano luogo e data di morte. (F. Bertolucci)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
GIANNINI, Fernando
 
Nasce a Massa l’8 novembre 1886 da genitori ignoti, elettricista. Frequenta le scuole elementari e si dimostra di “discreta educazione” anche se secondo le autorità ha una “condotta morale alquanto irregolare”. Per motivi di lavoro si sposta di frequente: dimora prima a Mantova e poi a Tortona (AL) dove, come riporta la sua scheda biografica redatta dalla Prefettura locale, “frequenta la compagnia di persone appartenenti ai partiti comunista, massimalista e socialista unitario”. Il 1° maggio 1923 è arrestato perché sorpreso ad affiggere manifesti per la festa dei lavoratori e denunciato per il contenuto dei manifesti inneggianti “all’odio di classe”; nell’occasione gli vengono sequestrate numerose copie de «Il Risveglio» di Ginevra e cartoline con il ritratto di Gaetano Bresci. Dalla documentazione del suo fascicolo nel Casellario Politico Centrale risulta che tenta di “lanciare” una rivista anarchica dal titolo «Pensiero libertario» e che riceve regolarmente stampa sovversiva sia dall’Italia che dall’estero («Fede!», «Il Messaggero della riscossa» ecc.). Ancora nel luglio del 1926 è denunciato perché in Tortona distribuisce manifestini “sovversivi, incitanti all’odio di classe e contro l’attuale Regime”. Arrestato in ottobre a Lucca gli sono sequestrati opuscoli e documenti sovversivi”. Muore in località imprecisata della provincia di Massa Carrara il 29 marzo 1933. (F. Bertolucci)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
GIANNITRAPANI, Alberto
 
Nasce a Trapani il 17 agosto 1843 da Sebastiano e Maria Pipitone. Bettoliere di principi mazziniani e garibaldini, evolve verso l’Internazionale alla fine del 1873, allorché si costituisce a Trapani, sotto l’impulso di Vincenzo Curatolo e di Saverio Guardino, proveniente da Sciacca, una prima sezione dell’Internazionale bakuniniana. La sezione, poi circolo di propaganda socialista, prende consistenza e sviluppo due anni dopo, con la pubblicazione de «Lo Scarafaggio», periodico internazionalista diretto dal giovane studente Francesco Sceusa. Il 18 settembre 1876, accogliendo l’appello del Bureau Federale di Neuchâtel, il circolo si trasforma in “sezione mista”, forte di 400 associati, primo nucleo di una rinnovata organizzazione per arti e mestieri. G. è segnalato tra i propagandisti della nuova sezione, che inizia un’ampia opera di proselitismo nei paesi della provincia (vi sorgono cinque nuovi nuclei internazionalisti in pochi mesi). Nel dicembre 1876, mentre gli internazionalisti trapanesi stanno organizzando un primo congresso regionale in unione col circolo di Palermo (dopo aver aderito, unici in Sicilia, al congresso nazionale di Firenze-Tosi del 21-22 ottobre), si abbatte su di loro la repressione del prefetto. G. viene ammonito l’8 gennaio 1877, insieme a Francesco Sceusa, a Domenico “Mimì” Lo Monaco e al tipografo Pietro Colajanni, e riammonito il 16 febbraio. Mentre Sceusa raggiunge Napoli e s’imbarca alla volta dell’Australia, Lo Monaco finisce in manicomio; Colajanni viene inviato a domicilio coatto nell’isola di Pantelleria, dove muore; e G., scontati tre mesi di carcere per contravvenzione al monito, trascorre due anni di domicilio coatto nell’isola di Lipari. La sezione internazionalista, sciolta il 20 aprile 1877, rimane attiva, sebbene in clandestinità, almeno fino all’autunno 1878. G. partecipa alla rifondazione dell’anarchismo nel trapanese a partire dal 1887, legandosi dapprima con i giovani marsalesi del gruppo “La Fiaccola”, e poi dando vita, in contemporanea, ai circoli “Gli Schiavi” di Marsala e “I Ribelli” di Trapani, inaugurati il 3 novembre 1889. Le autorità tentano di ostacolare la sua attività spesso in modo pretestuoso, ad esempio condannandolo il 31 ottobre 1889 a un anno di carcere per un furto mai commesso (verrà assolto in appello); infliggendogli altri due mesi di reclusione, insieme al giovane Cassisa, per avere organizzato lo sciopero del 1° maggio 1890; ammonendolo nuovamente come ozioso e vagabondo il 12 agosto 1891. Persecuzioni tanto sfrontate accrescono la sua fama negli ambienti popolari e della piccola criminalità cittadina, tra cui conta alcuni parenti (ad esempio la famiglia della moglie o il fratello Rosario, simpatizzante anarchico, assassinato da borghesi, poi assolti, il 15 agosto 1891). G. collabora incessantemente alla stampa del movimento, sia con articoli e corrispondenze (pseudonimo “Vecchio”), sia facendosi ricettore e diffusore di opuscoli, manifesti ed altre stampe sovversive. La sua casa è il ritrovo preferito degli anarchici di Trapani e di Marsala. Lo coadiuvano attivamente nel commercio ambulante come nella militanza politica la moglie Francesca Tedesco, anch’essa anarchica (deceduta nel maggio 1896), e, dal primo decennio del ’900, i due figli Serpentina Paola (Trapani 8 ago. 1890, Casteldaccia 4 feb. 1967, compagna dell’anarchico Antonino Casubolo) e Spartaco Sebastiano (Trapani apr. 1893, fucilato gridando “Viva l’anarchia!” il 27 giugno 1917, a Porpetto J., in zona di guerra). Il 22 gennaio 1894 G. finisce nuovamente a domicilio coatto per un anno, prima a Favignana e poi a Pantelleria, per essergli stati rinvenuti dei volantini anarchici in un pacco di datteri. Al rientro a Trapani, in concorso con Nicolò Converti e Giuseppe Patti, “che fornì la quasi totalità dei mezzi”, organizza la fuga da Favignana dei coatti Palla, Bergamasco, Pezzi, Fibbi, Salvi e Melinelli, avvenuta il 28 maggio 1896. Incriminato per la propaganda svolta in occasione dei moti del caro pane, nel giugno 1898 viene arrestato e incarcerato fino al 30 agosto. “Patriarca” dell’anarchismo trapanese, attrae verso l’idea anarchica numerosi giovani, tra cui Antonio Casubolo, Leonardo Sammartano, e Salvatore Renda, con i quali subisce il suo ultimo arresto, il 2 maggio 1906, per distribuzione di volantini sovversivi ai soldati: sarà scarcerato venti giorni dopo. Con l’arrivo a Marsala di Paolo Schicchi e la nascita de «Il Proletario anarchico», nel 1910, G. contribuisce a ricompattare il movimento anarchico della provincia, puntando da un lato sulla polemica anticlericale (manifestazioni pro-Ferrer) dall’altro su quella antinasiana. Il fallimento di questo progetto e gli acciacchi della vecchiaia lo inducono a prendersi un periodo di riposo, lontano dalle persecuzioni della polizia e dalle polemiche coi compagni, che trascorre a Goletta (Tunisi), in casa della figlia, dal 23 dicembre 1913 al 18 luglio 1914. Rientra poi a Trapani, dove muore il 20 dicembre 1918, “nella più squallida miseria”, piegato dal dolore per la tragica fine del figlio Spartaco. (N. Musarra)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Trapani, TP, CA, Processi, b. 137 (1877); Archivio di Stato Palermo, Questura, Archivio Generale (1861-1903), b. 420, f. Biografie di Cordaro, Testagrossa, Giannitrapani, Prinzi, Lombardo Vito da Trapani; ivi, b. 46, f. Trapani-Internazionalisti della provincia; ivi, Gabinetto Prefettura (1860-1905), b. 159 (1897), f. 16 40 Coatti di Ustica e di Favignana; ivi, gp (1906-1936), b. 388, f. Trapani. Arresto di tre anarchici.
 
Bibliografia: G.S. Cassisa, Francesco Sceusa e l’Internazionale in Trapani, Trapani 1890; Francesca Tedesco fu Paolo, «L’Avvenire sociale», 3 giu. 1896; Id., La questione Nasi in Trapani e l’ex-internazionalista Francesco Sceusa, «L’Avvenire Anarchico», 3 mag. 1912; [P. Schicchi], Comunicazione. Vito Grignani e Alberto Giannitrapani, «I Gladiatori», Palermo, n.u., 20-21 lug. 1919; G. Cerrito, Radicalismo e socialismo in Sicilia (1860-1882), Messina-Firenze 1958, ad indicem; In memoria di Paolina Casubolo, «L’Agitazione del Sud», feb. 1967; G. Cerrito, La stampa periodica internazionalista edita in Sicilia fino al 1880, «Volontà», sett.-ott. 1972; S. Costanza, Socialismo, emigrazione e nazionalità. Tra Italia e Australia, Trapani 1992, pp. 23-30.
 
GIANNOCCARI, Clemente
Nasce a San Lucido (Cs) il 4 settembre 1888 da Alfonso e Palma Petrungaro, impiegato-calzolaio. Da bambino si allontana da San Lucido con la famiglia. Nel 1921 risiede a Sesto San Giovanni, dove è impiegato presso le officine Breda e rivela tendenze anarchiche. Nel 1922 emigra negli Stati Uniti e si stabilisce a New York, dove lavora come calzolaio senza dare luogo a rilievi di natura politica. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)
 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2396, f. 96393, cc. 27, 1931-1932, 1936, 1939 e 1942-1943.
 
GIANNONI, Giovanni
 
Nasce a Santa Croce sull’Arno (PI) il 26 agosto 1863 da Carlo e Cristina Gozzini, conciatore di pelli. “In Santa Croce sull’Arno non frequentava che anarchici. Così anche a Lucca, dove si è trasferito nel 1892, lavorando” in una conceria. Nella sua città natale prende parte – così ricorda il Prefetto di Lucca nel suo cenno biografico del 29 ottobre 1895 – “a tutti i trasporti funebri civili di anarchici, a tre scioperi, e nelle ultime elezioni amministrative, colà”, è stato “uno dei più calorosi sostenitori della candidatura dell’anarchico Orsolini Vittorio, attualmente a domicilio coatto, riuscito Consigliere di quel Comune”. Nella relazione del Prefetto di Lucca è altresì sottolineata l’assiduità con cui G. partecipa alle conferenze di P. Gori. Nel 1896 emigra per motivi di lavoro in Argentina ritornando in Italia alla fine del secolo e solo per un breve periodo. Infatti, nel 1903 espatria di nuovo per motivi di lavoro, questa volta in Francia a Tolone, dove rimane fino al 1906 quando rientra nel suo paese natale. Durante gli anni precedenti la Prima Guerra mondiale mantiene costante la sua presenza nel movimento anarchico locale. Negli anni Venti, ritornato in Francia, continua il suo impegno politico e le autorità fasciste lo iscrivono nel «Bollettino delle ricerche» come “elemento pericoloso” mantenendo un’assidua vigilanza su di lui fino alla morte che sopraggiunge nel dicembre del 1936. (F. Bertolucci)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
 

GIANNOTTI, Gino
 
Nasce a Santa Croce sull’Arno (PI) il 4 maggio 1893 da Faustino e Maria Ciabattini, operaio. Si avvicina agli ideali anarchici negli anni precedenti lo scoppio della Prima Guerra mondiale. Nel 1916 è arrestato, condannato e imprigionato nel Maschio di Volterra.

Nel Secondo dopoguerra costituisce a Santa Croce Sull’Arno, insieme a Rizieri Puccini detto il Beolino, la sezione “P. Gori” della Federazione Comunista Libertaria Italiana (poi FAI) e collabora saltuariamente a «Il Libertario» di Milano (ad es.: L’agitazione dei conciari a S. Croce sull’Arno, 28 nov. 1951).

Quando all'interno della FAI il dibattito dopo il Terzo congresso (Livorno, 1949) produce una spaccatura insanabile tanto che una parte di giovani guidata da P.C. Masini decide di costiture una nuova organizzazione denominata GAAP, G. e il gruppo di S. Croce si schierano a favore del mantenimento di un'organizzazione libertaria di sintesi ispirata ai principi del Programma anarchico malatestiano.

Iscritto alla Pubblica Assistenza e ai sindacati di categoria partecipa attivamente alla vita sociale e politica del territorio. Nel 1966 si trasferisce a Firenze dove prosegue la sua attività politica. Appassionato lettore, la sua biblioteca è donata nel 1976 alla Federazione Anarchica Pisana e nel 1979 il “fondo Giannotti” è il primo nucleo di libri da cui inizia a formarsi la Biblioteca Franco Serantini. G. muore a Pisa il 10 luglio 1977. (F. Bertolucci)

Fonti

Fonti: Biblioteca Franco Serantini, Sez. Archivio, Carte Gino Giannotti.
 
GIANOTTI, Amedeo
 
Nasce a Torino il 29 maggio 1906 da Natale e Cecilia Gatti, operaio. Nel 1930, colpito da mandato di cattura, espatria in Francia da cui è espulso nel 1934 per motivi politici. Attivamente ricercato dalla polizia italiana viene iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Nel 1936 è arrestato a Orano assieme ad altri anarchici italiani; “quali affiliati di gruppi anarchici spagnoli implicati in un losco affare di gangsters, [...] imputato di aver partecipato all’aggressione di una banca”, è successivamente rilasciato ed espulso dall’Algeria. Giunto in Spagna, è volontario nella Sezione Italiana della “Ascaso” CNT-FAIb e partecipa alla battaglia di Monte Pelato. Muore il 1° settembre all’ospedale di Lerida per le gravissime ustioni riportate nell’incendio dell’autoblinda in cui si trovava durante un combattimento nei dintorni di Huesca. Nella stessa autoblinda si trovavano altri due anarchici torinesi: Guido Bruna, che sarà gravemente ferito, e Giovanni Barberis, che morirà poco dopo. “Nel momento di andare in macchina apprendiamo che all’ospedale di Lérida è deceduto – in seguito alle gravissime ustioni riportate in seguito alle azioni del primo settembre verso le porte di Huesca – il compagno Giannotti [sic]. Il valoroso militante anarchico – del quale la morte era stata annunciata per errore subito dopo il combattimento [cfr. I caduti per la libertà: Giannotti [sic], «Giustizia e Libertà», 11 set. 1936] – ha confermato, durante i giorni passati all’ospedale, le sue doti di coraggio di cui aveva dato, sul fronte, mirabile prova. [...] Lascia una moglie ed un bambino, a cui esprimiamo la nostra dolorosa e fiera solidarietà”, Giannotti [sic] Mario, «Giustizia e libertà», 9 ott. 1936. La notizia anticipata della morte di Gianotti, pubblicata su «Giustizia e libertà», e il nome di Mario attribuitogli (forse trattasi di soprannome) sono probabilmente all’origine dell’equivoco in cui incorrono i redattori di «Volontà» nel segnalare nella lista dei caduti anarchici un Mario Giannotti e un Amedeo Giovannotti che in realtà sono la medesima persona (cfr. Caduti Anarchici in Spagna, «Volontà», lug. 1947, p. 21 – lo stesso errore sarà ripreso in Anarchici italiani caduti in Spagna, «Il Libertario», 9 ago. 1950). (T. Imperato)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Popol, Gli anarchici italiani caduti al fronte (28 agosto - 3 settembre 1936), Michele Centrone, Fosco Falaschi, Giuseppe Barberis, Gino Sette, Vincenzo Perrone, Giannotti [sic]. Chi erano..., «Guerra di Classe», 9 ott. 1936, Barcellona; Giannotti [sic] Mario, «Il Risveglio», 17 ott. 1936.
 
Bibliografia: Antifascisti piemontesi e valdostani nella guerra di Spagna, Parma 1975, ad nomen; A. López (a cura di), La Colonna Italiana, Roma 1985, ad nomen; La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939, Tre anni di storia da non dimenticare, Roma 1996, ad nomen; Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen.
 
GIAQUINTO, Luigi
 
Nasce a Bisignano (Cs) il 12 dicembre 1886 da genitori ignori, carrettiere. Nel 1913 viene segnalato dal Consolato generale d’Italia a Buenos Aires in quanto iscritto alla FORA. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)
 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2400, f. 53890, cc. 3, 1913.

Bibliografia: O. Greco, Anarchici calabresi in Sudamerica, in Calabresi sovversivi nel mondo: l’esodo, l’impegno politico, le lotte degli emigrati in terra straniera (1880-1940), a cura di A. Paparazzo, Soveria Mannelli 2004, p. 132n; K. Massara, L’emigrazione “sovversiva”. Storie di anarchici calabresi all’estero, Cosenza 2003, p. 20n.
 
GIARDINI, Augusto
 
Nasce ad Ancona il 28 luglio 1878 da Enrico e Fortunata Recaneschi. Perso il padre, pescivendolo, si diploma dapprima all’Istituto Tecnico, poi – grazie a “un amore sconfinato per lo studio” – consegue la maturità classica e si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Macerata, dove si laurea nel luglio 1900. “Per sopperire ai bisogni della famiglia” dà lezioni private e in seguito si impiega come commesso nello studio dell’avv. Alfredo Angelucci che, con Gori e Merlino, difenderà Malatesta e compagni al processo di Ancona nell’aprile-maggio 1898. Inizialmente socialista e collaboratore dell’«Avanti!», si avvicina al movimento anarchico per influsso di alcuni “noti settari”, tra cui Rodolfo Felicioli, Alfredo Baiocchi e Alberico Angelozzi, diventato nel frattempo compagno della madre, morta poi di parto. Ma – secondo la prefettura di Ancona – “l’ultimo che lo persuase a staccarsi dal gruppo socialista fu il Malatesta, quando questo stabilitosi per qualche tempo in Ancona, poté fare quella propaganda che tolse centinaia di affiliati agli altri partiti”. Tuttavia, già alla fine del 1896 G. è processato per appartenenza alla “disciolta associazione anarchica Nuova Concordia” senza però subire condanne. Considerato “largamente dotato” di ingegno, è particolarmente temuto per il credito che riscuote nell’opinione pubblica “per la sua buona condotta morale e soprattutto per i sacrifizi a cui si sottopone pel mantenimento ed educazione dei due suoi germani”. Dopo l’arresto e il rinvio a giudizio per associazione a delinquere di Malatesta, Felicioli, Baiocchi e Adelmo Smorti, agli inizi del 1898, G. diventa uno degli anarchici più influenti di Ancona e, secondo informazioni provenienti da un agente infiltrato a Parigi nell’ambiente dei fuorusciti, sembra aver sostituito Smorti nell’attività di promozione sia del periodico «L’Agitazione» sia dei gruppi locali. L’Almanacco socialista anarchico, uscito agli inizi del 1905, scriverà: “Alla retata sfuggì Giardini [...] e perciò su Giardini, quasi esclusivamente rimase il carico della Agitazione, redazione e amministrazione”. Nel marzo 1898 G. firma, con molti altri anarchici anconetani, l’appello Al popolo italiano! apparso nel supplemento straordinario de «L’Agitazione» (31 mar. 1898). Durante il processo contro Malatesta e compagni, è sicuramente G. l’“incaricato speciale” che fornisce a L. Fabbri parte del materiale per redigere il resoconto per «L’Agitazione». Alla ripresa de «L’Agitazione», nel marzo 1900 (le pubblicazioni erano state sospese nel maggio 1898), G. ne diventa, con Angelozzi, l’animatore con lo pseudonimo di “gh”, già usato in precedenza. Arrestato nell’aprile, riesce a laurearsi in luglio e viene poi condannato in appello a 18 mesi per associazione sediziosa. Scarcerato il 30 giugno 1902, G. riprende la sua “pericolosa propaganda”. Tiene conferenze, collabora a «L’Avvenire sociale» di Messina e a «L’Agitazione» di Roma, mantiene rapporti epistolari con Malatesta e con altri fuorusciti, è in contatto con Gori e soprattutto con gli anarchici romani. Nel 1906-07 è tra i promotori del settimanale «La Vita operaia». Nel settembre 1907, dopo il congresso internazionale anarchico di Amsterdam, Virgilio, la nota spia posta a sorveglianza di Malatesta a Londra, riferisce del ritorno nella capitale britannica da un giro in Italia di Romeo Tombolesi, secondo il quale “bisogna fare grande affidamento sull’avvocato Giardini” soprattutto in vista di alleanze con gli altri partiti sovversivi. Particolarmente impegnato come oratore nelle diverse circostanze (1° maggio, manifestazioni anticlericali e di propaganda, commemorazioni di Bruno, di Ferrer, di Gori, ecc.), funge da avvocato degli anarchici che difende in numerosi processi. Tuttavia, agli inizi del 1908 ben 29 anarchici anconetani lo attaccano sulle colonne de «La Gioventù libertaria» (Dall’Italia libertaria, 23 feb. 1908) per avere assunto, come avvocato, le funzioni di Parte civile, e invitano i compagni a “ripudiarlo”. A Zavattero che, ne «La Pietra infernale» (Liquidazione, 1-16 mar. 1908), condanna il silenzio dei redattori de «La Vita operaia», Angelozzi e Smorti rispondono adducendo la ormai totale estraneità di G. rispetto al movimento anarchico. In realtà, pochi mesi dopo, in corrispondenze e sottoscrizioni apparse ne «L’Alleanza libertaria», viene ancora definito “compagno” e partecipa a comizi e iniziative pubbliche. Nel 1913 è segnalato come collaboratore di «Volontà», anche se non si rintracciano articoli riconducibili a lui. Dopo la Settimana rossa la polizia ritiene che, nonostante un coinvolgimento apparentemente minore, sia “la mente direttiva del partito anarchico di Ancona e provincia” e che soprattutto dopo “la scomparsa del Malatesta”, al quale era stato “largo di consigli e anche di aiuti pecuniari”, abbia ripreso la guida del movimento, assumendo “un contegno battagliero” e “tornando a capeggiare le masse nelle pubbliche manifestazioni”. Per «Volontà», invece, “è noto che Augusto Giardini [...] è da anni fuori del movimento anarchico e dei nostri gruppi” (Note anconetane, «Volontà», 25 lug. 1914). Attivo nella campagna pro vittime politiche, fa parte del collegio di difesa di Malatesta e compagni al processo dell’Aquila per i fatti insurrezionali di Ancona. Nel 1917 è nominato ufficiale della Milizia territoriale ed è congedato nel febbraio 1919. Nell’immediato dopoguerra, per quanto continuamente vigilato, sembra aver acquistato “vive simpatie per l’azione svolta in organizzazioni e comitati di carettere filantropico”. Per quanto ancora abbonato nel 1926 alla rivista malatestiana «Pensiero e volontà», dimostra simpatia per il regime fascista. Ancora nel 1928, tuttavia, mancando la certezza della sincerità della “sua apparente conversione”, è vigilato e continerà a esserlo fino alla morte, avvenuta a Terni il 14 aprile 1933. (M. Antonioli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
GIBELLINO, Pietro
 
Nasce a Gattinara (VC) il 20 ottobre 1883, da Carlo e Maria Berteletti, barbiere. Il battesimo militante di G. avviene in età ormai adulta quan-do, nei turbolenti anni del Primo dopoguerra, decide di recarsi a Torino per partecipare come Ardito del popolo alla lotta antifascista del proletariato locale. Emigrato in Francia per sfuggire alle ritorsioni squadriste, è espulso dopo poche settimane in quanto “propugnatore di idee anarchiche”. Rientrato a Gattinara in concomitanza all’avvento del fascismo al potere, è sottoposto a misure di sorveglianza di polizia. Nei tre anni successivi, si adopera principalmente della diffusione e della vendita delle testate libertarie «Pensiero e volontà» e «Fede!», di cui risulta anche tra gli abbonati e gli oblatori. Negli ultimi mesi del 1925, indice poi una petizione in favore di Sacco e Vanzetti riuscendo, nonostante le condizioni proibitive, a raccogliere circa sessanta firme. A partire dalla svolta dittatoriale del novembre 1926, G. si allontana dall’attività politica per dedicarsi esclusivamente al lavoro e alla vita familiare. All’ideale anarchico, comunque, egli si mantiene sempre fedele. Una nota della Questura di Novara comunica, infatti, che, pur “serbando regolare condotta morale e politica, non ha dato prove concrete di ravvedimento”. In virtù di questo suo indomito spirito antiautoritario la polizia fascista provvede, nel 1932, alla sua inclusione nell’“Elenco delle persone pericolose da arrestarsi in determinate contingenze”. S’ignorano data e luogo di morte. (F. Giulietti)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Divisione Polizia Politica, ad nomen.
 
Bibliografia: E. Francescangeli, Arditi del popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922), Roma 2000, ad indicem.
 
GIBELLO, Stobia Alfonso Giovanni
 
Nasce a Strona (BI) il 4 gennaio 1875 da Agostino e Caterina Sola Radice, tessitore. Appena terminati gli studi elementari, compie subito le prime esperienze lavorative presso uno stabilimento tessile locale. Per sopperire alle gravi difficoltà economiche in cui versa, decide, nel 1897, di ab-bandonare l’Italia per recarsi a vivere negli Stati Uniti. Stabilitosi a Paterson accostandosi agli ideali libertari grazie all’influenza di Carlo Tresca e di alcuni altri esponenti dell’anarchismo italiano. Negli anni successivi, prende parte a quasi tutte le iniziative di lotta indette dal movimento operaio locale, dedicandosi in particolare alla diffusione di stampa “sovversiva” tra la comunità di emigrati italiani. Rientrato nel suo paese d’origine nel luglio 1907, viene rigorosamente vigilato dalla polizia, timorosa che il suo rimpatrio sia avvenuto allo scopo di compiere un attentato alla vita di Vittorio Emanuele iii. Trascorsi alcuni mesi, parte di nuovo per gli Stati Uniti, stabilendosi definitivamente a Paterson. Da questo momento in poi, non si dispone più di alcuna testimonianza circa la vita e l’attività politica di quest’anarchico vercellese che, nel 1930, viene incluso dalla polizia fascista nella “Rubrica di Frontiera” – con provvedimento “da vigilare e perquisire”. L’unica eccezione è costituita da un telespresso del consolato italiano a New York in cui, nel 1937, si riferisce che “risiede a Haledon (New Jersey) dove continua a professare idee anarchiche, pur conducendo vita ritirata a causa delle cattive condizioni di salute”. S’ignorano data e luogo di morte. (F. Giulietti)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
GIGLI, Ettore
 
Nasce ad Ancona il 22 febbraio 1907 da Arnaldo e Anita Marsigliani, barbiere. Forma la sua fede anarchica leggendo giornali e opuscoli sovversivi e frequentando dei coetanei provenienti dal disciolto circolo “Salsedo”, fra cui Rodolfo Stecconi, Bruno e Gino Melella, Oscar Mettus e Aldo Barboni. Cerca, senza successo, di costituire un cir-colo anarchico intitolato a P. Gori. È attivissimo nel raccogliere sottoscrizioni per la stampa del movimento. Anche dopo l’avvento del regime non diminuisce la sua attività, cercando però di occultarla. È continuamente vigilato perché ritenuto molto pericoloso. Nell’aprile del 1928 emigra a Sesto San Giovanni, da dove si allontana nel marzo 1933. Di lui per certo un periodo si perdono le tracce, prima di essere rintracciato in Francia, a La Seyne, dove frequenta italiani di fede comunista. S’ignorano data e luogo di morte. (R. Lucioli)

Fonti

Fonti: Archivio di Stato Ancona, Questura, Sorvegliati politici 1900-1943, ad nomen.
 
Oberdank Gigli
 
Nasce a Gallarate (VA) il 4 dicembre 1883 da Giuseppe e Giulietta Pasta, detto “Oberdan”. Diplomato in ragioneria a Genova, dove vive con la famiglia all’inizio del secolo, viene considerato dalla polizia di “buona educazione e coltura piuttosto vasta ma superficiale”. Individualista, appena diciannovenne risulta avere “non poca influenza” sugli anarchici del genovesato ed essere in grado di infondere negli ascoltatori delle sue frequenti conferenze “passioni malsane e di rivolta alle Autorità costituite”. Nel maggio 1902 inizia a collaborare a «Il Grido della folla» con lo pseudonimo “Lina di Gergob”, prefigurando l’evoluzione della società umana “verso una meta di libertà nella quale l’individuo sarà sopra lo stato” (Nuovi tempi - Nuove tendenze, «Il Grido della folla», 17 mag. 1902). Dal gennaio al marzo 1903 redige «La Tribuna del popolo», settimanale anarchico di Sampierdarena, ma ha già contatti personali con gli animatori de «Il Grido della folla», in particolare con Nella Giacomelli. Nell’aprile 1903 è chiamato a Milano per assumere la redazione de «Il Grido della folla», dopo l’esperienza di Gavilli prima e di Paolo Casadei dopo. Rimpatriato con foglio di via obbligatorio nel maggio “come […] disoccupato e vagabondo”, riesce tornare a Milano grazie a una dichiarazione del periodico repubblicano «L’Italia del popolo» nella quale è indicato come proprio impiegato amministrativo (Epifane - Ireos, Un triste caso di libellismo anarchico p. 14). Si apre per il settimanale milanese “un anno di luce”, “un periodo davvero brillante, grazie alla sua agile penna e alla sua anima squisita e ribelle” (ivi, pp. 14-15). Coadiuvato da Ettore Molinari, che spesso firma “G. Bresci”, e da Nella Giacomelli -“Ireos”, G. dispiega una notevole attività di giornalista (utilizzando, oltre al consueto nom de plume, anche quelli di “Nadrebo”, “Nardina Braccetti”, “N. Liggi”, “Yorick”) e di conferenziere. «Il Grido della folla» acquista un tono più meditato, pur nella intensa verve polemica, e un maggior respiro culturale. Tra “Epifane”, “Ireos”, “Virgulto” (Giuseppe “Pippo” Manfredi) e G. si instaura un rapporto di intensa amicizia che durerà negli anni, a dispetto dei profondi contrasti suscitati dalla guerra e più tardi dal fascismo. Alla fine di maggio del 1904 G. si trasferisce da Milano a Finale Emilia, dove lavora come ragioniere presso la Congregazione di carità e più tardi come insegnante di computisteria presso la Scuola tecnica. Nel settembre successivo partecipa, a Roma, al Congresso del Libero Pensiero, dove conosce L. Fabbri. Alla fine del 1905 G. viene coinvolto in un aspro contenzioso tra Fabbri e Ciro Baraldi a proposito della rivista «Il Pensiero». Baraldi, editore e amministrare della rivista a Mantova, nel tentativo di impedire a Fabbri, proprietario della testata, di trasferire il periodico a Roma, cerca di continuarne la pubblicazione offrendo a G. la redazione. Il rifiuto di G., ma soprattutto la sua misura e correttezza, testimoniata dal carteggio con Fabbri, gli procureranno la stima del “pupillo” di Malatesta e degli ambienti dell’anarchismo organizzatore. Quando la ben nota tetrarchia (Epifane, Ireos, Virgulto e Ricciotti Longhi), dopo la traumatica rottura con Gavilli, dà vita a «La Protesta umana», G. collabora intensamente al nuovo periodico, con articoli e con una rubrica intitolata Inni e bestemmie, distinguendosi per l’esaltazione della volontà eroica e per una concezione fortemente aristocratica dell’anarchismo: “lo stesso sogno anarchico è un aristocratico sogno di libertà e giustizia” (O. Gigli, Federico Nietszche, «La Protesta umana», 3 nov. 1906). Il suo individualismo élitario – ma contemporanemente privo delle asprezze e dell’iroso velleitarismo tipici dei “novatoriani” alla Libero Tancredi – gli apre le colonne della rivista «Vir», fondata a Firenze nel 1907 da Giuseppe Monanni, sulla quale afferma la continuità dell’anarchismo con la tradizione classica, a partire dalla filosofia greca del v secolo a. C. (O. Gigli, Anarchismo. Fonti elleniche, «Vir», feb. 1908). A differenza della maggior parte degli anarchici comunisti (organizzatori o no), G. non si limita a ricostruire la propria genealogia ideologica risalendo all’Illuminismo o alla prima tradizione postivista e scientista, ma cerca le proprie radici nel pensiero dei sofisti: “L’analogia del sistema critico della sofistica greca col pensiero anarchico non ha forse bisogno di maggiore illustrazione […]. Affermato essere ogni cosa null’altro che potenza e nulla esservi di sacro per se stesso nasce la psicologia violenta dell’anarchismo”. Quando, nel 1909, Monanni e Leda Rafanelli pubblicano a Milano «Sciarpa nera», hanno anche in questo caso la collaborazione di G. Tuttavia G. non si limita ad una attività puramente giornalistica. Sempre nel 1909 assume la segreteria della Camera del lavoro di Finale Emilia ed entra in polemica, per le sue posizioni relativamente moderate, con il radicalismo di Filippo Corridoni, allora segretario della Camera del lavoro di San Felice sul Panaro. Nell’agosto 1909, infatti, Corridoni, invitandolo ad un pubblico contraddittorio, gli scrive: “Sentiremo quali saranno gli argomenti che ti detterà l’anarchia per combattere il Sindacalismo, in nome del Riformismo”. Se il caso di un anarchico individualista nonché sindacalista non è unico (basti pensare a Camillo Signorini, noto organizzatore dei ferrovieri), è abbastanza inconsueto che l’autore dell’“elogio dell’illogico” e il fautore del vitalismo paganeggiante fosse allo stesso tempo un pragmatico mediatore sindacale pronto a recepire le istanze dei riformisti oltre che gli entusiasmi dei sindacalisti rivoluzionari. Ma G., che è fautore di una linea di ricomposizione dell’unità sindacale, al sindacalismo riformista e al sindacalismo rivoluzionario “semplicistico” di Sorel contrappone il “sindacalismo libertario”: “Questa teoria sindacalista – che confronta il gruppo alla Società – è corollario naturale alla dottrina individualistica che preferisce l’individuo allo Stato” (O. Gigli, Sindacalismo. I tre sindacalismi, «La Voce del popolo», 18 set. 1909). A partire dal 1909 il ventaglio delle collaborazioni giornalistiche di G. si amplia: da «L’Ère nouvelle» a «Il Pensiero» di Fabbri, da «La Voce del popolo» a «La Bandiera del popolo», dal combattivo «L’Agitatore» di Bologna a «La Libertà» di Milano, ennesima creatura di Monanni e di Leda Rafanelli, in cui riprende il tema a lui caro della filosofia sofistica. Allo scoppio della guerra europea, le strade di G. e di alcuni dei suoi vecchi e migliori amici si separano. Non Virgulto “Pippo” Manfredi che desidererà “l’aria frizzante” delle Argonne, ma “Ireos”, ormai “Petit Jardin” Nella Giacomelli, che dopo l’entusiasmo amoroso del 1903 era rimasta una amica affettuosa e presente per Oberdan. G. è uno dei primi anarchici, con Maria Rygier e Mario Gioda, ad assumere una posizione interventista: “Oggi se il problema diventasse anche per noi di difesa della patria se cioè un’invasione terribile di eserciti di abbattesse sull’Italia, noi dovremmo [...] combattere l’invasore e poi – se sarà possibile – noi dovremo combattere la nuova guerra per la liberazione interna” (lettera di O. Gigli in Petit Jardin, In pieno patriottismo!! Da Hervé a Mussolini; da Mario Gioda a Oberdan Gigli, «Volontà», 22 ago. 1914). In difesa della Francia. G. redige con Maria Rygier il Manifesto degli anarchici e rivoluzionari , apparso ne «Il Resto del carlino» il 21 settembre 1914; collabora con l’articolo Per la Francia al numero unico anarcointerventista romano «La Sfida» (ott. 1914) e successivamente al periodico «La Guerra sociale», edito a Milano da Edoardo Malusardi, usando anche lo pseudonimo “Il solitario”. Nel gennaio 1915, durante un giro di propaganda interventista G. è aggredito a Rivara (cfr «Il Domani», 30 gen. 1915) e riceve la solidarietà scritta di Guido Mazzocchi, compagno ai tempi de «Il Grido della folla», di “Pippo” Manfredi, di Attilio Paolinelli e Alfredo Consalvi, ma anche di Nella Giacomelli, che, “col sentimento della [sua] maternità offesa”, si lascia andare ad affermazioni del genere: “Che venga la guerra a spazzar via questa canaglia così spaventevolmente bassa e vile”. Nell’aprile del 1916, G. è accettato come allievo ufficiale di complemento e incorporato nel 2° rgt Artiglieria Campale Pesante e nel luglio parte per la zona di guerra. Diventato tenente, nel 1918 è decorato con la medaglia di bronzo e con la croce di guerra. Congedato una prima volta nel gennaio 1919, lo è definitivamente, dopo un richiamo di sei mesi, nell’agosto. Il rapporto con il fascismo non sarà inizialmente facile. La politica liberticida di Mussolini, di cui era stato compagno nella battaglia interventista, gli procura una profonda inquietudine. Collabora, in questo periodo, a «Critica sociale». Nel 1923 ritorna a Milano come ragioniere capo presso la Società anonima Corporazione italiana di credito. In seguito lavora per la Società di bakelite di proprietà della famiglia Molinari. Infatti, nel dopoguerra, dopo una fase di allontanamento, documentata da una lettera della Giacomelli, riprende i contatti con i Molinari. E nel 1928 interviene, scrivendo a Ada Negri e forse anche a Mussolini (esiste una minuta di lettera) per sollecitare la scarcerazione di Nella Giacomelli, Henry e Libero Molinari, arrestati perché sospettati di avere rapporti con C. Berneri, a sua volta accusato di correità nell’attentato Lucetti. Nel 1929 è radiato dallo schedario dei sovversivi. Simpatizza ormai per il fascismo, in cui vede una forma di “solidarietà sociale” superiore all’“atomismo della civiltà capitalistica” (O. Gigli, Solidarietà operaia, «Il Popolo d’Italia», 10 nov. 1934). Collabora a «Il Popolo d’Italia» e a «La Stirpe», osteggiando le pretese monopolistiche della Chiesa cattolica in ambito scolastico, e si occupa di critica cinematografica. Secondo informazioni pervenute dalla famiglia, a partire dalla Seconda Guerra mondiale si sarebbe spostato su posizioni antifasciste. Muore a Milano nel marzo 1949. (M. Antonioli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Milano, Gabinetto Prefettura, ff. Partiti, Giornali e riviste, Guerre; Biblioteca A. Mai Bergamo, Archivio Masini, Carte Molinari-Giacomelli; Biblioteca Franco Serantini, Sez. Archivio, Carte O. Gigli.
 
Bibliografia: Epifane [E. Molinari], Ireos [N. Giacomelli], Un triste caso di libellismo anarchico (Risposta ad un turpe libello di Paolo Schicchi), Milano 1909; M. Antonioli, Il movimento anarchico milanese agli inizi del secolo, in Anna Kuliscioff e l’età del riformismo, Roma 1978; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati, Milano, 1981, ad indicem; M. Antonioli, Gli anarchici italiani e la prima guerra mondiale. Lettere di Luigi Fabbri e di Cesare Agostinelli a Nella Giacomelli (1914-1915), «Rivista Storiaca dell’Anarchismo», gen.-giu. 1994; Id., Gli anarchici italiani e la prima guerra mondiale. Lettere di anarchici interventisti (1914-1915), ivi, gen.-giu. 1995; M. Antonioli, P.C. Masini, Il sol dell’avvenire. L’anarchismo in Italia dalle origini alla Prima Guerra mondiale, Pisa 1999, ad indicem.
 
GIGLI, Vincenzo
 
Nasce a Jesi (AN) il 29 novembre 1863 da Savino e Artemisia Barocci, orefice. Nel 1886-87 viene condannato dal pretore di Roma per truffa e ferimento, nondimeno è con il processo dell’estate 1891 al gruppo libertario di Jesi che il suo nome viene associato per la prima volta all’anarchismo. In particolare, l’accusa lo crede diretto responsabile della bomba esplosa l’8 maggio sotto l’abitazione di un delegato di polizia, ma infine G. – che pure rivendicherà più tardi la parternità dell’azione – è assolto. Individualista, risiede a Loreto, non partecipa a manifestazioni e declina il suo impegno politico organizzando incontri privati con gli altri libertari della zona: “G. riuniva i compagni in qualche osteria, col pretesto di bere, e quivi non faceva altro che parlare di anarchia glorificandone le massime e gli individui che per essa erano caduti sul patibolo o si trovavano nelle prigioni” (deleg. PS di Loreto, 22 ago. 1894). Nell’estate 1894 si vede più volte con L. Fabbri e il socialista Gabriele Galantara a Porto Recanati; la coeva proposta di inviarlo al domicilio coatto non viene accolta dalla apposita commissione provinciale. Nel 1896 va a dimorare a Fiume, dove si accosta ad alcuni sovversivi e viene perciò espulso (apr. 1897). Dopo un breve periodo trascorso a Macerata, torna a Loreto e qui, il 2 marzo 1913, ospita un incontro fra gli anarchici locali, quelli di Ancona e quelli di Osimo al fine di dare vita a una cassa di mutuo soccorso per libertari. Durante la Grande Guerra, parte alla volta di Cervignano al seguito di una squadra di operai selezionati dalla cdl jesina per svolgere lavori presso quel genio militare (mag. 1916), ma le autorità lo rinviano immediatamente a Loreto per ragioni di sicurezza. Invero, il suo sovversivismo si è stemperato già da tempo; negli anni seguenti G. si rende autore di minacce a mano armata e di oltraggio a guardie, reati non riconducibili alla fede politica. Nell’agosto 1940 è radiato dall’elenco degli schedati. Muore a Jesi l’8 maggio 1943. (R. Giulianelli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Ancona, Questura, Anarchici, b. 12, ad nomen; ivi, Sorvegliati politici 1900-1943, b. 50b, ad nomen.
 
Bibliografia: A. Cascia, P.R. Fanesi, Storie di Jesi sovversiva, Ancona 1995, pp. 15-16.
 
​GILIOLI, Onofrio
 
Nasce a Rovereto sul Secchia, frazione di Novi di Modena (MO) l’8 agosto 1882 da Ferdinando e Matilde Pederzoli, calzolaio. Tra il 1903 e il 1924 è padre di nove figli, che chiama coi nomi di Rivoluzio, Libero, Siberia, Equo, Protesta, Sovverte, Scintilla, Ribelle e Feconda Vendetta. La prima informazione che abbiamo è del 1911, quando è segnalato come abbonato a «L’Agitatore», giornale anarchico di Bologna. Nel febbraio 1912 è indicato come appartenente al “partito sindacalista” e, in effetti, in questo periodo è attivo nelle lotte sindacali che infiammano il paese, come lo sciopero – durato sei mesi – dei mezzadri e dei boari di Rovereto, uno dei conflitti sociali più importanti avvenuti nella pianura modenese nel periodo giolittiano. Rovereto sul Secchia è uno dei luoghi di maggiore presenza e iniziativa anarchica della pianura modenese, e G. è uno dei principali esponenti di tale movimento. Durante la guerra è impiegato in un calzaturificio militare a Crocetta Trevisana. Tornato a Rovereto nel dopoguerra prosegue la sua attività politica fino agli inizi di 1921, quando decide di emigrare nel nord della Francia, raggiungendo il figlio Ri-voluzio che era stato costretto a fuggire in questo paese nel maggio 1920 a seguito della vicenda del furto delle mitragliatrici di Modena, che aveva portato all’arresto dei principali esponenti anarchici e rivoluzionari modenesi. Rientra a Modena nel gennaio 1922, per poi ripartire per la Francia con la famiglia. Nel 1924 la famiglia Gilioli si trasferisce nella zona di Parigi, a Fontenay-sous-Bois, in rue de Moulin, Villa Fresnes 8. In questa casa si riuniscono spesso gruppi di anarchici e il Comitato pro vittime politiche: di queste riunioni sono rimaste tracce perché di solito partecipa l’anarchico (e informatore della polizia) Bernardo Cremonini. È il caso, ad esempio, della riunione del Comitato anarchico tenuta il 24 luglio 1928, presenti tra gli altri L. Fabbri e C. Berneri, dove si discute di una relazione del Comitato anarchico di Milano, che comunica la ricostituzione di alcuni gruppi anarchici in Italia. La casa di Fontenay-sous-Bois diviene inoltre un punto di riferimento sicuro per numerosi anarchici italiani, ma anche tedeschi e russi, che qui trovano ospitalità per lunghi periodi di tempo. La famiglia Gilioli partecipa all’attività politica dei fuoriusciti con entusiasmo, e se emerge la figura di Rivoluzio, anche altri fratelli non sono da meno: ad esempio Libero (Rovereto, 1905), partecipa con passione al movimento delle Legioni garibaldine. Muore però pochi anni dopo, nel 1927. Ma anche Onofrio Gilioli si impegna direttamente nel movimento. Nel 1933-34 partecipa alle iniziative della Federazione anarchica dei profughi italiani, facendo parte del Comitato federale. In ottobre risulta controllato periodicamente anche dalla polizia francese, assieme a oltre trenta anarchici italiani residenti nella regione parigina. Nel 1935 è attivo nella campagna contro le espulsioni dalla Francia, che hanno colpito molti anarchici italiani. All’inizio del 1937 è nominato membro del Comitato pro-Spagna di Parigi. Poche settimane dopo parte però per la Spagna, dove si trovano i figli Rivoluzio, Equo (Rovereto, 1910) – il primo a partire della famiglia Gilioli, che è diventato l’autista del comandante della Sezione Italiana della Colonna “Ascaso” CNT-FAIb – e Siberia (Rovereto, 1908). Dopo un breve periodo di permanenza al posto di frontiera di Port-Bou, dove si trova anche la figlia, svolge mansioni di collegamento tra la Francia e la Spagna, muovendosi continuamente tra i due paesi. Nell’ottobre 1940 è inserito, assieme al figlio Equo, nella lista dei “sovversivi pericolosi” fornita dalla polizia italiana a quella tedesca, affinché siano arrestati e tradotti in Italia. Ma la famiglia Gilioli si era nel frattempo trasferita nel sud, nel territorio di Vichy. A parte una breve permanenza in un campo di concentramento, G. non subisce altre conseguenze. Dopo la fine della guerra ritorna con la famiglia a Parigi, dove continua a risiedere, rientrando in Italia solo per brevi visite. Muore nella sua casa di Fontenay-sous-Bois nel 1968. (C. Silingardi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: C. Silingardi, Rivoluzio Gilioli. Un anarchico nella lotta antifascista 1903-1937, Modena 1984; Id., Gli anarchici modenesi tra fuoriuscitismo e rivoluzione spagnola, «Rassegna di storia», mag. 1987; A. Pirondini, Anarchici a Modena. Dizionario biografico. Milano, Zero in condotta, 2012.
Rivoluzio Gilioli

Rivoluzio Gilioli nasce a Rovereto sulla Secchia, frazione di Novi di Modena, il 21 giugno 1903. Fin da ragazzo si impegna nel movimento anarchico e nel 1919, a soli sedici anni, diventa segretario dei Gruppi giovanili comunisti anarchici ed è assunto come contabile dalla Camera del lavoro sindacalista. È tra gli organizzatori del furto di mitragliatrici compiuto ai danni di una caserma di Modena, deciso dagli anarchici modenesi in risposta all’eccidio compiuto in piazza Grande da carabinieri e Guardia regia il 7 aprile 1920, per essere così in grado di difendere con le armi le manifestazioni operaie. Nel giro di poche settimane sono individuati ma Gilioli riesce a sfuggire alla cattura e ripara clandestinamente in Francia, dove successivamente viene raggiunto dal resto della famiglia che si stabilisce definitivamente a Fontenay-sous-Bois, nella banlieu parigina.

Negli anni Trenta assume un ruolo importante nel movimento anarchico esiliato. Partecipa alla campagna contro la condanna a morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, promuove con Camillo Berneri e Antonio Cieri la pubblicazione del quindicinale anarchico “Umanità nova”, partecipa allo sciopero generale antifascista del febbraio 1934, promuove campagne per il diritto d’asilo, è tra gli organizzatori del Convegno d’intesa degli anarchici emigrati in Europa e nel giugno 1936 redige con altri un manifesto contro la guerra in Etiopia

Nel novembre 1936 raggiunge la Spagna, dove già si trovano il fratello Equo, il padre Onofrio, la sorella Siberia e il cognato Renzo Cavani. Da Barcellona raggiunge la colonna italiana ad Almudevar ma, dopo pochi giorni, il comando della divisione Ascaso lo destina al comando (con il grado di capitano) di una Compagnia del genio. Dopo la militarizzazione dell’esercito repubblicano è nominato comandante della Compagnia del genio della 28a divisione (Bataillon des Ingenieros, division Ascaso). Il 16 giugno 1937, mentre compie un giro d’ispezione in località Terraza, Carrascal n. 2, vicino a Huesca, è ferito gravemente da una pallottola nemica. Muore il 21 giugno, giorno del suo compleanno, nell’ospedale di Barcellona.

Giovane militante anarchico
 
Nella sede della Camera del lavoro sindacalista di Modena nel 1919
 
Con altri giovani anarchici a Modena nel 1920
 
Nel nord della Francia (Lens) alla fine del 1920, dopo la fuga a seguito del furto delle mitragliatrici
 
In un cantiere di lavoro a fianco dell'anarchico Camillo Berneri, principale esponente anarchico in Francia
 

 
A Dunkerque nel 1936 poco prima di partire per la Spagna con la moglie e due sorelle

Rivoluzio in Aragona durante la guerra di Spagna, 1937
 
Una fotografia di Rivoluzio apparsa sul giornale anarchico "Guerra di classe", 1937
 
In Spagna poco prima di essere ferito a morte, 1937
 
GINESI, Umilio
 
Nasce a Vezzano Ligure (SP) l’8 dicembre 1898 da Domenico e Teresa Venì,  operaio meccanico. Dopo aver conseguito la licenza elementare abbandona gli studi. Frequenta fin da giovane ambienti sovversivi e presto si accosta alle idee anarchiche. Chiamato alle armi nel 1918, diserta e il 13 marzo il Tribunale di guerra di Modena lo condanna a tre anni di carcere. Rilasciato grazie all’amnistia del 2 settembre 1919, partecipa, alla Spezia, il 4 giugno 1920, all’assalto alla polveriera di Vallegrande e viene arrestato quattro mesi dopo, insieme al fratello Enrico, ritenuto comunista, con l’accusa di aver malmenato e sequestrato, il 25 settembre, due carabinieri. Rinchiuso nelle prigioni di Sarzana e Genova, protesta contro la detenzione, partecipando a due scioperi della fame, e il 17 giugno 1921 è tradotto davanti alla Corte d’assise di Chiavari, per rispondere dell’aggressione. Assolto il 18 giugno, insieme a tutti gli altri imputati, tre giorni dopo deve ripresentarsi, per l’assalto alla polveriera di Vallegrande, davanti alla stessa Corte, che lo condanna, il 23 giugno, a otto anni e nove mesi di detenzione e a un anno di vigilanza speciale per banda armata e insurrezione contro i poteri dello Stato. I giudici infliggono 11 anni e otto mesi di detenzione e due anni di vigilanza a Giuseppe Cozzani e cinque anni di detenzione a Raimondo Giraffa. Rilasciato il 13 settembre 1925, G. emigra clandestinamente in Francia in ottobre, assieme al fratello Enrico, e nel marzo del 1926 si guadagna da vivere a La Seyne-sur-Mer, facendo il muratore. Il 20 aprile è schedato. La Prefettura della Spezia ne ricorda i corposi precedenti politici e ne sottolinea la “cattiva fama”, l’assidua presenza alle manifestazioni sovversive, la capacità di far propaganda fra i compagni di fatica e la risolutezza “nell’azione rivoluzionaria”. Alla fine del 1927 viene iscritto nella “Rubrica di frontiera” e nel novembre 1928 “professa, con sempre maggiore accanimento, le idee anarchiche, delle quali è at-tivo propagandista. Trattandosi di anarchico capace di commettere azioni delittuose”, il console di Marsiglia ne sollecita l’arresto, qualora rimpatriasse. Nel primo semestre 1933 G. è incluso fra i sovversivi attentatori, nella prima metà del 1935 G. è collegato a Francesco Barbieri e nel dicembre 1936 varca i Pirenei, insieme a Luigi Fossi, Vasco Fontana e Adelmo Godani, per arruolarsi in una Colonna di miliziani anarchici. Ancora in Spagna al principio del 1938, torna in Francia e dopo lo scoppio della Seconda Guerra mondiale viene incarcerato nel Forte di Sainte-Cathérine e internato nel campo di sorveglianza speciale del Vernet d’Ariège fino al 17 luglio 1940. Tradotto in Italia con il secondo scaglione di connazionali rimpatriati dalla Francia, è arrestato a Sanremo il 20 luglio e portato alla Spezia. Interrogato il 14 agosto, nega di essere stato in Spagna e di aver conosciuto Fossi e Fontana e afferma di aver incontrato Boccardi soltanto quando era incarcerato a Sainte-Cathérine; dice infine di ignorare se Godani “abbia partecipato alla guerra di Spagna, perché costui un tempo si trasferì in Algeria ed è mutilato di una gamba”. Ritenuto “pericoloso nelle contingenze belliche”, viene internato a Ustica e a Pisticci fino al set-tembre 1943. S’ignorano data e luogo di morte. (G. Barroero – F. Bucci – G. Ciao Pointer – G. Piermaria)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: Pericolosi nelle contingenze belliche: gli internati dal 1940 al 1943, a cura di S. Carolini, Roma 1987, p. 152; Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen.
 
GINNASI, Francesco
 
Nasce a Imola (BO) il 14 febbraio 1859 da Giovanni e Giuseppina Cantua, medico. La famiglia dei conti Ginnasi, pur ricca d’illustri ascendenti, non possedeva il dono dell’amministrazione razionale delle proprie doti, sia materiali, sia umane. G. riceve, infatti, un’educazione modesta e in disaccordo col padre (che lo vorrebbe amministratore dei poderi di famiglia) gira l’Italia nel vano tentativo di entrare in una facoltà di medicina, essendo sprovvisto dei necessari titoli scolastici. Dopo aver soggiornato brevemente a Bologna e a Roma (dove prova anche la strada del commercio dei vini dei castelli) nel 1875 si ferma a Napoli, decidendo di conseguire in poco tempo la licenza liceale. Ma a quel punto si rivela in G. un’altra caratteristica di famiglia, cioè quella passione politica che già aveva condotto il fratello Alessandro tra i garibaldini della battaglia di Bezzecca e il cugino Giuseppe (del ramo toscano) a morire giovanissimo nella battaglia di Curtatone del 1848. Studente fuori sede nella città partenopea, G. si ritrova a convivere con E. Malatesta: entra nel giro degli internazionalisti stringendo rapporti con Emilio Covelli, Pietro Cesare Ceccarelli, Florido Matteucci, Giovanni Buonfantini, Luigi Alvino e altri; diviene amico di Carlo Cafiero e si stabilisce nella sua villa. Nel 1877 è tra gli organizzatori del moto di Benevento: si reca a Nisida e a Procida dove convince i romagnoli confinati in domicilio coatto a partecipare al progetto insurrezionale. Ma all’ultimo momento gli studenti della Scuola di Marineria (che dovevano garantire il trasporto) si ritirano e il piano d’evasione fallisce. G. si unisce, comunque, alla “Banda del Matese”. Dopo gli episodi di Letino e Gallo, gli insorti sentono stringersi inesorabilmente l’accerchiamento e nei pressi di Piedimonte D’Alife spediscono G. con due compagni in ricognizione: nel paese i soldati, che li avevano preceduti, stanno riposando in chiesa, mentre le armi giacciono raccolte sulla pubblica piazza: sarebbe facile impadronirsene cogliendo di sorpresa le sentinelle presenti, ma una sparatoria coinvolgerebbe anche i numerosi curiosi che erano convenuti sulla piazza. Si decide di non rischiare la vita della popolazione e di cambiare direzione. Nel precipitoso ripiegamento che precede la cattura, il giovane G. fatica a tenere il passo a causa della fame e del tempo impietoso tanto che chiede ai compagni, per non essere di peso, di essere fucilato. Dopo le note vicende carcerarie e processuali, dei nove imolesi che avevano fatto parte della banda il solo G. è ammonito. Per sottrarsi alla stretta sorveglianza, si reca nel 1878 a Milano (da dove invia sotto falso nome, secondo la polizia, una missiva a Passannante poco dopo l’attentato), e si stabilisce infine a Ginevra. L’anno successivo vi giunge anche Malatesta; i due convivono, frequentando attivamente l’ambiente dei rifugiati politici. Nel 1879 viene distribuito un manifesto inneggiante a Passannante e al suo gesto: G. e Malatesta, accusati dalle autorità di esserne i principali autori sono espulsi insieme a Luigi Mercatalli di Alfonsine, Sebastiano Casadio (detto “Cavina”) di Faenza e agli imolesi Vito Solieri e Alfonso Danesi. Rifugiatosi a Parigi presso lo zio Raffaele (ex diplomatico papale), si fa dare il denaro per iscriversi all’Università di Cadice, dove però non riesce ad ambientarsi. Inizia una peregrinazione che lo porta in breve a Madrid, Siviglia e Marsiglia; ritorna in bicicletta a Parigi e infine giunge a Bruxelles, dove grazie a Malatesta conosce il leader socialista legalitario De Paepe che l’aiuta a iscriversi all’Università belga. Nel 1881 viene spiccato nei suoi confronti un mandato d’arresto da parte dello Stato italiano per renitenza alla leva. Si trasferisce a Londra e frequenta l’ambiente dei rifugiati politici, entrando in rapporti con Kropotkin. Prevedendo un futuro senza sbocchi, G. si presenta con una lettera di Kropotkin a New York presso un noto medico russo, il nichilista Papoff, che riesce a farlo iscrivere all’università locale. Si laurea nel 1884 a 25 anni nonostante l’intensa militanza rivoluzionaria; si specializza come ostetrico trasferendosi poi a Saint Louis dove, tra il 1886 e il 1887, accumula un discreto capitale. Torna a Londra per due anni con lo scopo di perfezionarsi, e nell’ambiente politico frequenta F.S. Merlino e Paolo Valera. Di nuovo a New York nel 1889, raggiunge il successo professionale e ricopre incarichi in varie associazioni ed istituzioni cittadine. Nel 1919 ritorna in Italia stabilendosi presso i possedimenti familiari di Imola e Medicina. L’anno successivo Malatesta, presente a Imola per un comizio, desidera rivederlo ma non riesce a rintracciarlo. Secondo alcune testimonianze G. si trasferisce nuovamente in America a causa delle temute persecuzioni fasciste. Continua per alcuni anni ad alternare il proprio domicilio tra gli Stati Uniti e Medicina, dove si stabilisce definitivamente dedicandosi per il resto della sua vita agli esperimenti colturali. Quest’ultima attività è l’unico motivo di discussione con i contadini dei poderi, che per il resto lo ricordano come una persona semplice nel vestire e nei modi, soprattutto generoso e disinteressato nella gestione dei suoi possedimenti. Rimane di tendenze politiche progressiste e ricorda con trasporto sentimentale gli ideali politici della giovinezza. Muore a Medicina il 26 novembre 1943; secondo quanto aveva stabilito, le sue ceneri vengono sparse sulla terra da lui coltivata e i suoi averi vengono suddivisi tra i coloni e il Comune di Imola. (T. Marabini – R. Zani) 

Fonti

Fonti: Sezione Archivio di Stato Imola, Gabinetto Sotto-Prefettura.
 
Bibliografia: Scritti di G.: Storia della famiglia Ginnasi, Imola 1931. Scritti su G: R. Galli, Il lascito del conte Francesco Ginnasi al Comune di Imola, «Voce di Romagna», Imola, 5 mar. e 12 mar. 1944; Id., Il moto di Benevento e il Conte Francesco Ginnasi, «Movimento Operaio», gen.-feb. 1952; P.C. Masini, Gli Internazionalisti. La Banda del Matese (1876-1878), Milano, 1958, ad indicem; P. Bassi, Anarchici d’altri tempi - Francesco Ginnasi, «Umanità nova», 30 mar. 1958; Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, 1976-1979, ad nomen; G. Galzerano, Giovanni Passannante, Casalvelino Scalo 1997, ad indicem.


GIODA, Mario Giuseppe
 
Nasce a Torino il 7 luglio 1883, da Vincenzo e Raimonda Vianetto. La famiglia, di modestissime condizioni economiche, lo avvia giovanissimo al mestiere di operaio tipografo. Temperamento introverso e riflessivo, G. si forma una cultura da autodidatta, mostrando predilezione per la letteratura (soprattutto per il romanzo naturalista francese di Emile Zola) e la poesia. Poeta dilettante egli stesso, autore di versi ingenuamente sentimentali ma non del tutto privi di una certa aura quasi crepuscolare da cui traspare un’indole incline alla malinconia, G. coltiverà tutta la vita il desiderio di veder pubblicate le proprie poesie (alcune sue rime giovanili appariranno postume in Vita di Mario Gioda narrata da Giovanni Croce). Si accosta all’anarchismo agli inizi del ’900 (“fin dal 1902”, annota la Prefettura torinese nell’agosto del 1914, “richiamò l’attenzione della locale Questura perché sovente accompagnavasi con elementi sovversivi”), e, pur senza mai dedicarsi all’attività politica vera e propria – da cui lo tiene lontano la sua vocazione eminentemente speculativa (“Non è capace di azione” rileva ancora la Prefettura di Torino, “ed è anzi timido e dimesso ed in occasione di affermazioni piazzaiuole dei compagni, quando può si eclissa”) –, conduce, negli anni prebellici, una intensa collaborazione con i principali periodici antiorganizzatori («Il Grido della Folla», «Sciarpa Nera», «La Protesta Umana», «La Rivolta» di Milano), nonché con numerosi altri giornali, di orientamento libertario (tra i quali «Volontà») e non, cimentandosi nei campi più disparati, dalla politica alla filosofia, alla critica letteraria e di costume, e guadagnandosi fama di commentatore arguto e versatile e la stima di molti autorevoli compagni, non ultimo lo stesso E. Malatesta. Benché generalmente annoverato tra gli stirneriani, G. non è un individualista; egli stesso, chiamato nel 1911 a definire le proprie convinzioni politiche, nega che l’anarchismo del quale si professa seguace sia mai stato “incravattato di superomismo nietzschiano o stirneriano” (Il mio repubblicanesimo, «La Ragione della Domenica», 6 ago. 1911). In ogni caso, nella formazione politica di G. influiscono, oltre all’anarchismo, anche altri fattori. Amico di lunga data di un irregolare del socialismo italiano quale Paolo Valera, di cui si professa grande estimatore, contribuendo peraltro alla rinascita de «La Folla», nel 1912, e scrivendovi poi regolarmente, per lo più sotto pseudonimi (“L’Amico di Vautrin” e “Il Follaiolo Torinese” i più ricorrenti); G. manifesta inoltre palesi simpatie repubblicane (si vedano, a tale riguardo, gli articoli Del xxix Luglio e “per un cencio di repubblica”, «La Ragione della Domenica», 30 luglio 1911, e Il mio repubblicanesimo, cit.), grazie anche alla frequentazione di alcuni dei più noti esponenti del repubblicanesimo italiano e torinese, tra i quali l’anziano garibaldino Ergisto Bezzi e il tipografo mazziniano Terenzio Grandi. Questa sorta di sincretismo politico-culturale lo porta, in occasione della Settimana rossa e nel periodo immediatamente successivo, a farsi convinto assertore della necessità non solo di una più stretta intesa tra le diverse anime del movimento anarchico, ma anche di addivenire all’unione di tutte le forze sovversive in chiave rivoluzionaria e repubblicana (una relazione a tema di G., Gli anarchici di fronte agli altri partiti sovversivi, figura nel programma del congresso nazionale anarchico di Firenze, previsto per il 16 e 17 agosto 1914, ma mai svoltosi); necessità, quest’ultima, difesa ancora alla vigilia della conflagrazione europea (cfr. La necessità della repubblica. Io difendo il blocco rosso, «L’Iniziativa», 1 ago. 1914), e che gli vale non poche critiche, ad esempio da parte di L. Fabbri. Ma le propensioni mazziniane e sindacaliste hanno certo un peso non secondario nel determinare l’approdo di G. all’interventismo rivoluzionario (a conclusione di un breve percorso iniziato con la pubblicazione sulle pagine di «Volontà», l’8 agosto 1914, del controverso articolo Tra il fumo e il sangue della grande guerra, nel quale egli, preso atto del crollo dell’Internazionale, sostiene l’opportunità che in caso d’invasione austriaca dell’Italia anche gli anarchici impugnino le armi in difesa della libertà), e il conseguente suo distacco dal movimento libertario, accompagnato da infuocate polemiche. G. è dunque nel manipolo degli anarchici interventisti, collaborando attivamente a «La Guerra Sociale», l’organo della frazione anarcointerventista diretto da Edoardo Malusardi. A suo tempo riformato per gravi motivi di salute, ottiene comunque di farsi richiamare alle armi, il 21 luglio 1916, per essere tuttavia definitivamente congedato poco tempo dopo. Nel corso della guerra l’ormai ex anarchico viene rafforzando il proprio repubblicanesimo (fino a sposare la proposta, avanzata da Maria Rygier nel tardo autunno del 1915, di far confluire tutte le forze dell’interventismo rivoluzionario nel PRI) e sviluppa altresì una nuova coscienza produttivista, stimolata dall’assidua collaborazione con il mussoliniano «Il Popolo d’Italia». Produttivismo e trincerismo sono all’origine, nel dopoguerra, della convinta adesione di G. al fascismo. Presente alla riunione di Piazza S. Sepolcro del 23 marzo 1919, due giorni dopo G. è tra i promotori del Fascio di combattimento torinese, del quale assume la segreteria, in seguito dirigendo per qualche tempo «Il Maglio», organo di quel Fascio. Gli anni della sua militanza fascista sono contrassegnati, sotto il profilo politico, da un susseguirsi di alti e bassi, cui si aggiungono l’aggravarsi delle condizioni di salute, a seguito dell’insorgere di una grave malattia, e il perdurare delle ristrettezze economiche. Esponente dell’ala “sinistra” del movimento fascista, G. vive dunque continui contrasti con Cesare Maria De Vecchi. Dopo la marcia su Roma, l’ex tipografo anarchico, pur tra non poche ambiguità e reticenze, si schiera di fatto con i moderati del PNF a favore della normalizzazione, contro il perdurare dell’illegalità squadristica (famoso l’episodio in cui egli, insieme a Rocca, fa giungere una corona di fiori sul feretro dell’amico Carlo Berruti, consigliere comunale comunista – ed ex anarchico –, brutalmente assassinato dagli squadristi nell’ambito dei drammatici fatti di Torino del dicembre 1922). Per questa via G. arriva ad appoggiare l’infruttuosa campagna revisionista intrapresa da Massimo Rocca a partire dal settembre del ’23, ma le forti resistenze incontrate, sia a livello locale che nazionale, e la salute vieppiù malferma finiscono per limitarne inevitabilmente l’operato politico. Muore a Torino il 28 settembre 1924. (A. Luparini)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

Bibliografia: Vita di Mario Gioda narrata da Giovanni Croce, a cura del gruppo rionale fascista Mario Gioda, Torino 1938; E. Mana, Origini del fascismo a Torino (1919-1926), in Torino fra liberalismo e fascismo, a cura di N. Tranfaglia e U. Levra, Milano 1987, ad indicem; M. Antonioli, Gli anarchici italiani e la Prima Guerra mondiale. Lettere di Luigi Fabbri e di Cesare Agostinelli a Nella Giacomelli (1914-1915), «Rivista Storica dell’Anarchismo», gen.-giu. 1994; Id., Gli anarchici italiani e la Prima Guerra mondiale. Lettere di anarchici interventisti (1914-1915), « Rivista Storica dell’Anarchismo», gen.-giu. 1995; Dizionario biografico degli italiani, Roma [pubbl. in corso], ad nomen;  Luparini, passim; P.C. Masini, Gli anarchici fra neutralità e intervento (1914-1915), « Rivista Storica dell’Anarchismo», lug.-dic. 2001; M. Antonioli, Nazionalismo sovversivo?, « Rivista Storica dell’Anarchismo», gen.-giu. 2002.
 
"L’operaio ha contro di sé tre grandi nemici che deve conoscere e vincere: i politicanti, i filantropi e se stesso. Tu che aspiri all’autonomia illimitata dell’individuo, sai bene che l’uomo libero non può appartenere che a se stesso. L’anarchia è un sistema sociale in cui nessuno s’immischia negli atti altrui; ove la libertà è indipendente dalla legge; ove il privilegio è sconosciuto; ove la forza non è l’ispiratrice delle azioni umane. Che cos’è il popolo per il ricco? Il popolo non è né più né meno che una macchina, uno strumento di lavoro di cui bisogna avere una certa cura per ottenerne una buona somma di servizi: i nostri figli gli servono di giorno, le nostre figlie servono loro la notte."
 
GIOIA, Antonio
 
Nasce a Cassano allo Jonio (Cs) il 30 gennaio 1880 da Gaetano e Anna Maria Perri, impiegato-calzolaio. Fratello del sovversivo Francesco, emigra in Argentina da bambino con i genitori. Nel 1903 viene segnalato per la prima volta come anarchico da Buenos Aires. In seguito prosegue la sua attività politica, tanto che nel 1930, nuovamente segnalato perché frequentava la sede dell’associazione anticlericale e antifascista “Giordano Bruno”, viene iscritto nel «Bollettino delle ricerche» per il provvedimento di perquisizione e segnalazione. Nonostante la sorveglianza della polizia, G. continua tuttavia a tenere fede ai suoi principi e nel 1938 partecipa, insieme ad altri dieci affiliati della Federazione operaia marittima, alla sottoscrizione indetta dal sindacato a favore dei comunisti combattenti in Spagna, venendo iscritto l’anno dopo anche in «Rubrica di frontiera». Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)
 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2416, f. 41340, cc. 14, 1930-1931, 1934 e 1938-1939.

Bibliografia: O. Greco, Anarchici calabresi in Sudamerica, in Calabresi sovversivi nel mondo: l’esodo, l’impegno politico, le lotte degli emigrati in terra straniera (1880-1940), a cura di A. Paparazzo, Soveria Mannelli 2004, p. 138n; K. Massara, L’emigrazione “sovversiva”. Storie di anarchici calabresi all’estero, Cosenza 2003, pp. 20n e 37-38.
 
GIOIA, Francesco

 
Nasce a Cassano allo Jonio (Cs) il 19 ottobre 1882 da Gaetano e Anna Maria Perri, bracciante-operaio tranviario. Fratello del sovversivo Antonio, emigra in Argentina intorno al 1907. Sebbene avesse professato in patria idee sovversive, a Buenos Aires non dà luogo a rilievi di natura politica, nonostante fosse indicato come anarchico e sospetto sovversivo. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)
 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2416, f. 41341, cc. 6, 1930-1931 e 1941.
 
GIORDANO, Barnaba

 
Nasce a Santa Caterina Villarmosa (CL) il 3 maggio 1894 da Salvatore, ufficiale di dogana, e Rosa Di Paola, pubblicista, guardia daziaria. Conseguita la licenza tecnica a Siracusa, dove lavora il padre, s’iscrive all’Istituto nautico di Catania che lo licenzia capitano di gran cabotaggio il 4 novembre 1880. Ben presto disoccupato, inizia a farsi un nome in campo giornalistico collaborando all’«Unione», settimanale socialista catanese (gli pseudonimi con i quali firma gli articoli sono: Enno, Fosforo, Euno). Divenuto intimo di De Felice Giuffrida, organizza con lui le squadre che si battono contro l’epidemia colerica che infierisce nel 1887 a Catania e Messina. Per tale motivo sarà decorato della medaglia di bronzo per i benemeriti della salute pubblica e acquisterà notevole fama in città, seconda tra i socialisti solo a quella di De Felice. L’amicizia stretta con gli anarchici messinesi in occasione del colera, lo porta gradualmente all’anarchismo. Nella primavera del 1890, dà vita a Catania ad un primo nucleo anarchico, con Giusepe Giuffrida Monaco, suo compagno nelle squadre anticoleriche, e con lo studente Leopoldo Cristina. Ne fonda e dirige i principali giornali («Il Piccone» e «Il Giobbe»), per i quali subisce diversi processi, e dopo la venuta di Cipriani, nel marzo 1891, partecipa alle riunioni costitutive del Fascio dei lavoratori catanesi. Nel maggio 1892, la questura di Catania riesce ad allontanarlo dalla città, facendo trasferire il padre a Venezia. Per qualche tempo vive ritiratissimo, ma nell’inverno 1892-1893 partecipa all’agitazione degli operai disoccupati, e successivamente alla costituzione del Fascio dei lavoratori veneziani. Nel febbraio 1894, in pieno stato d’assedio, giunge a Catania per abboccarsi con i suoi antichi compagni, ma viene subito arrestato e obbligato a far ritorno a Venezia. Aspira intanto a procurarsi un impiego sicuro. Il 19 novembre 1895 viene nominato guardia provvisoria nell’amministrazione dei dazi di Catania. Qui, tranne qualche breve parentesi (come quando parte per la Grecia al seguito di Cipriani), compirà tutta la sua carriera successiva: il 1° luglio 1902 è segretario alla Direzione dei Dazi; nel 1904 direttore del dazio consumo di Siracusa; il 15 marzo 1911 tenente delle guardie daziarie di Catania. Pubblica, tra il 1898 e il 1899, diversi opuscoli, tra cui due, intitolati Contrabbando e contrabbandieri e Ruberie daziarie, per i quali riceve speciali encomi. Temperamento passionale e irruento, amante dei duelli (come l’inseparabile Giuffrida Monaco che sconta 9 anni di carcere per aver infilzato l’avvocato Nani in duello, e poi lo segue all’interno delle istituzioni locali, fino a dirigere l’Ospedale Vittorio Emanuele II e la Camera del Lavoro), non esita a seguire De Felice in tutte le tappe della sua evoluzione politica: socialista rivoluzionario prima, popolarista e socialriformista poi, interventista infine, arruolatosi per il fronte nell’agosto del 1915. Dal 1923 risulta iscritto alla locale sezione del PNF. Muore a Catania il 23 gennaio 1950. (N. Musarra)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Catania, Tribunale Penale, Dibattimenti, b. 963 (1893), ff. 30811, 30812, 30816; Id., Pretura Urbana, Sentenze Penali, b. 457 (Maggio-Giugno 1891), n. 438.

Bibliografia: S. Catalano, Società di mutuo soccorso, Fasci dei lavoratori, movimenti politici e partiti. Catania (1861-1904), Catania 2001, pp. 215, 232.
 
 

GIORDANO, Bruno
 
Nasce a Crotone il 19 gennaio 1901 da Alfonso Francesco e Raffaella Sgrizzi, meccanico-commerciante di frutta-commerciante di legname. Fratello dell’anarchico Paolo, nel 1920, a Milano, viene arrestato perché sorpreso dalla polizia mentre distribuisce in pubblico manifestini incitanti i soldati a violare la disciplina. Sempre a Milano, il 22 agosto dello stesso anno viene nuovamente arrestato per oltraggio ad agenti della forza pubblica e condannato da quella pretura a 15 giorni di reclusione. Nel 1924 emigra in Francia e nel 1928 viene iscritto in “Rubrica di frontiera» per il provvedimento di fermo e perquisizione. Stabilitosi a Parigi, vive per un certo periodo in casa del fratello Paolo, allontanandosene in seguito per ignota destinazione. Nel 1931 il suo nominativo compare in un elenco di sovversivi pericolosi residenti all’estero nei confronti dei quali dovevano essere attuate severe misure di vigilanza. In quell’anno si presenta spontaneamente al Consolato generale italiano nella capitale francese fornendo informazioni sull’epoca del suo espatrio. Anche in seguito continua a mantenersi fedele alle sue idee, senza tuttavia svolgere attività politica. Il 13 novembre 1936 gli viene rilasciato il passaporto valido per un anno in quanto aveva dichiarato di volersi recare in Italia. Nella notte tra il 20 e il 21 novembre arriva in automobile a Grosseto insieme al fratello Paolo e al socialista Antonio Tiezzi, iscritto in un elenco di sovversivi della provincia di Siena, con i quali prosegue poi per Roma. Attentamente sorvegliati, il 26 novembre i tre giungono a Crotone, dove i fratelli G. sistemano alcuni affari di famiglia per poi fare ritorno in Francia ai primi di dicembre. Poi non sembra più interessarsi di politica, ma il 24 maggio 1939, nel corso dell’interrogatorio seguito al suo rimpatrio, l’ex legionario della divisione “Littorio” Giovanni Iannuccilli, caduto nelle mani dei repubblicani durante la battaglia di Guadalajara del marzo 1937 e proveniente dal campo di concentramento di Gours, afferma di essere stato sottoposto a interrogatorio a Valencia da un maggiore spagnolo e da tre italiani, tra cui un certo Bruno G. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2421, f. 13554, cc. 66, 1928-1940.


Bibliografia: K. Massara, L’emigrazione “sovversiva”. Storie di anarchici calabresi all’estero, Cosenza 2003, pp. 60-61.
 

GIORDANO USTORI, Federico

 
Nasce a Canosa (BA) il 21 febbraio 1891, calzolaio e tipografo. Trasferitosi a Milano al principio del 1909, prende parte, in ottobre, alle proteste contro la fucilazione di Francisco Ferrer e l’anno seguente è di nuovo in piazza, a manifestare il suo sdegno contro l’impiccagione degli anarchici giapponesi. In seguito solidarizza con i gassisti in sciopero, “preconizzando l’azione diretta e la espropriazione”, e nel 1914 comincia ad essere sorvegliato dalle forze dell’ordine, perché riceve, nella sua casa di Greco Milanese, Mario Mantovani e altri anarchici “pericolosi”. Fervente “neutralista”, scende in strada contro gli interventisti, dando prova di estrema decisione. Chiamato alle armi, diserta nel novembre 1915 e ripara in Svizzera, insieme a Mantovani. Rifugiatosi a Lucerna e a Ginevra, partecipa alle riunioni del gruppo de «Il Risveglio anarchico» e si lega sentimentalmente alla compagna di fede Giacinta Magrini, vedova Gregori. Arrestato nel quartiere ginevrino di Plainpalais, il 3 settembre 1916, insieme a Emilio Emidio Leonardi, Enrico Arrigoni e Dario Fieramonti, durante un comizio pacifista, è accusato di “scandalo e ribellione” e colpito da espulsione. Internato nel campo di concentramento di Witzwil, due anni dopo abita a La Chaux de Fond (Neuchâtel) e lavora al giornale «La Sentinelle». Rimpatriato, dopo l’amnistia nittiana (2 set. 1919), fa il tipografo presso la redazione del quotidiano anarchico «Umanità nova», di Milano, fino al 23 marzo 1921, quando avviene la strage del teatro Diana. Oggetto, il 22 aprile, di un mandato di cattura, fugge in Svizzera, ma, in giugno, viene arrestato a Mendrisio “per varco clandestino di frontiera”, insieme a Silvio Ferdinando Biscaro e Carlo Bianchi. Detenuto a Bellinzona, riesce a evadere, ma è ripreso dopo 48 ore. Estradato in Italia nel mese di settembre, si protesta innocente e il 1° giugno 1922 viene assolto dai giudici di Milano, dopo un anno di detenzione preventiva. Innamoratosi dell’anarchica Emilia Buonacosa, la segue a Nocera Inferiore, dove è arrestato il 14 settembre 1923 per misure di PS e “rimpatriato” coercitivamente a Canosa. Tornato a Milano, sposa Emilia e diventa padre di una bambina, Teresa. L’anno seguente comincia a collaborare a «L’Adunata dei refrattari», il giornale anarchico di New York, di tendenza antiorganizzatrice, sulle cui pagine, firmandosi “Geffe”, giustifica la violenza anarchica individuale, polemizzando con Carlo Molaschi, commemora Anna Kuliscioff, difende Antonio Pietropaolo, “l’esuberante, gagliardo e generoso compagno calabrese implicato a torto nel processo del Diana e condannato innocentemente a circa 17 anni di reclusione”, e commenta le accuse di Libero Tancredi a Mussolini per il delitto Matteotti. Strettamente sorvegliato, subisce una perquisizione domiciliare nell’ottobre 1926, poi evita di andare per tre anni al confino, passando illegalmente in Svizzera e di lì in Francia. Stabilitosi a Parigi, interviene alle manifestazioni contro la condanna a morte di Sacco e Vanzetti e si guadagna da vivere, lavorando nella tipografia della Casa dei Sindacati comunisti. Licenziato perché oggetto di calunniosi, quanto infondati sospetti, alimentati dagli stalinisti, vive a Lille sino al principio del 1928, quando rientra a Parigi, dove collabora al giornale anarchico «Il Monito» e riprende a scrivere per «L’Adunata dei refrattari», sulla quale traccia un ritratto di Fioravante Meniconi, solidarizza con Gigi Damiani e Maria Eugenia Simonetti, incarcerati a Bruxelles, si occupa del “complotto della banda spionistica Rizzo-Cestari”, denuncia il bolscevismo come “il più infame e spietato necroforo” della rivoluzione, protesta per la deportazione in Siberia di Francesco Ghezzi. Generoso, sempre pronto ad accogliere nella sua casa “tutti i compagni bisognosi d’aiuto e d’asilo”, fa il tipografo al «Quotidien» di Parigi e viene incluso dalle Autorità fasciste tra gli attentatori residenti all’estero. Impegnato in una lotta “senza quartiere al fascismo”, si sottopone a una banale operazione alla fine di ottobre 1930, morendo il 2 novembre, a causa di un’infezione, dopo una straziante agonia. La notizia della sua scomparsa suscita dolore e incredulità fra i compagni e «La Lotta anarchica» scrive: “Morto? Lui! Il colosso, solido come una quercia, nel rigoglio della vita. Eppure, eppure era morto”. E più avanti, riandando al suo no alla guerra: “Ben saldo nella base teorica Ustori non soffrì alcun dubbio sulle origini e sul significato della carneficina, tal che, finita la battaglia contro l’intervento, non gli restò che pensare a sottrarsi all’assassinio statale, varcando la frontiera. Naturalmente la sua non fu una diserzione, ma un semplice cambiamento di fronte e di terreno di lotta”. (F. Bucci – M. Lenzerini –R. Quiriconi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Pubblica Sicurezza, H2, b.61; Orrendo episodio della delinquenza rossa a Milano. Una macchina infernale semina la strage nel Teatro Diana, «La Nazione», 24 mar. 1921; C. Scarfoglio, Il massacro di Milano, ivi, 25 mar. 1921; Continua l’interrogatorio degli imputati al processo del Diana. Le dichiarazioni de-gli accusati minori, «Avanti!», 12 mag. 1922; Il processo per l’eccidio del “Diana”. Continua il movimentato interrogatorio degli imputati, «La Nazione», 12 mag. 1922; Al processo dei dinamitardi. La ricerca degli alibi e delle difese la notte del 23 marzo nei racconti degli imputati, «Il Corriere della sera», 12 mag. 1922; Le condanne dei dinamitardi del Diana. L’ergastolo a Mariani e a Boldrini; 30 anni ad Aguggini, ivi, 2 giu. 1922; Uno di meno, «Avanti!», 13 mar. 1927; Federico Ustori, «L’Adunata dei refrattari», 22 nov. 1930; M., Federico Ustori, «Fede!», 30 nov. 1930; F. Ustori, «Lotta anarchica», 15 dic. 1930.

Bibliografia: Un trentennio di attività anarchica. 1914-1945, Cesena 1953, p.69-70; Mantovani, ad indicem; F. Bucci, R. Quiriconi, La vittoria di Franco è la disfatta del proletariato… Mario De Leone e la rivoluzione spagnola, Follonica 1997, p. 85.
 
GIORLANDO, Giuseppe
 
Nasce a Grammichele (CT) il 20 dicembre 1900 da Michele e Concetta Barbera, barbiere. Autodidatta, soprannominato “Bururubù”, diventa nel suo paese un attivo propagandista socialista e partecipa all’agitazione per l’occupazione delle terre. Evolve verso l’anarchismo alla fine del 1920, entrando in contatto con Paolo Schicchi e gli anarchici palermitani. Il 15 settembre 1921 espatria clandestinamente a Marsiglia dove impianta un salone da parrucchiere e fornisce ospitalità e mezzi di sussistenza agli esuli anarchici siciliani. Si occupa in particolare di raccogliere fondi per le vittime politiche (a tal proposito sovrintende nel 1926 alla vendita del mobilio del gruppo sociale di Grammichele) e di diffondere la stampa schicchiana.

Una delusione sentimentale lo porta a Parigi nei primi mesi del 1930, dove impianterà un nuovo rinomato salone. Collabora in questo periodo non solo alla stampa anarchica (invia articoli specialmente a «L’Emancipazione» di San Francisco) ma anche a riviste di moda e di cultura varia («Revue Cosmique», «L’En-Dehors»), dove propugna un ideale di donna piacente ed emancipata. Viene implicato, insieme a Barbieri, di cui è molto amico, a Fosca Corsinovi, Volterra, Magni, Coltan e altri, nell’invio in Italia di due bauli esplosivi, il primo scoppiato nella stazione di Roma Tiburtina il 2 luglio 1931, il secondo disinnescato nella stazione di Milano; e di due pacchi esplosivi indirizzati, sempre a Milano, all’amministrazione dei giornali «Il Popolo d’Italia» e «Il Corriere della sera». Successivamente è accusato di complicità nell’attentato dimostrativo alla Casa degli Italiani di Aubagne, presso Marsiglia, commesso da Cociancich e Fornasari il 14 gennaio 1932.

Destinatario con altri compagni di decreti di espulsione dalla Francia, partecipa con successo alla campagna per la loro sospensione (unici espulsi saranno Bonomini e Perissino), parlando il 13 aprile 1935 nei locali della cgt francese. Partecipa a tutte le iniziative degli anarchici italiani a Parigi e probabilmente al convegno d’intesa di Saurtrouville. Il 28 ottobre 1940 è arrestato dalle autorità tedesche di occupazione, su segnalazione del console italiano. Trasferito in Germania, prima nelle carceri di Trier, poi nel campo di concentramento di Hinzert, dove è adibito ai lavori forzati, è consegnato alla polizia italiana di frontiera del Brennero, insieme ad altri anarchici finiti in mani tedesche, il 9 marzo 1942. Tradotto a Catania, il 7 maggio 1942 è assegnato per cinque anni al confino di Ventotene. Il 29 agosto 1943, durante il trasferimento al campo di concentramento di Renicci d’Anghiari, approfitta di un allarme aereo per fuggire dal treno, fermo nella stazione di Roma Casilina.

Attraversata la linea del fronte, raggiunge Grammichele a piedi. Conosciuto Simone Schicchi, nipote di Paolo e segretario dei giovani comunisti catanesi, aderisce al PCI, pur continuando a diffondere fino al 1965 la stampa anarchica. Il 5 giugno 1947, a marcare l’inizio di una nuova stagione di occupazione delle terre, commemora con Alfonso Failla, al Circolo di cultura sociale, l’eccidio d’inermi contadini avvenuto a Grammichele il 16 agosto 1906. Nel 1955 è candidato del Movimento Socialista di Unità Proletaria all’Assemblea regionale siciliana. Muore a Grammichele il 20 febbraio 1967. (N. Musarra)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Caltanisetta, Gabinetto Questura, b. 149 (1945), f. Catania. Attentatori. cat. A9 Vigilanza; Archivio storico degli Anarchici siciliani, Archivio Nicolò e Paolo Schicchi, Giuseppe Giorlando a Paolo Schicchi, 12 lug. e 10 ago. 1944.
 

Sitografia: Dictionnaire international des militants anarchistes, versione on-line, http://militants-anarchistes.info
 

Bibliografia: Attività del movimento nell’isola, «Terra e libertà», numero unico, Siracusa, 6 lug. 1947; Cerrito, p. 17; G. Micciché, La Sicilia tra Fascismo e Democrazia, Ragusa 1985, p. 68; G. Sacchetti, Renicci: un campo di concentramento per slavi e anarchici, Arezzo 1987, p. 16; S. Carbone, L. Grimaldi, Il popolo al confino. La persecuzione fascista in Sicilia, Roma 1989, ad indicem; P. Finzi (a cura di), Insuscettibile di ravvedimento. L’anarchico Alfonso Failla (1906-1986), Ragusa 1993, p. 244; F. Bertolucci, Gli anarchici italiani deportati in Germania durante il Secondo conflitto mondiale, «A : rivista anarchica», aprile 2017, pp. 63-98.


“…tutto è così allegro e nessuno si occupa di te.
E questo mi succede sempre e dappertutto.
Ognuno si è procacciato il suo posticino sulla
terra, ha la sua calda stufa, la sua tazza di caffè,
la sua donna, il suo bicchiere di vino la sera e
così è soddisfatto.
Io non sto bene da nessuna parte.
È come se fossi arrivato ovunque troppo
tardi, è come se il mondo non avesse proprio
previsto la mia esistenza”.
(Joseph Karl von Eichendorff, Vita di un perdigiorno, 1826)

“…et forsan haec olim meminisse iuvabit”.
(Virgilio, Eneide, I, 203)

 
GIORNI, Secondo Francesco

Nasce a Sansepolcro (AR) il 19 settembre 1885 da Bernardo e Geltrude Novembri. Terminate le scuole elementari si trasferisce con la famiglia a San Giovanni Valdarno. Operaio autodidatta e pubblicista, abbraccia in giovanissima età le idee socialiste e sindacaliste rivoluzionarie per approdare poi all’anarchismo, salvo rientrare più tardi ancora nei ranghi del partito socialista in esilio. La polizia lo iscrive al Casellario politico centrale dei sovversivi fin dal 1905 quando, per alcuni mesi, esercita la funzione di segretario in una sezione socialista a Marsiglia, città in cui si trova emigrato per lavorare come operaio verniciatore. Rientrato in Valdarno partecipa come delegato al congresso giovanile nazionale socialista di Firenze del febbraio 1907 e qui interviene nella discussione proponendo e facendo approvare una mozione sull’anticlericalismo; nel 1910 tiene comizi antimilitaristi nella stessa zona mineraria nell’ambito della campagna contro le compagnie di disciplina. L’anno successivo risiede per brevi periodi prima a Parigi, poi a Torino e infine a Bologna. Nel capoluogo piemontese concretizza il suo interesse per il movimento neomalthusiano con la pubblicazione de L’Arte di non far figli per la quale viene subito incriminato per il reato previsto dall’art. 339 del cp, poi clamorosamente assolto in un processo per oltraggio al pudore (Tribunale di Torino, 10 apr. 1913). La produzione “neomalthusiana” di G. comprende tre opere pubblicate dal 1911 al 1921 e varie relazioni a conferenze patrocinate dalla Associazione Razionalista fiorentina. L’Arte di non far figli è davvero un bestseller dell’epoca visto che in 10 anni raggiunge ben sette edizioni (le prime hanno come editore lo stesso autore, mentre le altre, come gli scritti successivi, sono pubblicati dalla Società Editoriale Neo-Malthusiana di Firenze), per una tiratura complessiva di 85.000 copie!  In 64 pagine contiene le descrizioni dei metodi antifecondativi all’epoca consigliati o anche di quelli sconsigliati. A Bologna diventa segretario della Lega Cementisti aderente alla locale Camera del lavoro sindacalista-rivoluzionaria e membro del Comitato pro-vittime politiche. Scrive sulle testate di tendenza più importanti fra cui «L’Azione sindacale», «L’Agitatore» e «L’Alleanza libertaria». Nel 1912, maturata ormai la rottura con il PSI, continua la sua attività nei gruppi anarchici bolognesi; è presente a Modena al congresso di fondazione dell’USI. Rientra ancora a San Giovanni dove, da esponente dell’Unione Anarchica Valdarnese (gruppo “P. Gori”) partecipa al vivace dibattito politico locale prendendo posizione a favore delle correnti “comunista’” e “sindacalista” dell’anarchismo, pronunciandosi per l’espulsione di quei militanti che avevano manifestato l’intenzione di votare socialista alle elezioni del 1913. Segue un’accesa discussione per approvare il patto associativo dell’Unione nel corso della quale si superano le ultime resistenze degli individualisti rappresentati da Giuseppe Brogi. Il progetto, elaborato da G., è approvato a larga maggioranza. Esso concerne programma politico, quota sociale, nomina di segretario, cassiere ecc. I pochi con-trari al principio di organizzazione accusano i proponenti di voler “formare un gruppo sindacalista”. Tale è la fama e la fiducia che G. si guadagna nel movimento che ritroviamo il suo nome fra i dodici relatori designati per il Congresso Comunista-Anarchico Italiano che avrebbe dovuto svolgersi a Firenze l’8 agosto 1914, ma che non si tiene a causa dello scoppio della guerra. Questo il punto sei dell’ordine del giorno della mancata assise nazionale: “Congresso Anarchico Internazionale, relatore Secondo Giorni di San Giovanni Valdarno”. Collabora in questo periodo con Malatesta, Borghi e Sassi. Durante la guerra è chiamato alla visita insieme ai riformati della sua classe e, dichiarato abile, è assegnato ai primi del 1916 al 3° Genio in Firenze. Ottiene un lungo periodo di convalescenza e, rientrato al corpo, decide di disertare e, colpito da mandato di cattura emesso dal tribunale militare di Milano, di rifugiarsi in Svizzera. Da Zurigo, dove frequenta l’ambiente cosmopolita e assai stimolante degli artisti e degli scrittori dell’avanguardia, invia articoli antimilitaristi alla stampa socialista e anarchica. La sua presenza è segnalata per una breve periodo in Germania; da qui viene espulso quale “agente della pro-paganda bolscevica”. Rientra in Italia nel 1919 beneficiando dell’amnistia. Si stabilisce a Firenze dove apre una libreria “neomalthusiana” e la polizia –  già assidua nelle perquisizioni domiciliari – annota: “Milita nel campo anarchico e predilige in modo speciale la compagnia degli anarchici fra i quali ha una discreta influenza sia nel Regno che all’estero. Parla e scrive correttamente il francese ed è lettore assiduo di dottrine e di opuscoli sovversivi. È in relazione con gli organi dirigenti dei partiti sovversivi”. L’anno successivo si sposa con la fiorentina Maria Paci e rientra a San Giovanni Valdarno impiegandosi come operaio nella locale ferriera. Perseguitato dai fascisti, si trova obbligato a espatriare in Francia nel 1925. Assunto come bracciante delle ferrovie, si stabilisce definitivamente a Nizza. Considerato dalle autorità consolari come “uno dei maggiori esponenti dell’antifascismo locale” e “ammiratore di Schirru e di tutti gli individui dediti alla vio-lenza contro i gerarchi fascisti”, ricopre le cariche di segretario del Club franco-italiano nizzardo e della locale Federazione della LIDU. In questa ve-ste intrattiene stretti rapporti con Pietro Nenni, Sandro Pertini, Carlo Rosselli, Silvio Trentin e Giuseppe Saragat. Nel 1930 chiede invano di es-sere naturalizzato francese e gli viene anche negato il visto sul passaporto per recarsi in Spagna. Continua a essere iscritto nel «Bollettino delle Ricerche» del Ministero dell’Interno italiano per essere arrestato in caso di rimpatrio. Nel 1934 risulta aderente a GL e coinvolto nell’attività di propaganda clandestina per l’introduzione in Italia di materiali a stampa. Allo scoppio della Guerra Civile spagnola si fa promotore di un comitato di solidarietà a livello regionale. Nel 1939 risulta ancora iscritto dalla polizia italiana nella “Rubrica di frontiera”, sempre con la dizione “da arrestare”, quale dirigente del PSU. L’ultima segnalazione circa la sua presenza in Francia porta la data del 12 aprile 1942. S’ignorano data e luogo di morte. (G. Sacchetti) 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Torino, Tribunale Penale 1913, b. n. 1059, Processo c/ Giorni Secondo et altri.
 
Bibliografia: scritti di G.: L’Arte di non far figli: neomalthusianismo pratico, San Giovanni Valdarno 1911 (3. Ed.); Come si prepara la classe del 1916: il neo-malthusianismo e la guerra tra le nazioni, Firenze 1916; Preservativi sessuali ed antifecondativi: loro uso, loro valore pratico, loro pericoli, secondo i dati più recenti della scienza medica, Firenze 1921. Scritti su G.: L. Fabbri, Generazione cosciente. Appunti sul neo-malthusianesimo, Firenze 1914; M. Antonioli, Il movimento anarchico nel 1914, «Storia e politica», Milano, n. 2, 1973; G. Sacchetti, Sovversivi in Toscana (1900-1919), Todi 1983, ad indicem; Id., Secondo Giorni / Un valdarnese ‘divulgatore’ di Malthus, «Notiziario turistico», Arezzo, n. 108/1985; G. Sacchetti, Il preservativo del nonno,«A-Rivista anarchica», apr. 1998.

GIOVANARDI, Rodolfo

Nasce a Reggio Emilia il 5 maggio 1905 da Attilio ed Eleonora Bonetti, operaio verniciatore. Nel 1912, alla morte del padre, viene ricoverato nell’Orfanatrofio Maschile di Reggio Emilia, dove rimane fino all’ottobre del 1922. Legge molti libri di autori come Tolstoj, Dostoevskij, Gorkij, Malatesta, e fin da giovane ha simpatie per le teorie socialiste anarchiche. Nel 1925 presta servizio militare nel Genio Telegrafisti. Nel 1930, a causa delle sue idee antifasciste, è costretto all’esilio in Francia, dove si sposta fra varie città. Nel novembre 1932 la Prefettura di Bordeaux gli notifica l’espulsione, ma riesce a restare in Francia rendendosi irreperibile. Nel luglio del 1936 raggiunge la Spagna e si arruola nella Divisione “Ortiz” e poi nella Sezione Italiana della Colonna “Ascaso” cnt-faib. Rimasto ferito a Huesca il 25 gennaio 1937, passa a far parte della 28a Divisione “Ascaso” fino all’agosto 1938. Alla fine dello stesso anno diventa operaio presso una fabbrica di guerra. Le sue precarie condizioni di salute gli impediscono ben presto ogni attività fisica particolarmente pesante. Affetto da tbc, nel febbraio del 1939 lascia la Spagna e viene internato in Francia nei campi di Saint-Cyprien e di Gurs. Una volta guarito è arruolato nelle compagnie di lavoro dell’esercito francese. Dopo l’invasione della Francia passa in Belgio. L’11 giugno 1940 si consegna al Consolato italiano di Bruxelles che lo fa tradurre in Italia. Viene condannano al confino che sconta a Ventotene. Dal settembre 1943 prende parte alla Resistenza a Parma, città dove risulta residente anche subito dopo la fine della guerra, ricoverato presso il Sanatorio Rasori. Ritornato a Reggio, in seguito risiede a Como e a Genova, dove vive facendo l’interprete. Muore a Genova il 29 gennaio 1960. (F. Montanari)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; I nostri lutti, «Umanità nova», 28 feb. 1960.
 
Bibliografia: A. Zambonelli, Reggiani in difesa della Repubblica Spagnola (1936-1939), Reggio Emilia 1974; Arbizzani, ad indicem; F. Montanari, L’utopia in cammino (Anarchici a Reggio Emilia 1892-1945), Reggio Emilia 1993; G. Furlotti, Parma libertaria, Pisa 2001.

 
GIOVANNELLI, Oreste

Nasce a San Giusto di Prato il 6 giugno 1864 da Leopoldo e Verdiana Ricci, commesso, soprannominato Formicola. È, sul finire dell’Ottocento, uno degli elementi più influenti del gruppo anarchico pratese. Riceve giornali e opuscoli libertari e si tiene in contatto con i compagni fiorentini. Nel 1898, stando al cenno biografico redatto dalla prefettura di Firenze, egli è “il capo” degli anarchici di Prato. Il 13 settembre di quell’anno è arrestato, insieme con ventisette compagni, e denunciato al tribunale di Firenze per associazione a delinquere. Prosciolto dall’imputazione in camera di consiglio, è in seguito costantemente vigilato. Nel 1903 la Questura di Milano riferisce che G. è corrispondente da Prato del settimanale anarchico «Il Grido della folla», che si pubblica nella città lombarda. Muore a Prato il 14 ottobre 1924. (A. Affortunati)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

 
GIOVANNETTI, Giovanni

Nasce a Campiglia Marittima (LI) il 18 giugno 1886 da Fiorenzo e Antonia Bianchi, fornaciaio. Il 29 giugno 1906 viene segnalato dalla Prefettura di Pisa perché professa idee socialiste, prende parte a riunioni di “indole sovversiva” e distribuisce il periodico antimilitarista «La Pace» di Genova: mite e rispettoso, è sottoposto a “una oculata vigilanza”, sebbene non sia pericoloso. Schedato il 13 luglio 1906, fa propaganda fra i giovani, interviene alle manifestazioni rivoluzionarie, diffonde «Il Martello» di Piombino e altri giornali sindacalisti e libertari ed è membro della Lega dei futuri coscritti e della Pubblica assistenza di Campiglia. Nel 1908 G. è affiliato alla sezione campigliese della Lega antimilitarista italiana, insieme a Angelo Beconi, Ostasio Nutini, Silvio Bucci, Mario Cappelli e altri sovversivi, tutti “attentamente sorvegliati”, e nel 1909 è membro (cassiere) della Commissione di corrispondenza della Federazione anarchica maremmana, insieme a Ruffo Romagnoli e al poeta scarlinese An-nibale Duccini, da poco trasferitosi a Campiglia, per “tirare innanzi il movimento con maggiore entusiasmo e attività”. Negli anni seguenti il nome di G. compare ancora sulla stampa anarchica e nel 1924 risulta abbonato alla rivista di E. Malatesta, «Pensiero e volontà» di Roma. Poi si iscrive al PNF e nel 1933 viene radiato dallo schedario. S’ignorano data e luogo di morte. (G. Ciao Pointer – G. Piermaria)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

 

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