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sabato 9 settembre 2023

ANARCHICI & ANARCHIA 10

A N A R C H I C I & A N A R C H I A

 

​GHELLER, Giovanni

Nasce a Venezia il 22 aprile 1898 da Domenico e Maria Besazza, meccanico. Residente a Mestre, nel 1921 fa parte degli Arditi del popolo. Il 30 maggio 1921 è condannato a due mesi di detenzione per “grida sediziose”, e il 25 settembre a un anno e due mesi per “diserzione”. Nel maggio 1923 espatria senza passaporto in Austria con Luciano Visentin e Felice Giaccone, che erano accusati dell’omicidio del giovane fascista Cattapan; arrestato a Salisburgo e riportato a Mestre, è sottoposto a vigilanza speciale. Viene più volte arrestato per non aver rispettato gli obblighi imposti dalla vigilanza, e in un’occasione è rinchiuso in manicomio e rilasciato “perché riconosciuto non alienato”. È iscritto nell’elenco delle persone da arrestare in caso di gravi turbamenti dell’ordine pubblico. Il 25 giugno 1928 è arrestato per “grida sediziose” e condannato al confino. Inviato a Ustica, Favignana, Tremiti, è liberato nel marzo 1930. A Mestre lavora come meccanico e viene “rigorosamente vigilato”. Nel maggio 1935 è sottoposto all’ammonizione. Arrestato il 17 febbraio 1936 “per contravvenzione all’ammonizione”, è assegnato ad altri cinque anni di confino a Lampedusa. L’8 maggio 1937 scappa dall’isola in barca a remi con tre compagni, sbarca in Tunisia e di lì si reca in Francia. Per questo episodio è condannato in contumacia dal Tribunale di Agrigento a un anno e tre mesi di arresto. Da Parigi, dove risiede, scrive una cartolina illustrata di Versailles a un agente di PS di Lampedusa: “Arrivederci all’inferno”. L’ambasciata italiana gli nega il passaporto. Nell’agosto 1943, forse per timore di essere con-segnato alle autorità tedesche, chiede di rimpatriare per arruolarsi volontario nell’esercito italiano. Rientra a Mestre il 7 settembre 1943. Nell’agosto 1947, quando viene arrestato su mandato di cattura della Procura di Agrigento, «Umanità nova» lo definisce “uno dei più coraggiosi attivi antifascisti e valoroso partigiano”. Esce grazie all’amnistia. Muore a Mestre il 27 febbraio 1959. (P. Brunello)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Si arrestano gli antifascisti, «Umanità nova», 24 ago. 1947.
 
GHENZEL, Lamberto
 
Nasce a Roma nel 1880 (data incerta) da Paolo e Natalina Massini, di professione garzone in una bottega di cappelleria, abitante al civico 3 di piazza Santa Apollonia, deceduto, a Roma, l'11 ottobre 1897 all'età di 17 anni. La sua vicenda è legata alla sua morte avvenuta nel corso degli incidenti occorsi intorno la sede del Ministero dell'Interno a piazza Navona, durante una dimostrazione dei commercianti romani contro la tassa sulla ricchezza mobile. Alla protesta parteciparono attivamente anche numerosi garzoni di bottega, operai, artigiani e «gruppi di giovinastri uniti a ragazzi e a gente delle infime classi». Al tentativo di invasione del dicastero da parte dei dimostranti, seguirono violenti incidenti con la forza pubblica che si trasformarono in «aperta rivolta» cui G. prese «parte attivissima» insieme a un gruppo di anarchici e socialisti, che più volte venne respinto dalla piazza e più volte tentò di rientrarvi forzando i cordoni di pubblica sicurezza. Un ultimo tentativo si verificò da via dell'Anima, all'altezza di via dei Lorenesi, dove il gruppo di rivoltosi diede vita a una fitta sassaiola verso i soldati i quali risposero sparando colpi di fucile. La folla indietreggiò, ma sul suolo rimasero due persone: Sabato Moscato, un venditore ambulante di 28 anni, gravemente ferito alla gola e il giovane G., colpito all'altezza della meninge destra e deceduto sul posto. Il giornalista Roberto de Fiori, presente agli eventi e interrogato in sede processuale, così ricostruì il fatto: «Tra i dimostranti ricordo vi era un giovanotto il quale stando in mezzo a via dell'Anima continuamente ed accanitamente tirava dei grossi selci, e, se non erro, egli fu quello che mentre raccoglieva un altro sasso per lanciarlo fu colpito» alla testa.
Meglio noto alla stampa e alle autorità come “Ghezzi”, nella storpiatura italianizzante del suo cognome di origine tedesca, G. apparteneva al circolo socialista-anarchico denominato “Tevere”, sorto quello stesso anno. Tale appartenenza lo collocava nell'area malatestiana del movimento libertario romano che, in quell'anno, si distinse dai circoli influenzati da Francesco S. Merlino disponibili alla partecipazione elettorale, costituendo il “Tevere” che assumeva invece l'astensionismo politico quale tratto programmatico distintivo. La sua morte suscitò un vivo cordoglio in città. L'insieme del movimento anarchico capitolino ne rivendicò l'appartenenza omaggiandolo con un estremo saluto al cimitero del Verano, dove era stato sepolto, deponendo due corone di fiori, una a firma «anarchici di Roma», la componente socialista-anarchica, e l'altra da parte degli individualisti del «Nucleo anarchico romano». I familiari della giovane vittima, di sentimenti cattolici, vollero invece apporre una croce sul muro del palazzo dove era avvenuto il delitto, che il questore fece però rimuovere in tutta fretta la sera stessa. Il quotidiano romano «Il Messaggero» aprì un fondo in favore della famiglia, cui si unì l'associazione dei commercianti romani, promotrice della dimostrazione, che invitò i suoi affiliati a sostenere la sottoscrizione.
Dei responsabili della morte si seppe poco; a esplodere i colpi di fucile in via dei Lorenesi erano stati quattro soldati del XI reggimento di fanteria (Antonio Marcenò, Napoleone Poggiati, Carlo Rosso e Giuseppe Piccinini), ma ai militi non furono imputati di alcun reato.
Dal verbale dell'autopsia sappiamo che il giorno della morte, G. era vestito con una giacca e pantaloni blu, una camicia turchese con piccole ancore bianche, una maglia di colore nero, dei calzini rossi con la soletta bianca e le scarpe. In tasca portava un fazzoletto bianco con i bordi rossi, un portafogli di pelle marrone, un quadernetto con su scritto libretto di memorie che conteneva disegni di figure a matita, 2 lire e 30 centesimi e due pezzi di sigaro. (R. Carocci)

Fonti

Fonti: Archivio dello Stato di Roma, (Asr), Tribunale Civile e Penale, b. 21 n. 714, a. 1898; Asr, Gabinetto di Prefettura, b. 595, f. 34/7, “Processo fatti piazza Navona”; Asr, Gabinetto di Prefettura, b. 595, prot. 34/7, “Roma. Tumulti a piazza Navona 11 ottobre 1897”; Asr, Questura, b. 77, f. 291, sf. “Arresti e perquisizioni di anarchici e socialisti”, Asr Questura, b. 77, f. 291, sf. “Dimostrazione dei negozianti e tumulto in piazza Navona”; Asr Questura, b. 77, f. 291, sf. “Agitazione posteriore ai tumulti”.

Bibliografia e fonti edite: Gli strascichi dell'eccidio. Arresti, perquisizioni e altre gesta poliziesche, «Avanti!», 14 ottobre 1897; La grande dimostrazione di oggi finita tragicamente, «Avanti!», 12 ottobre 1897; L'eccidio di piazza Navona. Riepilogo dei fatti, «Avanti!», 13 ottobre 1897; La rivolta della borghesia, «Lotta di Classe», 16-17 ottobre 1897; Cronaca italiana. Cose romane, «Civiltà cattolica», s. XVI, vol. XII, quad. 1137, p. 360; Tumulti sanguinosi a Roma, «La Stampa», 12 ottobre 1897; I tumulti di Roma, «La Stampa», 13 ottobre 1897.
 

 

GHERARDI, Lanciotto
Nasce a Bagni di Casciana - attuale Casciana Terme (PI) - il 27 novembre 1902, da Alfredo e Dosolina Gherardi, operaio. Influenzato dalle idee anarchiche della famiglia, la sua politicizzazione risale alla gioventù. A diciotto anni, dopo aver vinto un concorso nelle Ferrovie di Stato come aiuto macchinista, lascia Casciana e la famiglia per trasferirsi a Livorno. Nel capoluogo labronico, risiede in via Pellettier, nel quartiere sovversivo S.Marco-Pontino. Conosciuto come attivista anarchico, il 16 febbraio 1922, resta ferito alla testa, assieme al tornitore comunista Ugo Lelli, in uno scontro tra un gruppo di sovversivi e squadristi fascisti nella centralissima via Vittorio Emanuele.
A metà anni degli anni '20, sposa Bruna Ghiribelli, sua compagna di vita.
Dopo essere stato licenziato, per motivi politici, dalle Ferrovie lavora come meccanico e collaudatore in un'officina, filiale livornese della Fiat.


Negli anni Trenta, in pieno regime fascista, entra a far parte dell'organizzazione clandestina del Partito comunista, assumendo anche incarichi di responsabilità e direzione, pur non avendo mai rinunciato agli ideali libertari, così come risulta dalla testimonianza orale del figlio Alfredo e dell'anarchico Virgilio Antonelli, responsabile militare del primo comitato di liberazione clandestino.
Nel marzo 1933, partecipa ai clamorosi funerali sovversivi del comunista Mario Camici, assieme ad almeno 400 antifascisti e antifasciste; subisce fermi e perquisizioni, mantenendo comunque un aperto atteggiamento di rifiuto del fascismo e collaborando all'espatrio clandestino via mare verso la Corsica dei perseguitati politici.

Nel 1941, assieme ai socialisti Angiolo Pagani e Cesare Zambelli e al repubblicano Fortunato Garzelli, G. costituisce un primo Fronte nazionale antifascista che svolge attività clandestina tra gli operai, in particolare tra quanti lavorano nel silurificio Moto Fides.

Dopo l'8 settembre 1943, è membro attivo della nuova Concentrazione Antifascista, dalla quale sarebbe sorto il Fronte nazionale unitario di Liberazione (poi CLN) di Livorno, e con i militanti di questa è impegnato nella raccolta e nel trasporto di armi, necessarie per iniziare la lotta armata contro i nazi-fascisti; alla testa di una SAP attacca la caserma dei carabinieri in via Maria Terreni, disarmando i militai e prelevando armi e munizioni. A partire dal 1° marzo 1944, G. risulta partigiano combattente nel 10° Distaccamento partigiano “Oberdan Chiesa”, facente parte della 3ᵃ Brigata Garibaldi, operante nella zona del Castellaccio; il 1° maggio seguente, G. è designato commissario politico della formazione, poi affiancato da Salvatore Lauretta, e in tale ruolo fa parte anche del tribunale partigiano.

Nel luglio 1944, partecipa agli ultimi combattimenti a sud di Livorno, prima della liberazione della città. Il 15 luglio, alla testa di una pattuglia partigiana con dodici uomini, nei pressi di Quercianella, libera due militari americani e uccide due SS. All'alba del 18 luglio, guidando una colonna americana, è coinvolto direttamente in scontri a fuoco con le retroguardie tedesche nella zona di Popogna e presso la Palazzina, soccorrendo il compagno ferito Francesco Lotti, resta lui stesso colpito mortalmente da una raffica di mitragliatrice.

Secondo talune fonti sarebbe caduto sotto il fuoco germanico, ma in realtà sarebbe rimasto vittima di “fuoco amico” in quanto erroneamente individuato - per il machine-pistole e il berretto tedesco - e colpito da soldati statunitensi. Di particolare importanza è la testimonianza del partigiano Corrado De Maio: "Cercavamo armi e un giorno Mario Morelli mi consegnò una mitraglietta tedesca. Non so come l'aveva trovata. La portai in formazione e se la prese il vicecomandante della III Brigata, Lanciotto Gherardi. Purtroppo gli costò la vita [...] la canna della sua arma fu vista e riconosciuta dagli americani. Sventagliarono una raffica senza sapere chi impugnasse quella mitraglietta tedesca e l'uccisero". G. sarebbe deceduto il 19 luglio, giorno della liberazione di Livorno, in un ospedale da campo degli Alleati.

La Divisione Garibaldi alla fine del luglio '44, in suo onore, ne assume il nome nella denominazione e nel dopoguerra gli è intitolata una sezione del PCI in via Garibaldi. A Livorno (in città e al Castellaccio) e a Casciana gli sono state dedicate strade e lapidi; è altresì citato in numerosi testi di memorialistica e storia locale. Con decreto presidenziale del 19 settembre 1994, ha avuto un riconoscimento al valor militare “alla memoria” (medaglia di bronzo) per attività partigiana. (M. Rossi)

Fonti

Bibliografia:
Diario di guerra del 10° Distaccamento «Oberdan Chiesa» (luglio 1944), in I. Tognarini, Là dove impera il ribellismo. Resistenza e guerra partigiana dalla Battaglia di Piombino (10 settembre 1943) alla liberazione di Livorno (19 luglio 1944), Napoli, ESI, 1988, vol. 2, pp. 477-484;
I. Tognarini (a cura di), Livorno nel XX Secolo. Gli anni cruciali di una città tra fascismo, resistenza e ricostruzione, Firenze, Polistampa, 2005, p. 555;
A. Melosi, Resistenza, dopoguerra e ricostruzione a Livorno 1944-48, Livorno, Nuova Fortezza, 1984, pp. 24, 29, 30, 34;
F. Bucci, S. Carolini, C. Gregori e G. Piermaria, Il Rosso, il Lupo e Lillo – Gli antifascisti livornesi nella guerra civile spagnola, Follonica, La Ginestra, 2009;
M. Luzzati, Ebrei di Livorno tra due censimenti (1841-1938): memoria familiare e identità, Livorno, Comune di Livorno, 1990, pp. 77, 85;
L. Antonelli, Voci dalla storia: le donne della Resistenza in Toscana tra storie di vita e percorsi di emancipazione, Prato, Pentalinea, 2006, p. 303;
M. Rossi, “Avanti siam ribelli...”. Appunti per una storia del Movimento Anarchico nella Resistenza, Pisa, Amministrazione provinciale, 1985, pp. 83, 100;
M. Rossi, Livorno clandestina. Un ventennio di opposizione antifascista (1923-1943), Pisa, BFS, 2017.
ANPI Livorno (a cura di), Livorno dall'antifascismo alla resistenza. Il 10° Distaccamento partigiano e la liberazione della città, Livorno, suppl. a «CN – Comune Notizie», n. 34, aprile-giugno 2001, pp. 23, 30, 41, 43, 46, 65.
A. Petacco, U. Mannoni, G. Isozio, Livorno in guerra: come eravamo negli anni di guerra, Livorno, Il Telegrafo, 1990, pp. 246, 321.
Intervista a Corrado De Maio a cura di Giulio Corsi, Mia madre morì nel giorno in cui liberammo Livorno, «Il Tirreno», 19 luglio 2004.

Sitografia:
Lanciotto, "corteccia" di coraggio e di rispetto, profilo biografico a cura del nipote omonimo, Lanciotto Gherardi, in «Comune Notizie» on-line (http://www.comune.livorno.it/_cn_online/index.php?id=247&lang=it);
Combat film, in cui è visibile l'ingresso dei partigiani a Livorno: https://www.youtube.com/watch?v=7-uD2ipS33s
 

GHETTI, Amadio
 
Nasce a Forlì il 16 febbraio 1865 da Pellegrino e Maria Adelaide Servadei, operaio alla fonderia. Indicato anche come Amadeo o Amedeo. Fondatore del Circolo “Amilcare Cipriani” (sorto a Forlì il 28 febbraio 1885 e soppresso nel 1889), insieme al fratello Giuseppe (Forlì, 19 mar. 1858- 10 giu. 1929, ortolano e calzolaio) e al padre Pellegrino (di Paolo e Domenica Maria Grigiolini, Forlì, 1853-12 gen. 1904, calzolaio). Il Circolo, come sovente succede in quel tempo, esercita opera di proselitismo su base “territoriale”: in questo caso in particolare sugli operai della fonderia, colleghi di Amadio, e sugli abitanti del sobborgo Mazzini, parrocchia Cappuccini, dove la famiglia risiede e ha bottega. Una nota informativa “su alcuni socialisti anarchici”, inviata al Prefetto di Forlì il 24 febbraio 1888 sostiene che il padre Pellegrino “fa parte della Federazione da molti anni, ne ha frequentate le riunioni, e ne ha quasi sempre firmati i manifesti”. Nonostante la poca istruzione “si interessa con passione del partito” e ha instillato la medesima passione nei figli, e nel 1887 viene processato per reati di stampa. La stessa nota contiene anche riferimenti a Giuseppe, definito come il padre “di poca istruzione”, ma dedito “con passione” al partito in cui milita. Nel 1890 Giuseppe è indicato tra i capi del Circolo Socialista Anarchico “Sempre Avanti” (fondato nel gennaio di quell’anno), che raccoglie circa 150 soci. Le riunioni inizialmente, fino al reperimento di un locale atto a divenire sede del circolo, si svolgono in casa sua, fuori porta Mazzini. Amadio “di mente svegliata, di carattere ardito e audace”, più volte ha questioni “per principi politici con individui appartenenti al partito repubblicano”. Il 1° dicembre 1888 parte, come molti altri suoi compagni forlivesi, per l’Argentina. Non ne è segnalato il rientro. S’ignorano data e luogo di morte. (M. Gavelli)

Fonti

Fonti: Archivio di Stato Forlì, Gabinetto Prefettura 1870-1900.
 
GHETTI, Domenico
Nasce a Dovàdola(FC) il 14 maggio 1891 da Carlo e Maddalena Bombieri. Anarchico già noto in patria per l’irruenza dei comportamenti, consolida la propria fama di “sovversivo” oltralpe, prima in Germania (dove emigra giovanissimo nel settembre del 1907), poi in Svizzera. La sua intensa attività di base, specie nel campo del-la propaganda antimilitarista, e la sua intraprendenza, non aliena da tentazioni individualiste, ne fanno negli anni uno dei nomi più ricorrenti nei registri di PS. Nell’agosto del 1912 viene arrestato insieme ad altri anarchici italiani mentre, nelle vicinanze del Consolato d’Italia a Basilea, distribuisce un volantino di protesta contro l’arresto di Luigi Bertoni e le misure eccezionali disposte dalla polizia elvetica in occasione della visita in Svizzera del Kaiser Guglielmo ii. Un anno dopo, a Berna, G. organizza un Comitato di difesa so-ciale pro Masetti, questa volta, tuttavia, senza alcun collegamento con i gruppi anarchici italo-svizzeri, tanto da incorrere in una vivace polemica con lo stesso Bertoni (cfr. «Il Risveglio comunista anarchico», 29 nov. 1913). Lasciata la Svizzera alla fine di maggio del 1914, l’anarchico romagnolo partecipa ai moti della Settimana rossa (“in occasione dei torbidi del giugno 1914” annota la Prefettura di Firenze “ha tenuto comizi in Forlì”), per poi riparare nuovamente oltre confine. Nell’ottobre, un suo articolo dai toni violentemente antimilitaristi pubblicato su «L’Avvenire anarchico» di Pisa (Che cos’è la caserma, 29 ott. 1914) gli vale un’incriminazione per istiga-zione a delinquere. Rientrato definitivamente in Italia, a Milano, alla fine del 1914, è arrestato il 16 dicembre perché trovato in possesso di alcu-ni ordigni esplosivi, e condannato in seguito a 10 mesi di reclusione. Amnistiato nel giugno del 1915, G. pare eclissarsi dalla vita politica, salvo ricomparire alla fine del 1917 nelle vesti di acceso interventista. Quando e come matura la conversione interventista di G. (che, ancora il 4 giugno 1916, è nuovamente arrestato per aver causato incidenti nel corso di una conferenza di Ma-ria Rygier a Torino), non è dato sapere. Da una sua lettera pubblicata nel novembre 1917 su un periodico fiorentino, apprendiamo in ogni caso come G., al pari di altri anarchici favorevoli al-l’intervento, ritenga che il solo modo per frenare l’espansione del militarismo “teutonico” sia quello d’imbracciare il moschetto, e, dunque, come egli non veda, in questa posizione, alcuna contraddizione con le passate battaglie antimilitariste. La lotta contro “l’oppressione e la prepotenza mili-taristica prussiana”, scrive G., rappresenta una lotta di libertà, la libertà dell’“umanità intera”, ed egli, anarchico, esprime, con l’adesione alla causa interventista, il suo autentico “sentimento di libertario” («Il Nuovo giornale», 21 nov. 1917). Travolto quindi in ritardo dall’euforia guerresca delle “radiose giornate”, G. non manca di prendere parte ai residui bagliori della campagna interventista, nei giorni convulsi del dopo Caporetto e della “resistenza interna”. A suo tempo riformato dalla leva per inidoneità fisica, egli cerca inoltre in ogni modo di farsi richiamare alle armi, arrivando al punto, il 22 novembre 1917, di presentarsi in zona operativa vestito da bersagliere, non altro ottenendo che di essere ancora una volta tratto in arresto (ma la sua ostinazione viene alfine ricompensata ed egli arruolato in fanteria, nell’aprile del 1918). Nel dopoguerra G. raccoglie l’appello lanciato dal conterraneo Mussolini e aderisce al sorgente movimento fascista, adoperandosi – come sottolinea la Prefettura di Milano nel giugno del 1919 – per diffondere i “princìpi mussoliniani […] anche nel suo partito”. La volontà, evidente in G., di perpetuare l’eredità dell’anarcointerventismo connettendola con la più ampia corrente “rinnovatrice” del dopoguerra italiano, nel quadro di un imprecisato disegno rivoluzionario, trova conferma nella collaborazione da egli offerta a «L’Ardito», settimanale dell’Associazione fra gli Arditi d’Italia, e soprattutto (in qualità di responsabile dell’ufficio di corrispondenza de La Spezia, città dove si è nel frattempo trasferito) a «La Testa di Ferro», l’organo dei legionari fiumani diretto dall’ardito e futurista Mario Carli. Ancora fedele ai propri convincimenti sinistrorsi, G. è tra i pochissimi a pronunciarsi a favore della repubblica in occasione del ii Congresso nazionale dei Fasci di combattimento, nel maggio 1920, quello della definitiva virata a destra del fascismo e della conseguente rottura con la “sinistra” futurista; salvo poi, negli anni a venire, dare prova d’indiscutibile fede fascista, fino a diventare centurione della MVSN ed essere quindi definitivamente radiato dal registro dei sovversivi nel marzo del 1929. Muore a Forlì il 3 dicembre 1943. (A. Luparini)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: C. Martelli, Uno dei cento sansepolcristi: Domenico Ghetti, in Fascismo, antifascismo, resistenza, guerra di liberazione a Tredozio e in altri comuni della Romagna, Forlì 1993, pp. 16-19; Personaggi della vita pubblica di Forlì e circondario. Dizionario biobibliografico (1897-1987), 2 voll., a cura di L. Bedeschi, D. Mengozzi, Urbino, 1996, ad nomen; A. Luparini, Anarchici di Mussolini. Dalla sinistra al fascismo dalla rivoluzione al revisionismo, Montespertoli 2001, ad indicem; Id., “Combattere per la nuova anarchia”. Note sull’interventismo anarchico nel primo dopoguerra, «Rivista Storica dell’Anarchismo», lug.-dic. 2002, p. 83
 

​GHEZZANI, Silvio
 
Nasce a Pisa il 28 gennaio 1856 nel popolare quartiere di San Michele degli Scalzi, muratore. Il 3 luglio 1881 è ammonito come internazionalista e nel 1884 è aderente alla Federazione Socialista Anarchica Rivoluzionaria di Pisa, successivamente è annoverato dalla Polizia tra gli aderenti al gruppo anarchico “Dinamitaro”. Presidente della Società di Mutuo Soccorso e cooperativa fra muratori e manovali di Pisa, è fra gli organizzatori di un importante e riuscito sciopero dei lavoratori dell’edilizia di Pisa nel giugno del 1885. Partecipa come rappresentante della succitata società dei muratori di Pisa al congresso di costituzione della Federazione Generale fra gli esercenti l’arte muraria in Italia, che si svolge a Genova il 14 agosto 1886. Dopo questa data non si conoscono altre notizie sulla sua attività, né data e luogo di morte. (F. Bertolucci) 

Fonti

Fonti: Archivio di Stato Pisa, Ispezione Pubblica Sicurezza, b. 523.
 
Bibliografia: F. Bertolucci, Anarchismo e lotte sociali a Pisa 1871-1901, Pisa 1988, ad indicem.
 

GHEZZI, Francesco

Nasce a Cusano Milanino (MI) il 4 ottobre 1893 da Giulio e Maria Sirtori, tornitore e operaio di precisione. Frequenta le scuole elementari e giovanissimo inizia a lavorare avvicinandosi all’ideale anarchico e alla militanza attiva in occasione delle manifestazioni pro-Ferrer. Appartenendo alla leva dei giovani militanti formatisi a Milano nell’ambito della locale feconda corrente individualista, stringe una solida amicizia con C. Molaschi e in particolare con U. Fedeli di cui diviene inseparabile compagno tanto che spesso le informazioni di polizia su di loro e relative a questa fase vengono confuse o scambiate. È proprio con Fedeli – che in una memoria successiva lo definisce “coltissimo”, “impulsivo ed ardente”, “ragionatore profondo” – e con i giovani militanti del periodo che G. anima gruppi quali “i franchi tiratori” o “i ribelli milanesi” mettendosi in particolare evidenza in occasione delle dimostrazioni contro le compagnie di disciplina e, poi, di fronte al deflagrare della Grande Guerra di quelle antimilitariste. Nel luglio del 1917, chiamato alle armi, riesce a oltrepassare rocambolescamente il confine di Luino riparando a Zurigo. Qui im-piegato come tornitore e pulitore d’argento prende a frequentare gli ambienti del fuoruscitismo attivi intorno alla “Libreria internazionale”; mentre la polizia italiana sulla base di informazioni riservate lo annota come “agente al servizio dell’Austria [con] l’incarico di esplicare propaganda disfattista”, nell’aprile del 1919 è coinvolto nel noto affare delle bombe di Zurigo. Nel 1920 G. torna a Milano dove, sempre militando negli ambienti anarchici e nell’USI, partecipa alle iniziative editoriali di «Nichilismo» e de «L’Individualista». È partecipante attivo delle riunioni e degli attentati correlativi a quello del Teatro Diana e, in quanto principale sospettato dell’esecuzione materiale di quest’ultimo nel marzo del 1921 fugge prima in Liguria, poi attraversato il confine francese, si reca in Svizzera, quindi a Berlino in veste di delegato della gioventù socialista svizzera, quindi a Vienna dove si stabilisce per qualche tempo prima di recarsi in URSS dove, come rappresentante italiano dell’USI, soggiornerà negli anni successivi tranne alcune brevi permanenze all’estero (Berlino, Berna). Fino al 1926 vive a Jalta, dove lavora in una comune agricola di emigrati politici anarchici. Quindi è operaio meccanico alla Labormetiz di Mosca. In questa città, in contratto con personaggi di rilievo quali A. Bergmann, E. Goldmann, Ascaroff, Volin e V. Serge, frequenta gli ambienti anarchici, e mentre la polizia italiana lo segnala come dipendente del governo sovietico (1928), le autorità locali lo arrestano e condannano, nel maggio del 1929, a tre anni di reclusione per propaganda antisovietica. In seguito a questo fatto si attiva una campagna internazionale per la sua liberazione estesa oltre i confini del solo movimento anarchico – di cui Fedeli fu un importate animatore e a cui parteciparono personalità come R. Rolland e J. Mesnil e che fa muovere lo stesso Gorkij –, in seguito alla quale si arriva alla sua liberazione nel 1931. Rilasciato e impiegatosi in una fabbrica di automobili moscovita, G. sarà in seguito nuovamente e ripetutamente arrestato e perseguitato in quanto elemento politicamente sospetto al regime. Dall’ottobre del 1937 né la famiglia né i compagni né la polizia italiana riescono più a ottenere alcuna informazione sul suo conto. Si saprà solamente molto più tardi grazie ai racconti di un testimone diretto e all’apertura degli archivi sovietici che egli, arrestato il 5 novembre 1937 e rinchiuso nel carcere interno dell’UNKVD di Mosca sarà condannato a otto anni di lager il 3 aprile 1939 e inviato al Vorkutlag. Il 13 gennaio 1943 (quando era già deceduto) è condannato alla pena di morte per partecipazione a un’organizzazione antisovietica. Muore dopo oltre quattro anni di prigionia e in seguito alle torture subite, già minato dalla tbc, il 3 agosto 1942 al Vorkuta Gulag (non sul finire del 1941 come si era fino a ora creduto). Sarà riabilitato dalle autorità sovietiche il 21 maggio 1956. (M. Granata)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

Bibliografia: G. Zaccaria, 200 comunisti italiani tra le vittime dello stalinismo, Milano 1964; Mantovani, ad nomen; Id., Una vittima dello stalinismo, «Umanità nova», 21 feb. 1976; D. Corneli, Il redivivo tiburtino. 24 anni di deportazione in Urss, Milano 1977; G. Zaccaria, A Mosca senza ritorno: duecento comunisti italiani fra le vittime dello stalinismo, Milano 1983; F. Bigazzi, G. Lehner, I processi ai comunisti italiani in Unione Sovietica (1930-1940). Dialoghi del terrore, Firenze 1991; G. Sacchetti, Otello Gaggi. Vittima del fascismo e dello stalinismo, Pisa-Lucca 1992; C. Jacquier, L’Affaire Francesco Ghezzi. La vie et la mort d’un ouvrier anarcho-syndicaliste en URSS, «Annali 2. Studi e strumenti di storia metropolitana milanese», Milano 1993; R. Caccavale, Comunisti italiani in Unione Sovietica. Proscritti da Mussolini, soppressi da Stalin, Milano 1995; V. Serge, Memorie di un rivoluzionario (1901-1941), Roma 1999, p. 161; M. Granata, Ugo Fedeli a Milano (1898-1921). La formazione politica e la militanza attraverso le carte del suo archivio, «Storia in Lombardia», n. 1, 2000.




GHEZZI, Francesco
Nasce a Cetraro (Cs) il 27 ottobre 1889 da Rocco e da madre ignota, calzolaio. Emigra nel continente americano in data imprecisata, stabilendosi prima in Brasile e poi a New York, dove nel 1934 viene incluso in una lista di anarchici italiani residenti negli Stati Uniti. In seguito non sembra svolgere attività politica, anche se nel 1941 il suo nominativo compare nuovamente in un elenco di anarchici italiani residenti negli Stati Uniti inviato dalla polizia inglese a quella francese in occasione del matrimonio del duca di Kent. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)
 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2357, f. 99853, cc. 18, 1931-1934 e 1938-1941.
 

 
GHIBESI, Bernardo
Nasce a Schilpario (BG) il 16 aprile 1888 da Andrea e Esterina Spada, fornaio, poi venditore ambulante. Soprannominato “Pinc”, cioè piccolino, a causa della bassa statura, frequenta la scuola fino alla 3a elementare. Dopo aver lavorato in Alta Val Seriana come lavorante fornaio e pastore, intorno al 1911 si trasferisce a Bergamo, lavorando come aiuto panettiere in un forno gestito da uno svizzero nella zona di Borgo Pignolo, quartiere popolare molto coeso dal punto di vista sociale e politico. È in tale quartiere che G. trova casa. Dopo il suo arrivo in città, G. inizia subito a frequentare i sindacalisti di Bergamo, partecipando a tutte le loro iniziative. È soprattutto a contatto con la categoria dei lavoranti di panetteria, molto radicalizzata, che G. viene for-mando la sua coscienza anarchica. Nel 1913 si fa promotore di una raccolta di di denaro per so-stenere gli scioperanti di Torre Annunziata, Massafiscaglia e Torino. Aderisce al Gruppo Libertario Bergamasco, fondato nell’estate del 1914. Nel 1916 si sposa con Ester Caglioni, nata a S. Paolo del Brasile da Giovanni e Vittoria Perico, a sua volta anarchica. L’anarchismo della moglie di G. è determinato dal fatto di esser figlia di un emigrato che, al momento di essere pagato per il lavoro svolto in una fazenda brasiliana, viene ucciso a revolverate dal proprietario terriero, costringendo la famiglia a ritornare in Italia. Nel 1917 nasce il primo figlio, che è chiamato Rivoluzionario, ma il nome non viene accettato all’anagrafe del Comune di Bergamo. Il problema è risolto grazie alla mediazione di Romeo Crotti, anarchico che lavora presso l’amministrazione comunale, il quale propone non di cambiare il nome, ma suddividerlo in Rivo Luzio Nario. Anche nell’immediato dopoguerra G. è attivo in seno al Gruppo Libertario Bergamasco, frequentandone assiduamente i principali componenti, come Luigi Caglioni, Romeo Crotti, Silvio Lazzaroni, Luigi Marcassoli, Gaetano Ghirardi. Nel corso del 1920 distribuisce manifestini a favore delle vittime politiche, e nelle sere im-mediatamente precedenti alle elezioni comunali di Bergamo dell’ottobre affigge manifesti inneggianti all’astensione elettorale, stampati dalla tipografia dell’Avanguardia di Milano per conto dell’UAI-Federazione Anarchica Lombarda. È abbonato alla rivista «Fede!». La sua casa in Borgo Pignolo costituisce il punto d’incontro per gli anarchici di Bergamo, anche per il fatto che l’ubicazione dell’appartamento, in caso di improvvisa perquisizione della polizia, consente una facile via di fuga attraverso un parco retrostante. Secondo la testimonianza del figlio Rivo Luzio Nario, che però non ha saputo precisare il periodo, G. ha anche conosciuto Malatesta. Con l’avvento del fascismo, il forno svizzero chiude, e G., non trovando alternative, diviene venditore ambulante di calze, girando la provincia con un carretto a mano, approfittando del suo lavoro per svolgere propaganda anarchica. Grazie all’aiuto dei suoi compagni, riesce ad acquistare un cavallo e un carro piatto per il suo lavoro, aiutato in questo dalla moglie. Nel 1923 nasce il secondo e ultimo figlio, chiamato Armando Errico in onore di Borghi e Malatesta. Il 4 febbraio 1923 è perquisita la sua abitazione, senza esito, pur avendovi nascosto il vessillo del Gruppo Libertario Bergamasco. In tale circostanza, nel loro rapporto gli agenti di PS definiscono G. “anarchico individualista”. Il lavoro di venditore ambulante di G. si svolge soprattutto nella zona meridionale della provincia di Bergamo, tra Treviglio, Caravaggio, Stezzano e l’area della cosiddetta Isola, tenendo in tal modo i contatti con gli anarchici della zona. Durante le giornate del suo lavoro di venditore ambulante con la moglie, il figlio Rivo Luzio Nario è accolto nella casa dell’anarchico Marcassoli, fornaio. In seguito alla fuga del tipografo Caglioni, esponente del Gruppo Libertario Bergamasco, accusato di detenzione di esplosivi, l’abitazione di G. viene perquisita il 9 febbraio 1926, senza esito, e il giorno dopo G. viene arrestato come presunto complice nella fuga di Caglioni, e poi rilasciato. Dal 17 luglio 1928 al 2 settembre 1938 sono 30 le segnalazioni di PS su di lui, senza che da parte della Questura si indichino elementi negativi sul suo conto. Perciò, con autorizzazione ministeriale del 18 settembre 1938, viene depennato dallo schedario dei sovversivi, anche se rimane nell’elenco dei sovversivi e quindi vigilato. Durante la Resistenza G. fornisce viveri e materiale propagandistico ai partigiani bergamaschi. Dopo la guerra riprende il suo lavoro di venditore ambulante. Muore a Bergamo il 27 settembre 1947. (G. Mangini)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Bergamo, Fondo Questura, Sovversivi, b. 47, ad nomen; Testimonianza orale di Rivo Luzio Nario Ghibesi rilasciata a G. Mangini, Bergamo 15 gen. 2003.

GHILLANI, Odoardo
Nasce a Calestano (PR) il 18 luglio 1899 da Beniamino e Eugenia Ollari. Bracciante, sindacalista. Detto “Occhioni” e “Parma”. Ancora bambino emigra con i genitori in Svizzera e soggiorna in Germania. Nel 1918 rientra in Italia per svolgere il servizio militare e combatte durante l’ultimo anno di guerra nei reparti di fanteria. Congedato nel 1921 ritorna nel paese natale dove si iscrive alla locale Lega braccianti. Sono anni di irrequietezza e si sposta in diverse città del nord Italia (si ferma per un certo periodo a Mestre) alla ricerca di un impiego e forse di una soluzione alle sue ansie esistenziali. Nasce qui la decisione di riprendere la strada dell’emigrazione e si porta, clandestinamente, in Svizzera. Ma non si ferma a lungo. Nel 1923 è a Parigi, che dovrebbe però abbandonare in seguito a un decreto di espulsione per ragioni politiche al quale non dà seguito. Nel 1926 viene arrestato per il mancato rispetto del decreto. Uscito dal carcere sceglie di restare nella capitale francese sotto il nome falso di “Odoardo Gandolfi” e lavora come imbianchino. Compie viaggi in Belgio ipotizzando un pos-sibile trasferimento. Nuovamente arrestato e incarcerato per tre mesi nel 1928, sempre per la medesima ragione, G. si trasferisce a Barcellona, dove partecipa alla fase politica che precede l’avvento della Repubblica. La sua abitazione diventa luogo di incontro di molti antifascisti e di anarchici che giungono in Spagna. Ma anche in Spagna finisce nel mirino della polizia. Sospettato di essere coinvolto nell’attentato al padiglione italiano dell’esposizione spagnola, viene arrestato per aver partecipato a un convegno anarchico. Rimesso in libertà rimane a Barcellona fino a un nuovo arresto, per le sue idee politiche e come supposto complice del tentativo di evasione dei due anarchici Burlando e Baffoni, e al successivo decreto di espulsione emesso nel 1932. Rientra clandestinamente grazie all’aiuto dei suoi compagni e combatte nelle fila della Colonna “Ascaso” nella Guerra Civile. La sua permanenza è breve. Nuovi sospetti che gravano su di lui e sulla sua lealtà lo costringono ad abbandonare la Spagna e a rifugiarsi nuovamente in Francia, stabilendosi prima a Tolosa e quindi in alcune altre città della regione Lot-et-Garonne, sotto il nome falso di “Giovanni Casanova”, prima di trasferirsi definitivamente a Bordeaux dove rimane fino al 1938. È del gennaio 1937 la diffida di Fausto Nitti (segretario della LIDU) pubblicata sul pagine del «Nuovo avanti!» che lo qualifica come “indegno di appartenere alle organizzazioni antifasciste.” Compie brevi soggiorni in Belgio. Allo scoppio della guerra e con l’aggressione dell’Italia alla Francia, viene rinchiuso nel campo di concentramento di Vernet-d’Ariège dove rimane fino al rimpatrio avvenuto nel maggio 1941. Giunto alla frontiera gli agenti di PS di Mentone lo arrestano. Processato con l’accusa di aver svolto propaganda antifascista e di aver combattuto in Spagna tra le fila repubblicane viene assegnato al confino di polizia per cinque anni a Ventotene. Liberato nel settembre 1943 ritorna a Calestano dove, dopo aver ricoperto l’incarico di interprete presso un comando tedesco (a suo dire d’accordo con la Resistenza) viene nuovamente arrestato il 13 ottobre e in conseguenza dei suoi precedenti, rinchiuso nel carcere di Parma e in dicembre assegnato al campo di concentramento di Scipione di Salsomaggiore (PR) dove rimane fino al marzo 1945. Nel luglio 1944 venne prelevato da militari tedeschi per essere inviato in Germania come lavoratore, ma le sue condizioni di salute non lo permettevano e quindi viene rispedito nel campo di concentramento parmense. In ottobre i partigiani liberano i prigionieri dal campo che viene di fatto chiuso dalle autorità fasciste. Di Ghillani si perdono le tracce, probabilmente raggiunge nuovamente Calestano e collabora con il locale Comitato di Liberazione nazionale. Muore a Parma il 28 ottobre 1980. (M. Minardi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio Famiglia Berneri-A. Chessa, Cassetta Il caso Occhioni (Edoardo Ghillani), II, Materiali vari.

Bibliografia: Arbizzani, p. 78; AICVAS, p. 219; M. Minardi, Tra chiuse mura. Deportazione e campi di concentramento nella provincia di Parma 1940-1945, Montechiarugolo, 1987; Lasagni, Dizionario biografico dei parmigiani, Parma 1999, ad nomen.
 
Notizia dell'arresto di Odoardo Ghillani apparsa sul quotidiano parigino Le Radical del 4 agosto 1924
GHINELLI, Agostino
 
Nasce a Borgo Panigale (BO) il 10 agosto 1892 da Cristofaro e Elisabetta Bianchini, cementista. Proveniente dal Partito socialista, nel 1913 aderisce al Sindacato provinciale edile e al Gruppo anarchico di Modena, partecipando a tutte le agitazioni sociali del periodo. È coinvolto nel furto delle mitragliatrici organizzato dagli anarchici modenesi dopo l’eccidio del 7 aprile 1920, dove sono uccisi cinque lavoratori. Arrestato, è condannato a 3 anni e 4 mesi, ma esce nel gennaio 1923 dal carcere di Castelfranco Emilia per amnistia. Continua a lavorare come cementista, senza “dare luogo a rimarchi”. Nei primi anni Trenta diventa un confidente della polizia, svolgendo la sua attività informativa all’interno dell’apparato clandestino comunista. Nel marzo 1933 entra nel Comitato federale del pci di Modena, con la responsabilità dell’attività militare. Spesso le riunioni del Federale si tengono in casa sua. Nello stesso periodo la sua attività di confidente non si limita all’ambito provinciale, e G. si muove tra l’Emilia, la Lombardia e la Puglia: per tale ragione il prefetto propone in agosto di aumentare il suo compenso mensile da 400 a 800 lire. Nell’ottobre 1933 provoca la caduta dell’intera struttura clandestina comunista modenese, causando l’arresto di 67 comunisti mentre stavano preparando una manifestazione di disoccupati contro il regime. Arrestato per copertura, uscito dal carcere riprende i contatti con i comunisti del Carpigiano, ma è ormai individuato e nel 1934 è indicato dal pci come “spia e provocatore”. In effetti nel 1935 la Prefettura di Modena è costretta a riconoscere che G. è un fiduciario dell’ovra, con il nome di copertura di Massimo Fontana, e come tale risulterà iscritto nell’Elenco dei confidenti dell’ovra pubblicato nella «Gazzetta ufficiale» del luglio 1946. Nel 1935 G. si trasferisce a Torino, per lavorare alla costruzione dell’ospedale delle Molinette, poi torna a Modena. Si trasferisce di nuovo a Torino nel dicembre 1936, ma l’anno dopo si reca in Francia. Nel 1938 è a Parigi, dove apre una piccola azienda. Rientrato a Torino nel 1939, continua ad essere vigilato fino al 1942. S’ignorano data e luogo di morte. (C. Silingardi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

Bibliografia: L. Bedogni, Il Partito comunista nel modenese 1921-1940, «Rassegna di storia», n. 5, 1986.
​GHIO, Primo
 Nasce a Carrara (MS) l’11 aprile 1864 da Giuseppe e Rosa Tanzi, scalpellino. Il suo grado di istruzione si ferma alle classi elementari ma esercita una grande influenza fra gli aderenti al movimento anarchico carrarese. G., infatti, lo “sa entusiasmare con la sua parola facile, calda e vibrata” secondo un rapporto del prefetto di Massa al Ministero dell’Interno, nel quale si aggiunge anche che alla vigilia dei moti del ’94 G. “è a capo di tutti anarchici di Carrara”. Organizza tutte le manifestazioni anarchiche che si svolgono in città fra cui quella del luglio 1888 indetta per richiedere la liberazione di Amilcare Cipriani, a seguito della quale avviene il tentato omicidio del delegato di PS di Carrara Ravioli. Insurrezionalista convinto, G. in una riunione del marzo 1893 da lui organizzata per esaminare, con le altre forze politiche vicine al movimento operaio, la situazione economica della zona, respinge per conto degli anarchici, e con l’accordo dei repubblicani, la proposta di costituire un fronte unico “democratico” che avrebbe distolto i lavoratori dall’azione rivoluzionaria. È in contatto con l’avvocato Luigi Molinari di Mantova e in una riunione dell’11 dicembre 1893 incita i suoi compagni alla rivolta. Insieme ad altri anarchici come Gattini, Lazzoni e Arata è tra i protagonisti dei moti operai del gennaio 1894 nel carrarese ed è presente alla Foce quando vengono costruite le barricate. Negli scontri tra dimostranti e le forze dell’ordine rimangono feriti due carabinieri. G. prende parte anche al conflitto che avviene di fronte alla caserma Dogali. Dopo tali fatti, per evitare l’arresto, G. si rifugia dapprima in Francia (a Mont-pellier) e quindi si trasferisce negli USA (a Boston e successivamente in California). Nel frattempo il Tribunale militare di guerra di Massa, per la sua partecipazione ai moti, il 27 aprile 1894 lo condanna in contumacia a 30 anni di prigione e tre di sorveglianza speciale, con l’amnistia del 24 ottobre 1896 la pena viene commutata in due anni di confino da scontarsi ad Asti e a sei mesi di sorveglianza speciale, ma G. rimane latitante. È indicato da una segnalazione della Prefettura di Massa come residente a San Francisco nel 1912 e 1916. L’ultimo rapporto presente al Casellario Politico Centrale è del 1941 e segnala G. “irreperibile all’estero”. S’ignorano data e luogo di morte. (I. Rossi)

 
​GHIRARDI, Gaetano
Nasce a Bergamo il 6 febbraio 1893 da Pietro e Rosa Benasseni, operaio tornitore, detto “Gaeta”. Consegue la licenza elementare, dal novembre 1912 risiede in Francia per lavoro. Rientrato in Italia per il servizio militare, il 4 dicembre 1913 viene arruolato come marinaio presso il compartimento navale di Genova. Il 1° giugno 1914 diviene cannoniere scelto, come tale congedato il 4 dicembre 1916 con l’attestato di buona condotta, ma contemporaneamente è richiamato alle armi e trasferito alla forza militare in congedo dell’esercito presso il distretto militare di Bergamo. È il fiduciario del Gruppo Libertario Bergamasco e, secondo le fonti di polizia, esercita sui suoi compagni notevole ascendente, essendo un assiduo lettore della stampa anarchica. In particolare, è incaricato di distribuire ai suoi compagni la rivista anarchica «Fede!». Promotore di raccolte di denaro tramite sottoscrizioni, spedisce le somme ricavate alla stampa anarchica e ai detenuti politici. Nel 1924 nasce il primo figlio, chiamato Armando in onore di Borghi. L’8 febbraio 1926 viene arrestato insieme ad altri del Gruppo Libertario Bergamasco per la presunta complicità con Luigi Caglioni nella detenzione di esplosivi e nella fuga di Caglioni, principale imputato. Lo stesso giorno viene perquisita la sua abitazione, con il rinvenimento di copie della rivista «Fede!» e opuscoli anarchici che le fonti di polizia non specificano. Al momento dell’arresto, G. è meccanico presso la Società della tramvia a vapore Bergamo-Sarnico. Condannato a sei mesi di carcere per favoreggiamento nella detenzione di esplosivi, viene scarcerato il 7 agosto. Riprende subito a frequentare ancora più assiduamente i componenti del Gruppo Libertario Bergamasco, in particolare Luigi Marcassoli, Egidio Corti, Camillo Mazzoleni e, al di fuori del Gruppo, il comunista Battista Bonomi. Inoltre, appena fuori dal carcere, cerca subito lavoro chiedendo solidarietà ai suoi compagni anarchici. Per questo, il 20 agosto presenta alla Questura di Bergamo domanda per ottenere passaporto per l’interno, concesso a condizione che, prima di allontanarsi da Bergamo, si presenti al Questore per spiegarne le ragioni. Il 22 agosto si reca a Monza e a Milano presso militanti anarchici locali, sempre per lavoro, inutilmente. Agli inizi di settembre è assunto come operaio meccanico a Valtesse (BG). Dal 24 ottobre lavora a Bergamo, dove viene ancora arrestato il 2 di-cembre per antifascismo, insieme ad altri 11 oppositori politici, dalla polizia locale ritenuti i più pericolosi: gli anarchici Luigi Vitali ed Egidio Corti; Alessandro Caglioni, fratello maggiore di Luigi; i comunisti Battista Bonomi, Giuseppe Beltrami, Vittorio Barcella, Guido Galimberti, Angelo Leris; il popolare Dino Secco Suardo; il socialista Amedeo Cominetti e l’antifascista Michele Trovesi. Il 12 dicembre, G. viene assegnato per tre anni al confino di polizia a Lampedusa. Al momento dell’arresto, la moglie di G. è incinta e rimane priva di ogni sostegno. Il giorno 20 dicembre G. parte da Bergamo per Lampedusa. G. viene liberato con la condizionale il 27 aprile 1927 e due giorni dopo è avviato a Bergamo con foglio di via obbligatorio. Dopo un periodo di circa due mesi di disoccupazione, trova lavoro in fonderia a Bergamo. È sempre anarchico ma non frequenta più i compagni. Nella seconda metà del 1928 lascia la fonderia per lavorare presso in un cotonificio di Redona (BG). È incluso nell’elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze ed è costantemente vigilato. Nel 1933, insieme alla moglie, gestisce un’osteria in via Quarenghi, una delle zone più popolari della città, poi torna a fare l’operaio meccanico in varie fabbriche della città. La polizia lo sorveglia costantemente, ritenendolo pericoloso anche perché, fino al 1940, G. non ha mai fatto domanda d’iscrizione al PNF come ex combattente, cosa che, tuttavia, avviene nel 1941, ma già dal gennaio 1942 la Federazione dei Fasci di Combattimento di Bergamo non lo annovera più tra i propri iscritti; viene sempre sorvegliato. Nell’agosto 1947 l’ANPPIA gli riconosce la qualifica di anarchico antifascista confinato politico. Muore a Bergamo il 3 aprile 1975. (G. Mangini)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Bergamo, Fondo Questura, Sovversivi, b. 47, ad nomen.
 
GHITTONI, Lodovico
Nasce a Rivergaro (PC) il 4 agosto 1859 da Luigi e Giuseppa Bronzini, cameriere e scrivano privato, con licenza elementare. Trasferitosi a Milano con la moglie e i due figli nel 1891, lavora dapprima come cameriere, poi come scrivano nello studio di P. Gori e in quello dell’avv. Podreider. Abita in via Kramer, dove la moglie è portinaia in uno stabile di proprietà di Podreider stesso. Considerato dalla polizia “assai intelligente”, ma “subdolo, sobillatore e violento”, nonché dedito al bere, all’ozio e dalla condotta morale equivoca, interviene a tutte le riunioni e conferenze anarchiche promosse da Gori e da altri. “Tenace nella propaganda, fatta però individualmente nelle osterie”, riceve e diffonde materiale anarchico. Immancabile alle manifestazioni sovversive G. riesce sempre ad evitare l’arresto e – secondo la polizia –, d’accordo con Gori, Podreider e l’avv. Paride Lillia, si presenta come teste a difesa degli arrestati. Le poche condanne riportate da G. consistono in multe per oltraggio, minacce ecc. Tuttavia, dopo i moti del maggio ’98 si allontana da Milano, seguendo l’esempio di Podreider, si stabilisce prima in Svizzera, poi a Parigi, dove convive con una lavandaia da cui pare si faccia mantenere. Nell’agosto 1900 la polizia di Trieste comunica alla Questura milanese la fantasiosa notizia di un progetto di attentato al Kaiser austriaco da parte di G. e di Amilcare Cipriani. Rientrato a Milano da Parigi nel novembre 1900 G. viene arrestato per una multa non pagata e, non appena scarcerato, ritorna in Francia. Nel 1903 è segnalato a Londra, dove risiede fino al settembre 1910, quando, dopo un soggiorno parigino, fa rientro a Milano alla fine dell’anno. Riprende il lavoro di scrivano (o giovane di studio), che svolgerà per tutta la vita, prima da Podreider, poi presso altri avvocati. Pur “professando” idee anarchiche, non dà più luogo a rilievi sotto il profilo politico, se si esclude l’accusa, nel 1927, da cui viene assolto, di aver pronunciato frasi oltraggiose alla volta del fascismo e di Mussolini. Muore a Milano il 18 maggio 1934. (M. Antonioli)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
GIACCHERINI, Luigi
Nasce a Foiano della Chiana (AR) il 3 giugno 1902 da Angiolo e Umiltà Sonnati. Nel corso della sua vita esercita i mestieri di bracciante agricolo, meccanico e stagnino. In paese è soprannominato “Baiocco”, per le carte di polizia è “di espressione fisionomica truce”, il suo segno particolare di riconoscimento è un vistoso neo sulla guancia destra. È tra i fondatori del gruppo anarchico foianese “P. Gori”, che inaugura il suo vessillo in occasione del 1° maggio 1920. È G. stesso a ricordare (in un’intervista del 1971) i suoi esordi di militante. “Prima della fondazione del PCdI, a Foiano esisteva il gruppo anarchico, e il PSI. Il gruppo anarchico non aveva una sede e faceva le riunioni in casa di Bernardo Melacci; non vi era un segretario, ma siccome era stato Bernardo a portare l’ideale anarchico noi lo consideravamo il responsabile. Siccome io ero iscritto al psi, cioè ai giovani, per certi contrasti con gli anziani passai al gruppo anarchico e fra le figure preminenti ricordo, oltre al Melacci, lo Scapecchi Santino, il Gailli Lanciotto, mentre lo Scopini Augusto partecipava alle riunioni pur non essendo aderente. Ricordo che in quel periodo che va dal 1918 al 1921 vi furono delle grosse battaglie sindacali e politiche in Foiano e nella vallata e la spinta promotrice ed organizzativa veniva sempre dagli anarchici [...] Per i contatti fra gruppi anarchici posso dire che noi eravamo in contatto con tutte le zone limitrofe: Lucignano, Monte Sansavino e con quelli del Valdarno (Sassi Attilio); [Alfredo] Melani, [Ruggero] Turchini, che erano operai del Fabbricone, ad Arezzo; a San Giovanni c’era l’Unione Sindacale che era diretta dagli anarchici. Ricordo che ci arrivava anche il giornale anarchico ed ogni tanto noi gli si mandava qualche cosa (denari)”. Gli anarchici della Val di Chiana contribuiscono ad arginare le aggressioni fasciste. In seguito ad uno dei più selvaggi attacchi degli squadristi al paese (bastonature, purghe, incendi) scaturisce un conflitto armato in località detta Renzino tra camicie nere e sovversivi. “Vi furono” raccontano gli atti processuali” due incursioni fasciste: la prima effettuata il 12 corrente [aprile 1921] da squadre aretine con quelle del Valdarno e di Firenze [...] La domenica successiva, 17 volgente, ritenendo di aver sgominato gli avversari, vi ritornano in numero di circa venti [...]. Nel pomeriggio circa le ore 16, tutti uniti si allontanarono per far ri-torno ad Arezzo, quando giunti a due chilometri da Foiano, in contrada Renzino, furono assaliti da una turba di contadini, che erano in agguato dietro le siepi armati di fucili, pistole, scuri e for-coni. Caddero uccisi lo chauffeur Rossi, il soldato in congedo Cinini e lo studente Roselli, sui cui corpi gli aggressori, fra i quali una donna, si ac-canirono facendone scempio. Altri furono gravemente feriti [...]. Avvertiti telefonicamente dai superstiti accorsero, su automobili e camion, fa-scisti da Siena, Perugia, Città di Castello e Firenze, questi altresì con elmetti e armati di moschetto e di una mitragliatrice. L’azione vendicativa fu oltremodo violenta”. Alla spedizione punitiva segue l’azione delle autorità. A quella che l’agiografia fascista chiamerà poi “l’imboscata comunista” contro gli squadristi avevano partecipato – secondo le accuse – anche gli anarchici foianesi. Molti di loro riceveranno per questo condanne esemplari (il tribunale commina oltre tre secoli di carcere!). Nel giugno 1921 il prefetto di Arezzo comunica al Ministero dell’Interno l’avvenuta esecuzione dei mandati di cattura già emessi dal giudice istruttore nei confronti di G. e altri, arrestati a Oneglia (“sprovvisti di mezzi di sussistenza e di recapito”). Al processo (1924), dove non mancheranno le intimidazioni, egli ammette di esser stato presente nel luogo dell’imboscata e di aver sparato due colpi con il fu-cile a bacchetta, ricorda “che i fascisti entravano ed uscivano continuamente; entravano, te-stimoniavano, ci insultavano, insomma facevano il loro comodo. Il comportamento dei fascisti nei confronti degli avvocati era un comportamento di disprezzo e di odio perché ci difendevano; e così pure nei confronti dei nostri testimoni e della stessa corte, il comportamento dei fascisti era ostile”. Il difensore tenta invano la carta della seminfermità mentale. Per i fatti di Renzino G. è condannato a 21 anni e otto mesi di reclusione. Nel periodo del carcere, durante il quale ha modo di conoscere Onorato Damen, Ernesto Rossi e molti altri, matura la sua adesione al PCdI. Liberato per indulto nel 1934, dopo aver scontato la detenzione a Noto, Perugia, Imperia, Pallanza e Fossano, rientra a Foiano della Chiana. Dopo alcuni mesi viene assegnato per tre anni al confino di Squillace (CZ) perché ha partecipato a una riunione segreta di comunisti. Scontata anche questa pena e liberato dal confino (6 ottobre 1938) si trattiene ancora a Squillace dove intanto ha contratto matrimonio e vive esercitando il mestiere di stagnino. Rientra al suo paese di origine nel 1944, dove muore il 18 dicembre 1982. (G. Sacchetti) 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Pubblica Sicurezza, 1921, b. 92; Archivio di Stato Arezzo, CA, 1916-1936, nn. 15-16; ivi, CA, 1923, b.147 e b.148, Processo c/ Melacci Bernardo e altri; Archivio ANPI, sezione “L. Nencetti”, Foiano della Chiana (AR), Testimonianza di Luigi Giaccherini “Baiocco”, raccolta il 29 ott. 1971 da Ezio Raspanti.

Bibliografia: PNF, Federazione dei Fasci di Combattimento di Arezzo, I martiri del Fascismo aretino, Arezzo 1931; F. Nibbi (a cura di), Antifascisti raccontano come nacque il fascismo ad Arezzo, Arezzo 1974; L. Tomassini, Foiano della Chiana. Un paese toscano fra età giolittiana e fascismo, in  Foiano 1912/1932. Contadini, vita di paese, lotte sociali e politiche in un centro della Valdichiana dalle foto di Furio Del Furia, Firenze 1979; A. Dal Pont, S. Carolini, L’Italia al confino, Milano 1983, ad indicem; E. Raspanti, G. Verni (a cura di), Foiano e dintorni tra memoria e storia, Arezzo 1991, passim; G. Sacchetti, L’imboscata. Foiano della Chiana, 1921: un episodio di guerriglia sociale, Cortona 2000.
 

 
GIACOMELLI, Cornelio
Nasce a San Lorenzo alle Corti frazione di Cascina (PI) il 21 aprile 1899 da Michele e Letizia Meini, operaio. Ancora bambino abbandona la terra natia per trasferirsi con la famiglia a Piombino. Assunto come operaio all’ILVA, comincia a stringere legami con alcune personalità di spicco dell’anarchismo locale che lo avviano allo studio dei classici del pensiero libertario. Anche i fratelli minori Amos (1906) e Gisberto (1909) seguono il maggiore nella militanza libertaria. Di temperamento veemente e volto all’azione, nei concitati anni del primo dopoguerra partecipa in prima linea alle lotte antifasciste del proletariato piombinese combattendo nel 144° Battaglione degli Arditi del popolo. Schedato dalla Questura di Pisa come “sovversivo pericoloso”, nell’autunno del 1921 prende parte a un complotto per attentare alla vita di Mussolini. La crisi produttiva che investe l’ILVA nei primi anni Venti e il timore di rimanere vittima di rappresaglie squadriste, lo spingono, nel 1922, ad emigrare verso Torino. Assunto alla FIAT Ferriere, si distingue subito come abile agitatore sindacale. Nel 1923, è arrestato per misure di PS e sottoposto a una perquisizione domiciliare che frutta il sequestro di due bombe a mano. Denunciato all’autorità giudiziaria, la Corte di appello di Lucca lo condanna a due anni e sei mesi di reclusione per detenzione di esplosivi a fini terroristici. Nel frattempo, però, G. è riuscito a fuggire dall’Italia e a rifugiarsi in Svizzera dove si trattiene sino a quando, nel luglio 1925, un’amnistia gli consente di rientrare in Italia. Non appena a Torino, riprende subito le proprie iniziative di lotta adoperandosi in particolare nella propaganda antifascista tra le masse operaie, nella raccolta fondi per le famiglie dei perseguitati politici e nell’organizzazione di espatri clandestini. Talvolta, si mantiene anche in relazione epistolare con un nucleo di militanti toscani emigrati a Lione e aderenti al circolo “Sacco e Vanzetti”. Il 10 febbraio 1929 dall’unione con Natalina Del Carratore nasce la sua unica figlia Renata. Individuato nell’estate del 1930 quale membro del gruppo anarchico “Barriera di Milano”, viene definito dalla questura di Torino “anarchico convinto e irriducibile antifascista, capace di partecipare a torbidi e procurarli qualora si presentasse l’occasione favorevole”. Tratto in arresto nel febbraio 1931, è denunciato alla Commissione Provinciale di Torino che lo sottopone ai vincoli dell’ammonizione ai sensi dell’art. 166 legge PS. Prosciolto in occasione della celebrazione del decennale della “rivoluzione” fascista, decide di trasferirsi a Genova dove trova lavoro alla sede locale della FIAT. Nel 1935 inoltra domanda al Ministero dell’Interno per ottenere il lasciapassare per l’Africa Orientale; ma l’istanza viene respinta “in considerazione dei suoi pessimi precedenti politici”. Dopo questo episodio G. si dedica a predisporre un piano per espatriare clandestinamente dall’Italia. Rientrato a Torino, riallaccia così una serie di contatti che, nell’estate del 1937, gli permettono di varcare la frontiera e inoltrarsi in territorio belga. Espulso da Bruxelles dopo solo un mese di permanenza, ripara in Francia dirigendosi a Marsiglia. Qui si unisce a un gruppo di antifascisti italiani che ha deciso di contribuire alla lotta del proletariato iberico contro la reazione fascista. Giunto in Catalogna sul piroscafo Ciudad de Barcelona, si arruola subito come volontario nella colonna italiana della Brigate Internazionali, combattendo valorosamente sino alla conclusione delle operazioni militari. Dopo la conquista di Madrid da parte dell’esercito franchista, si rifugia nuovamente in Francia stabilendosi a Brive la Gaillarde. Arrestato nell’estate del 1939 per misure di ordine pubblico, viene internato dalle autorità francesi nel campo di concentramento di Argèles-sur-Mer. Nel secondo dopoguerra, rientrato in Italia, si stabilisce a Cascina dove continua la sua attività politica nel gruppo locale della FAI. Muore a Navacchio (PI) il 20 maggio 1960. (F. Giulietti – T. Imperato)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Pubblica Sicurezza, 1930/1931, b. 400.

Bibliografia: M. De Agostini, Gli anarchici torinesi nel 1930 in alcuni rapporti della polizia fascista, «L’Internazionale», ago. 1981; La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939, Tre anni di storia da non dimenticare, Roma 1996, ad nomen; Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen; F. Giulietti, I gruppi anarchici Barriera di Nizza e Barriera di Milano nella rete della polizia fascista. Torino 1930, «Rivista Storica dell’Anarchismo», lug.-dic. 1997; E. Francescangeli, Arditi del popolo. Argo Secondari e la prima organizzazione antifascista (1917-1922), Roma 2000, ad indicem.
GIACOMELLI, Marco
Nasce a Thiene (vi) il 19 gennaio 1928 da Teresa Marcolongo e padre ignoto, operaio segantino. Ancora bambino segue la madre a Sarentino (bz), paese nel quale ha trovato un lavoro e un nuovo compagno, Luigi Giacomelli, che nel 1938 la sposa e dà il cognome al figlio. Successivamente la famiglia si trasferisce a Bolzano dove l’adolescente G. trova lavoro come garzone in un’officina meccanica dell’indotto dello stabilimento “Lancia”. Nell’ambiente di lavoro G., tramite un operaio d’origine grossetane, si avvicina agli ideali comunisti: «tra una martellata e l’altra apprende così l’abc del comunismo, impara “L’Internazionale” e “Bandiera rossa”». Nel maggio del 1945, si iscrive al pci e due anni dopo è promotore della nascita della cellula “Stella rossa” nella zona di Piani del Centro. G. è particolarmente attivo con la sua cellula durante la campagna elettorale delle elezioni politiche del 1948, nel quale il Fronte popolare viene sconfitto dalla dc. La sua militanza nel pci però è messa in crisi dalle scelte politiche della direzione del partito e in particolar modo dall’inserimento nella Carta costituzionale dell’art. 7 che regola i rapporti tra Stato e Chiesa, articolo che di fatto riconosce i Patti Lateranensi del 1929. In questi anni conosce un vecchio anarchico individualista del luogo che lo introduce alle idee libertarie. Si abbona e legge «Umanità nova» e altri periodici anarchici e all’inizio del 1949 non rinnova più la tessera del partito il quale lo “denuncia” come un provocatore «trotskista, anarcoide, bordighista». Dopo la tragica scomparsa nel 1948 della sua giovane moglie, da cui ha avuto un figlio – Renato (1947) – nel 1950 si risposa e trova lavoro presso la segheria “Eder” come operaio segantino. Insieme ad alcuni anarchici, come Angelo Bolognani, Gino Piccolo, Ernesto Ferrari e pochi altri, costituisce un nucleo libertario che inizia a diffondere la stampa del movimento e a riunirsi regolarmente. In questo periodo conosce altri anarchici della zona di Rovereto, Brescia, Verona e Vicenza. Sono anni di fermenti e duri confronti nel movimento anarchico, soprattutto dopo il Terzo congresso nazionale della fai (Livorno, 1949). G. aderisce senza riserve al Gruppo d’iniziativa per un movimento “orientato e federato” – guidato da Masini che propaganda un anarchismo organizzato e classista – partecipando al collettivo di studio da questi promosso nell’estate del 1950 (Corrispondenze, «Cantiere» bollettino bimestrale del collettivo di studio, ottobre-novembre 1950, p. 5). È presente in qualità di delegato alla Prima conferenza nazionale dei gaap (Genova-Pontedecimo, 1951) e, successivamente, aderisce e sostiene la campagna nazionale per il Terzo fronte. Il 4 novembre 1951 organizza una conferenza pubblica per la campagna l’Ora dell’anarchismo alla quale partecipa come relatore Masini, iniziativa tenuta al Circolo “Minerva” di Bolzano e che riscuote un buon successo di pubblico. Nell’occasione conosce Aldo Masini e Cesare Ottoni e poi Pasquale Campanella, con i quali inizia a collaborare per la costituzione di una sezione dei gaap a Bolzano. G. partecipa anche alla Seconda conferenza nazionale (Firenze, 1952). Assiduo lettore della stampa libertaria diffonde tra gli operai di Bolzano sia «L’Impulso» che «Il Libertario» e cerca con grandi sforzi di costituire, con altri giovani, una presenza organizzata dei comunisti libertari. All’inizio del febbraio del 1953 è tra i promotori dell’Università popolare di Bolzano, associazione che vanta 250 soci ma che avrà vita breve. Nella up fa parte del consiglio direttivo insieme a De Zuliani, altro militante dei gaap (Lettera di M. Giacomelli a A. Vinazza, Bolzano, 4 febbraio 1953). Partecipa alla Terza conferenza nazionale (Livorno, 1953) e successivamente anche a diverse riunioni del Comitato nazionale allargato e a riunione regionali. Nella riunione del locale gruppo del 4 ottobre 1953 è nominato segretario della sezione (Lettera di M. Giacomelli al cn/gaap, Bolzano, 13 ottobre 1953 con allegato il Verbale della riunione). Da una relazione del gruppo relativa a una riunione tenutasi a Bolzano il 22 ottobre 1953 risulta che G. è responsabile, insieme a Bolognani, anche del lavoro sindacale tra i lavoratori del legno in qualità di membro del Comitato direttivo provinciale della filbav (cgil) (Verbale della riunione del Gruppo gaap di Bolzano, 22 ottobre 1953). Assiduo propagandista e organizzatore di riunioni e conferenze è presente alla Quarta conferenza nazionale (Bologna, 1954) mentre in una successiva riunione del gruppo locale è incaricato di tenere i «rapporti con i compagni della provincia e della regione» (Lettera di C. Ottoni al cn/gaap, Bolzano, 14 novembre 1954 con allegato il Verbale della riunione). Collabora con cronache locali e analisi di politica internazionale a «L’Impulso» (Una semi-colonia: La Libia, 15 gennaio 1955, p. 2). Nel giugno del 1955 interviene nel bollettino interno «L’Agitazione» (n. 3, giugno 1955) sulla questione della denominazione dell’organizzazione proponendo il cambio da gaap in «Partito comunista libertario» al fine di intraprendere con maggiore decisione la strada della costituzione del «Partito di classe» (anche Lettera di M. Giacomelli al cn/gaap, Bolzano 20 aprile 1955). G. partecipa alla Quinta conferenza nazionale (Pisa, 1955) nella quale viene deliberato il nuovo statuto dell’organizzazione. In questo periodo è coinvolto direttamente nel lavoro di contatti e relazioni con esponenti di altre tendenze della sinistra rivoluzionaria italiana e condivide la scelta dell’organizzazione di stringere accordi con i gac guidati da Seniga. Alla Sesta conferenza nazionale (Milano, 1956) accetta e condivide il cambio di denominazione dell’organizzazione in Federazione comunista libertaria. G. però non è più convinto politicamente del progetto di fusione tra la fcl e il gac. Dopo la nascita del Movimento della sinistra comunista, pur partecipando al Primo convegno nazionale (Livorno, 1957), G. sceglie gradualmente di abbandonare le relazioni con i vecchi compagni non condividendone più le scelte ideologiche e organizzative. Successivamente, con una lettera a Masini, nella quale ne critica le posizioni, comunica la sua adesione al pcint organizzazione alla quale rimane legato nei decenni successivi (Lettera di M. Giacomelli a P.C. Masini, Bolzano 30 dicembre 1958). Nel pcint Programma comunista entra insieme a Ottoni e Bolognani e vi milita fino al 1978, quando poi aderisce al pcint-pro, che poi abbandonerà nel 1998. Nel settembre del 1992 invia una lettera di protesta al quotidiano «Il Mattino dell’Alto Adige» nella quale, richiamandosi alle sue radici giovanili libertarie, difende l’anarchia e gli anarchici dai soliti luoghi comuni: «“Bombaroli”?, “ladri”?, “assassini”? Mai così tanti come i “democratici” del giorno d’oggi che illegalmente o “legalmente” vanno continuamente defraudando i ceti meno abbienti, e specialmente pensionati e lavoratori a basso reddito nonché evidentemente tutte le popolazioni del cosiddetto terzo o quarto mondo» (La luce dell’anarchia, 26 settembre 1992, p. 8). Vive a San Giacomo, quartiere di Bolzano, dove è tra gli animatori del Circolo culturale “Piani di Bolzano” e continua a frequentare gli ambienti della “sinistra”, nella convinzione che occorra preservare la «diffusione dei principi fondamentali, perché anche quando tutto sembra fermo c’è sempre qualcosa che si muove, in campo politico, culturale, sociale». (F. Bertolucci).

Fonti

Fonti: Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza, Divisione Affari Generali, 1954, b. 18; Archivio A. Cervetto, Savona; Archivio Biblioteca Franco Serantini, Carte GAAP, Comitato nazionale dei GAAP; Istituita a Bolzano l’«Università Popolare». Nominato il primo consiglio direttivo dell’istituzione, «Alto Adige», 2 febbraio 1953; Intervista a Marco Giacomelli, a cura di G. Delle Donne, Biblioteca provinciale “C. Augusta”, 28 settembre 2004.
 

Bibliografia: Pier Carlo Masini: impegno civile e ricerca storica tra anarchismo, socialismo e democrazia, a cura di F. Bertolucci e G. Mangini, Pisa, BFS, 2008, pp. 30-46; P. Iuso, Gli anarchici nell’età repubblicana: dalla Resistenza agli anni della Contestazione 1943-1968, Pisa, BFS, 2014, pp. 136-137; A. Cervetto,  Opere 23. Carteggio 1948-53, Milano, Lotta comunista, 2018, ad indicem; A. Cervetto, Opere 24. Carteggio 1954-58, Milano, Lotta comunista, 2019, ad indicem; A. Cervetto, Opere 25. Carteggio 1959-65, Milano, Lotta comunista, 2019, ad indicem.

 


Nella Giacomelli (Lodi, 2 luglio 1873 - Desenzano, 12 febbraio 1949) è stata un anarchica e una propagandista italiana. 

Biografia

Nella Giacomelli nasce a Lodi il 2 luglio 1873, seconda dei tre figli di Paolo, un repubblicano laico e anticonformista, e di Maria Baggi, monarchica e cattolica. Rimasta orfana per il suicidio del padre, già separatosi dalla moglie, malgrado le difficoltà economiche della famiglia riesce a diplomarsi maestra di scuola insieme alla sorella Fede. È compagna di classe della futura poetessa e scrittrice Ada Negri, della quale rimarrà sempre intima amica.

Il socialismo

Tra il 1892 e il 1897 insegna nel comasco e nel varesotto, e aderisce al Partito socialista, collaborando alla rivista «La Vita internazionale» e al giornale socialista di Lodi «Sorgete!», dove difende la causa dell'emancipazione femminile e dei diritti delle lavoratrici. Ma pochi anni dopo la conoscenza di Giuseppe Ciancabilla gioca un ruolo essenziale per il suo passaggio all'anarchismo.

Nella, ragazza intelligente, insofferente del conformismo e delle tradizioni, aperta alle novità, nel 1894 abbandona la casa familiare per divergenze con la madre - definita da Pier Carlo Masini «tetra, gretta, assoluta, preoccupata solo del denaro» - e nel 1897, a seguito di contrasti con le autorità comunali di Cocquio, dove insegna, si licenzia e si trasferisce a Milano. Intrattiene stretti rapporti epistolari con i socialisti Emilio Trampolini e Carlo Dell'Avalle e sviluppa una relazione con il socialista Giovanni Suzzani.

L'incontro con Ettore Molinari

Dopo un tentativo di suicidio nel 1898, i cui motivi non sono mai stati chiariti, nel 1900 è ospitata presso la casa dell'anarchico Ettore Molinari, allora direttore della Scuola e del Laboratorio di chimica della Società d'incoraggiamento di Arti e Mestieri. Con lui e Straneo, nel 1902, è promotrice e redattrice de «Il Grido della Folla», diretto da Giovanni Gavilli prima e Oberdan Gigli.

La sua vita privata è però per lei foriera di grandi preoccupazioni: nel 1903 scrive una lettera proprio a Gigli in cui gli dichiara il proprio amore, ma anche di aver perso una figlia (motivo del suicidio?) e di essere sul punto di diventare l'amante di Ettore Molinari. In realtà in casa di Ettore Molinari si occupa di accudire la figlia, cosa che farà anche dopo la morte di questi nel 1926.

Conduce una vita ritirata e raramente partecipa ad iniziative pubbliche, collaborando però all'attività scientifica di Molinari (professore di chimica dal 1904 alla Bocconi e poi al Politecnico), alla pubblicazione di periodici anarchici e all'educazione dei figli di Molinari. In questa fase alterna periodi di intensa attività a periodi di depressione in cui si auto isolava. Di tanto in tanto scrive firmandosi con lo pseudonimo di "Ireos", qualche volta partecipa pure a convegni sull'amore libero, sulla questione femminile in genere (inizialmente mostrò scarsa simpatia per le prime femministe) e sulle colonie anarchiche.

Desiderosa di sperimentare la vita comunitaria, nel 1905 si reca presso la comune comunista L'Essai di Aiglemont, nelle Ardenne francesi. Terminata l'esperienza scrive un saggio a puntate molto critico, pubblicato in seguito su «La Protesta Umana» e poi trasformato in un opuscolo.

Contrasti con gli anarchici

Anarchica individualista, insieme a Molinari è spesso accusata dai suoi compagni di eccessiva rigidità e di non comprendere le difficoltà quotidiane che vive la maggior parte delle persone. Spesso si scontra con gli anarchici che di volta in volta si succedono alla direzione de «Il Grido della Folla», ovvero Libero Tancredi , Gennaro D'Andrea e Giovanni Gavilli. Nel 1906 si verifica la rottura tra Giovanni Gavilli e i cosiddetti "tetrarchi" del giornale (Molinari, Giacomelli, Riccioti Longhi e Manfredi), che porta questi ultimi a fondare «La Protesta Umana», mentre «Il Grido della Folla», passato in gestione a Gavilli, cesserà in breve tempo le pubblicazioni.

Nel 1908 Giacomelli e Molinari offrono la direzione del nuovo giornale a Paolo Schicchi, ma ben presto si dovranno ricredere per via degli insanabili contrasti che si ingenereranno e che culmineranno in violento pamphlet accusatorio di Schicchi contro la Giacomelli: La degenerazione dell'anarchismo. A questo scritto risponderà "Epifani" (Ettore Molinari) e "Ireos" (Nella Giacomelli) con Un triste caso di ribellismo anarchico (1909). 

Dopo la partenza dell'anarchico siciliano Schicchi, Giacomelli e Molinari individuano in Giuseppe Monnanni, editore anarchico aretino già direttore di «Vir» (rivista anarchica d'arte), e nella sua compagna Leda Rafanelli, due possibili e validi collaboratori.

Terminata l'esperienza de «La Protesta Umana», che cessa le pubblicazioni nel 1909, vive in una sorta di isolamento, che nel 1915 la porta a scrivere a Cesare Agostinelli: «Da vari anni, vivo appartata e ho tagliato, si può dire, i ponti fra me e i compagni. Non vado più alle loro riunioni, né loro vengono da me [...] Il fatto vergognoso di Schicchi, mi ha addirittura messo in un tale allarme contro i compagni, che io temo sempre d'imbattermi in qualche farabutto».

In prossimità della guerra, e dopo gli eventi insurrezionali della settimana rossa, Nella Giacomelli, dietro il nuovo pseudonimo "Petit Jardin", critica le pozioni guerrafondaie di alcuni anarchici (tra cui l'amico Gigli), ribadendo la vocazione internazionalista degli anarchici. In questo periodo, pur mantenendo le sue peculiarità antiorganizzatrici, si avvicina agli organizzatori, come testimoniano le sue relazioni epistolari con Cesare Agostinelli e Luigi Fabbri, e esprime sui giornali «Volontà» e «Abbasso la guerra!» le sue posizioni di pacifismo intransigente, che rifiuta la difesa della "patria" anche in caso di invasione straniera.

Durante il conflitto bellico è arrestata nel 1916 in piazza del Duomo (Milano) a causa di un tentativo dimostrativo antimilitarista. L'intercettazione di una sua lettera (firmata "Ireos") e di un manifesto antimilitarista che incita le donne a manifestare contro la guerra il 1° maggio 1916 le costa il “rimpatrio” a Lodi, trasformato poi in diffida «da ogni forma di propaganda contro la guerra».

Sarà comunque una delle prime ad esprimere la propria solidarietà con la rivoluzione russa. Nel 1917 collabora al giornale «Cronaca Libertaria» (Milano, 14 numeri da agosto a novembre 1917), pubblicato da Leda Rafanelli e Carlo Molaschi. 

D'accordo con Luigi Fabbri, nel 1917 manifesta perplessità  di fronte alla possibilità che gli anarchici partecipino alla cosiddetta 3° Zimmerwald, conferenza internazionale dei partiti socialisti da tenersi a Stoccolma ma che mai si terrà .

Il primo dopoguerra: Umanità Nova

Nell'immediato dopoguerra collabora al numero unico di «Guerra e Pace» (Milano, 22 febbraio 1919) , ma nel frattempo le divisioni con gli ex-interventisti si sono acuite enormemente:

«C'è un abisso tra noi, Oberdan; tu hai rinnegato il tuo sogno giovanile, ed io lo sogno più ardentemente che mai; [...] Come possiamo ancora comprenderci? Meglio dimenticarci» (Lettera indirizzata ad Oberdan Gigli).

Nel 1919 si ributta a capofitto nell'attivismo anarchico partecipando con il solito Molinari (ufficialmente come sua sorella) al convegno fiorentino dell'Unione Comunista Anarchica Italiana. Con la frequentazione di figure come Mario Senigalliesi ed Emilio Spinaci, in quell'anno nasce l'idea della pubblicazione di un quotidiano anarchico, Umanità Nova, che la porterà entusiasticamente a scrivere:

«Umanità Nova, meta suprema di tutte le nostre lotte e dei nostri dolori, noi ti adottiamo come simbolo luminoso d'una visione vivente, e ti innanziamo al di sopra di tutte le folle, verso tutti i cuori, faro e bandiera di luce e libertà» («Iconoclasta», 25 luglio, Pistoia) .

Il progetto di Umanità Nova fornisce a Nella nuovo entusiasmo: stringe rapporti epistolari con Malatesta e quando questi alla fine del 1919 sbarcherà a Taranto di rientro dall'esilio inglese, sarà proprio a Nella Giacomelli che Errico Malatesta telegraferà. Sul primo numero del nuovo giornale annuncia ironicamente la morte di “Petit Jardin” , i suoi scritti sono dapprima quotidiani e poi via via sempre più radi e intrisi di un pessimismo che sembra nuovamente far breccia nel suo animo. Auspica non la rivoluzione, ma la fine del mondo, scettica com'è sulla possibilità che gli esseri umani possano finalmente cambiare . È critica con il movimento anarchico, convinta com'é che «si creano dei ribelli ma non si formano degli anarchici», non ponendo quindi le basi per la costituzione di una società veramente libertaria.

L'ultimo periodo

Dopo essere stata amministratore delegato della società del giornale, lascia l'incarico e contemporaneamente smette anche la collaborazione del giornale . Nonostante l'abbandono di Umanità Nova, il giudice Carboni nel febbraio 1921 la include tra gli indagati per «cospirazione contro i poteri dello stato», che vede coinvolti i principali redattori di Umanità Nova (Errico Malatesta, Armando Borghi, Corrado Quaglino ecc.).

Assolta il 25 marzo 1921, è nuovamente denunciata dopo la strage del teatro Diana di Milano per «associazione a delinquere», accusa da cui verrà scagionata il 1° maggio seguente. Nei due anni seguenti, dopo il trasferimento di Umanità Nova a Roma, collabora alla rivista milanese «Pagine Libertarie» di Carlo Molaschi "Inkyo" e "vice Rudel" (Rudel era lo pseudonimo di Henry Molinari). Morto Ettore Molinari (Milano, 9 novembre 1926), è accusata di aver stretto rapporti con Camillo Berneri, a sua volta sospettato di aver sostenuto Gino Lucetti nel suo tentativo di uccidere Mussolini, e quindi arrestata nel 1928 insieme a Libero ed Henry Molinari, figli di Ettore.

In favore dei tre interviene l'eterno amico Oberdan Gigli - con cui Nella aveva mantenuto buoni rapporti d'amicizia nonostante le sostanziali divisioni sul modo di intendere l'anarchia - che si rivolge ad Ada Negri, ex-socialista convertita al fascismo, con l'intento che ella chieda giustizia «a chi solo può superare le difficoltà delle leggi», cioè allo stesso Mussolini. Liberati i tre tra la fine di agosto e l'inizio di settembre dello stesso anno, Nella si ritira a Rivoltella del Garda (frazione di Desenzano), presso la villa Molinari, apparentemente senza più interessarsi di politica.

Caduto il fascismo e avviatasi l'Italia repubblicana, Nella Giacomelli muore a Desenzano il 12 febbraio 1949.

Note


  • Massimo Rocca (1884-1973), conosciuto come Libero Tancredi, prima fu anarchico, poi aderì al fascismo.

  • Dictionnaire des militants anarchistes

  • Lettera di “Petit Jardin”, «Cronaca libertaria», 17 agosto 1917

  • La Conferenza di Zimmerwald fu una conferenza internazionale dei partiti socialisti. La prima conferenza di Zimmerwal si tenne dal 5 all'8 settembre 1915 in Svizzera per iniziativa italiana ed elvetica

  • Sulla tomba di Petiti Jardin, 26-27 febbraio 1920

  • Permettete, 1 marzo 1920

    1. "Petit Jardin", Il giudice Cappone, ovverosia: le farse della giustizia, Milano, 1921, pag. 60-63

    Scritti

    • Per una scuola moderna, Milano 1907
    • Una colonia comunista, prefazione di Oberdan Gigli, Milano, Biblioteca della Protesta Umana, 1907
    • Una colonia libertaria nelle Ardenne, s. l. d.
    • Un triste caso di libellismo anarchico. Risposta ad un turpe libello di Paolo Schicchi (con Ettore Molinari), Milano, Tipografia Enrico Zerboni, 1909
    • Fattori economici pel successo della rivoluzione sociale, 1920
    • Il giudice Cappone ovverosia Le farse della Giustizia. Fantasia esquimese in tre periodi con Epilogo Milanese, Milano, Libreria di Umanità Nova, 1921
    • Meteore Rosse. Dramma in tre atti, Milano, Libreria Editrice Tempi Nuovi, 1922
    • Il sistema Alker di allevamento dei bachi, prefazione di Ettore Molinari e due appendici a cura del sig. Alker di Desenzano, Milano, Casa Editrice Bietti, 1927

    Fonti e Bibliografia

    • Archivio centrale dello Stato, Roma, Casellario politico centrale, Nella Giacomelli
    • Archivio di Stato di Milano, Fondo Questura, cartella 89
    • E. Santarelli, Giacomelli Nella, in AA. VV., La questione femminile in Italia dal '900 ad oggi, Milano, Franco Angeli 1979
    • P. C. Masini, Storia degli anarchici italiani nell'epoca degli attentati, Milano, Rizzoli 1981
    • Maria Antonietta Serci, Nella Giacomelli, in Dizionario biografico degli italiani, Volume LIV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana, 2000
    • M. Antonioli, Nella Giacomelli, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 700-703


     
    «Il Grido della Folla», numero 19 (quarto anno) del 27 maggio 1905, storico giornale anarchico fondato da Nella Giacomelli ed Ettore Molinari

    Prima pagina del primo numero di Umanità Nova del 26-27 febbraio 1920, giornale alla cui fondazione contribuì in maniera decisiva anche Nella Giacomelli.
     


     
    Foto segnaletica di Nella Giacomelli in occasione del suo arresto il 14 maggio 1928 (grazie alla cortesia di Ercole Ongaro).

     

    GIACONI, Maria
    Nasce a Cave di Sassoferrato (AN) il 26 settembre 1892 da Sabatino e Filomena Sebastianelli, contadina. Seconda di quattro fratelli, fino all’età di vent’anni vive con i genitori, non mostrando interesse per la politica. Nell’autunno 1911 parte alla volta degli Stati Uniti per raggiungere un fratello, colà emigrato e si stabilisce a Peckville. Conosce e sposa Adolfo Ligi – minatore, anch’egli originario di Sassoferrato –, diventando un’attivista del locale movimento libertario. Le autorità indicano in lei e in Ligi due “anarchici pericolosi, conosciuti come tali e per conseguenza allontanati e spregiati dall’elemento sano per le loro idee” (Vice-Consolato in Scranton, 24 apr. 1933). In particolare, G. è ritenuta la leader dei sovversivi nella colonia di Peckville e per questo motivo è sottoposta a sorveglianza. Nell’aprile 1932 spedisce del denaro a Ernesto Bonomini, “l’uccisore del fascista Bonservizi”. Qualche settimana più tardi le autorità intercettano una sua lettera per Malatesta, alla quale è allegato uno chèque, “parte ricavato dalla festa datasi il primo Maggio in Oldforge, Pa.” (Polizia politica, 1° giu. 1932). Nel 1933 G. versa una sottoscrizione a «Il Risveglio anarchico» di Ginevra, in favore del comitato pro figli dei carcerati politici d’Italia. Sfugge una prima volta ai controlli e la sua presenza viene segnalata a Ginevra, al fianco di Luigi Bertoni, ma è lecito nutrire dubbi sulla fondatezza della notizia. Nel 1935 si trasferisce con il marito e la figlia a Filadelfia e nel 1937 è a New York. Benché sia “rigorosamente sorvegliata da Agenti federali e da privati detectives” (Ministero degli Esteri, 21 feb. 1938), le autorità statunitensi ne lamentano ancora una volta la scomparsa e la sospettano di essersi recata in Spagna a combattere nelle milizie repubblicane. Stando alle fonti di polizia, durante la sua permanenza negli USA G. sembra non avere tenuto alcun contatto con la famiglia d’origine, a eccezione di una lettera del dicembre 1940, indirizzata alla cognata Maria, ma il cui contenuto è in verità rivolto alla madre. Muore a New York negli anni Settanta. (R. Giulianelli)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Divisione Polizia Politica, ad nomen; Archivio di Stato Ancona, Questura, Anarchici, b. 11, ad nomen; Archivio Famiglia Berneri-A. Chessa, Memorie di compagni. Adolfo e Maria Ligi, cass. iii.19.
     
    Bibliografia: R. Lucioli, Gli antifascisti marchigiani nella guerra di Spagna (1936-1939), Ancona [s.d.], p. 153; A. Martellini, Fra Sunny Side e la Nueva Marca. Materiali e modelli per una storia dell’emigrazione mar-chigiana fino alla grande guerra, Milano 1999, p. 126.
     

    GIALLUCA, Giuseppe
    Nasce a Castellammare Adriatico (ora Pescara) il 19 marzo 1901 da Alderico e Giovina De Amicis, meccanico. Militante comunista, lavora nelle ferrovie e partecipa allo sciopero generale “legalitario” dell’agosto 1922, ultimo tentativo del proletariato italiano di bloccare l’ascesa del fascismo. Licenziato per rappresaglia nel 1923, fa il fabbro ferraio, insieme al fratello Renato e all’ex ferroviere Antonio Colucci, sino alla seconda metà del 1928, quando emigra clan-destinamente in Francia, stabilendosi a La Ciotat, dove si lega agli anarchici Giulio Bacconi, Adarco Giannini, Dario Castellani, Fosca Corsinovi e Giovanni Dupuy e diventa uno degli esponenti del movimento libertario locale. Il 28 novembre 1928 la sua casa di Pescara viene messa sottosopra dalla forza pubblica, che sequestra numerose stampe sovversive, ricevute da G. e dai suoi fratelli. L’8 maggio 1929 G. è colpito da mandato di cattura per espatrio clandestino e il 22 maggio è iscritto nel «Bollettino delle ricerche». Alla fine dell’anno si trasferisce a Parigi, dove aderisce al gruppo anarchico, che pubblica il giornale «Fede!». Schedato il 21 marzo 1930, è oggetto, il 3 ottobre dello stesso anno, di una lettera, con la quale la Prefettura di Pescara informa il Ministero dell’Interno di aver “sempre mantenuto nei confronti di tutti i componenti la famiglia di detti fuorusciti rigorosissima riservata vigilanza, ed ha provveduto acché la corrispondenza da e per la Francia ad essi indirizzata e da essi diretta fosse opportunamente revisionata”. Nel maggio 1931 G. si allontana improvvisamente dalla capitale francese, mettendo in allarme il capo della polizia fascista, che ordina ai prefetti di procedere senz’altro al suo arresto, qualora rimpatriasse o fosse già rimpatriato, trattandosi di “individuo capace compiere atti violenti per suo odio contro fascismo et personalità Regime”. Il 17 agosto G. arriva a Barcellona, dove rimane sino a dicembre, frequentando gli anarchici catalani e italiani e prendendo parte alle manifestazioni sovversive. Tornato in Francia e colpito, nel 1933, da “refoulement”, lavora per la Librairie moderne di Parigi, prima di spostarsi a Nantes, dove si dedica al piccolo commercio di oggetti di cancelleria e libri. All’inizio del 1935 è vittima dell’ondata di espulsioni, che si abbatte sugli antifascisti italiani, esuli in Francia, e in primavera viene arrestato per inosservanza del decreto. In seguito prende parte, insieme a Italo Ragni, Onofrio e Ribelle Giglioli, Angiolino Bruschi e Antonio Silvio Casella, a varie riunioni anarchiche, che si tengono a Parigi, per contrastare la politica delle autorità francesi verso l’emigrazione politica, poi, nell’estate del 1936, valica i Pirenei e il 10 agosto si arruola nella colonna “Tierra y libertad”, prendendo parte ai combattimenti di Talavera, Toledo, Madrid e Teruel. Passato nella Marina repubblicana, fa ritorno in Francia nell’agosto 1937, insieme a Vincenzo Mazzone, Luigi Fracassi e Tomaso Serra, tutti “ex miliziani rossi”, ma viene arrestato a Perpignan e condannato dal Tribunale di Cerbères a 24 giorni di carcere per infrazione del decreto di espulsione. Al principio del 1939 è a Nantes, ospite dei suoceri, e all’inizio del 1942 risulta ancora all’estero. Rientra in Italia nel dopoguerra e muore a Pescara il 21 maggio 1987. (R. Bugiani – S. Carolini)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

    Bibliografia: Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen; La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939, Tre anni di storia da non dimenticare, Roma 1996, ad indicem.



    GIALLUCA, Renato
    Nasce a Castellammare Adriatico (ora Pescara) il 4 marzo 1900 da Alderico e Giovina De Amicis, fabbro ferraio. Lasciati gli studi, dopo aver frequentato la 1a classe tecnica, si forma una buona cultura politica, leggendo gli opuscoli, che gli passa l’anarchico Camillo Di Sciullo, poi viene chiamato alle armi e presta servizio nei battaglioni di assalto durante la Prima Guerra mondiale. Dipendente delle Ferrovie dello Stato, prende attivamente parte alle agitazioni del Biennio rosso ed è “uno dei più scalmanati” nella sciopero “legalitario” antifascista dell’agosto 1922. Licenziato politico nel 1923, lavora in un’officina, insieme al fratello Giuseppe, fino al maggio 1926, quando emigra clandestinamente in Francia e fissa la residenza a La Ciotat. In seguito dimora a Marsiglia, continuando a professare idee anarchiche, poi, nel 1931, dopo la nascita della Repubblica spagnola, si trasferisce a Barcellona assieme al fratello Mario (nasce a Castellammare Adriatico il 4 aprile 1911, resta in Spagna – dove è molto attivo nel sindacato metallurgico ed è in stretto contatto con Durruti e i fratelli Ascaso – fino al marzo 1932, quando viene espulso perché ritenuto “pericolosissimo anarchico”. Va a Parigi, poi a Bruxelles e poi di nuovo in Francia. Nel novembre 1934 è a Pescara, nel 1935 parte per il servizio militare e nel 1936 è inviato in Africa Orientale, da dove viene rimpatriato per una grave malattia, muore a Pescara nell’agosto 1936). Dopo poco arriva anche Renato, i tre fratelli frequentano gli anarchici italiani e catalani più temibili, intervenendo spesso alle manifestazioni sovversive. Il 29 settembre, la Prefettura di Pescara propone al Ministero dell’Interno di sottoporre G. a misura di polizia, qualora rimpatriasse perché allarmata dal suo attivismo. Tornato a Marsiglia dopo cinque mesi di permanenza in Catalogna, piuttosto deluso dalla piega degli avvenimenti spagnoli, G. continua a svolgere un’intensa propaganda anarchica e nel 1932 figura tra i promotori del Comitato pro vittime politiche, creato per difendere l’anarchico Pietro Cociancich e il repubblicano Dante Fornasari, arrestati dopo un attentato dinami-tardo alla Casa degli italiani di Aubagne. Legato sentimentalmente a un’anarchica spagnola (“una delle migliori compagne del nostro movimento”), G. frequenta, negli anni seguenti, il massimalista Alfredo Tinacci, l’antico anarchico, e ora repubblicano, Antonio Chiodini e altri esuli, e continua a militare attivamente nei gruppi libertari di Marsiglia e a dar prova della sua ostilità al regime fascista. Nel novembre 1936 è presente alla conferenza sulla rivoluzione spagnola, che viene tenuta dal massimalista Giuseppe Bogoni, reduce dalla penisola iberica, dove ha combattuto a Monte Aragón, e nel gennaio 1937 parte per la Catalogna, dove si arruola in una colonna anarchica. Restato in Spagna sino alla caduta di Barcellona (26 gen. 1939), raggiunge i valichi pi-renaici, dopo una drammatica marcia, tormentata dalla pioggia, dalla neve, da un freddo molto intenso e dagli attacchi degli aerei franchisti, e il 7 febbraio entra in Francia, evitando i tremendi campi di internamento dei Pirenei orientali e trovando rifugio a Marsiglia, insieme a Pietro Sini e ad altri compagni di ideali. In ottobre è segnalato a Campagne Brun e nel 1941 risulta ancora all’estero. Nel dopoguerra ritorna in Italia e si stabilisce a Montesilvano (PE), dove muore il 10 ottobre 1969 in seguito a incidente stradale. (R. Bugiani – G. Ciao Pointer – F. Palombo)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Gialluca Mario; Gli scampati, «Il Risveglio», 21 feb. 1939.

    Bibliografia: Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen; La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939, Tre anni di storia da non dimenticare, Roma 1996, ad indicem.
    GIAMBARDA, Bortolo
    Nasce a Toscolano Maderno (BS) il 16 dicembre 1893 da Giuseppe e Maria Marta Gerboni, manovale, residente a Torino, chiamato comunemente “Bruno”. Espatria clandestinamente nel 1923 ma è respinto dalle autorità francesi. Licenziato politico dalla FIAT, nel 1927 tenta nuovamente l’espatrio; sorpreso a Bardonecchia, è ammonito e successivamente confinato per cinque anni (Lipari), in seguito a contravvenzione dell’ammonizione. Liberato dal confino nel 1932, è nuovamente ammonito nel 1936, perché “sospetto di aderire al movimento G e L” (in seguito alla collaborazione in corso tra anarchici e GL torinesi per propaganda a favore della Spagna rivoluzionaria che porta alla condanna al Tribunale speciale dell’anarchico Michele Guasco e del giellista Luigi Scala). Nel 1941 viene arrestato, assieme ad altri sovversivi, per cospirazione comunista e condannato dal Tribunale speciale a cinque anni di reclusione (Roma, San Gimignano); è liberato nel 1943. I fatti che conducono al suo arresto risalgono all’agosto del ’39 quando, per aver cercato di vendere a uffici diversi le stesse notizie, viene arrestato il sarto Giuseppe Filippone, confidente della Questura che gli anarchici torinesi ritengono un compagno fidato. Nel dopoguerra partecipa all’attività della Federazione Anarchica Piemontese, muore nel 1965. (T. Imperato)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Confino Politico, ad nomen; ivi, Tribunale Speciale, bb. 730, 731; ivi, Ministero di Grazia e Giustizia, Direzione Generale, Ist. Prevenzione e Pena, Detenuti Politici, b. 59, ad nomen; Necrologio da Torino, «Umanità nova», 17 ott. 1965.
     
    Bibliografia: Un trentennio di attività anarchica. 1914-1945, Cesena 1953, p. 89; A. Dal Pont, S. Carolini, L’Italia al confino, Milano 1983, ad indicem; A. Dal Pont 3, p. 439.
    GIAMBARTOLOMEI, Augusto
    Nasce a Senigallia (AN) il 27 novembre 1871 da Giuseppe e Luigia Palazzi, muratore. Le gerenze del numero unico «L’Ora sanguinosa» e del settimanale anconitano «La Lotta umana» gli costano, nel 1896, due condanne per “eccitamento all’odio di classe e istigazione a delinquere”. Nell’agosto dello stesso anno parte alla volta di Fiume, dove viene poco dopo messo agli arresti per mancanza di mezzi di sostentamento. Rimpatriato, è fra i trentacinque imputati del processo al circolo “La Nuova concordia”, al termine del quale gli sono comminati due anni e tre mesi di carcere (che sconterà a Parma), oltre a un anno di vigilanza speciale, per associazione a delinquere. Uscito di prigione, sfugge ai controlli e per un po’ le auto-rità ne smarriscono le tracce, finché il 10 agosto 1900 G. si costituisce. Il suo nome è stato nel frattempo rinvenuto negli elenchi sequestrati presso la sede de «L’Agitazione», giornale con cui ha collaborato dietro lo pseudonimo di “Raix”. Dopo avere scontato tre mesi per contravvenzione alla vigilanza speciale, torna in libertà l’8 ot-tobre ed è subito rimesso agli arresti insieme a Raniero Cecili. Durante la permanenza nelle prigioni di Ancona, G. viene giudicato nell’ambito del processo contro il gruppo de «L’Agitazione»: la pena a 17 mesi e mezzo sarà poi lievemente ridotta in appello. Prima che la sentenza diventi esecutiva, G. riacquista la libertà, si reca a Genova e qui viene arrestato con Remo Marsigliani nel quadro del supposto complotto contro il presidente del tribunale locale, Gonnella. Queste accuse infine cadranno, tuttavia a G. rimane da espiare la condanna come aderente al gruppo de «L’Agitazione». Nel febbraio 1902 esce dal carcere, nel giugno la polizia gli impedisce di sventolare la bandiera anarchica durante la commemorazione cittadina a Garibaldi e un anno dopo G. abbandona le Marche per recarsi a Rimini, dove assume la guida del giornale anarchico «La Difesa», che mantiene per tre mesi (mar.-mag. 1903), prima di intraprendere un giro di propaganda che lo conduce nelle province di Forlì e di Ravenna, quindi di nuovo ad Ancona, Fano e Senigallia. Nel 1906 passa al PSI. Negli anni successivi si allontana dalla vita politica, andando incontro peraltro ad alcune disavventure personali. Il 30 settembre 1917 si suicida a Parma. (R. Giulianelli)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
     
    Bibliografia: E. Sernicoli, I delinquenti dell’anarchia, Roma 1899, pp. 83-86; E. Santarelli, Le Marche dall’unità al fascismo, Urbino 1964, ad indicem.
     
    GIAMMATTEI, Emilio
    Nasce a Livorno il 29 settembre 1864 da Francesco e Maria Santorelli o Santinelli, aggiustatore meccanico. Viene schedato dal prefetto di Genova il 3 marzo 1911. Nello stesso anno G. sottoscrive per la pubblicazione del giornale «Il Demolitore», che dovrebbe uscire a Sampierdarena, e nel 1919 torna a Livorno, da dove emigra clandestinamente in Francia. Per qualche tempo risiede a Parigi, poi, il 2 luglio 1925, è segnalato nelle vicinanze di Marsiglia, a La Seyne-sur-Mer. Qui, nel settembre del 1926, malgrado “l’età avanzata”, è uno dei più ardenti anarchici del dipartimento. Propagandista attivissimo, è il maggior esponente del gruppo individualista di La Seyne ed è “amicissimo dello Schicchi, col quale s’incontra di sovente, recandosi a trovarlo alla Ciotat”. È pure legato ai compagni di fede, residenti a Nizza, dove – segnalano i fascisti il 19 novembre – avrebbe dimorato Gino Lucetti, l’anarchico di Carrara, che ha attentato alla vita di Mussolini. Sono ragioni più che sufficienti perché venga esercitata su di lui la “possibile conveniente vigilanza”. Il 4 marzo 1927 G. si reca a Tolone per assistere al processo al compagno di ideali Alfonso Bendinelli, denunciato per porto di pugnale e minacce allo chauffeur del Consolato, e nei giorni seguenti raccoglie le sottoscrizioni a favore del giornale «La Diana» di Parigi, diretto da Schicchi. Il 2 maggio 1927 interviene alla conferenza, che Sébastien Faure tiene a La Ciotat. In giugno G. si occupa della propaganda libertaria a Marsiglia e dell’agitazione in favore di Sacco e Vanzetti. Il 26 settembre il Ministero dell’Interno ordina al Consolato di Marsiglia di segnalarlo tempestivamente, qualora decidesse di rimpatriare, e il 20 gennaio 1928 i diplomatici rispondono che G. viene vigilato “nei limiti del possibile”. Il 1° marzo le autorità labroniche ne chiedono l’iscrizione nel «Bollettino delle ricerche» per il fermo e il 14 marzo 1931 il Consolato di Marsiglia informa le Autorità centrali che G. è a La Seyne e che nutre ancora idee anarchiche, anche se non svolge una “particolare attività”. Muore a Livorno il 3 giugno 1933. (F. Bucci – A. Tozzi)

    Fonti

    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.

    GIAMPÀ, Raffaele
    Nasce a Nicastro (oggi Lamezia Terme, CZ) il 23 aprile 1873 da Vincenzo e Antonia Catanzaro, imbianchino-giornaliero in ferrovia. In Argentina – dove emigra in data imprecisata - svolge propaganda e attività sovversiva, venendo segnalato già nel 1909 da Buenos Aires come oblatore del giornale «Il Libertario» di Genova. Nel 1911 partecipa a un non meglio specificato complotto anarchico; poi, vistosi messo da parte, induce per vendetta il compagno di fede Antonio Meloni a denunciare coloro che avevano fabbricato gli esplosivi e la carta moneta falsa. Dopo aver cercato inutilmente di discolparsi, per timore di una ritorsione si sposta per qualche tempo a Mar del Plata, dove, secondo una nota del 27 febbraio 1912, «va spiegando una maggiore attività settaria». Dal luglio 1915 e per circa un anno vive a Bordeaux e in seguito si trasferisce a Parigi, dove lavora come giornaliero presso la compagnia della ferrovia metropolitana. Il 2 ottobre 1917 ottiene il passaporto per recarsi a Tunisi, ma, dopo essersi reso irreperibile per qualche tempo, nel 1919 viene nuovamente rintracciato nella capitale francese. Qui, nel 1935, viene segnalato a causa dei suoi contatti con gli anarchici Amedeo Mentore Giampaoli e Giulio Viviani; ritenuto quindi pericoloso dalle autorità, nel 1937 è iscritto in «Rubrica di frontiera» per il provvedimento di perquisizione e segnalazione. Si ignorano luogo a data di morte. (K. Massara)

    Fonti


    Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2382, f. 53296, cc. 67, 1909-1912, 1916-1919, 1923-1924 e 1934-1939.

    Bibliografia: K. Massara, L’emigrazione “sovversiva”. Storie di anarchici calabresi all’estero, Cosenza 2003, p. 58.







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