ANARCHICI & ANARCHIA
Luigi Fabbri
Luigi Fabbri (Fabriano, 23 dicembre 1877 - Montevideo, Uruguay, 23 giugno 1935), teorico del comunismo-anarchico, è stata una delle più importanti figure del movimento anarchico italiano e internazionale.
Biografia
Luigi Fabbri nasce a Fabriano il 23 dicembre 1877. Terminati gli studi, iniziò la professione di maestro elementare, prevalentemente a Bologna, che svolgerà per buona parte della sua vita. Nel 1908, a Roma, gli nacque una figlia, Luce Fabbri, anch'ella anarchica di spessore, che dal 1935 (data della morte di Luigi Fabbri) sino al 1946 lo sostituirà nella direzione della rivista «Studi Sociali».
Primi contatti con l'anarchismo
Fabbri iniziò la sua militanza nel 1897 inviando un articolo, dal titolo Armonia naturale, al giornale anarchico «L'agitazione» di Ancona. Qualche tempo dopo gli giunse una lettera dalla redazione anconetana che lo invitava a recarsi di persona presso il domicilio di un anarchico, Cesare Agostinelli, che di mestiere faceva il cappellaio. Una volta giunto nella sua bottega Fabbri fu accompagnato in un'altra casa dove, con sua grande sorpresa, incontrò l'esule Malatesta che tutti credevano a Londra mentre in realtà si nascondeva nel cuore di Ancona, da dove dirigeva «L'Agitazione».
I due si trattennero a chiacchierare a lungo dando inizio alla militanza del giovane Fabbri che sarebbe terminata solo alla sua morte (1935).
La militanza e l'anarco-comunismo
Fabbri diffuse il pensiero anarchico attraverso diverse riviste. Una delle più importanti, divenuta un punto di riferimento per tutto il movimento anarchico nel primo quindicennio del Novecento, fu «Il Pensiero», della quale fu sempre redattore insieme a Pietro Gori. La rivista, che poteva contare sulla collaborazione dei militanti più preparati, dibatté su molteplici argomenti, combattendo, in particolar modo, quelle che venivano considerate derive del movimento anarchico: il nichilismo individualista, la monomania sindacalista ecc..
Per le edizioni de «Il Pensiero» Fabbri stese anche la relazione del Congresso Anarchico Internazionale di Amsterdam (1907), durante il quale furono particolarmente dibattute le due questioni relative al sindacalismo e all'organizzazione. Cessate le attività de «Il Pensiero» collaborò a «Volontà», svolgendo un ruolo di orientamento ideologico all'interno del movimento e di un propaganda all'esterno. Pubblicò articoli e opuscoli su diversi argomenti legati all'anarchismo: sul socialismo libertario di Carlo Pisacane, sulla questione organizzativa, su Francisco Ferrer y Guardia, sul rapporto Stato-Chiesa ecc. Nel 1916, firmandosi "un gruppo di anarchici", ribadì con vigore il proprio antimilitarismo e si contrappose ad alcuni anarchici (Kropotkin, Grave e Cornelissen) che invece si dichiararono interventisti (Kropotkin successivamente si pentirà di quella scelta, che oggettivamente risulterà sbagliata). Nel primo dopoguerra fu tra i promotori dell'UCAI (Unione Comunista Anarchica Italiana), prima che la spinta unanimista di Malatesta lo spingesse alla formazione dell'UAI (Unione Anarchica Italiana). Fu direttore di «Umanità Nova», lo storico quotidiano dell'UAI e ora settimanale della Federazione Anarchica Italiana.
Fabbri si oppose sempre a qualsiasi scissione dentro l'organizzazione operaia (anche quella che all'epoca vide la nascita dell'USI), sostenendo la necessità di un'organizzazione di massa affiancata ad una specifica.
Nell'agosto del 1920 terminò di scrivere il libro Dittatura e Rivoluzione (considerato uno dei migliori libri scritti da anarchici e una sorta di risposta a Stato e Rivoluzione di Lenin), nel quale condannò, senza riserve, la deriva autoritaria della rivoluzione bolscevica, cogliendo l'inconciliabile antagonismo fra anarchismo e marxismo e fra il socialismo libertario e quello autoritario.
Durante il fascismo subì diverse aggressioni squadriste, ma ciò non gli impedì di continuare nella militanza attiva: nel 1923 pubblicò La controrivoluzione preventiva, un'analisi spietata del fenomeno fascista. Sempre in quegli anni fondò la rivista «Pensiero e Volontà», collaborando anche ad altre pubblicazioni anarchiche italiane («Fede», «Libero Accordo») e straniere («La Protesta» di Buenos Aires, «Rivista Blanca» di Barcellona ecc.).
Nel 1926 il movimento anarchico internazionale fu scosso dalla proposta organizzativa elaborata da alcuni rifugiati russi a Parigi (Nestor Makhno, Ida Mett, Petr Arshinov ecc.), la Piattaforma d'Organizzazione dell'Unione Generale degli Anarchici, e molti militanti di grande prestigio urlarono allo scandalo per i toni ritenuti troppo dirigisti della stessa, Fabbri prese una posizione ritenuta responsabile, riconoscendo che essa metteva sul terreno della discussione «una quantità di problemi inerenti al movimento anarchico, al posto degli anarchici nella rivoluzione, all'organizzazione dell'anarchismo nelle lotte, eccetera, che devono essere risolti, altrimenti la dottrina anarchica non continuerà a rispondere alle esigenze crescenti della lotta e della vita sociale nel mondo contemporaneo».
L'esilio sudamericano
Nel 1926, il rifiuto di prestare giuramento di fedeltà al regime, gli costò la perdita del posto di insegnante e le continue minacce degli squadristi fascisti. Fabbri fu costretto all'esilio, e dopo un primo periodo passato in Francia e poi in Belgio, si recò in Sud America dove restò fino alla morte. Nella numerosa comunità anarchica di esuli italiani a Parigi ed in altri centri della Francia, fu instancabilmente attivo e pubblicò il giornale «Lotta Umana» insieme con Camillo Berneri e Torquato Gobbi; partecipò attivamente a numerosi dibattiti sulla questione organizzativa. Nel 1930 a Montevideo, fondò la rivista «Studi sociali» (Etudes Sociales) che proseguì la linea politica malatestiana, pubblicò Malatesta, vita e pensiero e collaborò a diversi giornali anarchici nordamericani.
Luigi Fabbri morì a Montevideo il 23 giugno 1935.
Note
- Dittatura e Rivoluzione, pag. 64
Bibliografia
- Luigi Fabbri, L'arcipelago della Maddalena, La Cuba, 1993
- Luigi Fabbri, L'organizzazione operaia e l'anarchia, Cp editrice, 1975
- Luigi Fabbri, Epistolario ai corrispondenti italiani ed esteri (1900-1935), BFS, 2005
- Luigi Fabbri, Malatesta. La vita e il pensiero, Datanews, 2008
- Luigi Fabbri, La controrivoluzione preventiva. Riflessioni sul fascismo, Zero in condotta, 2009
- Luigi Fabbri, Nikolaj Bucharin, Anarchia e comunismo scientifico. Un teorico marxista ed un anarchico a confronto, Zero in condotta, 2009
Luigi Fabbri (1877–1935) - Italian anarchist, writer, agitator and propagandist
Lapide a Luigi Fabbri, Fabriano
Collegamenti esterni
- Libera sperimentazione di Luigi Fabbri
- Anarchia e comunismo scientifico di Luigi Fabbri
- Malatesta. L'uomo e il pensiero di Luigi Fabbri
- Carlo Pisacane di Luigi Fabbri
- L'organizzazione operaia e l'anarchia di Luigi Fabbri
- Influenze borghesi sull'anarchismo di Luigi Fabbri
- L'ideale anarchico di Luigi Fabbri
- Che cos'è l'anarchia di Luigi Fabbri, da «Il Pensiero», anno II, n. 3, febbraio 1904
- Chiesa e Stato di Luigi Fabbri
- La repubblica romana del 1849 di Luigi Fabbri
- Lettere ad una donna sull'anarchia di Luigi Fabbri
- La scuola e la rivoluzione di Luigi Fabbri
- I numeri di «Studi Sociali» sfogliabili online
Biografia
Teresa Fabbrini nasce a Firenze l'1 settembre 1855 da Luigi e Agata Ciancalini . Fin da giovane si distingue sia come infaticabile propagandista delle idee anarchiche e sia nel ruolo di conferenziera e scrittrice in favore dell'anarchia e dei diritti delle donne.
Dal 1877, secondo un'informativa della polizia, si sarebbe trasferita a Camogli seguendo il marito Olimpio Ballerini, frenatore ferroviario. Sono sempre le informative a segnalarla a Pisa, dove pur sotto stretta sorveglianza «svolge grande attività nella propaganda anarchica». Con un tipico linguaggio sessista e misogino, spesso prefetti, poliziotti e questori la bollano come una «donna di facili costumi» , forse perché ospita spesso in casa sua compagni ricercati come per esempio Paolo Schicchi.
Collabora dal 1893 a Il Paria di Pisa, La Questione Sociale di Firenze, Sempre Avanti! di Livorno, La Favilla ecc. Nello stesso anno tiene conferenze nei sobborghi pisani sul tema «Anarchia e socialismo e abolizione di qualsiasi principio di autorità». Subisce numerose condanne ed arresti (arrestata nel giugno 1893 e condannata a 28 giorni di reclusione, arrestata nel marzo 1894 è riarrestata il mese dopo per associazione a delinquere e oltraggio alla forza pubblica, e condannata a 2 mesi, più altri 80 giorni di carcere preventivo. Nell'ottobre 1894 è condannata a 6 mesi di prigione e assegnata per 18 al domicilio coatto di Orbetello, più avanti le sarà assegnata la vigilanza speciale giornaliera), soprattutto durante l'organizzazione di scioperi e manifestazioni con le donne anarchiche e socialiste. Le indagini dimostrano che casa sua era diventato un centro di rifugio e discussione per moltissimi anarchici: Genunzio Bentini, Giuseppe Manetti, Giulio Grandi, Ersilia Cavedagni, Emanuele Canepa, Enrico Girola, Paolo Schicchi, Pietro Gori, Francesco Pezzi, Luisa Minguzzi, Temistocle Monticelli ecc.
In questo periodo conosce Luigi Fabbri che la definisce in questo modo: «la cortesia sua e l'affabilità dei modi mi resero simpatica d'un subito la compagna.» . La sua vita è continuamente segnata da numerosissimi arresti che la portano a ripetute micro-condanne (es. il 18 novembre 1895 viene arrestata e condannata ad un mese di carcere per essere stata trovata in compagnia di un anarchico; qualche giorno di carcere in seguito all'arresto avvenuto il 5 agosto 1897 a Pisa assieme al ferroviere Lucio Gordini di Ravenna, in seguito alla denuncia di un prete; il 22 giugno 1898 nuovo arresto di cinque giorni ecc.)
Sposatasi con il suo Olimpio Ballerini, per sfuggire alle persecuzioni istituzionali è costretta all'esilio in Francia, da cui viene però espulsa per le sue idee anarchiche nel 1898. Ripara in Svizzera, nel Canton Ginevra, partecipa a numerose conferenze anarchiche, tra cui alcune tenute da Louise Michel sulla Comune di Parigi. Anche in Svizzera però, dopo lo sciopero generale dell'ottobre 1902, è ricercata dalla polizia, e quindi costretta a trasferirsi nel canton Vaud, dove convive con il tipografo Jean-Octave Pellegrino, infine giunge a Losanna, dove logorata dalle persecuzioni di ogni sorta che ha subito nel corso della sua intera vita, muore nel 1903, a soli 48 anni, stremata da stenti e fatiche.
Il suo scritto più celebre, pubblicato postumo, è stato Dalla schiavitù alla libertà , dove denuncia il maschilismo imperante anche negli ambienti politici e in quelli rivoluzionari:
«La donna ha la semplice funzione di rattoppatrice di biancheria, rifar il letto e la zuppa, di guardare i bambini se è maritata, o di cantarellare o di attendere l'innamorato dalla finestra se è giovanetta. Non stanno troppo bene le donne in mezzo agli uomini quando questi devono discutere di politica [...] avete diritto al par di loro di assistere alle riunioni, assistere alle conferenze, leggere libri, giornali [...] se si rifiuteranno denunziateli agli altri compagni, fate che ridano di loro, della loro piccineria, della pochezza del loro carattere [...] Compagne di schiavitù, avanti!» [Biografia
Michele Fabiani, nato il 16 febbraio 1987, è un giovane anarchico e filosofo di Spoleto (Perugia). Ha frequentato il liceo scientifico Alessandro Volta, impegnandosi nel movimento studentesco spoletino e anche, sin dall'adolescenza (14-15 anni), nel movimento anarchico e nel sostegno al prigioniero comunista Paolo Dorigo, allora detenuto proprio a Spoleto. I suoi scritti sono comparsi inizialmente su anarcotico.net [1], dove veniva pubblicato un foglio telematico intitolato Il Rivoluzionario. Successivamente per una serie di incomprensioni con la redazione del sito si è trasferito su anarchaos, dove sono stati pubblicati numerosissimi suoi articoli, saggi e commenti. Michele è attivo anche nell'Associazione Vittime armi elettroniche-mentali, nelle lotte anticarcerarie e nell'elaborazione di nuove teorie anarchiche.
Dall'età di 14 anni ha studiato, da autodidatta, autori come Stirner, Heidegger, Goethe, Nietzsche, Bakunin, Hegel, Platone, Bonanno ecc. Il Razionale e l'Assurdo è la sua prima opera, scritta tra il gennaio e l'aprile 2005, a soli 18 anni.
Il 23 ottobre 2007, insieme ad altri 4 compagni-amici di Spoleto (Andrea Di Nucci, Dario Polinori, Damiano Corrias e Fabrizio Reali Roscini), è stato arrestato nella cosiddetta "Operazione Brushwood" (operazione boscaglia) con l'accusa di far parte di una cellula anarco-insurrezionalista denominata COOP-FAI (Contro ogni ordine politico – Federazione Anarchica Informale).
Il 18 luglio 2008, a Michele Fabiani sono stati concessi i domiciliari. Il 26 settembre Michele è stato messo in semilibertà, con obbligo di dimora nel comune di Spoleto e di rientro notturno dalle 21 alle 7. Dal 26 novembre 2008 il Mec (come lo chiamano gli amici) è finalmente libero. Nel frattempo (il 29 settembre 2008) Michele, Andrea, Dario e Daminao vengono rinviati a giudizio; il processo è cominciato il 7 aprile 2009 presso la corte di assise di Terni, non vi ha partecipato Fabrizio Reali poiché la sua posizione è stata stralciata (Fabrizio Reali è poi deceduto nel giugno 2010).
Nel luglio 2009 è uscita la sua seconda opera, intitolata Sperimentiamo l'Anarchia, che raccoglie alcuni dei suoi più importanti articoli e alcuni inediti scritti prima, durante e dopo la carcerazione. Tali articoli si compongono molto armonicamente fra loro, dando vita ai vari capitoli del libro (risultato in un certo senso casuale e non ricercato preventivamente dall'autore). A partire dal dicembre 2010 partecipa attivamente al progetto teorico filosofico denominato Scuola Umbra. Nel luglio dello stesso anno Mec riesce a pubblicare un altro libro, il terzo. Questa volta Fabiani torna alla filosofia con Attualità o inattualità di Kant. Nel maggio 2013 ancora un libro di filosofia, su Kant ed Hegel: Dalla filosofia pratica di Kant alla filosofia del diritto di Hegel.
Il 19 aprile 2012 Michael Gregorio, alias Michael Jacob e Daniala De Gregorio, una coppia di scrittori famosi, autori della trillogia di gialli iniziata con Critica della ragion criminale, un romanzo dove il protagonista è un investigatore allievo di Kant che usa il metodo della critica per risolvere i misteri, nonché ex vicini di casa di Michele nel 2007, pubblicano un nuovo romanzo, questa volta ambientato nel 2012 e evidentemente ispirato alle vicende giudiziarie degli anarchici spoletini: Boschi&Bossoli. La casa editrice è "VerdeNero", la collana dei Noir di eco-mafie.
Nel romanzo, con nomi di fantasia e ambientato in Italia Centrale, troviamo quattro giovani anarchici che finiscono immischiati in un complotto più grande di loro. Partecipi di alcune azioni dirette, anche violente, ma di bassa intensità, vengono accusati di aver inviato delle pallottole alla locale presidente regionale. A farlo è stata invece la mafia, per altre ragioni. Ma i militari del generale Corsini (probabilmente il riferimento è al capo dei ROS Ganzer) evitano di seguire la pista mafiosa, per colpire gli anarchici.
Dopo la sentenza della cassazione del 27 giugno che confermava la condanna a due anni e tre mesi del processo di secondo grado (13 febbraio 2013), il 10 luglio tre agenti in borghese si sono presentati a casa di Michele e l'hanno tratto in arresto per scontare un residuo di pena.
Il 30 ottobre del 2015, Michele Fabiani ha terminato di scontare la sua pena ed è tornato in libertà.
Materiale sull'Operazione Brushwood
La lettera di Michele dal carcere: Un anarchico in cattività
Il Comitato 23 ottobre divulga la missiva di Fabiani.
- «Ero prigioniero anche prima... Sbagliano i marxisti».
Spoleto - 14/11/2007 12:26
«Sono Michele Fabiani, "detto Mec", come direbbero i giudici, eh eh. Vorrei che questo scritto girasse il più possibile, non so ancora se potrò fotocopiarlo o se dovrò ricopiarlo a mano per cercare di mandarlo il più possibile in giro. Dalla seconda media mi chiamano Mec perché per spirito di contraddizione tifavo la Maclaren... e così ho appena scoperto che di sfortune ne ho avute di 2 in 2 giorni: la macchina di Agnelli e Montezemolo vince i mondiali e io finisco in galera. Martedi 23 ottobre 5 brutti uomini (2 erano così brutti che si sono messi il passamontagna) irrompevano in casa mia, la mettevano completamente sottosopra e mi arrestavano in base all'articolo 270bis (scritto dal ministro Rocco per Mussolini). I reati associativi come l'art. 270 bis e 270 permettono di arrestare qualcuno non per cio' che ha fatto, ma per come la pensa, perché fa parte di qualche fantomatica associazione. Basti pensare che uno di noi 5, rinchiusi in isolamento giudiziario da quasi 4 giorni e da oggi in E.I.V., è accusato solo di aver fatto una scritta su un muro! Ci pensate? Tre volanti (a testa), i mitra, i passamontagna, la scorta aerea dell'elicottero, le telecamere, il carcere, l'isolamento, l'e.i.v., per una scritta su un muro! Sono poi stato portato alla caserma dei carabinieri di Spoleto e poi a quella di Perugia, infine da quella di Perugia al carcere. Il primo momento propriamente comico è stato il trasferimento tra la caserma di Perugia e il carcere: chi guidava la macchina, forse impressionato, si è sbagliato strada e abbiamo fatto 2 volte il giro intorno alla stazione ferroviaria. In carcere mi stanno trattando bene, non mi hanno mai toccato (in tutti i sensi, neanche per gli spostamenti). La cella è molto sporca, c'è un tavolo appeso al muro con un armadietto inchiodato ed un letto inchiodato per terra ed alla parete. Oggi è caduto l'isolamento e abbiamo anche la tv. Resta il divieto di comunicare tra noi, che è la cosa peggiore. Ho visto le immagini del TGR Umbria che eravate fuori durante gli interrogatori: eravate tanti! Sono stato tanto felice, purtroppo da dentro non vi abbiamo sentito. Ho risposto alle domande non perché io riconosca un qualche valore alla magistratura, ma per il semplice motivo che nelle motivazioni del nostro arresto c'erano scritte talmente tante (omissis) che ho ritenuto importante contraddirle subito, pur senza essermi mai consultato con gli avvocati, per la corretta esposizione dei fatti, per la libertà di tutti noi. Talmente tante erano le falsità, le contraddizioni, gli errori grossolani che era di importanza strategica distruggerle immediatamente. Nessuno tema o si rallegri: io ero, sono e resto un prigioniero rivoluzionario. Lo ero, un prigioniero ed un rivoluzionario, anche prima di martedi: siamo tutti prigionieri, tutti i giorni. Quando ci alziamo la mattina per andare a lavorare, quando passiamo gli anni più belli della nostra vita sprecati su una macchina, quando facciamo spesa, quando non possiamo farlo perché mancano i soldi, quando li buttiamo via i soldi per delle cazzate (vestiti, aperitivi, sigarette non c'è differenza) quando guardiamo la tv che ci fa il lavaggio del cervello, che cerca di terrorizzarci con morti, omicidi, rapine (quando in 15 anni gli omicidi sono diminuiti del 70%) così che noi possiamo chiedere più telecamere, più carceri, pene sicure, quando se c'è una pena davvero sicura a questo mondo è quella che incatena lo sfruttato alle sue condizioni. Io non ho mai detto "SONO UN UOMO LIBERO", in pochi possono dirlo senza presunzioni. Se io fossi un uomo libero, andrei tutti i giorni sulla cima del Monte Fionchi, in estate con le mucche e le pecore e in inverno con la neve, e dopo aver raggiunto faticosamente le cime...guardare a nord ovest, la valle Umbra o Valle Spoletino come si diceva una volta, poi a nord est la Valnerina e il Vettore quasi sempre liscio dietro, e poi via verso est tutti gli appennini che cominciano da lì, fino a sud dove ci sono quelle meravigliose foreste... E forse, ripensandoci, neanche lì sarei davvero libero. Perché la valle Umbra è piena di cave, di capannoni, di fabbriche, di mostri che devono essere combattuti. Ma mancano gli eroi oggi mentre di mostri ce ne sono anche troppi. Quindi io non sono un uomo libero, il dominio non è organizzato per prevedere uomini liberi. Però sono un rivoluzionario, un prigioniero rivoluzionario. Io sapevo già di essere un prigioniero, prima che un giudice me lo dicesse. Certo, questa prigione è diversa da quella fuori: qui vedi tutti i giorni, in maniera limpida, simbolica e allo stesso tempo materiale quali sono i rapporti di forza del dominio; dove c'è chiaramente e distintamente l'uomo, con i suoi sogni, i suoi amori, il suo carattere, e il sistema, le sbarre, le catene, le telecamere, le guardie. Potremmo dire, ironicamente, che da un punto di vista politico-filosofico qui le cose sono più semplici: il sistema cerca di annientare l'individuo, l'individuo cerca di resistere. Ovviamente l'uomo qui sta peggio. È inutile fare retorica. Dopo qualche giorno la gabbia te la trovi intorno alla testa, è come se avessero costruito un'altra piccola gabbietta, precisa precisa intorno alla tua testa. Con il cervello che ragiona ma non ha gli oggetti su cui ragionare, con la voglia incontenibile di parlare e non c'è nessuno, di correre e non c'è spazio, quando mi affaccio alla finestra vedo un muro con altre sbarre, non si vede un filo d'erba, una collina (neanche durante l'aria, che passo solo in una stanza più grande), fuori dalla tua gabbia c'è un altra gabbia. La mia paura è che questa sensazione mi rimanga anche quando esco. Che la lotta per non impazzire diventerà il fine della mia vita. Nel carcere "formale" l'uomo combatte contro sé stesso, mentre nel mondo fuori il rivoluzionario deve combattere una guerra contro entità oggettive. La mia paura è che ci si dimentichi di questi 2 livelli di scontro, che anche quando uscirò ci sarà questa gabbia intorno alla testa che mi... e mi dice di non prendere a calci la porta della cella e di mettermi ad urlare. Non solo l'uomo antropofizza il mondo, ma in galera l'uomo antropofizza anche sé stesso: come distruggiamo le montagne, così qui distruggiamo la nostra mente, costruendo fantasmi contro cui scontrarci. Il rapporto è tutto mentale qui. È di questo che voglio liberarmi, voglio uscire e continuare ad avere una capacità di analisi oggettiva della realtà. Qui questa capacità rischio di perderla. Mentre fuori, innaffiando un seme e facendo crescere una pianta, si ha un'interazione fisica con il mondo qui lo scontro è tutto psicologico. Lo scontro è fisico solo ad un primo livello, con i muri che non mi fanno uscire, ma in realtà la guerra è anche con i nostri fantasmi. I muri sono troppo materiali per essere reali. Sbagliano i marxisti quando riconducono tutto alla materia. La realtà è una sintesi in cui l'uomo colloca sé stesso tra il mondo e le sue idee. In galera purtroppo questa sintesi è pericolosamente, patologicamente, troppo incentrata sulla mente. Ai compagni che scrivono che non trovano parole dico di trovarle queste parole che ne abbiamo troppo bisogno. Scriveteci a tutti e 5! Vorrei che qualcuno dicesse ad Erika che le mando un bacio.
- Mec, Un anarchico in cattività 26/10/07»
Lettera del padre di Michele
La lettera è stata scritta da Aurelio Fabiani il 1° gennaio 2008
Oggi 1° gennaio 2008, per non dimenticare Michele e Andrea al 70° giorno di prigione. Non sono versi, non è prosa, sono sassi. Sassi scagliati contro il muro che separa i corpi e le anime dalla libertà, contro il muro del tempo che separa il ricordo dalle emozioni, contro il muro delle menzogne che cancella la verità con la propaganda, contro il muro di leggi inique che circondano i palazzi del potere e che a difesa di carriere e ricchezze trasformano le scritte sui muri, le idee e la rabbia dei giovani, in terrorismo internazionale. Solo questo oggi posso darvi, insieme all'impegno che la nostra lotta non avrà mai tregua ne fine.
MICHELE L'ANARCHICO E IL SUO AMICO ANDREA
«Michele è un ragazzino ma è già uomo d'altri tempi, scrive il suo giornale, il Rivoluzionario, Filosofo precoce, Razionale e Assurdo, t' hanno messo in croce. Una croce di cemento, quattro strette mura, 10 metri quadri di moderna tortura.
Andrea tuo compagno di sventura l'hanno messo nella stessa strettura.
La buia notte del 23 ottobre è stata illuminata dai fari del potere. Sono scesi in più di cento, hanno volato sopra i tetti, buttando giù dal letto, bambini e vecchietti. Nelle case sono entrati, armati e incappucciati, portando via 5 ragazzi disarmati.
Spoleto allibita non crede a quel che vede ha paura dell'esercito che nella città è sbarcato, teme ognuno d'essere arrestato. Ma la città che di sé conosce ogni cosa intimamente ha giudicato lo spettacolo indecente.
Come in ogni grande avvenimento c'è rabbia e sgomento, e un clima di paura e di indignazione attraversa la popolazione. Abbassano la voce al supermercato, non alzano il telefono può esser controllato.
Gli articoli sono pronti già dal giorno prima, mancano le immagini dei ragazzi ammanettati, per questo i giornalisti sono stati convocati, il prodotto non si vende bene se in prima pagina non c'è il giovane in catene.
Ragazzi terroristi spara Il Messaggero, lo spara a più riprese, vuol far sembrare che sia vero. E la Nazione conosce ancor prima degli avvocati, l'ordinanza d'arresto con tutti gli allegati. La notizia è forte, anche se è una gran cazzata: 'Organizzava una rapina questa banda armata.'
Ganzer è sorridente, la Lorenzetti non è da meno, si congratulano a vicenda, hanno fatto il pieno. Dopo le tempeste di Perugia e di Milano la governante e il militare si danno la mano, dopo tante nuvole uno sprazzo di sereno.
Da quel 23 ottobre sono passati mesi in totale isolamento. Quanto dovrà durare ancora questo tormento? Per il magistrato dipende dall'atteggiamento. “Nessuna confessione restino in prigione, nessun pentimento stiano in isolamento.”
Accuse senza fondamento non danno confessione, i ragazzi non danno collaborazione, ma per giustificare questa avventura occorre almeno un'abiura, da Michele non avran mai quello, restano chiuse le porte del cancello.
Michele i tuoi vent'anni son duri come sassi, li possono spezzare ma si debbon rassegnare, i sassi non si possono piegare. Andrea è come te, vent'anni e uomo vero.
Hai guardato in faccia gli occhi del potere, con il coraggio antico di chi ha fede. Fede nelle idee di libertà e uguaglianza, di chi dall'alto guarda la proterva ignoranza, dell'arrivista che ad occhi bassi avanza.
Ostaggi di un teorema di questi nostri tempi che utilizza leggi degli anni venti. E così Michele e Andrea sono stati condannati a essere terroristi prima di esser processati. Delle accuse non c'è prova, non esiste l'associazione, è stata inventata per tenervi in prigione.
Il Generale molto esperto, che sa di tutto questo, ha già dichiarato li abbiam fermati prima degli attentati.
Vogliono l'abiura, vogliono la confessione, solo per questo vi tengono in prigione.
- AURELIO FABIANI Comunista, padre di Michele l'anarchico»
Il processo Brushwood
- Il 7 aprile 2009 alla corte di assise di Terni è iniziato il processo Brushwood.
- L'11 maggio 2011 la Corte d'Assise del Tribunale di Terni ha emesso la sentenza di primo grado: Michele Fabiani è stato condannato a 3 anni e 8 mesi, Andrea Di Nucci a 2 anni e 6 mesi, mentre Dario Polinori e Damiano Corrias ad un anno ciascuno .
- La sentenza d'appello del 13 febbraio 2013 ha smontato il teorema terrorista proposto dal capo dei ROS, il Generale Ganzer (condannato a 14 anni per traffico di droga) ed ha emesso quanto segue:
- Michele Fabiani: condanna a 2 anni e 3 mesi per le minacce all'ex governatrice umbra Lorenzetti ed assoluzione dal reato di associazione sovversiva;
- Andrea Di Nucci: assoluzione da tutte le accuse;
- Dario Polinori condannato ad un anno, Damiano Corrias (accusato solo di una scritta su un muro) condannato ad 11 mesi.
- Il 27 giugno la Cassazione ha confermato la condanna di Michele Fabiani a 2 anni e tre mesi.
- Il 10 luglio, in ottemperanza alla sentenza della cassazione, tre agenti in borghese si sono presentati a casa di Michele Fabiani e l'hanno tratto in arresto per scontare il residuo di pena.
Note
- Brushwood, tutti condannati. Ma perde anche l'accusa
Bibliografia
Opere
- La negazione radicale, Edizioni Monte Bove, 2020
- Dalla filsofia pratica di Kant alla filosofia del diritto di Hegel, con la prefazione di Michael Gregorio, Edizioni Era Nuova, 2013
- Attualità o inattualità di Kant, Edizioni Era Nuova, 2011
- Sperimentiamo l'anarchia, Edizioni Era Nuova, 2009
- Il razionale e l'assurdo, Edizioni Era Nuova, 2005
Scritti vari
- Dossier sul controllo mentale e sulla tortura tecnologica in Italia
- Descrizione di un abuso d'ufficio Descrizione di un abuso d'ufficio, II
- Intervista a Michele Fabiani dal carcere di Sulmona - a cura di anarchaos
- Il berlusconismo. Per un'analisi pedagogica e di filosofia del linguaggio
- Infiltrati per chi? Lo Stato non avrebbe nulla da guadagnarci, anzi! - Sugli avvenimenti di Roma del 15 ottobre 2011
- Dai colonnelli ai banchieri. Cosa succede quando al capitalismo la democrazia liberale sta stretta
- L'onore e il sacrificio. Fissazioni ataviche dell'autoritatismo al tempo del regime dei banchieri
Biografia
Alfonso Failla nasce nel 1906 a Siracusa, città di una terra, la Sicilia, che storicamente ha dato alla luce molte personalità di spicco dell'anarchismo: Maria Occhipinti, Franco Leggio, Alfredo Maria Bonanno ecc.
Avvicinatosi al pensiero anarchico, durante il fascismo si distingue immediatamente quale tenace oppositore del regime, subendo sulla sua pelle la ferocia repressiva messa in atto dai seguaci di Mussolini. La storia della sua vita sarà poi da lui stesso raccontata in un articolo pubblicato su «L'Agitazione del Sud».
Il periodo fascista: carcere, confino e Resistenza
Con l'avvento del fascismo, Failla si mette immediatamente a contrastarlo: nel 1925 a Siracusa è tra gli assedianti, insieme ad altri locali antifascisti, di alcune migliaia di militi fascisti in attesa di imbarcarsi per la Libia e nel frattempo protagonisti nel frattempo di iniziative antiproletarie. In seguito a questa insurrezione il regime sospenderà l'imbarco dei fascisti dal porto di Siracusa, convogliandoli nel più sicuro porto di Napoli .
Quando la repressione di qualsivoglia pensiero antifascista viene definitivamente istituzionalizzato dal regime l'8 novembre 1926 con la pubblicazione sulla «Gazzetta Ufficiale» del decreto istitutivo del «Tribunale Speciale per la difesa dello Stato» e l'istituzione delle «Commissioni provinciali per l'assegnazione al Confino di Polizia», come molti altri antifascisti, Failla conosce le patrie galere.
Nella sua testimonianza chiarirà bene la disparità di trattamento che gli anarchici subivano in carcere e/o al confino (esperienze che gli anarchici vissero sin dalla fine dell'800) rispetto agli altri antifascisti (la discriminazione proseguirà anche dopo la caduta del fascismo nel 1943). Nonostante tutto gli anarchici al confino danno vita a nuclei compatti e combattivi, proseguendo la lotta di opposizione al fascismo pure in quei difficili frangenti. Per esempio, 152 confinati nel 1933 sono protagonisti, a Ponza, di proteste contro i soprusi degli aguzzini responsabili della colonia penale. Fra questi rivoltosi vi sono molti anarchici, come lo stesso Failla, Grossuti, Bidoli, Dettori ecc.
L'anno seguente, tanto per non smentire la ribellione precedente, l'anarchico Arturo Messinese, nel frattempo trasferito ad Ustica, schiaffeggia il direttore della colonia penale che voleva imporgli il saluto fascista. Tali azioni avevano il pregio di divenire "contagiose", essendosi rapidamente come in una sorta di "effetto domino" di colonia in colonia e di carcere in carcere. Casi storicamente rilevanti furono le rivolte di Ventotene e delle Tremiti, che andarono avanti nonostante ciò significasse il prolungamento della pena detentiva.
Gli anarchici, molto solidali fra loro, facevano circolare testi politici, dai quali si ingeneravano molte vivaci discussioni con i confinati di diversa ideologia politica. I rapporti più difficoltosi sono quelli fra anarchici e comunisti, in quanto molti di questi ultimi tentavano di applicare in modo draconiano le direttive di Stalin che invitavano, tanto per usare un eufemismo, ad "ostacolare" le ideologie e le iniziative Libertarie. L'acredine ha il culmine quando "scoppia" la Rivoluzione spagnola e giunge notizia della violenta repressione opera degli stalinisti contro anarchici e i comunisti internazionalisti. Inoltre, gli anarchici erano catalogati come i più pericolosi e sediziosi fra i confinati, soprattutto per via della loro istintiva ostilità verso ogni autoritarismo, determinando frequenti arbitrari incrementi di pena, che in molti casi arriveranno a prolungarsi fino alla caduta del fascismo e anche oltre.
Dopo l'8 settembre 1943, la smobilitazione delle colonie penali incredibilmente non riguarda gli anarchici ed altre militanti ritenuti pericolosi. Per loro non vi è alcun «liberi tutti», costretti a rimanere in carcere nonostante l'avvento del nuovo governo badogliano.
Alla caduta del fascismo, gli anarchici confinati a Ventotene non vengono liberati, bensì indirizzati verso il campo di concentramento di Renicci d'Anghiari , vicino ad Arezzo. Tra questi anche lo stesso Failla, che sarà uno dei protagonisti di una serie di rivolte tese alla ricerca della libertà che anche il nuovo governo stava loro negando (da ANPI) .
Il viaggio da Ventotene a Renicci secondo la testimonianza di Failla
Quando giunge il momento di lasciare Ventotene per Renicci d'Anghiari gli anarchici protestano per la mancata liberazione: Enrico Zambonini durante la sosta alla stazione di Arezzo si rifiuta di proseguire e viene portato in carcere (in seguito verrà fucilato a Reggio Emilia dai nazifascisti durante la Resistenza). Giunti a al "campo" di Renicci, vengono accolti da carabinieri e soldati armati di fucili con il colpo in canna, sviluppando violente discussioni con gli aguzzini e i loro ufficiali che prendono così ad insultarli. Marcello Bianconi e Arturo Messinese vengono segregati per aver urlato ai guardiani armati: «Sparate vigliacchi!».
Ci saranno molte rivolte contro il regime di controllo a cui veniva sottoposto il "campo" (erano presenti diverse centinaia di guardie fra carabinieri e soldati), forse addirittura ben peggiore di quanto succedeva all'epoca fascista, a cui partecipano anche molti partigiani jugoslavi ivi detenuti, tra cui anche diverse centinaia di minorenni . Il responsabile del campo, il maggiore Fiorenzuoli, insieme al tenente Panzacchi, si distingue per i metodi repressivi utilizzati, volti ad impedire anche le semplici discussioni tra detenuti di diverse sezioni. Questi ed altri ufficiali minacciavano e provocavano ripetutamente gli anarchici ed i detenuti politici, dimostrando che molti guardiani avevano mantenuto l'odio contro gli elementi di "sinistra" a cui erano stati indottrinati dal fascismo. Questo troverà in seguito conferma soprattutto in Sicilia , a Roma e in molte altre città, dimostrando una certa continuità di vedute tra il periodo fascista e quello immediatamente seguente.
Nel frattempo, gli anarchici riescono a conquistarsi la fiducia dei partigiani slavi, che prima li consideravano alla stregua di tutti gli italiani: «invasori della loro terra». Questa "alleanza" costringe il colonnello Pistone ad allentare la ferocia dei controlli, consentendo la comunicazione fra detenuti politici e raddoppiando la razione alimentare (costituita da pochi ettogrammi di pane e simil-minestre oppure una sorta di brodaglia di carote e/o patate che spesso causava pericolose epidemie di coliti e dissenteria). Nonostante tutto però, le ispezioni e l'arroganza dei "nuovi" gerarca badogliani sono sempre più intollerabili, sfociando spesso in episodi di ribellione.
Al "campo" è presente anche Emilio Canzi, che più volte tenterà di riportare la calma nel campo assumendosi il compito di allineare i compagni ogni mattina per l'appello, in cambio di una minor formalità di rito che invece esigevano le guardie del campo. La ferma decisione di Emilio Canzi, nonché la sua imponente statura fisica, convincono però gli "aguzzini" del campo ad accettare le modalità operative di quello che poi sarà il futuro comandante unico delle Brigate Partigiane della XIII° zona operativa del piacentino.
L'abbandono di Renicci
Quando oramai la fraternizzazione fra anarchici e slavi era ben salda e i fatti dell'8 settembre 1943 avevano portato alla nascita della Repubblica Sociale Italiana e della conseguente resistenza partigiana, gli internati decidono di riunirsi nei campi per valutare il da farsi anche perché le guardie più smaccatamente fasciste avevano assunto toni di arroganza intollerabili. Gli jugoslavi, militarmente più preparati dei nostri, propongono di valutare la possibilità di procurarsi delle armi, fuggire dal campo e aggregarsi ai partigiani. Nella sezione del campo in cui è presente Failla, la situazione viene esposta da Ganu Kriezju, albanese già compagno di detenzione degli anarchici a Ventotene. Le guardie, comandate dal maggiore Fiorenzuoli, decidono di sciogliere l'adunata sediziosa cominciando a sparare a salve sui detenuti in riunione, ma ben presto gli spari a salve vengono sostituiti da quelli delle mitragliatrici a causa del quale muoiono due uomini (un anarchico e uno slavo).
Failla, quando insieme ad altri compagni viene trasferito nella città di Arezzo (in mano ai nazisti), rendendosi conto che la situazione stava ormai precipitando, si appella all'umanità del tenente Rouep, l'uomo che comandava il trasferimento dei detenuti politici. Rouep, pur essendo fascista, s'era sempre distinto per gli atteggiamenti un pochino più rispettosi ed "umani" verso i detenuti, per questo quando Failla gli dice che trasferirli ad Arezzo significava condannarli a morte visto che la città toscana era sotto controllo dei tedeschi, Rouep mosso a "compassione", nei pressi di Firenze ferma la colonna di camion, fa scendere i prigionieri affidando a Failla e Mario Perelli, futuro comandante delle Brigate Anarchiche Bruzzi-Malatesta, sei prigionieri, di fatto concedendo loro la libertà. Bruciati i loro stessi documenti, che li identificavano come anarchici, si danno alla macchia verso le montagne alla ricerca delle brigate partigiane a cui potersi aggregare.
La lotta partigiana
Alcuni anarchici del gruppo avventurosamente si uniscono alle bande partigiane della zona, altri, come Emilio Canzi e Mario Perelli , si spostano in zone più lontane, altri ancora invece hanno una triste sorte, finendo catturati ed uccisi. Un gruppetto di loro riesce ad entrare nelle Brigate Partigiane operanti in Valdarno, collaborando con i CLN (Comitati Liberazione Nazionale) della zona. Qui, tra i personaggi più conosciuti vi era Beppone Livi, nome di battaglia "Unico", che fungeva da collegamento fra le cosiddette "Bande Esterne" , che insieme formeranno la Divisione Partigiani “Arezzo” e i CLN della zona toscana (Livi, già dall'ottobre del 1943, con la moglie Angiola Crociani, si era preso cura di procurare mezzi di sopravvivenza a 300 circa slavi evasi, ma dotati di armi che avevano trafugato durante la fuga, nascosti nella zona boscosa di Ponte alla Piera e di Pieve Santo Stefano). Alfonso Failla, spostandosi lungamente, combatterà nella Resistenza toscana, ligure e lombarda.
Il dopoguerra
Nel 1945, immediatamente dopo la Liberazione, Failla viene eletto presidente della Federazione Comunista Libertaria dell'Alta Italia Presente anche al Congresso di Carrara (15-19 settembre 1945) che darà vita alla Federazione Anarchica Italiana, Failla mantiene le proprie posizioni anarchiche fino agli anni '50, periodo in cui si assiste alla ristrutturazione della sinistra libertaria: i Gruppi Anarchici di Azione Proletaria si separarono dalla FAI ed in seguito alcuni di questi militanti poi confluiranno in Lotta Comunista.
Dall'inizio degli anni '70 Failla abbraccia le idee pacifiste ed antimilitariste che lo porteranno, insieme allo scrittore Carlo Cassola, ad essere tra i fondatori della Lega per il Disarmo Unilaterale dell'Italia.
Alfonso Failla muore nella "sua" Carrara all'età di 80 anni, nel 1986.
Note
- Nascita dei GAAP di Guido Barroero
Bibliografia
- Ugo Fedeli, Congressi e convegni (1944-1962) Federazione anarchica italiana, Edizioni libraria della FAI, 1963
- Insuscettibile di ravvedimento: l'anarchico Alfonso Failla (1906-1986): carte di polizia, scritti, testimonianze, a cura di Paolo Finzi, Ragusa, La fiaccola 1993
- Gaetano Manfredonia, La Resistenza sconosciuta, Pubblicato da Zero in condotta, 1995
- Umberto Marzocchi, Senza frontiere. Pensiero e azione dell'anarchico, 1900-1986, Milano, Zero in condotta, 2005
Pasquale Fancello (Dorgali, Nuoro, 3 novembre 1891 – Roma, 13 febbraio 1953), detto "Pascale Crodatzu", è stato un anarchico italiano e un antifascista attivo nella rivoluzione spagnola.
Biografia
Pasquale Fancello nasce a Dorgali (Nuoro) il 3 novembre 1891. Avvicinatosi alle idee di sinistra, viene ben presto schedato dalle autorità come «socialista estremista».
Di professione muratore, come molti altri sardi emigra all'estero in cerca di fortuna e lavoro: nel 1921 è in Belgio, poi per qualche periodo si trasferisce in Francia dove, il 26 aprile 1923, è oggetto di un decreto d'espulsione, in seguito al quale poi sarà condannato il 24 novembre 1929 a 15 giorni di carcere per non aver ottemperato a tali disposizioni. Nel 1929 risiede a Bray (Charleroi), dove diffonde il giornale anarchico «Bandiera Nera» (Bruxelles, 17 numeri dall'aprile 1929 al maggio 1931) pubblicato da Giuseppe Bifolchi .
Espulso del Belgio, si installa clandestinamente in Francia, a Brest, dove continua la sua militanza anarchica. Nel 1934 Fancello viene sospettato di avere progettatoun attentato contro la barca italiana Artiglio. Nella primavera dell'anno seguente, a Tolosa, viene attivamente ricercato dai servizi polizieschi italiani. Nel 1936, dopo le elezioni spagnole di febbraio a cui ha partecipato anche il "Fronte Popolare" e la presa di posizione dei compagni spagnoli, si pronuncia senza mezzi termini contro qualsiasi partecipazione dei libertari alle elezioni.
Durante la rivoluzione spagnola si sposta frequentemente in Spagna, dove peraltro è presente una cospicua colonia di anarchici sardi , dando il suo contributo alla lotta antifranchista in svariate maniere. A Tolosa è polemico con i comunisti italiani, in particolare con gli stalinisti, da lui considerati quasi più pericolosi dei fascisti stessi. Dopo gli eventi spagnoli del maggio 1937 (militarizzazione delle milizie e repressione di anarchici e comunisti non allineati) e fino alla Seconda guerra mondiale, scrive molte lettere a «L'Adunata dei Refrattari» (New York) per denunciare i crimini stalinisti, i processi contro i militanti del POUM e le derive nazionalistiche del comunismo internazionale.
Nel 1941 si hanno notizie della sua presenza in Belgio. Nel novembre di due anni lo troviamo a capo di 500 pastori e contadini intenti ad occupare i pascoli di Isalle e Orrule (Dorgali). Per riconoscere «il diritto alla terra a chi la lavora», il 22 novembre 1943 a Dorgali la popolazione occupa gli uffici municipali. Durante lo sgombero poliziesco un giovane contadino di 28 anni, Leonardo Masuri, viene colpito a morte da uno sparo partito da un fucile di un poliziotto.
Dopo la guerra, Pasquale Fancello si stabilisce definitivamente in Sardegna, dove, nel 1947, sostiene attivamente lo sciopero dei minatori del carbone del Sulcis-Iglesiente , per questo sarà arrestato insieme ad altri anarchici, tra cui Giuseppe Serra ed i fratelli Montecucco. Trasferitosi nella penisola nel 1950 con lo scopo di meglio collaborare con «Umanità Nova», viene condannato dal tribunale di Roma ad otto mesi di prigione per un articolo pubblicato sulla storica rivista anarchica a favore delle occupazioni delle terre.
Pasquale Fancello è morto a Roma il 13 febbraio 1953. Sulla sua tomba sta scritto il seguente epitaffio:
- «A Pasquale Fancello che, dalla natia Sardegna, diede alla causa degli oppressi i tesori della sua fede e del suo animo ribelle».
Note
Foto policíaca de Pasquale
Fancello
Pascale
Crodazzu
Necrològica de Pasquale
Fancello apareguda en el periòdic parisenc Solidaridad Obrera del 14 de març de 1953
Giuseppe Fanelli
Giuseppe Fanelli (Napoli, 13 ottobre 1827 - Nocera Inferiore, 5 gennaio 1877), inizialmente repubblicano rivoluzionario, divenne poi anarchico, membro della I Internazionale e propagandista dell'anarchismo in Spagna.
Biografia
Giuseppe Fanelli nacque a Napoli il 13 ottobre 1827 da Lelio (letterato, giureconsulto, agronomo, pedagogista, scrittore e geografo di fama) e Marianna Ribera. Cresciuto in un «ambiente di cultura spirituale, di agiatezza economica e di politiche aderenze», comincia a studiare architettura ma ben presto abbandona queste professioni per mettersi al servizio della rivoluzione. Da prima si schiera con Giuseppe Mazzini: partecipa ai combattimenti per la repubblica romana (1848-49) e nel 1857 è affianco di Carlo Pisacane nel tentativo rivoluzionario intrapreso nel sud Italia. Nonostante i fallimenti non si perde d'animo e nel 1860 con Garibaldi partecipa all'impresa dei mille. Amareggiato per l'esito monarchico-moderato dei moti risorgimentali, si allontana dalle idee garibaldine e si ritira a Martina Franca, dove la famiglia possedeva alcuni bene. Nel 1863 con L.Cairoli e Nullo andò a combattere in Polonia.
La svolta della sua vita la ebbe quando incontrò Bakunin a Ischia nel 1866, che lo porta a schierarsi con l'internazionalismo, il federalismo e l'anarchismo. Rompe ogni rapporto con Mazzini per via della sua idea centralista e autoritaria. Nell'aprile 1867, insieme a Saverio Friscia e Carlo Gambuzzi partecipa a Napoli alla costituzione del circolo «Libertà e Giustizia» e dell'omonimo giornale. Nel 1868 assiste a Berna (Svizzera) al "Congresso della Lega della Pace" quindi partecipa alla creazione dell'"Alleanza internazionale della Democrazia Socialista". Emissario di Bakunin, l'8 ottobre 1868 parte da Ginevra per la Spagna. Dopo un passaggio a Barcellona, arriva a Madrid dove comincia a diffondere le idee anarchiche. Costituisce in Spagna una sezione dell'Internazionale (sul programma dell'Alleanza) ed alcuni mesi più tardi (l'8 maggio 1869) ne fonda un'altra a Barcellona.
Tornato in Italia, Bakunin critica duramente il suo operato poiché, del tutto involontariamente, aveva fondato le sezioni dell'AIT col programma dell'Alleanza, ponendo le basi ideologiche dell'anarco-sindacalismo, cui tanto Bakunin quanto Malatesta si opponevano tenacemente poiché ritenevano che le due organizzazioni (operaia-sindacalista e politico-anarchica) andassero separate senza equivoci (dualismo organizzativo).
In seguito, nonostante il suo antiparlamentarismo non fosse affatto tentennante, si fa eleggere al Parlamento italiano su consiglio di Bakunin, in modo da poter contare su agevolazioni per viaggi e altri privilegi utili alla diffusione dell'anarchismo. Collabora alla nascita del periodico «La Campana» di Napoli, il 4 agosto 1872 prende parte a Rimini alla creazione di una Federazione italiana dell'Internazionale e, nel settembre 1872, al congresso antiautoritario di Saint-Imier.
Colpito da tubercolosi, malattia contratta in carcere, e da problemi psichici, Giuseppe Fanelli muore il 5 gennaio 1877 a Nocera Inferiore presso il locale ospedale psichiatrico. Giuseppe Fanelli è stato sepolto vicino a Vincenzo Pezza, a Napoli.
Note
- Si veda la posizione di Malatesta in merito alla questione anarco-sindacalista espressa nel Congresso di Amsterdam (1907)
Bibliografia
- C.Gambuzzi, Sulla tomba di Giuseppe Fanelli, parole di Carlo Gambuzzi, s.l., 6 gennaio 1877.
- C. Teofilatto, Fanelli dalla Giovine Italia all'Internazionale, in «Pensiero e Volontà», Roma, 1 agosto 1925.
- A.Lucarelli, Giuseppe Fanelli nella storia del Risorgimento e del socialismo italiano, De Vecchi, Trani, 1952.
Bakunin tra Giuseppe Fanelli (a sinistra) e Saverio Friscia (a destra).
Gruppo dei fondatori della I Internazionale, a Madrid (ottobre 1868). Fanelli è al centro con la lunga barba
Giuseppe Fanelli, Anarchist
Fanelli, alla sinistra di Bakunin, al congresso dell’internazionale di Basilea nel 1869
FANELLI, Giuseppe
Horst Fantazzini (Altenkessel, Germania, 4 marzo 1939 – Bologna, 24 dicembre 2001) è stato un anarchico illegalista-espropriatore e uno scrittore italiano. Biografia
Horst Fantazzini nacque ad Altenkessel (regione della Saar, Germania, al confine con la Francia) il 4 marzo 1939, da Alfonso "Libero" Fantazzini, partigiano anarchico bolognese, muratore; e Bertha Heinz, operaia. Horst significa "rifugio": questo nome fu scelto dal padre, rifugiato politico.
I primi anni di vita
Libero riuscì ad occuparsi a malapena della sua famiglia, costretto
in una condizione di eterno latitante, rapinatore per finanziare la
resistenza, era ricercato dalle polizie fasciste
di mezza Europa, Gestapo compresa. La sorella maggiore di Horst,
Pauline, fu spedita a Bologna dai parenti prima della fine della guerra.
Bertha cercò di sopravvivere e di mantenere il piccolo Horst lavorando
al mercato ortofrutticolo di giorno e cucendo borsellini di notte.
Trascorse i primi anni della sua vita sotto i bombardamenti, nel 1945 il suo ritorno in Italia
e il ricongiungimento con il resto della famiglia. Bologna era
distrutta. Questa esperienza devastante lo segnerà per tutta la vita.
Tentò un riscatto nel pugilato, e nel ciclismo che praticò con
ottimi risultati, vincendo gare regionali. Era anche un brillante
studente, amante della lettura, con ottimi voti nelle materie
umanistiche e in disegno. A causa delle condizioni economiche non agiate
della famiglia, sovrapponendo studi e lavoro venne assunto fin dal
compimento di 14 anni, come fattorino, operaio, impiegato. Ma la misera
paga e le condizioni umilianti di lavoro, lo indussero ad abbandonare la
vita del salariato per altre ambizioni.
L'illegalismo
Prima del "grande salto" compì una serie di furtarelli di biciclette e
moto, poi automobili. Fu fatalmente attratto dalla vicenda della Banda
Bonnot.
A 18 anni si sposò con Anna che ne aveva soltanto 17; per garantire alla
sua famigliola condizioni dignitose, ma anche la prima vacanza al mare
dopo anni di ristrettezze, compì una rapina con una pistola giocattolo
all'ufficio postale di Corticella. Venne arrestato sull'automobile
rubata, gli vennero inflitti 5 anni di carcere. Era il 1960.
Nel 1965
durante una licenza concepì il secondo figlio, ma a causa delle avverse
condizioni, Anna che soffriva di problemi di salute lo lasciò per
tornare nella sua città, Napoli, dove venne ricoverata per cure.
Horst di nuovo in libertà
definitiva lavorò per qualche tempo come pizzaiolo e barista, ma tornò a
rapinare le banche: fu la volta di una banca di Genova. Non riuscì,
perché venne arrestato prima di compiere il colpo. Trascorse qualche
mese in galera, durante i quali apprese che la madre era morta per
infarto, ma non gli consentirono di andare al suo funerale. Horst decise
di evadere per la prima volta usando il più classico dei modi: lenzuola
annodate. E decise che non avrebbe avuto mai più ripensamenti: ecco
perché e come diventò rapinatore.
Era il 1967, da mesi latitante, compì numerosi colpi nel nord Italia,
durante uno dei quali, dispiaciutosi per una cassiera svenuta (il
giorno seguente gli inviò un mazzo di rose tramite un'agenzia di
spedizioni) diventò "il bandito gentile"; poi decise di espatriare
rifugiandosi dai parenti in Germania. Tra il 1967 e il 1968
scrisse lettere di scherno alla polizia italiana, gli venne affibbiato
il nomignolo di "primula rossa". Cosa faceva il pericoloso bandito
ricercato dalle polizie di mezza Europa? Appena raggiunse Parigi, andò
al Louvre per vedere la Gioconda. Risiedeva a Mannheim in una lussuosa
villa con la sua giovane compagna... dandy raffinato, elegantissimo,
alla guida di macchine sportive, faceva la spola tra Francia, Germania e Italia incassando parecchi milioni che portava con sé nei voli aerei in prima classe.
Nel 1968 fu di nuovo arrestato, mentre cercava di rapinare una banca di Saint Tropez. Trascorse alcuni anni torturato e vessato nelle galere
francesi (dove vigevano regole particolarmente inumane, alcuni detenuti
furono ghigliottinati dopo una rivolta particolarmente violenta a
Clairveaux), fu rinchiuso nelle Baumettes a Marsiglia, tentò ancora di
evadere ad Aix en Provence con le catene ai polsi. Il "fratellino di Van
Gogh" non corse più per molto tempo. Da allora le porte della gabbia si
chiusero definitivamente: da quel momento non avrà mai più la libertà definitiva.
Horst continuava a sfottere i giudici, "gli ermellini da guardia"
durante le udienze, e per questo aggiunsero altri (molti) anni alla sua
carcerazione.
Nel 1972 per interessamento dell'avvocato Mario Giulio Leone venne estradato in Italia ritrovando sua moglie e i suoi figli, nel 1973 tentò di evadere dal carcere
di Fossano (Cuneo) ferendo tre guardie e tenendone sotto tiro altre
due, ma era un bluff: in realtà aveva soltanto una Mauser di piccolo
calibro, con pochissimi colpi in canna dei quali solo due rimasti dopo
il ferimento degli sbirri. Invece per lui si scatenò l'inferno: uscendo
dal carcere
con gli ostaggi, prima di riuscire a salire sull'agognata Giulietta che
lo porterà fuori dalle mura, venne aggredito dai cani lupo e ferito
quasi mortalmente con il fuoco dei tiratori scelti, si salvò per
miracolo proprio grazie ad un cane che gli si parò davanti. Rimase sordo
dall'orecchio destro, e probabilmente con micro-lesioni tali da causare
l'aneurisma che gli risulterà fatale.
Venne operato, ma non gli estrassero tutti i proiettili, che si porterà
in corpo per molti anni in una miriade di schegge e scheggine. Iniziò un
calvario fra i penitenziari di tutta Italia,
Horst "desaparecido" venne tenuto in infermerie poi dimesso e spedito
in un altro penitenziario, poi in un altro ancora, senza cure adeguate e
senza avvertire la famiglia e talvolta nemmeno l'avvocato.
Un anno dopo a Sulmona, nel 1974,
tentò di evadere di nuovo. Saltò il muro di cinta di cinque metri, coi
piedi fratturati si trascinò nella chiesa più vicina sequestrando il
prete, per chiedere in cambio di essere operato.
Proprio in quell'anno, 1974, nel carcere
di Alessandria una rivolta venne stroncata nel sangue, con sette
detenuti uccisi e 14 feriti: collaudo di una stagione di pugno di ferro.
Rapporti con gli anarchici
Nel 1975 Giorgio Bertani editore di Verona, grazie all'interessamento di Franca Rame (Soccorso Rosso) pubblicò Ormai è fatta!, cronaca di un'evasione" (recentemente ripubblicato da El Paso - Nautilus) resoconto minuzioso e lucidissimo di quel 23 luglio 1973
a Fossano, scritto da Horst con una macchina per scrivere in sole 48
ore. Al racconto di Horst venne aggiunta una bellissima appendice di
poesie che egli da sempre scriveva in cella.
Libero Fantazzini a Bologna affrontò a muso duro vari giornalisti
forcaioli, e occupò la Torre degli Asinelli per protestare contro lo Stato che imprigionava i compagni.
Erano anni intensi, di solidarietà
coi prigionieri; gli anarchici e molti compagni comunisti si
mobilitarono per Fantazzini. La sua compagna di allora Valeria Vecchi fu
condannata a 7 anni di carcere
per avere tentato di farlo evadere, e altri compagni dei collettivi di
supporto ai detenuti subirono pesanti condanne. Anche la tennista
anarchica Monica Giorgi rimase vittima di una feroce repressione, accusata di far parte di "Azione Rivoluzionaria",
poi assolta con formula piena.
A metà degli anni '70 grazie al generale Dalla Chiesa inaugurò il bunker
Fornelli dell'Asinara, dove vennero spediti tutti i ribelli, comunisti e anarchici.
Iniziò una collaborazione con tutti i compagni anche delle Brigate
Rosse e di Prima Linea, basata sull'amicizia e sulla solidarietà di
prigionieri nella situazione contingente. La leggenda poi riportata dai
giornali, che Horst sarebbe stato simpatizzante delle Brigate Rosse è
falsa: si avvicinò ai suoi militanti come uomo, ne era ideologicamente
troppo lontano e mai sposò la loro causa, ritenendosi sempre anarchico
individualista.
Nel 1978
dopo il feroce pestaggio della polizia che lo ridusse quasi in coma,
fece uscire clandestinamente e senza attendere il parere delle Brigate
Rosse il documento sulla rivolta dell'Asinara, poi pubblicato dalle
edizioni "Anarchismo" col titolo: Speciale Asinara.
Condivise un importante periodo di prigionia con Sante Notarnicola. Seguirono anni di carcere duro e di rivolte con le "moka esplosive" che facevano breccia nei muri, nei penitenziari di tutta Italia, da Trani a Termini Imerese, da Palmi a Varese, carcere
reso più "morbido" solo nel 1985 con l'abolizione del regime speciale
(simile al 41 bis odierno). Il pentitismo dilagante e l'eroina diffusa
anche fra compagni portarono, in un decennio, allo sgretolamento di
lotte, esistenze, pulsioni, corrispondenze e passioni, più di quanto
riuscirono a farlo i metodi coercitivi più cruenti.
Horst era contro le tossicodipendenze («chi ha la siringa
piantata al posto del cervello») e si dichiarò in varie occasioni contro
il pentitismo e i suoi fautori (con una serie di poesie molto amare) e
ribaltando un motto carcerario, affermò: «Sino a quando un uomo non si
rassegna è ancora recuperabile». Nel 1985
suo figlio maggiore venne incarcerato per quasi due anni sulla parola
di un balordo; il grande vecchio Libero Fantazzini non resse il colpo e
morì (la crudeltà dell'apparato repressivo non consentì a Horst di
andare al suo funerale); la sua compagna Maria Zazzi, anarchica
piacentina combattente della guerra di Spagna, lo seguirà nel 1993.
Gli anni '90
Nel 1989 Horst che non aveva mai perso il coraggio e la voglia di vivere, studiava nel carcere
di Busto Arsizio e stava per laurearsi in Letteratura presso la facoltà
di Bologna; ma l'antico amore per la fuga vinse quello sui libri e lo
indusse ad approfittare di una licenza per allontanarsi. Resterà
latitante per un anno, ripreso all'inizio del 1991
sul litorale romano (nonostante l'arresto sia avvenuto senza resistenza
da parte sua, mentre portava i cani a passeggio, venne dipinto dal
"Messaggero" come pericoloso terrorista) e trasferito nel carcere di
Alessandria, dopo un inutile tentativo di strappargli una confessione,
qui rimarrà per dieci anni, mantenendo corrispondenze, supportando tesi
di laurea e progetti di altri detenuti, e scrivendo bellissimi racconti
al computer che si guadagnò nel 1995
coi soldi del primo premio per un concorso letterario (racconto "L'uomo
cancellato"). Lavorava come grafico pubblicitario per il Comune di
Alessandria e produsse ottimi elaborati, locandine, panphlet, ma
soprattutto disegni di fantasia che vennero esposti in alcune mostre a
Bologna ed altre città. Fu proprio nel carcere di Alessandria che iniziò
la sua relazione con Patrizia Diamante "Pralina" (come racconta L'ultimo colpo di Horst Fantazzini e l'articolo pubblicato da Ristretti Orizzonti).
Varie vicende giudiziarie causate da un processo fondato su un teorema
accusatorio, che ipotizzava la sua partecipazione ad una fantomatica
formazione eversiva, impedirono che ottenesse le prime licenze.
Nel 1999 fu trasferito a Bologna, la libertà si avvicinava per merito di un film: Ormai è fatta!
(regia di Enzo Monteleone) liberamente tratto dal suo libro, di cui
Horst approvò la sceneggiatura, e di una campagna per la sua liberazione
messa in atto dalla sua ultima compagna, Pralina (fondatrice del
Comitato per la liberazione di Horst Fantazzini) e dal figlio maggiore,
che coinvolse tutto il movimento anarchico e portò la storia di Horst a
conoscenza di molte persone. Molti giornalisti intervistarono Horst,
l'intervista più lunga e completa fu realizzata per una puntata del
Maurizio Costanzo Show, qui viene proposta la versione integrale.
Riportiamo qui anche le interviste pubblicate sui settimanali Boxer e
Avvenimenti, quest'ultima fu poi mandata in onda su TeleMontecarlo. Case
editrici importanti s'interessarono della ripubblicazione del suo
libro, che Horst avrebbe riproposto volentieri con una grossa casa
editrice come Feltrinelli, Einaudi o Baldini&Castoldi. Anche alla
Dozza le condizioni di carcerazione sono difficili, i metodi arbitrari:
gli venne rifiutato un lavoro. Horst accettò per un certo periodo di
fare parte della redazione di "May day", e con la sua esperienza di
grafico impaginatore produsse magnifici elaborati per la tipografia dei
detenuti, come il libro di ricette di cucina a tiratura limitata Un curioso viaggio tra cibo e cultura.
Il suo avvocato Luca Petrucci raccogliendo l'istanza di Horst,
inoltrò la richiesta di grazia. Uscirono varie interviste. Ci furono due
interrogazioni parlamentari, una a cura di Ersilia Salvato, l'altra di
Paolo Cento. Gli vennero concesse le prime licenze. Poi la semilibertà.
Abitava insieme a Pralina e circondato dai suoi cari, nella casa in via
Roncrio che costruì suo padre Libero. Difficile trovargli un lavoro,
poiché considerato un "soggetto poco affidabile" anche dai suoi stessi
compagni di fede che lo guardavano con simpatia ma anche con diffidenza.
Ad ogni modo nel 2001
per interessamento dei "compagni comunisti" lavorava come magazziniere
presso Altercoop, che si occupa di carta riciclata. Un lavoro dignitoso e
stimato dai colleghi, ma che per regolamento non era remunerato dalla
cooperativa bensì dagli stessi carcerieri (i quali spesso lo facevano
aspettare per riscuotere lo stipendio), certamente inadatto alle sue
condizioni fisiche e alla sua propensione, fantasia e straordinaria
abilità tecnica a usare il computer, ma era l'unico lavoro disponibile
ed era, soprattutto, l'unica condizione per uscire dal carcere.
Nonostante il vigore fisico e lo spirito incandescente che Horst
conservava, dopo tanti anni di carcerazione, le sue condizioni di salute
subirono un netto, progressivo peggioramento. Non avendo il diritto ad
avere un medico della mutua, poiché tutto per un semilibero passa
attraverso l'istituto penitenziario, non gli era possibile farsi
prescrivere farmaci da "esterno", e l'ipotesi di venire ricoverato
poteva tradursi in un piantonamento in ospedale, oppure, in un ritorno
in cella.
Ultime vicissitudini
Il 19 dicembre 2001
tentò di rapinare la sua ultima banca, che in realtà era stata una
delle prime, quella Agricola e Mantovana di Porta Mascarella, insieme al
suo complice C.T., suo "fratello" e amico di sempre. Venne preso prima
di entrare nell'agenzia, paludato da un bavero rialzato e un berretto
calato, mentre tentava una disperata fuga in bicicletta,
nelle sue tasche un cutter e un collant... nel giro di poche ore con
una violenza incredibile venne distrutto quel fragile sogno costruito
con amore... perquisita la sua abitazione, sbattuto in carcere con
sospetto di "terrorismo", alla sua compagna -perché non erano sposati
ufficialmente- oltre allo shock indescrivibile, si aggiunse un altro
problema non facilmente risolvibile, per raggiungerlo a colloquio:
quello di definire la sua posizione davanti al giudice. Ma non ci fu
tempo per aspettare il responso che avrebbe ricongiunto i due amanti:
con le feste natalizie vengono chiusi i verbali dei burocrati.
Nonostante non sia avvenuto alcun pestaggio (i lividi sul corpo
erano causati dalla sua fragilità capillare) le condizioni di salute
aggravate dallo stress dell'arresto lo portarono rapidamente alla morte,
sopraggiunta nell'infermeria della Dozza, il 24 dicembre
alle 19.20 per aneurisma aortico addominale.
Durante l'udienza del processo per direttissima che confermò l'arresto,
al suo avvocato, sapendosi alla fine, aveva detto che voleva "lasciare
la casa a Pralina".
I funerali in forma civile con musica e bandiere (come aveva chiesto) vennero celebrati alla Certosa di Bologna, il 29 dicembre 2001, mentre alla stessa ora, avveniva un presidio di protesta sotto il carcere della Dozza.
Venne cremato, per suo espresso desiderio: l'unico che fu rispettato.
La sua vicenda giudiziaria: per una serie interminabile di
procedimenti in corso, aggravati da «finalità di terrorismo», senza
contare il resto delle condanne con aggiunta di altri anni di
carcerazione che avrebbero potuto comminargli (secondo verbali del
Ministero dell'Interno, reperiti da Enzo Monteleone nel 1999), nel febbraio 2017 era stabilito il "fine pena". Per ipotetica somma si sarebbe potuto arrivare al 2024, ma Horst ha deciso di evadere una volta per tutte.
Citazioni
Di Horst Fantazzini:
- «Esistono tante carceri, il carcere scuola, il carcere fabbrica,
il carcere famiglia: sono le carceri del nostro vivere quotidiano, e
tutte hanno lo scopo di plagiarci la vita, di rubarci l'esistenza».
- «Distruggere è facile, può essere anche divertente. Ma costruire è
mille volte più difficile, per costruire ci vuole molta più
intelligenza, molta più forza».
Su Horst Fantazzini:
- «Horst è anarchico per DNA, dal padre Libero, dal nonno Raffaele socialista libertario» (Patrizia “Pralina” Diamante)
- «Horst non ha mai parlato di odio, ma di amore. La parola odio non esisteva nel suo vocabolario.» (Patrizia “Pralina” Diamante)
- «Si è sempre definito anarchico. Ma liberamente anarchico, senza definizioni.» (Patrizia “Pralina” Diamante)
Note
- Leggi la testimonianza di Sabatino Catapano.
Fonte: www.horstfantazzini.net
Bibliografia
- "Ormai è fatta!” cronaca di un'evasione, ed. Bertani Verona, 1976.
- L'ipotesi armata, capitolo La settimana rossa. I prigionieri del campo di concentramento dell'Asinara, ed. Anarchismo, 1979.
- Inserto di Liberarsi dalla necessità del carcere: testo
integrale dell'intervista a Horst Fantazzini realizzata per il Maurizio
Costanzo Show, a cura del Comitato per la liberazione di Horst
Fantazzini, 1999.
- Klaus Schoenberg, La rapina in banca. Storia. Teoria. Pratica. Saggio sulla rapina in banca, da Bonnie & Clyde a Horst Fantazzini, DeriveApprodi – 2003.
- Patrizia “Pralina” Diamante, L'ultimo colpo di Horst Fantazzini, Stampa Alternativa, 2003.
Filmografia
- Ormai è fatta, regia di Enzo Monteleone, con Stefano Accorsi, distribuito dalla Columbia Italia – 1999.
Biografia
Horst Fantazzini nacque ad Altenkessel (regione della Saar, Germania, al confine con la Francia) il 4 marzo 1939, da Alfonso "Libero" Fantazzini, partigiano anarchico bolognese, muratore; e Bertha Heinz, operaia. Horst significa "rifugio": questo nome fu scelto dal padre, rifugiato politico.
I primi anni di vita
Libero riuscì ad occuparsi a malapena della sua famiglia, costretto in una condizione di eterno latitante, rapinatore per finanziare la resistenza, era ricercato dalle polizie fasciste di mezza Europa, Gestapo compresa. La sorella maggiore di Horst, Pauline, fu spedita a Bologna dai parenti prima della fine della guerra. Bertha cercò di sopravvivere e di mantenere il piccolo Horst lavorando al mercato ortofrutticolo di giorno e cucendo borsellini di notte.
Trascorse i primi anni della sua vita sotto i bombardamenti, nel 1945 il suo ritorno in Italia e il ricongiungimento con il resto della famiglia. Bologna era distrutta. Questa esperienza devastante lo segnerà per tutta la vita.
Tentò un riscatto nel pugilato, e nel ciclismo che praticò con ottimi risultati, vincendo gare regionali. Era anche un brillante studente, amante della lettura, con ottimi voti nelle materie umanistiche e in disegno. A causa delle condizioni economiche non agiate della famiglia, sovrapponendo studi e lavoro venne assunto fin dal compimento di 14 anni, come fattorino, operaio, impiegato. Ma la misera paga e le condizioni umilianti di lavoro, lo indussero ad abbandonare la vita del salariato per altre ambizioni.
L'illegalismo
Prima del "grande salto" compì una serie di furtarelli di biciclette e moto, poi automobili. Fu fatalmente attratto dalla vicenda della Banda Bonnot. A 18 anni si sposò con Anna che ne aveva soltanto 17; per garantire alla sua famigliola condizioni dignitose, ma anche la prima vacanza al mare dopo anni di ristrettezze, compì una rapina con una pistola giocattolo all'ufficio postale di Corticella. Venne arrestato sull'automobile rubata, gli vennero inflitti 5 anni di carcere. Era il 1960.
Nel 1965 durante una licenza concepì il secondo figlio, ma a causa delle avverse condizioni, Anna che soffriva di problemi di salute lo lasciò per tornare nella sua città, Napoli, dove venne ricoverata per cure.
Horst di nuovo in libertà definitiva lavorò per qualche tempo come pizzaiolo e barista, ma tornò a rapinare le banche: fu la volta di una banca di Genova. Non riuscì, perché venne arrestato prima di compiere il colpo. Trascorse qualche mese in galera, durante i quali apprese che la madre era morta per infarto, ma non gli consentirono di andare al suo funerale. Horst decise di evadere per la prima volta usando il più classico dei modi: lenzuola annodate. E decise che non avrebbe avuto mai più ripensamenti: ecco perché e come diventò rapinatore.
Era il 1967, da mesi latitante, compì numerosi colpi nel nord Italia, durante uno dei quali, dispiaciutosi per una cassiera svenuta (il giorno seguente gli inviò un mazzo di rose tramite un'agenzia di spedizioni) diventò "il bandito gentile"; poi decise di espatriare rifugiandosi dai parenti in Germania. Tra il 1967 e il 1968 scrisse lettere di scherno alla polizia italiana, gli venne affibbiato il nomignolo di "primula rossa". Cosa faceva il pericoloso bandito ricercato dalle polizie di mezza Europa? Appena raggiunse Parigi, andò al Louvre per vedere la Gioconda. Risiedeva a Mannheim in una lussuosa villa con la sua giovane compagna... dandy raffinato, elegantissimo, alla guida di macchine sportive, faceva la spola tra Francia, Germania e Italia incassando parecchi milioni che portava con sé nei voli aerei in prima classe.
Nel 1968 fu di nuovo arrestato, mentre cercava di rapinare una banca di Saint Tropez. Trascorse alcuni anni torturato e vessato nelle galere francesi (dove vigevano regole particolarmente inumane, alcuni detenuti furono ghigliottinati dopo una rivolta particolarmente violenta a Clairveaux), fu rinchiuso nelle Baumettes a Marsiglia, tentò ancora di evadere ad Aix en Provence con le catene ai polsi. Il "fratellino di Van Gogh" non corse più per molto tempo. Da allora le porte della gabbia si chiusero definitivamente: da quel momento non avrà mai più la libertà definitiva.
Horst continuava a sfottere i giudici, "gli ermellini da guardia" durante le udienze, e per questo aggiunsero altri (molti) anni alla sua carcerazione.
Nel 1972 per interessamento dell'avvocato Mario Giulio Leone venne estradato in Italia ritrovando sua moglie e i suoi figli, nel 1973 tentò di evadere dal carcere di Fossano (Cuneo) ferendo tre guardie e tenendone sotto tiro altre due, ma era un bluff: in realtà aveva soltanto una Mauser di piccolo calibro, con pochissimi colpi in canna dei quali solo due rimasti dopo il ferimento degli sbirri. Invece per lui si scatenò l'inferno: uscendo dal carcere con gli ostaggi, prima di riuscire a salire sull'agognata Giulietta che lo porterà fuori dalle mura, venne aggredito dai cani lupo e ferito quasi mortalmente con il fuoco dei tiratori scelti, si salvò per miracolo proprio grazie ad un cane che gli si parò davanti. Rimase sordo dall'orecchio destro, e probabilmente con micro-lesioni tali da causare l'aneurisma che gli risulterà fatale. Venne operato, ma non gli estrassero tutti i proiettili, che si porterà in corpo per molti anni in una miriade di schegge e scheggine. Iniziò un calvario fra i penitenziari di tutta Italia, Horst "desaparecido" venne tenuto in infermerie poi dimesso e spedito in un altro penitenziario, poi in un altro ancora, senza cure adeguate e senza avvertire la famiglia e talvolta nemmeno l'avvocato.
Un anno dopo a Sulmona, nel 1974, tentò di evadere di nuovo. Saltò il muro di cinta di cinque metri, coi piedi fratturati si trascinò nella chiesa più vicina sequestrando il prete, per chiedere in cambio di essere operato. Proprio in quell'anno, 1974, nel carcere di Alessandria una rivolta venne stroncata nel sangue, con sette detenuti uccisi e 14 feriti: collaudo di una stagione di pugno di ferro.
Rapporti con gli anarchici
Nel 1975 Giorgio Bertani editore di Verona, grazie all'interessamento di Franca Rame (Soccorso Rosso) pubblicò Ormai è fatta!, cronaca di un'evasione" (recentemente ripubblicato da El Paso - Nautilus) resoconto minuzioso e lucidissimo di quel 23 luglio 1973 a Fossano, scritto da Horst con una macchina per scrivere in sole 48 ore. Al racconto di Horst venne aggiunta una bellissima appendice di poesie che egli da sempre scriveva in cella. Libero Fantazzini a Bologna affrontò a muso duro vari giornalisti forcaioli, e occupò la Torre degli Asinelli per protestare contro lo Stato che imprigionava i compagni. Erano anni intensi, di solidarietà coi prigionieri; gli anarchici e molti compagni comunisti si mobilitarono per Fantazzini. La sua compagna di allora Valeria Vecchi fu condannata a 7 anni di carcere per avere tentato di farlo evadere, e altri compagni dei collettivi di supporto ai detenuti subirono pesanti condanne. Anche la tennista anarchica Monica Giorgi rimase vittima di una feroce repressione, accusata di far parte di "Azione Rivoluzionaria", poi assolta con formula piena. A metà degli anni '70 grazie al generale Dalla Chiesa inaugurò il bunker Fornelli dell'Asinara, dove vennero spediti tutti i ribelli, comunisti e anarchici. Iniziò una collaborazione con tutti i compagni anche delle Brigate Rosse e di Prima Linea, basata sull'amicizia e sulla solidarietà di prigionieri nella situazione contingente. La leggenda poi riportata dai giornali, che Horst sarebbe stato simpatizzante delle Brigate Rosse è falsa: si avvicinò ai suoi militanti come uomo, ne era ideologicamente troppo lontano e mai sposò la loro causa, ritenendosi sempre anarchico individualista.
Nel 1978 dopo il feroce pestaggio della polizia che lo ridusse quasi in coma, fece uscire clandestinamente e senza attendere il parere delle Brigate Rosse il documento sulla rivolta dell'Asinara, poi pubblicato dalle edizioni "Anarchismo" col titolo: Speciale Asinara. Condivise un importante periodo di prigionia con Sante Notarnicola. Seguirono anni di carcere duro e di rivolte con le "moka esplosive" che facevano breccia nei muri, nei penitenziari di tutta Italia, da Trani a Termini Imerese, da Palmi a Varese, carcere reso più "morbido" solo nel 1985 con l'abolizione del regime speciale (simile al 41 bis odierno). Il pentitismo dilagante e l'eroina diffusa anche fra compagni portarono, in un decennio, allo sgretolamento di lotte, esistenze, pulsioni, corrispondenze e passioni, più di quanto riuscirono a farlo i metodi coercitivi più cruenti.
Horst era contro le tossicodipendenze («chi ha la siringa piantata al posto del cervello») e si dichiarò in varie occasioni contro il pentitismo e i suoi fautori (con una serie di poesie molto amare) e ribaltando un motto carcerario, affermò: «Sino a quando un uomo non si rassegna è ancora recuperabile». Nel 1985 suo figlio maggiore venne incarcerato per quasi due anni sulla parola di un balordo; il grande vecchio Libero Fantazzini non resse il colpo e morì (la crudeltà dell'apparato repressivo non consentì a Horst di andare al suo funerale); la sua compagna Maria Zazzi, anarchica piacentina combattente della guerra di Spagna, lo seguirà nel 1993.
Gli anni '90
Nel 1989 Horst che non aveva mai perso il coraggio e la voglia di vivere, studiava nel carcere di Busto Arsizio e stava per laurearsi in Letteratura presso la facoltà di Bologna; ma l'antico amore per la fuga vinse quello sui libri e lo indusse ad approfittare di una licenza per allontanarsi. Resterà latitante per un anno, ripreso all'inizio del 1991 sul litorale romano (nonostante l'arresto sia avvenuto senza resistenza da parte sua, mentre portava i cani a passeggio, venne dipinto dal "Messaggero" come pericoloso terrorista) e trasferito nel carcere di Alessandria, dopo un inutile tentativo di strappargli una confessione, qui rimarrà per dieci anni, mantenendo corrispondenze, supportando tesi di laurea e progetti di altri detenuti, e scrivendo bellissimi racconti al computer che si guadagnò nel 1995 coi soldi del primo premio per un concorso letterario (racconto "L'uomo cancellato"). Lavorava come grafico pubblicitario per il Comune di Alessandria e produsse ottimi elaborati, locandine, panphlet, ma soprattutto disegni di fantasia che vennero esposti in alcune mostre a Bologna ed altre città. Fu proprio nel carcere di Alessandria che iniziò la sua relazione con Patrizia Diamante "Pralina" (come racconta L'ultimo colpo di Horst Fantazzini e l'articolo pubblicato da Ristretti Orizzonti). Varie vicende giudiziarie causate da un processo fondato su un teorema accusatorio, che ipotizzava la sua partecipazione ad una fantomatica formazione eversiva, impedirono che ottenesse le prime licenze.
Nel 1999 fu trasferito a Bologna, la libertà si avvicinava per merito di un film: Ormai è fatta! (regia di Enzo Monteleone) liberamente tratto dal suo libro, di cui Horst approvò la sceneggiatura, e di una campagna per la sua liberazione messa in atto dalla sua ultima compagna, Pralina (fondatrice del Comitato per la liberazione di Horst Fantazzini) e dal figlio maggiore, che coinvolse tutto il movimento anarchico e portò la storia di Horst a conoscenza di molte persone. Molti giornalisti intervistarono Horst, l'intervista più lunga e completa fu realizzata per una puntata del Maurizio Costanzo Show, qui viene proposta la versione integrale. Riportiamo qui anche le interviste pubblicate sui settimanali Boxer e Avvenimenti, quest'ultima fu poi mandata in onda su TeleMontecarlo. Case editrici importanti s'interessarono della ripubblicazione del suo libro, che Horst avrebbe riproposto volentieri con una grossa casa editrice come Feltrinelli, Einaudi o Baldini&Castoldi. Anche alla Dozza le condizioni di carcerazione sono difficili, i metodi arbitrari: gli venne rifiutato un lavoro. Horst accettò per un certo periodo di fare parte della redazione di "May day", e con la sua esperienza di grafico impaginatore produsse magnifici elaborati per la tipografia dei detenuti, come il libro di ricette di cucina a tiratura limitata Un curioso viaggio tra cibo e cultura.
Il suo avvocato Luca Petrucci raccogliendo l'istanza di Horst, inoltrò la richiesta di grazia. Uscirono varie interviste. Ci furono due interrogazioni parlamentari, una a cura di Ersilia Salvato, l'altra di Paolo Cento. Gli vennero concesse le prime licenze. Poi la semilibertà. Abitava insieme a Pralina e circondato dai suoi cari, nella casa in via Roncrio che costruì suo padre Libero. Difficile trovargli un lavoro, poiché considerato un "soggetto poco affidabile" anche dai suoi stessi compagni di fede che lo guardavano con simpatia ma anche con diffidenza.
Ad ogni modo nel 2001 per interessamento dei "compagni comunisti" lavorava come magazziniere presso Altercoop, che si occupa di carta riciclata. Un lavoro dignitoso e stimato dai colleghi, ma che per regolamento non era remunerato dalla cooperativa bensì dagli stessi carcerieri (i quali spesso lo facevano aspettare per riscuotere lo stipendio), certamente inadatto alle sue condizioni fisiche e alla sua propensione, fantasia e straordinaria abilità tecnica a usare il computer, ma era l'unico lavoro disponibile ed era, soprattutto, l'unica condizione per uscire dal carcere. Nonostante il vigore fisico e lo spirito incandescente che Horst conservava, dopo tanti anni di carcerazione, le sue condizioni di salute subirono un netto, progressivo peggioramento. Non avendo il diritto ad avere un medico della mutua, poiché tutto per un semilibero passa attraverso l'istituto penitenziario, non gli era possibile farsi prescrivere farmaci da "esterno", e l'ipotesi di venire ricoverato poteva tradursi in un piantonamento in ospedale, oppure, in un ritorno in cella.
Ultime vicissitudini
Il 19 dicembre 2001 tentò di rapinare la sua ultima banca, che in realtà era stata una delle prime, quella Agricola e Mantovana di Porta Mascarella, insieme al suo complice C.T., suo "fratello" e amico di sempre. Venne preso prima di entrare nell'agenzia, paludato da un bavero rialzato e un berretto calato, mentre tentava una disperata fuga in bicicletta, nelle sue tasche un cutter e un collant... nel giro di poche ore con una violenza incredibile venne distrutto quel fragile sogno costruito con amore... perquisita la sua abitazione, sbattuto in carcere con sospetto di "terrorismo", alla sua compagna -perché non erano sposati ufficialmente- oltre allo shock indescrivibile, si aggiunse un altro problema non facilmente risolvibile, per raggiungerlo a colloquio: quello di definire la sua posizione davanti al giudice. Ma non ci fu tempo per aspettare il responso che avrebbe ricongiunto i due amanti: con le feste natalizie vengono chiusi i verbali dei burocrati.
Nonostante non sia avvenuto alcun pestaggio (i lividi sul corpo erano causati dalla sua fragilità capillare) le condizioni di salute aggravate dallo stress dell'arresto lo portarono rapidamente alla morte, sopraggiunta nell'infermeria della Dozza, il 24 dicembre alle 19.20 per aneurisma aortico addominale. Durante l'udienza del processo per direttissima che confermò l'arresto, al suo avvocato, sapendosi alla fine, aveva detto che voleva "lasciare la casa a Pralina".
I funerali in forma civile con musica e bandiere (come aveva chiesto) vennero celebrati alla Certosa di Bologna, il 29 dicembre 2001, mentre alla stessa ora, avveniva un presidio di protesta sotto il carcere della Dozza.
Venne cremato, per suo espresso desiderio: l'unico che fu rispettato.
La sua vicenda giudiziaria: per una serie interminabile di procedimenti in corso, aggravati da «finalità di terrorismo», senza contare il resto delle condanne con aggiunta di altri anni di carcerazione che avrebbero potuto comminargli (secondo verbali del Ministero dell'Interno, reperiti da Enzo Monteleone nel 1999), nel febbraio 2017 era stabilito il "fine pena". Per ipotetica somma si sarebbe potuto arrivare al 2024, ma Horst ha deciso di evadere una volta per tutte.
Citazioni
Di Horst Fantazzini:
- «Esistono tante carceri, il carcere scuola, il carcere fabbrica, il carcere famiglia: sono le carceri del nostro vivere quotidiano, e tutte hanno lo scopo di plagiarci la vita, di rubarci l'esistenza».
- «Distruggere è facile, può essere anche divertente. Ma costruire è mille volte più difficile, per costruire ci vuole molta più intelligenza, molta più forza».
Su Horst Fantazzini:
- «Horst è anarchico per DNA, dal padre Libero, dal nonno Raffaele socialista libertario» (Patrizia “Pralina” Diamante)
- «Horst non ha mai parlato di odio, ma di amore. La parola odio non esisteva nel suo vocabolario.» (Patrizia “Pralina” Diamante)
- «Si è sempre definito anarchico. Ma liberamente anarchico, senza definizioni.» (Patrizia “Pralina” Diamante)
Note
- Leggi la testimonianza di Sabatino Catapano.
Bibliografia
- "Ormai è fatta!” cronaca di un'evasione, ed. Bertani Verona, 1976.
- L'ipotesi armata, capitolo La settimana rossa. I prigionieri del campo di concentramento dell'Asinara, ed. Anarchismo, 1979.
- Inserto di Liberarsi dalla necessità del carcere: testo integrale dell'intervista a Horst Fantazzini realizzata per il Maurizio Costanzo Show, a cura del Comitato per la liberazione di Horst Fantazzini, 1999.
- Klaus Schoenberg, La rapina in banca. Storia. Teoria. Pratica. Saggio sulla rapina in banca, da Bonnie & Clyde a Horst Fantazzini, DeriveApprodi – 2003.
- Patrizia “Pralina” Diamante, L'ultimo colpo di Horst Fantazzini, Stampa Alternativa, 2003.
Filmografia
- Ormai è fatta, regia di Enzo Monteleone, con Stefano Accorsi, distribuito dalla Columbia Italia – 1999.
Horst Fantazzini by Patrizia "Pralina" Diamante
Ugo Fedeli (Milano, 8 maggio 1898 - Ivrea, 10 marzo 1964), è stato un propagandista e anarchico italiano, compagno di Clelia Premoli.
Biografia
Ugo Fedeli nacque a Milano l'8 maggio 1898, morì ad Ivrea il 10 marzo 1964 ed era conosciuto anche sotto i falsi nomi di "Hugo Treni" e "G. Renti".
Aveva cominciato a lavorare molto giovane e non completerà la sua formazione professionale se non seguendo dei corsi serali di una scuola tecnica. Subito membro di gruppi di giovani libertari di Milano che animano, all'epoca della guerra di Libia, una campagna antimilitarista, diventa l'amico di qualche militante appena più grande di lui, come Francesco Ghezzi e Carlo Molaschi.
Formatosi nell'ambito degli individualisti, maggioritario a Milano a quest'epoca, dove i principali rappresentanti erano Carlo Molaschi, Leda Rafanelli e Giuseppe Monnanni, Ugo Fedeli partecipò alle lotte sociali e la sua partecipazione nel 1913 a uno sciopero organizzato dall'USI
gli valse il suo primo arresto e la schedatura da parte della polizia
come «pericoloso anarchico». Alla vigilia della Prima guerra mondiale
era, insieme a Mantovani, Franceschelli, Monteverdi, Rafanelli e
Molaschi, uno dei redattori del giornale «Il Ribelle» (Milano, 9 numeri dal 24 ottobre 1914 al 20 marzo 1915) di cui il responsabile era Giovanni Fontanelli, che appoggiava gli anarchici non interventisti, laddove Fedeli pubblicò il suo primo articolo Abbasso la guerra. Era, in quest'epoca, perseguitato a più riprese a causa delle sue azioni antimilitariste.
Nel 1917, dopo aver lavorato per qualche mese come operaio per i militari, fu chiamato sotto le armi e molto presto, in nome dei principi tolstojani, disertava. Rifugiatosi in Svizzera, laddove ritrovava numerosi militanti milanesi, lì era implicato nel complotto detto «delle bombe di Zurigo» (insieme ad altri anarchici, tra cui Bruno Misefari e Giuseppe Monnanni) ma veniva rilasciato dopo qualche settimana di carcere. Tornato in Italia nel novembre del 1919, era amnistiato nel 1920.
Nel luglio del 1920 si sposava con Clelia Premoli che aveva conosciuto prima della guerra e che gli resterà accanto per tutta la vita. Fu in seguito uno dei fondatori e corrispondenti di «Umanità Nova», poi membro della redazione della rivista «Nichilismo» (Milano, dal 5 aprile 1920 al 5 marzo 1921), organo dei militanti individualisti, di cui il gestore era Giuseppe Invernizzi. Fondava, successivamente, subito dopo l'attentato del Teatro Diana, la rivista «L'individualista» (Milano, 4 numeri dal 1° febbraio al 16 marzo 1921), di cui il responsabile era Eugenio Macchi e i redattori Francesco Ghezzi, Pietro Bruzzi e lo stesso Fedeli). Egli era tra la moltitudine degli anarchici ricercato in quanto tale e non certo perché coinvolto nella strage del Diana. Fedeli fu costretto ad intraprendere un lungo viaggio che attraverso la Svizzera e Berlino lo condusse in qualche settimana prima a Pietrogrado, poi a Mosca. Durante il soggiorno in Russia, mantenne un rapporto epistolare con la moglie Clelia, sino a quando, tra la fine del 1921 e l'inizio del 1922, i due si ritrovarono a Berlino, dove Fedeli era riparato, insieme a Pietro Bruzzi, uno dei suoi vecchi collaboratori, per partecipare al Congresso internazionale anarchico. Molto presto incontrerà Francesco Ghezzi, con cui, e sotto il falso nome di “Alfred Fidler” entrò a Mosca, dove con Ghezzi e Bruzzi, rappresentava l'USI al congresso dell'Internazionale Sindacale Rossa (ISR). Alloggiato all'hotel Lux, incontrerà Alexander Berkman, Emma Goldman e qualche altro militante russo ancora in libertà. Poi ritornò presto a Berlino, dove partecipava come delegato degli anarchici russi al congresso di fondazione dell'Internazionale anarcosindacalista (25 dicembre 1922-2 gennaio 1923) che gli varrà l'arresto.
Dopo aver lavorato a Berlino come carbonaio e poi in una tipografia, partiva nel 1924 alla volta di Parigi dove frequentò molti compagni russi esiliati tra i quali Nestor Makhno e Voline. S'incontrò con molti esuli antifascisti e anarchici italiani e partecipò al dibattito sulla Piattaforma d'Organizzazione dell'Unione Generale degli Anarchici (detta anche "Piattaforma di Arshinov"). Era con Sébastien Faure, Ferrandel e Buenaventura Durruti uno dei fondatori della "Libreria Internazionale", delle "Edizioni anarchiche" e della «Rivista Internazionale Anarchica» (Parigi, 8 numeri dal novembre 1924 al 15 giugno 1925), dov'era in particolare responsabile della parte italiana di questa rivista trilingue, avvalendosi della collaborazione di Virgilio Gozzoli e Tintino Rasi. Partecipava ugualmente alle campagne in favore dei militanti – di cui Francesco Ghezzi – imprigionati in Russia, come anche a quelle a favore di Mario Castagna e Ernesto Bonomini , Sacco e Vanzetti. ecc.
In seguito all'attentato commesso in giugno del 1924 dai fascisti contro Giacomo Matteotti, fu costituito a Parigi un "Comitato d'azione antifascista", che riuniva socialisti, repubblicani e anarchici; questi ultimi erano rappresentati da Ugo Fedeli, Erasmo Abate (vale a dire H.Rolland), Alberto Meschi e Armando Borghi. Collaborò allo stesso modo, all'Enciclopedia anarchica di Sébastien Faure.
Espulso dalla Francia e successivamente dal Belgio (dove insieme a Clelia avevano stampato a marzo ed aprile gli ultimi due numeri de La Lota Umana), allora raggiunse con la moglie l'Uruguay dove continuò a militare a Montevideo con Luigi Fabbri e molti anarchici italiani che avevano trovato rifugio in quel paese, come per esempio Domenico Aratari e Torquato Gobbi, con i quali fu dato vita al gruppo Volontà, che ben presto darà alle stampe il periodico dell'anarchismo organizzatore Studi Sociali.
Nel dicembre del 1933, veniva estradato dalle autorità uruguaiane e rimesso a quelle italiane che nel 1935 lo condannarono a cinque anni di confino. Era, volta a volta internato a Ponza, Colfiorito, Monteforte Irpino e Ventotene. Proprio durante la sua detenzione morirà suo figlio di soli 8 anni, Hughetto, che spessissimo gli faceva compagnia al confino con la moglie Clelia:
- «Hughetto era sempre stato nelle isole di deportazione con noi e non ha conosciuto altri se non detenuti e confinati. Per lui il mondo si divideva in due categorie di persone: confinati da una parte, dall'altra fascisti e poliziotti.
- Era già un omino e sapeva quello che bisognava fare e quello che un uomo con carattere non deve mai fare. Essendo sempre vissuto tra uomini fatti si era subito abituato a pensare come un uomo, e forse è stato un male perché così egli non ha potuto avere una vera e propria fanciullezza, che è forse il periodo più bello e felice nella vita di un uomo. Eppure nonostante tutto anche a Ventotene, come in precedenza a Ponza e negli altri luoghi di confino... »
Nel corso del 1942 insieme alla moglie fu trasferito a Bucchianico, un paese vicino a Chieti che fu occupato dai nazisti dopo l'8 settembre 1943. Clelia Premoli fu arrestata ed internata campo di concentramento di Chieti Scalo, da dove però riuscirà a scappare. I due si ritrovarono a Chieti, trovando rifugio all'ospedale e aiutando la Croce rossa nella cura dei feriti. Nel corso del 1944 la coppia risiedette a Bucchianico, paese del quale Ugo fu nominato sindaco per circa otto mesi. All'avvenuta liberazione, sempre insieme alla moglie, raggiunse, in buona parte a piedi, la città di Milano.
Nell'immediato dopoguerra partecipò ai lavori della Federazione Comunista Libertaria Alta Italia, entrando poi a far parte della Federazione Anarchica Italiana. Nel 1951 lavorò come bibliotecario e responsabile delle attività culturali dell'azienda Olivetti e redasse un gran numero di opere storiche sull'anarchismo. Ugo Fedeli e la moglie Clelia avevano raccolto un'importante mole di documenti che alla sua morte (Ivrea, 10 marzo 1964) sarà inviata all'Istituto internazionale di storia sociale (IISG) di Amsterdam andando a costituire gli Ugo Fedeli papers.
Ugo Fedeli Papers
Gli Ugo Fedeli Papers contengono documentazione relativa all'anarchismo internazionale relativa al periodo 1869-1964 e sono conservati all'Istituto internazionale di storia sociale (IISG) di Amsterdam. Raccolti principalmente da Ugo Fedeli e dalla moglie Clelia Premoli, i documenti contengono i diari di Fedeli del periodo 1921-1933 e 1943-1944; la corrispondenza con Diego Abad de Santillán, Émile Armand, Camillo Berneri, Giovanna Berneri, Luigi Bertoni, Armando Borghi, Pietro Bruzzi, Gigi Damiani, Severino Di Giovanni, Carlo Doglio, Luigi Fabbri, Luce Fabbri, Sébastien Faure, Italo Garinei, Ildefonso González, Jean Grave, Lucien Haussard, Renée Lamberet, Gaston Leval, Mario Mantovani, Osvaldo Maraviglia, Giuseppe Mariani, Carlo Molaschi, Maria Rossi, Nino Napolitano, Simón Radowitzky, Rudolf Rocker, Raffaele Schiavina, Augustin Souchy, Pio Turroni; le lettere dal carcere di Gino Lucetti alla sua famiglia 1930-1935, le lettere di Giovanni Domaschi alla sua famiglia 1939-1943; manoscritti, articoli, lettere di Ugo Fedeli oltre alle sue memorie Da una guerra all'altra. Brani di vita di un rivoluzionario; documentazione varia di Adriano Vanni, Giovanni Domaschi, Luigi Repossi, Augustin Souchy, Martino Stanca, Luigi Piccolo, Alibrando Giovannetti, Pasquale Binazzi, Tomaso Concordia, Pio Turroni, Ettore Sottovia, Gino Viero, Nina Weksler, Joseph Mascii, Gigi Damiani, Marco Giambelli, Antonio Dettori, Virgilia D'Andrea, Nino Napolitano, Hem Day, Luigi Fabbri, Dino Fortini, Wanda Lizzari, Erikson Nostasiode (Giorgetti), Virgilio Galassi, Gelindo Zanasi, Rino Palagi, Geno Pampaloni, Mario Perelli, Lia Bellora, Voline e Umberto Postiglione; documentazione relativa alla Conferenza di Rimini, 1872, e di Senigallia, 1962; documenti su varie organizzazioni, soprattutto italiane, come quelle dei Comitati Pro Vittime Politiche (Parigi, Milano, Livorno), Comitati di Difesa Sindacale, Federazione Comunista Libertaria Alta Italia, Federazione Anarchica Italia ed altri; vari documentazioni su organizzazioni europee e sudamericane (specialmente Francia, Spagna, Argentina, Uruguay); documentazione varia su persone e militanti, soprattutto anarchici.
Note
- M. Granata, Ugo Fedeli, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 593-595
- R. Bianco, Un siècle de presse
- L. Bettini, Bibliografia dell'anarchismo
- Le Monde Libertaire, n° 102, giugno 1964
- Antonio Senta, Clelia Premoli nell'anarchismo internazionale (1916-1974) in Centro Studi Libertari, Bollettino n° 37, pag. 20
Bibliografia
- Antonio Senta, A testa alta! Ugo Fedeli e l'anarchismo internazionale (1911-1933), Milano, Zero in Condotta, 2012
Opere
- Da un guerra all'altra: brani di un rivoluzionario (memorie);
- Fabbri e il suo primo incontro col Malatesta (in « Universo », Toulouse, n° 2, dicembre 1946)
- Luigi Fabbri (Torino, 1948);
- Dogma, scienza e metodo nel pensiero malatestiano (Pisa, 1949);
- Dalla insurrezione dei contadini in Ucraina alla rivolta di Krondstadt (Milano, 1950); - Bibliografia malatestiana (Napoli, 1951);
- Appunti sulla piattaforma anarchica (Toulouse, 1951);
- Luigi Molinari e gli avvenimenti del 1874 a Carrara (1952);
- Il movimento anarchico a Carrara (Napoli, 1952);
- Bibliografie di giornale, riviste, numeri unici anarchici stampati in italiano dal 1914 al 1952 (Toulouse, 1953);
- Gigi Damiani (Cesena, 1954);
- Storia del movimento operaio (Ivrea, 1955);
- Storia sociale del Mexico (Ivrea, 1956);
- Luigi Galleani, quarant'anni di lotta rivoluzionaria (Cesena, 1956);
- Nestor Machno, la lotta libertaria nella rivoluzione russa (Milano, 1956);
- E. Armand, il suo pensiero e la sua opera (Firenze, 1956);
- Breve storia dell'Unione sindacale italiana (in «Volontà», n° 9-10-11, 1957);
- Un viaggio alle isole Utopia (Ivrea, 1958);
- Giovanni Gavilli, 1855-1918 (Firenze, 1959);
- Un decennio di storia italiana, 1914-1924 (Ivrea, 1959);
- Momenti e uomini del socialismo anarchico in Italia, 1896-1924 (in «Volontà», n° 10-11, 1960);
- Congressi e convegni, 1944-1962 (Genova, 1963).
Altre collaborazioni di Fedeli
Ugo Fedeli ha anche collaborato ad un gran numero di titoli della stampa libertaria, tra cui, tra gli altri già citati:
Il Risveglio anarchico (Ginevra, 1920), Anarchismo (Pisa, 1922), L'Agitazione a favore di Castagna e Bonomini (Parigi, 1924), L'Idée Anarchiste (1924), Libertà (Buenos Aires, 1925), La Lotta Umana (Parigi, 1927-1929), Primo Maggio (Parigi, 1928), Olocausto (Forlì, 1947), «Il Pensiero» (Roma, 1950), Cenit (Tolosa, 1950), La Lotta Umana (Palermo, 1951), Volontà (Napoli).
Anarchismo è tutto un modo di vivere,
di rispettare la gente, di comprendere il prossimo,
di comportarsi da vero fratello.
Biografia
Nato a Pistoia il 25 aprile 1920, il giovane futuro "capo" partigiano Silvano Fedi frequenta il liceo classico Niccolò Forteguerri della sua città.
Attività antifascista
Sin dal 1939, quando è ancora studente, organizza nella sua scuola, insieme ad altri compagni antifascisti (La Loggia, Giovannelli, Filiberto Fedi, Raffaello Baldi, i fratelli Bargellini ecc.), un gruppo di resistenza contro il regime fascista.
Per questa sua attività il 12 ottobre 1939 viene arrestato e il 26 novembre denunziato dall'OVRA di Firenze al "Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato", accusato di aver svolto attività comunista. Il Tribunale, con sentenza del 25 gennaio 1940, lo condanna ad un anno di detenzione per concorso in associazione e propaganda antinazionale.
Il 10 febbraio la pena gli venne condonata ed è immediatamente scarcerato, cosicché fa rientro a Pistoia dove si getta nuovamente animo e corpo nella lotta antifascista. La sua intenzione è quella di coagulare intorno alla sua figura le giovani generazioni antifasciste con gli anarchici più anziani ed esperti (Egisto Gori, Archimede Peruzzi, Tito Eschini ecc.). A questo nucleo si si uniranno in seguito alcuni operai e tecnici delle Officine San Giorgio (Tiziano Palandri, Oscar Nesti, Giulio Ambrogi ecc.)
Proprio grazie alla conoscenza delle vecchie generazioni anarchiche, Silvano Fedi abbraccia l'anarchismo aderendo al "gruppo anarchico di Bottegone (Pistoia)". Per queste attività viene arrestato nel gennaio 1942, ma una volta rimesso in libertà è nuovamente attivo contro il regime mussoliniano.
Nelle file della resistenza
Alla caduta del fascismo lui è fra i primi a scendere in piazza e a reclamare quella libertà tanto agognata.
Il 26 luglio 1943 si presenta di fronte alle "Officine San Giorgio di Pistoia" per aizzare gli operai allo sciopero, ma la polizia badogliana la considera una provocazione è lo trae in arresto. Alla notizia del fermo, una folla minacciosa si accalca di fronte al palazzo della Questura pretendendo la liberazione di Fedi, che infatti sarà rilasciato poche ore dopo. Nel frattempo anche a Pistoia si organizzava la resistenza al fascismo.
Acerrimo nemico dei fascisti, Fedi costituisce la più importante formazione partigiana operante a Pistoia e dintorni che inizialmente assume la denominazione di Brigata Franca Libertaria. Alla squadra, composta inizialmente da una cinquantina di uomini, aderiranno contadini, operai, studenti ed ex soldati, per la maggior parte anarchici o comunque di idee libertarie. Le loro attività, pur essendo collegate al Partito d'Azione, rivendicavano una completa autonomia, anche dal Comitato di Liberazione Nazionale.
Fedi e la sua Brigata sonoo protagonisti di alcune azioni coraggiose alla "Fortezza di Pistoia" per rifornire la sua formazione di armi e viveri, e alle carceri per liberare i detenuti politici. Egli comunque sceglierà di non salire in montagna, ma di muoversi tra la città e la campagna, dando vita a numerose ed audaci azioni di sabotaggio che infastidiranno non poco i nazi-fascisti. In particolare porta avanti le sue azioni insieme a cinque fidati uomini (Danilo Betti, Brunello Biagini, Marcello Capecchi, Santino Pratesi, Giulio Vannucchi), andando a costituire un nulceo con i quali riesce più volte ad attaccare nel giro di pochi giorni la Fortezza di Santa Barbara e da cui prelevò una gran quantità di armi, munizioni e viveri.
Parte del materiale sequestrato lo destinano ad altre formazioni partigiane pistoiesi, comprese quella di Manrico Ducceschi "Pippo", del Partito Comunista e del Partito d'Azione, con i quali peraltro non correva buon sangue a causa dei suoi rapporti con il futuro Gran Maestro della loggia massonica P2 Licio Gelli, che già allora era conosciuto come un ambiguo personaggio, ex-membro del partito fascista e repubblichino convertito all'antifascismo solo al termine della guerra, che cercava di ricostruirsi un'immagine (probabilmente svolgeva il doppio gioco) servendosi del prestigio di Fedi. Con Fedi e i suoi fidati compagni Enzo Capecchi, Giovanni Pinna e Iacopo Innocenti Gelli collabora alla spettacolare azione che porterà alla liberazione dalla Fortezza di 54 prigionieri antifascisti.
I rapporti con Licio Gelli incrinano l'amicizia con alcuni anarchici pistoiesi, tra cui Tiziano Palandri, che decide di salire in montagna ed unirsi alla formazione "Pippo" (Manrico Ducceschi). È proprio il leader di quest'ultima però a chiarire ed esplicare in maniera inequivocabile la propria fiducia in Silvano Fedi, che però era stato probablmente un pò ingenuo nel pensare di poter "usare" Licio Gelli a suo piacimento.
L'imboscata e la morte
Silvano Fedi muore il 29 luglio 1944 nelle vicinanze di Pistoia, probabilmente in un'imboscata tesagli dai tedeschi. Fedi si era infatti recato nei pressi della Croce di Vinacciano per recuperare la refurtiva derubata da alcuni ladruncoli che avevano abusato del nome della sua brigata (così aveva stabilito un tribunale del CLN pistoiese riunito a Ponte alla Pergola). Con lui muore Giuseppe Giulietti, mentre Marcello Capecchi rimane ferito. Gli altri che lo accompagnavano riescono a fuggire, tranne Brunello Biagini che viene catturato e poi fucilato il 1° agosto.
La presenza di un forte contingente di soldati lascia pensare che Fedi e i suoi compagni furono vittime di una delazione, così come anche supposto in seguito da Artese Benesperi. Alla morte di Silvano Fedi la Brigata Franca Libertaria cambierà denominazione in Brigata Silvano Fedi.
Bibliografia
- C. O. Gori, Arrivano i partigiani, Pistoia è libera, in "Microstoria", n. 35 (mag./giu. 2004)
- A. Ciampi, Virgilio Gozzoli, Vita irrequieta di un anarchico pistoiese, in “Microstoria”, n. 37 (set./ott. 2004)
- S. Bardelli, E. Capecchi, E. Panconesi, Silvano Fedi. Ideali e coraggio, Pistoia, Nuove esperienze, 1984, pp. 45–68
- G. Petracchi, Al tempo che Berta filava. Alleati e patrioti sulla linea gotica (1943-1945), Milano, Mursia, 1996, pp. 89–91
- R. Risaliti, Antifascismo e Resistenza nel Pistoiese, Pistoia, Tellini, 1976, pp. 213–214
- Marco Francini, La guerra che ho vissuto. I sentieri della memoria, Pistoia, Unicoop Firenze-Sezione soci Pistoia, 1997, p. 364
- R. Corsini, Le tappe della vita di Silvano Fedi, in "Bollettino Archivio Giuseppe Pinelli", n. 5 (lug. 1995)
- R. Bardelli, M. Francini, Pistoia e la Resistenza, Pistoia, Tellini, riedizione 1980, pp. 59–61
- I. Rossi, La ripresa del Movimento Anarchico e la propaganda orale dal 1943 al 1950, Pistoia, RL, 1981, pp. 26–30, 133-143
- Pietro Bianconi, Gli anarchici italiani nella lotta contro il fascismo, Pistoia, Archivio Famiglia Camillo Berneri, 1988, pp. 83–97
- Gli anarchici contro il fascismo: Pistoia, in "A - Rivista Anarchica", n. 20, 1973
- La scuola nel regime fascista: il caso del Liceo classico di Pistoia, Pistoia, Amministrazione comunale, 1977, pp. 51, 55
Marcello Capecchi) scattata ai primi di maggio del 1944. La foto è di proprietà della signora
Margherita Gori Mariani.
Biografia
Aldo Felicani, detto Aldino, nacque a Vicchio, nella frazione di Caselle, provincia di Firenze il 15 Marzo 1891 da Torquato Felicani e Vittoria Casini. All'età di 15 anni lasciò il suo paese d'origine a causa della morte della madre e si trasferì assieme al padre a Sant'Agata Bolognese, a casa dei fratelli di Torquato. Incominciò a lavorare come sarto e barbiere, ma ben presto venne in contatto con il mondo socialista - sindacale essendo la casa degli zii spesso frequentata da esponenti di spicco del socialismo romagnolo, come Guido Podrecca, Camillo Pamprolini ed Enrico Ferri.
Dopo una brevissima esperienza nelle file del sindacalismo rivoluzionario aderì al movimento anarchico. Collaborando col foglio modenese «La Bandiera rossa», il quindicinale antimilitarista «Rompete le file!» e col settimanale bolognese «L'Agitatore», dove trovò un impiego stabile presso la tipografia La Scuola Moderna (sede dove veniva stampato il settimanale) gestita dall'anarchico Domenico Zavattero.
A seguito dell'arresto di Maria Rygier, giornalista di «Rompete le file!» causato dalla polemica per il caso Augusto Masetti (soldato che nel novembre 1911 sparò al suo colonnello in segno di protesta per il conflitto libico), Felicani si fece promotore di una campagna a sostegno di Rygier e Masetti contro l'impresa Tripolina. Ne conseguì che venne incriminato per reati di stampa, ricercato nel 1914 fuggì in Svizzera poi in Francia ed infine trovò rifugio a Cleveland, negli Stati Uniti.
A Cleveland il 23 aprile 1914 fondò il settimanale «La Gioventù Libertaria», ma solamente dopo tre edizioni chiuse i battenti a causa di continue divergenze con i finanziatori anarchici americani, si spostò a New York dove lanciò il periodico «La Questione Sociale» ed infine a Boston dove si stabilì definitivamente. Nel Massachusetts curò numerose riviste fra le quali «L'Agitazione» e «La Protesta Umana» legando il suo nome in modo indissolubile alla tragica vicenda che coinvolse i due immigrati anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Diventato promotore del comitato a loro difesa insieme a personaggi di spicco del mondo intellettuale americano, tramite gli articoli de «L'Agitazione» il caso diventò internazionale suscitando polemiche, campagne e manifestazioni in tutto il mondo. Ogni sforzo fu vano e il 9 aprile 1927 i due anarchici furono condannati a morte e successivamente giustiziati sulla sedia elettrica.
Nonostante la loro condanna, Felicani continuò a sostenere la loro innocenza tramite la stampa e successivamente si dedicò a campagne antifasciste, acquistando nel 1925 una piccola azienda tipografa, fondò «L'Aurora» nel 1929 e nel 1938 «La Controcorrente» a cui collaborarono l'amico Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e Piero Calamandrei. Dopo la Seconda guerra mondiale fino al 1966 anno di chiusura definitiva della rivista «Controcorrente» continuò ad interessarsi delle vicende italiane, pubblicando soprattutto biografie dei combattenti della Resistenza.
Morì all'ospedale Beth Israele di Boston il 4 maggio 1967, il suo archivio è stato donato dalla famiglia alla Boston Pubblic Library.
Curiosità
Il giornalista e commentatore televisivo Louis Lyon annunciò la morte di Felicani al pubblico americano come segue:
- «Aldino Felicani è morto all'ospedale Beth Israele di Boston. Ebbe compagno di prigionia Benito Mussolini; più tardi ebbe a dire: "Mi dispiace di non averlo strozzato"».
Bibliografia
- Biblioteca americana della facoltà di magistero dell'Università di Firenze
- Ricordi, Pagine di diario del Felicani nei nn. 50-52 di Controcorrente (Boston 1966-1967)
- Archivio centrale dello Stato, Casellario politico centrale, b. 1991, fasc. 8929, Roma
- F. Russell, La tragedia di Sacco e Vanzetti, Milano 1966, pp. 37 ss., 143 s., 150, 155-158, 24, 271, 388, 473 s., 479
- «Umanità Nova», 29 apr. e 27 maggio 1967; IlPonte, XIII (1967), 6, pp. 700 ss.
- Gino Cerrito, L'antimilitarismo anarchico in Italia nel primo ventennio del secolo, Pistoia 1968, pp. 13 n. 15 n. 23 n. 30 n. 32
- Id., Sull'emigrazione anarchica italiana negli Stati Uniti d'America, in «Volontà», XXIII (1969), 4, pp. 275 ss.
- J. P. Diggins, L'America, Mussolini e il fascismo, Roma-Bari 1972, ad Indicem
- L. Bettini, Bibliografia dell'anarchismo, I-II, Firenze 1972-1976, ad Indicem
- Gino Cerrito, Dall'insurrezionalismo alla settimana rossa. Per una storia dell'anarchismo in Italia (1881-1914), Firenze 1977, ad Indicem
- Una vita per la causa di Sacco e Vanzetti. Ricordo di Aldino Felicani, in «Umanità Nova», 27 maggio 1967
- R. Lucioli, Aldino Felicani, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BSF, 2003, pp. 597-598
- Sfogliando Apertamente. Notiziario fotocopiato in proprio a cura dell'associazione Apertamente di Vicchio, Vicchio, gennaio 2001, pp. 6-7
- Bruno Confortini, Vicchio. Una vita per la causa. Aldino Felicani, l'anarchico amico di Sacco e Vanzetti, in Microstoria. Rivista toscana di storia locale, anno VII, n.44, novembre-dicembre 2005, pp. 18-19
Biografia
Nato a Grugliasco (Torino) il 12 maggio 1892, Pietro Ferrero diviene militante del movimento anarchico partecipando alla fondazione del «Fascio Libertario Torinese» e alle proteste contro l'esecuzione di Francisco Ferrer.
Attività anarchiche
Nel 1910 è tra i primi aderenti al Centro di studi sociali della Barriera di Milano (Torino), che successivamente si trasforma in Scuola moderna "F.Ferrer", di cui diviene segretario nel 1911. La scuola, ispirata ai principi pedagogici libertari di Francisco Ferrer, è diretta dall'amico anarchico Maurizio Garino e vede tra i suoi allievi molti operai e proletari in genere.
Aderente inizialmente alal sezione mettalurgica dell'USI, deluso entra a far parte insieme all'amico e compagno Garino della FIOM, divenendo responsabile della rivista La Squilla, supplemento di propaganda del Metallurgico Federale. Nel 1914 partecipa ai moti della settimana rossa e alle proteste contro l'avventura coloniale in Libia.
Nel 1917, in piena Prima guerra mondiale, insieme ai compagni anarchici della Barriera di Milano (quartiere di Torino), partecipa ai moti di Torino contro il padronato e la guerra. Dopo l'assunzione alla FIAT del 1918, Ferrero è attivo contro le derive riformiste del sindacato, militando nell'ala intransigente, rivoluzionaria e anticorporativista della FIOM. L'anno seguente sarà eletto segretario della sezione torinese.
Il biennio rosso
Durante il suo segretariato è impegnato in varie lotte sindacali, sempre fianco a fianco di Maurizio Garino, tra cui il cosiddetto "sciopero delle lancette" (aprile 1920) contro la decisione unilaterale della Fiat di spostare l'orario di lavoro da l'ora solare a quella legale e negli eventi che porteranno all'occupazione delle fabbriche nel settembre 1920. In luglio, prima delle occupazioni, aveva presieduto un'assemblea delle Commissioni interne dei Consigli di fabbrica nella quale aveva sostenuto che «le masse torinesi sono pronte a tutto», invitando la FIOM ad affiancarsi all'USI nella lotta rivoluzionaria.
Nel corso delle occupazioni è tra i militanti più attivi e intransigenti, opponendosi alla ratificazione riformista dell'accordo "D'Aragona-Giolitti" (che poneva fine alle occupazioni), sottolineando il pericolo che incombeva sull'Italia mediante le "profetiche" parole di Errico Malatesta:
- «Se gli operai abbandonano le fabbriche, si aprono la porte alla reazione del fascismo».
Assassinato dai fascisti
Ferrero muore tragicamente, assassinato dalle squadracce fasciste di Piero Brandimarte (l'assassino nel dopoguerra verrà reintegrato nell'esercito e poi seppellito con tutti gli onori), il 18 dicembre 1922, dopo lunghe ed atroci sevizie: il cadavere straziato fu legato ad un carro e trascinato per le strade di Torino come trofeo di vittoria. Ecco come Maurizio Garino racconta l'atroce morte inferta dai fascisti a Ferrero:
- «Ho poi saputo che Ferrero, preso nel pomeriggio, messo nella portineria della Camera del Lavoro, fatto sedere nell'angolo, gli angoli erano occupati da quattro persone. Uno l'ha riconosciuto, ma non hanno dimostrato di conoscersi. Ferrero, sputacchiato dai fascisti." Vigliacco! Sfruttatore degli operai!". Insomma hanno cercato di umiliarlo in tutti i modi. Pugni, ogni tanto una bastonata».:«[...] E poi verso mezzanotte l'hanno legato al camion e l'hanno trascinato dal numero 12 di Corso Siccardi fino al monumento di Vittorio Emanuele, dietro un camion. Arrivato là era più morto che vivo, si capisce, e allora l'hanno finito sotto il monumento e l'hanno lasciato là. Morto. E naturalmente alla notte qualcuno l'ha preso e l'ha portato all'ospedale, ma era già morto. E io al mattino l'ho trovato là. Era il 18 dicembre del 1922».
- «[...] Poi il giorno dopo il funerale. Una mattinata nebbiosa, fredda! Il funerale era presto, alle otto. E allora ci troviamo lì, al cimitero, eravamo cinque uomini, undici donne, compresa mia moglie. Ecco, io ho poi commentato in certe interviste, con più di ventimila organizzati dalla FIOM, non c'era un rappresentante della FIOM. [...] Eccolo l'effetto del terrore fascista».
Il ricordo di Gramsci
«Organizzatore serio e onesto, invano gli industriali metallurgici e i mandarini della FIOM tentarono di corromperlo, di farne un funzionario sindacale secondo il conio confederale. Ferrero ha sempre testualmente risposto: "Son qui per difendere gli interessi e le aspirazioni degli operai metallurgici, e li difenderò fino a quando essi vogliono che io rimanga a questo posto".
In molte occasioni Ferrero seppe sventare intrighi e compromessi che la FIOM e la Confederazione generale del lavoro imbastivano con gli industriali, impedendo così che altri tradimenti si verificassero. Gli industriali avevano ben compreso che Ferrero era l'anima degli operai e che non sarebbe mai diventato un loro collaboratore; perciò lo segnarono nella lista dei condannati a morte consegnata agli esecutori, loro mercenari. Ciò hanno ben compreso gli operai: essi sanno e ricorderanno sempre perfettamente che se gli uccisori materiali sono stati i fascisti, i mandatari dell'uccisione, i finanziatori dell'orgia scellerata sono stati gli industriali padroni
Gli operai metallurgici torinesi non dimenticano che il giorno della sepoltura del loro segretario dovettero forzatamente rimanere inchiodati ai loro banchi di lavoro, alle loro macchine, senza poter partecipare all'accompagnamento funebre di chi tanto aveva fatto per loro, di chi la vita aveva perduto nella lotta per l'emancipazione proletaria. Ricordo di aver incontrato, in quei giorni, moltissimi dei suoi vecchi compagni di fabbrica: tutti, col più profondo dolore e coi denti stretti per la più santa collera, dicevano: "Nel giorno della sepoltura del nostro difensore, di Ferrero, siamo rimasti tutti al nostro posto di lavoro".
Non per viltà, non perché avessimo dimenticato il Ferrero e la sua opera, ma per un fenomeno mai prima provato, di sconforto, di sconcertamento; inoltre, i compagni comunisti e i membri delle commissioni interne erano stati licenziati; passò nelle officine come un'ondata di raccapriccio che paralizzò tutto, come si dice avvenga dopo i terremoti. Ma il nostro pensiero era rivolto a Ferrero e il suo nome correva sulle bocche di tutti. Allora tutti i lavoratori fecero un sacro giuramento: vendicare Ferrero e tutti gli altri compagni massacrati dalla borghesia».
In memoria di Ferrero
Il 7 novembre 1923, la fabbrica automobilistica «Amo» di Mosca (URSS) assunse il nome di «Pietro Ferrero».
Durante la resistenza antifascista alcuni partigiani anarchici costituirono una formazione che agiva nel torinese, particolarmente attiva durante l'insurrezione alle 'Ferriere Piemontesi', denominata 33° battaglione SAP "Pietro Ferrero" in onore all'anarchico Ferrero.
Bibliografia
- Luigi Di Lembo, L'Unione anarchica italiana: tra rivoluzione europea e reazione fascista (1919-1926), Zeroincondotta, Milano 2006
- Emma Mana, Dalla crisi del dopoguerra alla stabilizzazione del regime, in Tranfaglia, Nicola (a cura di), Storia di Torino. Dalla Grande Guerra alla liberazione, 1915-1945, Vol. 8, G. Einaudi, Torino 1998
- Giancarlo Carcano, Strage a Torino. Una storia italiana dal 1922 al 1971, La Pietra, Milano 1973
Biografia
- «Nato a Sanremo, in Italia, Pietro Ferrua è il fondatore di diverse organizzazioni anarchiche, molte delle quale perdurano a tutt'oggi. Come professore al Portland College, Oregon, negli Stati Uniti, ha svolto un importante ruolo nella riflessione sui rapporti tra l'anarchismo e l'arte. Nel stesso tempo, ha avuto come interprete una carriera internazionale che l'ha messo in contatto con alcuni dei più importanti dirigenti politici della fine del ventesimo secolo.» (Ronald Creagh)
Pietro Ferrua aderisce all'anarchismo immediatamente dopo l'avvenuta liberazione dal fascismo, partecipando nel 1946 alla fondazione della Federazione Anarchica di Sanremo, di cui assumerà la delega durante il congresso regionale della federazione Anarchica Ligure tenutosi lo stesso anno. Trasferitosi in Francia nel 1948 per proseguire gli studi, inizia a frequentare il Circolo libertario degli studenti di Parigi.
Militante del Gruppo Anarchico Alba dei Liberi, nel 1950 diventa il primo obiettore di coscienza anarchico riconosciuto come tale dai tribunali e condannato a 15 mesi di carcere (lo seguiranno altri militanti dello stesso gruppo come Angelo Nurra e Liberoso Gugliemi). Nel 1953 è confondatore della rivista Senza Limiti e in quest'epoca collabora con le pubblicazioni del Gruppo «Anarchismo» di Napoli e Palermo. Perseguitato dalla giustizia italiana, che vorrebbe costringerlo ancora a svolgere il servizio militare, Ferrua si rifugia a Ginevra a partire dal 25 aprile 1954 insieme alla compagna brasiliana Dina, da dove segue l'attività organizzativa dei primi Campeggi Anarchici Internazionali (il primo si era svolto a Cecina nel 1953). Nel 1955 partecipa al Campeggio Internazionale di Salernes (Francia) e fonda una struttura clandestina di solidarietà ed accoglienza per renitenti e disertori francesi ed algerini sotto l'egida delle Jeunesses Libertaires. Tra il 1955 e il 1962, col supporto di André Bösiger, aiuta tantissimi antimilitaristi ed obiettori di coscienza ad attraversare il confine e rifugiarsi in Svizzera.
Nel 1956, assieme a Claudio Cantini, ridà vita allo storico periodico anarchico svizzero Il Risveglio Anarchico, che aveva cessato le sue pubblicazioni. L'anno seguente, insieme ad altri compagni (Alexandre Alexiev, Henri Bartholdi, André Bernard, André Bösiger, Jean-Pierre Conza, ecc.), fonda a Ginevra il Centro Internazionale di Ricerche sull'Anarchismo (attualmente con sede a Losanna), mentre nel 1958 dà inizio alla sezione svizzera di Solidarietà Internazionale Antifascista (S.I.A.).
A causa delle sue attività, viene espulso dalla Svizzera nel 1963 e si reca in in Brasile, dove anche lì si dimostra un instancabile propagandatore dell'anarchia fondando il Centro Brasiliano di Studi Internazionali e una sezione brasiliana del Centro Internazionale di Ricerche sull'Anarchismo. A causa delle sue attività anarchiche si renderà assai inviso ai militari brasiliani che detenevano il potere. Arrestato assieme ad altri quindici compagni nell'ottobre del 1969, nel dicembre seguente parte in esilio per gli Stati Uniti. Negli States diventa docente universitario, approfondendo inoltre le proprie ricerche nel campo delle avanguardie artistiche e letterarie, della rivoluzione messicana ecc... che sfoceranno nella pubblicazione di una dozzina di libri e di un'infinità di articoli per le più importanti riviste accademiche e/o anarchiche.
Dopo una conferenza sull'anarchismo tenutasi nel Circolo Filosofico, la Facoltà di Filosofia di Portland gli affida nel 1980 un corso superiore sull'Anarchismo grazie al quale prende forma il Primo Simposio Internazionale sull'Anarchismo che vedrà riuniti un centinaio di ricercatori e militanti per tutta una settimana di dibattiti (spettacoli, concerti, mostre ecc...).
Nel 1982 partecipa alla fondazione dell'Istituto Anarchos a Montreal (Canada), mentre nel 1984 è relatore della sessione di "arte e anarchia" in occasione della riunione internazionale di Venezia. Essendo principalmente interessato all'attività propagandistica anarchica, nel 1987 abbandona la cattedra e si dedica interamente alla diffusione dell'anarchismo come oratore, ricercatore e saggista. Instancabile, nel 1992 è uno degli oratori ufficiali al convegno "Outros Quinhentos" indetto dalla Pontificia Università Cattolica di San Paolo del Brasile.
Ha pubblicato numerosi articoli in occasione della morte di diversi compagni anarchici come Franco Leggio, John Cage ed altri. I suoi articoli sono stati pubblicati in innumerevoli riviste di tutto il mondo.
Bibliografia
Opere di Ferrua
- Gli anarchici nella Rivoluzione messicana: Praxedis G. Guerrero, La Fiaccola, Ragusa, 1976
- Surrealismo ed anarchismo, trad. del francese di Sandro Ricaldone, libreria Sileno, Genova, 1985
- Ricardo Flores Magón e la Rivoluzione messicana, Anarchismo, Catania, 1983
- Avanguardia cinematografica lettrista, Tracce, Piombino, 1984
- Appunti sul cinema nero americano, Tracce, Piombino, 1987
- Italo Calvino a Sanremo, Famija Sanremasca, Sanremo, 1991
- L'obiezione di coscienza anarchica in Italia. Parte prima: I pionieri, Archiviu-Bibrioteka “T. Serra”, 1997
- Ifigenia in Utopia, Sicilia Libertaria, Ragusa, 2000
Traduzioni
- La pittura olandese di Jean Leymarie (traduzione dal francese), Skira, Ginevra, 1961
- Mondo e Croce Rossa di Henri Dunant (traduzione dal francese), Ligue des Sociétés de Croix-Rouge, Ginevra, 1959
- Un quacchero d'oggi, Pierre Ceresole di Hélène Monastier (traduzione dal francese), American Friends Service Committee, Roma, 1954
- Il fascismo rosso di Volin (traduzione dal francese), Edizioni Anarchiche, Reggio Calabria, 1953
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