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sabato 6 gennaio 2024

ANARCHICI & ANARCHIA 13

 

A N A R C H I C I & A N A R C H I A

Giovanni Governato (Saluzzo, Cuneo, 24 gennaio 1889 - Genova, 28 maggio 1951), conosciuto nel campo artistico col soprannome di Cromatico, è stato pittore ed esponente di spicco del futurismo di sinistra, specificamente dell'ala anarchica denominata anarco-futurismo. 

Biografia

Nato a Saluzzo (Genova) da Simone e Caterina Luino, Giovanni Governato da ragazzo emigra probabilmente per seguire la sua vocazione artistica alla Spezia, città nella quale entra in contatto con gli ambienti anarco-futuristi. 

Iter artistico e politico

Giovanni Governato inizia il suo iter artistico come xilografo della rivista L'Eroica, diretta da Ettore Cozzani , e partecipando alla formazione del gruppo artistico della "Zimarra". Saranno i membri del gruppo ad attribuirgli lo pseudonimo di "Cromatico".

In questa fase inizia anche a produrre disegni e raffigurazioni artistiche per svariate riviste anarchiche, come Iconoclasta! di Pistoia (1920-21) , Il Proletario di Pontremoli (1922), Anarchismo di Pisa (1922), Vespro anarchico di Palermo (1921-23), Il Libertario della Spezia (1919-22). Su Gli Scamiciati di Pegli (1920-21) Filippo Tommaso Marinetti lo incorona ufficialmente del "titolo" di pittore futurista.

Con Tintino Rasi e Renzo Novatore nel 1921, a Pistoia, dà vita a Vertice, rivista anarco-futurista dal chiaro sottotitolo «Rivista anarchica e di pensiero» ed il cui motto è «Forza Bellezza-Audacia Violenza». «Vertice» si prefiggeva l'obiettivo di unire e dare voce a «liberissimi scrittori e artisti spregiudicati» riuniti intorno all'informale gruppo anarco-futurista di Arcola. Sull'unico numero editato, Governato pubblica le sue xilografie e alcuni suoi quadri.

Nel 1921 espone le sue opere a Parigi alle gallerie Reinhardt, accanto a Balla, Boccioni, Depero, Trampolini, Russolo ecc. 

Contesto storico ligure-toscano

Il contesto storico nel quale prenderanno forma tutte le attività artistico-politiche di Giovanni Governato è quello legato ai fermenti rivoluzionari che negli anni '20 coinvolsero il contesto tosco-ligure. In particolare, in quegli anni, due città si distinsero per il loro carattere ribelle: La Spezia e Pistoia. La prima, città di porto coinvolta in numerosissime attività da parte di forze avanguardiste proletarie, rivoluzionarie-anarchiche e socialcomuniste; la seconda, invece, vide il prevalere di attività rivoluzionarie strettamente connesse a quelle artistiche che portarono alla pubblicazione di molti giornali e riviste (es. «Iconoclasta!»).

Giovanni Governato, come precedentemente accennato, in quest'ambito viene coinvolto in rapporti d'amicizia con molti futuristi di sinistra, o meglio anarco-futuristi, in particolare con Renzo Novatore, Auro D'Arcola e Dante Carnesecchi, tutti legati a Pasquale Binazzi, personaggio leggendario per l'ala libertaria dello spezzino che continuerà la sua azione anche nella Resistenza.

Il processo

Di tendenza nettamente libertaria, viene processato insieme a molti noti "sovversivi" che facevano capo al suo amico Abele Ricieri Ferrari, ovvero Renzo Novatore.

Giovanni Governato aveva aiutato Novatore donandogli i suoi documenti affinché potesse sfuggire ai controlli polizieschi, documenti poi ritrovati sul corpo di Novatore dopo il suo assassinio provocato dai carabinieri a Teglia (Genova) il 29 novembre 1922.

Così viene descritta la vicenda dei documenti falsi ritrovati sul cadavere di Novatore:

«... L'identità del misterioso bandito ucciso. Nelle sue tasche erano state ritrovati, oltre a dei documenti intestati ad un certo Giovanni Governato, una pistola Browning, due caricatori di riserva, una bomba a mano ed un anello con spazio nascosto contenete una dose letale di cianuro. Chi era questo tizio, così equipaggiato per uccidere ed uccidersi? Mentre gli inquirenti indagavano per fornire un'identità al morto, nell'ambiente ormai clandestino degli anarchici circolavano già bigliettini che annunciavano di casolare in casolare, di tugurio in tugurio, la morte in circostanze violente di un certo compagno, uno dei più cari per gli amanti dell'azione diretta contro il sistema. Le indagini scagionarono Giovanni Governato (sì, proprio il pittore futurista co-fondatore della rivista Vertice) e solo dopo pochi giorni si ebbe un nome per quel cadavere fornito di documenti falsi e sforacchiato dai proiettili dello Stato: Abele Ricieri Ferrari, militante anarchico individualista, già titolare di un corposo fascicolo presso le autorità, resosi irreperibile e ricercato dal giugno precedente.».

Governato viene scagionato dalle accuse grazie alla brillante quanto rocambolesca difesa di Ezio Torraca, avvocato fascista ma amico d'infanzia di Cromatico, che metterà in piedi un vero e proprio capolavoro oratorio in cui riuscirà a negare l'inequivocabilità del "reato" imputatogli. Durante lo svolgersi del processo Filippo Tommaso Marinetti, l'autore del Manifesto Futurista e il più celebre tra i futuristi del momento, nel frattempo passato "armi e bagagli" al fascismo, spedisce una lettera di solidarietà a Governato in nome del loro comune «impeto futurista». Nella lettera, vero e proprio capolavoro di "aulica ambiguità " scritta da quello che oramai era divenuto un vero e proprio servo del fascismo , e che risulterà decisiva per l'esito dello stesso processo quanto l'arringa di Torracca, Marinetti difende a spada tratta un amico, Governato, inequivocabilmente antifascista, anarchico e forse anche "colpevole".

L'ultimo periodo

Prosciolto da ogni imputazione, abbandona l'attivismo politico. In una nota del 5 settembre 1927 la Prefettura segnala Governato come persona «mite, pittore futurista d'intelligenza molta sveglia» e «sufficiente cultura». Viene comunque sorvegliato dalle autorità in quanto persistevano i suoi contatti, ma probabilmente peri semplice amicizia, con alcuni esponenti degli ambienti anarchici.

Governato è persona schiva e riservata, non essendo iscritta al Partito Nazionale Fascista, soppravive in difficili condizioni economiche mantenendosi con la vendita dei suoi quadri. L'autorità fascista continua a segnalarlo come «indifferente verso le istituzioni e le manifestazioni del regime», ma anche estraneo all'attività politica Radiato dal CPC (ex Casellario Politico Centrale) nel 1936, muore a Genova Nervi il 28 maggio 1951.

In ricordo di Governato

A Nervi, Genova, è stata dedicata a Giovanni Governato Cromatico una targa che ricorda il periodo vissuto nella città ligure.

 













Virgilio Gozzoli (Pistoia, 10 novembre 1886 - Pistoia, 24 agosto 1964), è stato un editore anarchico, un antifascista e un artista futurista italiano.

Biografia

irgilio Gozzoli nasce il 10 novembre 1886 a Pistoia, città che ha dato i natali a molti anarchici di rilievo: Leda Rafanelli, Silvano Fedi ecc.

Il futurismo e l'attività propagandistica

Di professione operaio meccanico e tipografo, diviene militante anarchico affine all'anarchismo individualista, a cui viene accostato da Tito Eschini ed Ettore Bartolozzi.

Intellettuale versatile e anti-elitario, si colloca accanto ai futuristi di sinistra: sperimenta la pittura e scrive, mettendoli anche in scena, sonetti in vernacolo, melodramma e versi. Dai suoi lavori scritti si evidenzia sia l'elemento "dissacratore" che "gergale", tipico del futurismo, come in Rivoluzione in Tipografia e parolibe-rismo. Dirige fogli/rivista quali «Ficcanaso» e «Per un Mantellaccione» nel 1911, «Marchesino» nel 1915, anche se già nel 1910 su «La Rivolta» aveva presentato Il fuoco, opera con chiari elementi futuristi .

Virgilio Gozzoli inizia a collaborare nel 1913 al giornale «L'Iconoclasta», poi al numero unico de «Il Pensiero Iconoclasta individualista». Nel 1919 fonda la rivista «Iconoclasta!», attiva dal maggio 1919 al 1921 , a cui presteranno la loro collaborazione personalità del calibro di Renzo Novatore, Bruno Filippi, il pittore anarco-futurista Giovanni Governato e altri. Dalle pagine di «Iconoclasta!», Nel 1920 si schiera con Renzo Novatore e Leda Rafanelli nello scontro che i due ebbero con Camillo Berneri, riguardo alla possibile adesione degli anarchici al futurismo, proprio nel momento in cui Marinetti trascinava il movimento verso il fascismo.

L'antifascismo e l'esilio in Francia

Opraio meccanico nella San Giorgio di Pistoia, partecipa all'occupazione della fabbrica durante il periodo delle occupazioni delle fabbriche (1919-1920) che investono soprattutto il nord Italia. Antifascista della prima ora, è arrestato nell'aprile del 1921 con l'accusa di essere fra i fondatori della locale sezione degli Arditi del Popolo.

Nel novembre 1922, dopo l'esilio in Francia per via delle persecuzioni fasciste, collabora con il "Comitato in favore delle vittime politiche", costituito a Parigi nel maggio 1923 da Raffaele Schiavina. Nella capitale francese, insieme a Ugo Fedeli e Tintino Rasi (Auro D'Arcola), collabora con «La Rivista Internazionale Anarchica» (8 numeri, dal novembre 1924 al luglio 1925) e «La rivendicazione». A decorrere dal maggio 1924, sempre insieme a Ugo Fedeli, pubblica una nuova serie della rivista «Iconoclasta!» (almeno 7 numeri) e partecipava alla fondazione delle opere internazionali delle edizioni anarchiche.

Dalla Francia prende parte alla dura polemica nata negli ambienti libertari italiani riguardo alla spedizione di Ricciotti Garibaldi (si rivelerà vera e propria provocazione del regime e Ricciotti Garibaldi non essere altro che un agente fascista) , collabora ancora alla stesura dell'enciclopedia anarchica di Sébastien Faure (nella quale redasse la voce "Arte") ed al giornale «Tempra» (Parigi, 11 numeri dal luglio 1925 al novembre 1926). Nel luglio 1925 si ferma a Courbevoie insieme alla sua compagna Margherita Guestini (nata a Pistoia il 10 novembre 1893).

Essendo esperto meccanico tipografo, installa una stamperia artigianale in casa sua, grazie alla quale, a partire dal maggio 1929, pubblica il giornale «Fede» avvalendosi della preziosa collaborazione di Gigi Damiani (Parigi, 12 numeri dal 10 maggio 1929 al 4 aprile 1931). Il 3 luglio 1930 è oggetto di un decreto d'espulsione, riuscendo però ad ottenere un rinvio.

Fin dalla proclamazione della repubblica in Spagna, parte per Barcellona dove fa parte con Bruzzi e Castellani dell'Ufficio Libertario di Corrispondenza. Alla fine 1932 parte per Bruxelles (Belgio) e in seguito rientra clandestinamente in Francia. Partecipa in qualità di delegato al congresso di a Puteaux del 12 novembre 1933, dove sarà fondata la Federazione anarchica dei profughi italiani e del suo organo propagandistico «Lotte Sociali» (Parigi, 8 numeri dal dicembre 1933 al febbraio 1935).

Riattivato il decreto d'espulsione precedente (4 giugno 1934), secondo la locale polizia sarebbe ripartito per la Spagna nel marzo 1935. Nello stesso mese, con lo scopo di iniziare una campagna in favore del diritto d'asilo, si presenta spontaneamente alla prefettura di polizia insieme, tra gli altri, a Umberto Marzocchi, Corrado Perissino, Ernesto Bonomini e Umberto Tommassini. Il 1° novembre 1935 partecipa al congresso anarchico italiano di Sartrouville, dove viene sancita la nascita del Comitato anarchico d'azione rivoluzionaria.

La Rivoluzione spagnola

Il 26 luglio 1936 partecipa a Parigi alla riunione in cui si decide l'invio di antifascisti verso la Spagna, in modo che potessero contribuire alla resistenza contro la reazione franchista. Virgilio Gozzoli funge da collegamento tra Parigi e Barcellona, poi a partire dall'ottobre 1936 entra nella redazione di «Guerra di Classe» (Barcellona, 30 numeri dal 9 ottobre 1936 al 30 novembre 1937), di cui diventerà direttore dopo l'assassinio del 5 maggio 1937 di Camillo Berneri e Francesco Barbieri. Nello stesso periodo, insieme a Celso Persici e Domenico Ludovici, è uno dei rappresentanti dell'Unione Sindacale Italiana presso la sede del comitato regionale catalano della CNT-FAI.

Attivismo in Francia, USA e rientro a Pistoia

Nel dicembre 1937 ritorna in Francia, partecipa a Marsiglia al congresso di fondazione dell'Union Anarchiste Italienne e del suo organo «Il Momento» (Parigi, 4 numeri dal 1° maggio al 28 giugno 1938), di cui è nominato responsabile con Leonida Mastrodicasa.

Quando la situazione per gli antifascisti si fa sempre più gravosa, Gozzoli emigra negli Stati Uniti (novembre 1938). Qui entra in contatto con Carlo Tresca, con il quale collabora al suo giornale «Il Martello». Nel 1942 diviene responsabile insieme a Tintino Rasi del mensile antifascista «Chanteclair» (New York, 18 numeri dall'ottobre 1942 al marzo 1945). Durante la guerra, si avvicina alle posizioni di Rudolf Rocker, accettando di sostenere le democrazie liberali, considerate un male minore rispetto al regime fascista e nazista.

Rientrato a Pistoia nel 1958, traduce in italiano il libro di Rocker Nazionalismo e Cultura. Virgilio Gozzoli muore a Pistoia il 24 agosto 1964.



 

Antonio GRAMANTIERI Nasce a Lugo (RA) il 27 novembre 1898 da Giuseppe e Maria Margotti, verniciatore. Proveniente da una famiglia “sovversiva”, partecipa alla Prima Guerra mondiale, trasferendosi poi a Modena. Mutilato di guerra, nei primi anni del fascismo è continuamente perseguitato, perciò nel 1923 decide di trasferirsi in Francia. Tornato in Italia, fissa la sua residenza a Torino, trovando lavoro come verniciatore alla FIAT. È ammonito nel novembre 1935 (ma il prefetto lo aveva proposto per il confino) perché pronuncia “frasi oltraggiose” all’indirizzo del Duce, e per questo è schiaffeggiato da un operaio fascista che gli lavora vicino. A causa di questo episodio è licenziato dalla FIAT, e fa ritorno a Modena. Nel 1940 è in carcere ad Asti, e una volta libero si trasferisce ad Alba. Durante la Resistenza è partigiano nella 48° Brigata Garibaldi, che opera nelle Langhe. Nel dopoguerra ritorna di nuovo a Modena, aderendo alla Federazione anarchica modenese. Nel maggio 1947 è denunciato con un altro compagno, Carlo Venturelli, per aver diffuso dei manifesti antimilitaristi. Processati nel 1950, sono assolti dal fatto specifico per insufficienza di prove, ma condannati in ogni modo a due anni di reclusione, poi condonati, per istigazione alla disubbidienza. Negli anni successivi continua a aderire al movimento anarchico, non mettendosi però più in evidenza. Muore a Modena il 30 maggio 1973. (C. Silingardi)

Filippo GRAMIGNANO Nasce a Borgo Xitta, frazione di Trapani, il 4 luglio 1894 da Vincenzo e Caterina Ciotta, mediatore di commercio di grani, detto “Pippo Gramigna”, pseudonimo: “Rag. Filippi”. Da giovane aderisce al Partito democratico di Nunzio Nasi ed è interventista. Durante la guerra consegue il diploma di ragioniere, ma preferisce esercitare la professione di mediatore nel commercio dei grani mediante la quale entra in contatto con ambienti massonici e mafiosi, di cui si servirà ancora nel Secondo dopoguerra per finanziare attività anarchiche, suscitando la critica e la riprovazione di Schicchi, Sammartano e altri vecchi compagni. La sua iniziazione all’anarchismo, ad opera di Salvatore Renda, risale al 1924. Due anni dopo partecipa a scontri con i fascisti e alimenta in tutta la Sicilia, e specialmente a Trapani e a Palermo, insieme allo stesso Renda e ad altri militanti di varia estrazione politica, una vasta seppur esile rete clandestina di resistenza al fascismo. Acquistato un piccolo veliero in società con l’altro anarchico Giovanni Allegra, di Castelvetrano, si adopera per l’espatrio clandestino dei compagni braccati dalla polizia. Nel luglio 1929 raggiunge Tunisi e il 12 settembre Marsiglia, incaricato dai compagni rimasti sull’isola di prendere contatti personali con Schicchi in vista di un moto insurrezionale. Nella città francese viene messo a punto il progetto di uno sbarco in Sicilia, che subisce vari rinvii, a causa tra l’altro dell’affondamento dell’imbarcazione di G. e dell’arresto di Allegra. Sarà quest’ultimo, trasformato in agente segreto dell’OVRA a Tunisi (finirà fucilato dagli americani nel ’43), a carpire i particolari del piano di sbarco che, nonostante la “defezione e l’ostruzionismo” di Casubolo e altri compagni, Schicchi intende comunque effettuare. G., che conta sull’aiuto di Ignazio Soresi, anarchico di Partinico legato alla massoneria locale, s’imbarca clandestinamente insieme a Renda e Schicchi sul piroscafo Argentina, diretto a Palermo, dove giunge il 30 agosto 1930. Arrestati al momento dello sbarco, i tre anarchici vengono processati l’anno dopo dal Tribunale speciale fascista. Dichiaratosi anarchico individualista, G. è condannato il 16 aprile 1931 a sei anni di carcere e tre di sorveglianza speciale della ps. A differenza di Renda, che chiede la grazia offrendo i suoi servigi al regime, egli sconta interamente la sua pena, conclusa la quale, anziché essere scarcerato, viene assegnato, come Schicchi, al confino prima di Ponza poi di Ventotene. Alla fine della guerra è liberato dall’Ospedale psichiatrico di Palermo nel quale si trova ricoverato. Riprende subito l’attività nel movimento, accanto a Schicchi e ai compagni di Palermo, nonostante le difficoltà economiche e familiari e la tbc contratta al confino (nel 1947 lo salvano i medicinali inviati dai compagni americani). Partecipa a Palermo, il 3 e 4 settembre 1944, al primo convegno anarchico siciliano, ch’egli avrebbe voluto allargare anche a separatisti d’ispirazione libertaria, ipotesi avversata da Schicchi. L’11 settembre è a Napoli, dove fa la sua apparizione estemporanea al convegno degli anarchici dell’Italia meridionale, promosso dal gruppo napoletano dell’Alleanza Libertaria. Rimane a Napoli circa tre mesi, lavorando al porto come facchino, vittima della diffidenza degli anarchici napoletani, dovuta a voci infondate che gli attribuiscono truffe e speculazioni a danno dei compagni. Rientrato a Trapani, contribuisce alla riorganizzazione del movimento in città, dove tiene diversi pubblici comizi, e in provincia, con Gaspare Cannone e Sasà Maniscalco, culminata nel convegno del 14 marzo 1946 in cui viene fondata la Federazione Anarchica Trapanese “Carlo Cafiero”. Partecipa poi ai principali incontri tra gli anarchici siciliani, fino al convegno del 23 aprile 1950 in cui viene deciso il giro di propaganda nella Sicilia occidentale di Pier Carlo Masini. G., nonostante sia distante dalla posizioni masiniane – come si rileva dal numero unico «Germinal» che fa stampare il 20 maggio 1950 a Palermo – e abbia con lo stesso un duro scontro verbale, contribuisce in maniera determinante alla riuscita dell’iniziativa. Le polemiche che dividono l’anarchismo italiano, sulla scia della diaspora gaappista, e la morte di Schicchi, che innesca una lenta ma inarrestabile decadenza del movimento isolano, lo portano progressivamente ad abbandonare la militanza attiva. Ricoverato in un Ospedale psichiatrico nel 1955, ne esce nella primavera del 1957, per poi tornarvi nuovamente e restarvi fino a due mesi prima della morte, avvenuta a Mazara del Vallo, per un attacco di asma, il 29 gennaio 1964. (N. Musarra)
D'esquerra a dreta: Filippo Guzzardi, D'Andrea, Armando Borghi, Pio Turroni, Paolo Schicchi, Alfonso Failla, Giovanni Saptaliatore i Filippo Gramignano (Palerm, 1946)
 

 
D'esquerra a dreta, drets: Alfonso Failla, Armando Borghi, Paolo Schicchi i Pio Turroni; asseguts: Giovanni Spatoliatore, Filippo Guzzardi, D'Andrea i Filippo Gramignano (Palerm, 1947)

Benedetto    GRAMUGLIA Nasce a Bagnara Calabra (Rc) il 19 agosto 1891 da Santo e Vincenza Morello, cameriere-cuoco-proprietario d’albergo. Nel 1907 emigra in Argentina e si stabilisce a Buenos Aires, dove si affilia al gruppo anarchico “Umanità Nova” nel quale militano anche i corregionali e compagni di fede Angelo Antonucci, Rosario Cicco e Giuseppe Pepe. Nel 1932 vive ad Ascochinga, nella provincia di Cordoba e dopo qualche tempo si sposta a Tandil, svolgendo sempre attiva propaganda e venendo quindi iscritto in «Rubrica di frontiera» per il provvedimento di perquisizione e segnalazione. Successivamente non dà più luogo a rilievi di natura politica. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)

Rosario GRAMUGLIA Nasce a Bagnara Calabra (Rc) il 19 agosto 1891 da Vincenzo e Caterina Careri, pittore edile-custode. Vive per alcuni anni con la famiglia in America, ma dopo qualche tempo torna in Italia e nel 1914 si stabilisce a Roma impiegandosi come custode. Allo scoppio del primo conflitto mondiale viene chiamato a combattere, ma il 6 dicembre 1917 viene condannato all’ergastolo dal Tribunale di guerra del IX corpo d’armata per diserzione in presenza del nemico, reato per il quale godrà poi dell’amnistia. Nel 1921 viene segnalato come anarchico e due anni dopo rimpatriato al paese d’origine. Incluso nell’elenco delle persone pericolose da arrestare in determinate contingenze, negli anni successivi viene fermato più volte per misure di PS. Era continuamente sorvegliato dalla polizia in quanto «irriducibile nei suoi sentimenti politici di avversione al Regime», oltre che fedele amico del compagno Bruno Misefari. Nel gennaio 1932 viene notato a Palmi (Rc) in compagnia dei comunisti Giosué Fondacaro e Rocco Cipri; a causa di tale circostanza e dei suoi precedenti politici, viene ammonito il 12 febbraio successivo dalla Cp di Reggio Calabria e poi prosciolto dai vincoli nel novembre dello stesso anno in occasione del decennale. In seguito non sembra più interessarsi di politica, ma il 25 maggio 1936 viene arrestato perché sorpreso a scrivere con pittura nera sui parapetti dei ponti lungo la strada Bagnara-Palmi le frasi «Viva Malatesta, Viva Robespierre, Viva Pisacane, Viva la libertà, Viva l’uguaglianza, Viva il libero pensiero, Viva l’ideale liberatorio, Viva l’umanità redenta». Il 12 giugno successivo viene assegnato al confino per quattro anni dalla Cp di Reggio Calabria e destinato a Ventotene (LT) e successivamente a Brienza (Pz), dove, il 16 gennaio 1938, viene ucciso a colpi di scure per motivi d’onore. (K. Massara)

Emanuele GRANATA Nasce a Marsala (TP) il 9 maggio 1906 da Domenico e Francesca Diana, manovale. Portato dal padre in Tunisia, quando è ancora bambino, abbraccia le idee anarchiche e si rifugia in Spagna, dopo essere stato espulso dalla colonia francese. Spostatosi in Francia, è arrestato a Briançon, al principio del 1932, per detenzione di esplosivi, insieme agli anarchici Edmondo Lelli e Ulisse Merli (il quale racconterà l’episodio nel corso di un interrogatorio a Bologna il 15 giugno 1941). Processato per direttissima, è assolto e cacciato subito dal paese. Rifugiatosi nel Marocco spagnolo, è arrestato a Melilla, durante i moti rivoluzionari dell’aprile 1932, e detenuto per 26 giorni nel forte María Cristina, prima di essere tradotto a Málaga ed espulso dalla Spagna. Segnalato in Tunisia nel 1935, perché frequenta gli anarchici Giovanni Puggioni e Vincenzo Mazzone, è imprigionato a Marsiglia al principio del 1936, per aver violato il bando di espulsione dalla Francia. Liberato dopo qualche settimana, parte, al principio dell’estate, per Algeri, dove – secondo le spie dell’OVRA – lavora alla preparazione di un attentato al duce. Allarmato da queste notizie, il capo della polizia fascista ordina telegraficamente ai prefetti, il 29 luglio, di adottare misure adeguate per arrestarlo, qualora rientrasse nella penisola. Il 12 agosto G. arriva a Barcellona, con l’aiuto di Giuseppe Pasotti, e si arruola nella Colonna Italiana, a maggioranza anarchica, comandata dal repubblicano Mario Angeloni, combattendo a Monte Pelato, a Tardienta e a Almudévar. Nel febbraio del 1937 è ancora sul fronte aragonese, quando si sparge la voce – infondata – della sua morte per mano dei franchisti. Tornato in Francia verso la fine del 1938, G. evita i campi di internamento pirenaici, si fa rilasciare a Parigi, il 5 febbraio 1939, un passaporto dal console della Spagna repubblicana e passa nel Belgio, dove viene arrestato tre mesi dopo, insieme all’anarchico Orlando Luciani, e cacciato nel Lussemburgo. Rientrato a Bruxelles in ottobre, si arruola nell’esercito francese, del quale sembra faccia ancora parte verso la metà del 1940. Fuggito dalla Francia, G. si rifugia in Tunisia, ma è arrestato e internato, nell’ottobre 1941, nel campo di sorveglianza del Kef, insieme a Maurizio Valenzi, Ruggero e Loris Gallico, Pietro Bongiovanni, Silvano Bensasson e altri antifascisti. Nel marzo 1942 è ancora prigioniero a Kef. Nel 1947 è a Milano, in contatto con la FAI, fa pubblicare su «Solidaridad obrera» (Parigi, 27 dicembre 1947) un trafiletto per cercare di rintracciare il compagno spagnolo Manuel Rubio, col quale era internato a Kef. S’ignorano data e luogo di morte. (R. Bugiani – M. Lenzerini – A. Tozzi)


Luigi GRANOTTI Nasce a Sagliano Micca (VC) il 15 novembre 1867 da Giovanni e Teresa Bussetti, detto “Biondin”. Frequenta le scuole fino alla 3a elementare e si dedica poi al mestiere di cappellaio. Considerato dalla polizia “timido, rispettoso, quieto e tranquillo”, è chiamato alle armi nel 1888 e presta servizio nel 76° Reggimento di fanteria, prima a Girgenti, poi a Messina, senza manifestare idee anarchiche. Congedato nell’agosto 1890, ritorna al paese e nel maggio 1894 emigra negli Stati Uniti, a Paterson, dove lavora come tessitore, frequentando – si saprà in seguito – gli ambienti libertari, in particolare con il fratello Giuseppe il gruppo “Diritto all’esistenza”. Il 30 maggio 1900 si imbarca alla volta dell’Italia, con la madre, ufficialmente diretto al paese per sposarsi. Nelle ricostruzioni successive si parlerà di viaggi a Bologna, a Milano e a Monza, “allo scopo di preordinare e mandare ad effetto, d’accordo con Gaetano Bresci, pure reduce da Paterson”, l’assassinio di Umberto I. In ogni caso, della molto probabile, ma non per questo meno controversa, partecipazione del “Biondino” all’attentato, dimostrato è lo scambio di telegrammi con Bresci, come certo – perché ammesso dallo stesso Bresci – è l’incontro tra i due a Milano e a Monza. La sera successiva al regicidio G. ritorna a Sagliano Micca, espatriando poi in Svizzera e dirigendosi a Parigi, dove, grazie al passaporto di Isidoro Besso, riesce a raggiungere la Gran Bretagna. Da quel quel momento si perde ogni sua traccia, ma la polizia è convinta che sia riuscito a imbarcarsi per gli Stati Uniti sotto falso nome. Con sentenza del 25 novembre 1901 è condannato all’ergastolo in contumacia quale complice di Bresci. Meno di un mese dopo (21 dic. 1901) «La Questione so-ciale» di Paterson, per penna anonima (ma di Luigi Galleani), scrive: “Sul Biondino è scesa tutta la collera della polizia e della magistratura d’Italia furiose della riscossa, libidinose di viltà e turpitudine nell’eloquenza a freddo del Procuratore Generale Cisotti, e fu condannato all’ergastolo. Il Biondino è libero e sicuro”. Negli anni successivi G. rappresenta, per la polizia italiana, una sorta di “primula rossa”, segnalata in tutte le parti del mondo, a volte da solerti informatori a caccia di una paga: a Buenos Aires; in Cina (prima a Shanghai, poi a Pechino), dove si sarebbe recato Ernesto Cantoni per incontrarlo; a Londra; a San Paolo del Brasile; a Chicago, New York, Saint-Louis, Kansas City, Zanzibar, Spagna, Portogallo, Svizzera, Australia, Nuova Caledonia, Transvaal, Messico ecc. Nel 1918 la Prefettura di Novara annota: “È tuttora latitante, si ritiene si trovi in America” e quella di Vercelli, ancora nel 1941, lo colloca in “America Nord a recapito sconosciuto”. G. muore a New York il 30 ottobre 1949. Ne dà notizia «L’Adunata dei refrattari» del 3 dicembre 1949, esprimendo la propria gratitudine “ai compagni solerti e generosi che di lui ebbero cura fraterna durante gli ultimi anni della sua vita”. (M. Antonioli)
 

Paterson, New Jersey, a fine ’800

Angelo Maria GRECO  Nasce a Spezzano Albanese (Cs) il 21 dicembre 1880 da Michelangelo e Giovanna Gerardi, impiegato privato. Alla fine dell’Ottocento emigra con la famiglia in Argentina e si stabilisce a Buenos Aires, dove nel 1906 viene segnalato come anarchico e agitatore della classe operaia. Segretario del locale gruppo libertario “Emuli di Ravachol”, nell’aprile di quell’anno viene arrestato per attività sovversiva. Nel 1935 viveva a Tandil e non dava più luogo a rilievi di natura politica. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)

Spezzano Albanese (Cs)

Luigi  GRECO Nasce a a Petronà (Cz) il 24 dicembre 1897 da Carmine e Rosina Talarico, contadino. Già in patria aveva manifestato tendenze politicamente sovversive, che mantiene anche quando, nel 1922, emigra in Canada e si stabilisce a Sault Sainte-Marie. Nel 1934 viene segnalato insieme ad altri compagni di fede abbonati al giornale «L’Adunata [dei refrattari]». Nel 1937 era iscritto in «Rubrica di frontiera» per il provvedimento di arresto. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)


Ernesto GREGORI Nasce a Bologna il 13 ottobre 1896 da Desiderio e Rita Brentazzoli, operaio. Autodidatta, “animato da gran forza di volontà”, riesce a farsi “una discreta cultura sociale”. Iscrittosi al PCdI, come il fratello Guglielmo, prende parte a tutte le manifestazioni comuniste e nell’aprile 1921 è coinvolto a Pianoro, insieme a altri compagni di fede, in uno scontro armato, in cui quattro fascisti restano feriti. Rifugiatosi all’estero, G. è condannato, in contumacia, a 17 anni di carcere dalla Corte d’assise di Bologna il 23 novembre 1922 e colpito da mandato di cattura. Entrato nel movimento anarchico, diffonde «Pensiero e volontà» di Roma. Espulso dalla Francia il 4 febbraio 1924, dopo essere stato arrestato a Parigi, mentre manifestava in favore degli anarchici Mateu, Nicolau e Casanellas, uccisori del primo ministro spagnolo Dato, passa nel Belgio e nel 1925 beneficia di un’amnistia, che cancella la condanna del 23 novembre. Nel 1926 diventa segretario del gruppo anarchico di Seraing e sostiene con diverse sottoscrizioni i giornali «La Tempra» e «Il Monito» di Parigi e «Fede!» e «Pensiero e volontà» di Roma, insieme a Giuseppe Ruozi e Carlo Mosca. In contatto con Gio. Batta Bruco e Angelo Sbardellotto, distribuisce, in seguito, negli ambienti antifascisti i giornali «Fede!» di Parigi, «Studi sociali» di Montevideo, «Il Risveglio anarchico» di Ginevra e «L’Adunata dei refrattari» di New York. Il 2 dicembre 1930 un rapporto della polizia belga lo indica come “attivo propagandista anarchico”, lettore abituale di «Guerra di classe» e «Lotta anarchica» di Parigi e di «Bandiera nera» e «Le Combat» di Bruxelles (l’ultimo dei quali edito da Marcel Camille Dieu, alias Hem Day) e quindi “individuo pericoloso la cui presenza nel Belgio non è desiderabile”. Espulso l’11 agosto 1931 e costretto a riparare in Lussemburgo, nel 1932 è a Barcellona, dove s’iscrive alla CNT, collabora a «Solidaridad obrera» e frequenta Pietro Bruzzi e altri correligionari. In seguito lavora per due mesi – nonostante una grave malattia – a Fornells (Menorca), nella fabbrica di pantofole di Bruno Castaldi, e il 19 giugno scrive al fratello Guglielmo, che espia a Pianosa sei anni di reclusione, inflittigli dal Tribunale speciale. Successivamente G. torna in Francia, stabilendosi a Montauban, dove si mette in evidenza per l’attività sovversiva. Incluso, nel 1933, fra gli attentatori bolognesi residenti all’estero, sostiene, con le sue sottoscrizioni, il giornale «Lotte sociali» di Parigi ed è oggetto, nel 1935, di un altro decreto di espulsione dalla Francia, insieme a vari compagni. Durante la Guerra Civile spagnola è in contatto con il Comitato anarchico pro Spagna di Parigi e invia dei contributi al «Bollettino di informazioni», che Giuseppe Pasotti pubblica a Perpignan. Dopo lo scoppio della Seconda Guerra mondiale viene arrestato e internato nel terribile campo di sorveglianza speciale del Vernet d’Ariège, dove rimane fino al 2 novembre 1941, quando viene condotto a Mentone per essere consegnato ai fascisti. Portato a Bologna e interrogato nella Questura il 3 dicembre 1942, “apertamente dichiara di conservare tuttora le ideologie anarchiche”, mostrando “di quale tempra” sottolinea la Prefettura locale “sia la sua tendenza al mal fare”. Assegnato, il 31 gennaio, al confino di polizia “per attività antifascista all’estero e sospetta partecipazione alla guerra di Spagna”, G. viene deportato a Ventotene, dove rimane fino alla caduta dei “neri”, comportandosi con grande dignità. L’arresto di Mussolini e il crollo del fascismo non portano, però, alla sua liberazione e G. viene tradotto, per ordine del governo Badoglio, a Renicci d’Anghiari (AR), insieme a Giuseppe Bifolchi, Ulisse Merli, Onofrio Lodovici, Marcello Bianconi, Emilio Marziani, Giorgio Jaksetich e altri antifascisti, in prevalenza anarchici. A Renicci G. resta fino all’8 settembre 1943, quando riesce a evadere. S’ignorano data e luogo di morte. (R. Bugiani – M. Lenzerini)


 

GRILLO Domenico  Nasce a Parghelia (Vv) il 21 maggio 1887 da Domenico e Petronilla Crigna, calzolaio. Nel maggio 1914 parte per l’Argentina con la famiglia. Nella nuova realtà entra subito in contatto con gli ambienti anarchici, tanto che nel 1916 era già affiliato al gruppo libertario denominato “Fascio Rivoluzionario Italiano”, mentre nei due anni successivi viene segnalato nel territorio di Rosario insieme ad altri compagni di fede e come capo del nucleo libertario di Buenos Aires, dove viveva. Attivo propagandista, G. affermava di essere disposto a compiere, seguendo l’esempio di Bresci, un attentato clamoroso. Muore nel gennaio 1924 nell’ospedale di Cordoba in seguito a tubercolosi. (K. Massara)

Francesco GROPPA
Nasce a Frascineto (Cs) il 10 febbraio (o 2 ottobre) 1902 da Margherita e da padre ignoto, pastore-autista. Nel 1912 espatria in Argentina per raggiungere gli zii, facendosi ben presto notare a causa della sua cattiva condotta. Anarchico, dedito al vagabondaggio e alla compagnia di elementi politicamente sospetti, G. viene infatti più volte fermato per misure di PS; essendo risultato renitente alla leva, nel 1936 è iscritto in «Rubrica di frontiera» e nel «Bollettino delle ricerche» per il provvedimento di perquisizione e segnalazione. Iscritto al Sindacato autisti, diretto e controllato dalla FORA, partecipa ad atti di sabotaggio contro gli automezzi dei lavoratori non iscritti e che avevano esercitato il crumiraggio durante un imponente sciopero della categoria. In una di queste occasioni, un autista viene ucciso a colpi di rivoltella. Il 6 ottobre 1933 G. viene quindi arrestato per complicità in omicidio, porto d’armi e associazione a delinquere, venendo poi assolto - con sentenza del 22 dicembre successivo - dall’accusa più grave per mancanza di prove e condannato a tre anni e sei mesi di reclusione per il reato di associazione a delinquere e intimidazione pubblica. Insieme agli altri imputati ricorre in appello, ma la sentenza viene confermata con la concessione della libertà condizionale per la residuale pena di nove mesi, al termine della quale G. sarebbe stato rimpatriato come richiesto dalla polizia politica. Il decreto di espulsione, però, non viene eseguito grazie alle pressioni esercitate dalla FORA e dal Soccorso rosso internazionale. Liberato il 21 settembre 1935 G. rimane dunque in Argentina, dove, nonostante la continua sorveglianza cui è sottoposto, continua a svolgere attività e propaganda libertaria e antifascista all’interno del sindacato. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)


Alberto Augusto GUABELLO
Nasce nella frazione S. Maria del comune di Mongrando (BI) il 27 aprile 1874 da Dionigi e Serafina Vineis, frequenta le scuole elementari; muratore, tessitore, tipografo. Nonostante la figura di G. sia stata seguita, con ricchezza di documentazione, da M. R. Ostuni in un suo lavoro (La diaspora politica del Biellese, Milano 1995), rimangono sul personaggio – per la stessa contraddittorietà delle fonti – alcune piccole zone d’ombra. In un interrogatorio del 1° aprile 1894, nel quadro degli arresti legati all’affaire Malato e alla progettata insurrezione nel biellese, G. dichiara: “Tre anni or sono non ero anarchico, ma socialista legalitario, e prima ero repubblicano. Sedicenne ero pio e religioso”. In realtà «L’Amico del popolo» di Milano, del 19 dicembre 1891 riporta una comunicazione dello stesso G. in cui si annuncia la costituzione del Gruppo Comunista Anarchico “I figli del lavoro”, composto di “giovani e vecchi desiderosi di affrettare il giorno della Giustizia sociale”. Se fino al 1890 G. era “religioso” e alla fine del 1891 certamente anarchico, quando sarebbero avvenuti tutti quei mutamenti politici? Sicuramente più oscura è la vicenda del suo viaggio con Ernesto Caspani (e non Cassani) in Svizzera e in Francia. Partiti il 27 febbraio 1892 per Ginevra, secondo le segna-lazioni consolari avrebbero lavorato “in un cantiere edilizio sulla strada di Losanna” per poi passare in Francia (ivi, p. 24). Se è certo che il 13 aprile 1892 Caspani si trova a Parigi (in quella data scrive, infatti, dalla capitale francese una let-tera a Caserio), più o meno negli stessi giorni G. viene arrestato a Torino, insieme con una trentina di compagni, nell’ambito di un’operazione di polizia destinata a bloccare inesistenti velleità rivoluzionarie in occasione del 1° maggio. Come tutti, anche G. ottiene il non luogo a procedere per insufficienza di indizi e viene rilasciato il 20 maggio. Nel suo fascicolo personale la Questura di Torino parla di conferenze tenute nel 1892, nonché di partecipazioni a “riunioni e assembramenti in occasioni di scioperi”, indicandolo anche come corrispondente di P. Gori, E. Malatesta e F.S. Merlino. Nel febbraio 1893 viene denunciato “dall’Arma di Mongrando” per furto qualificato e nell’ottobre per furto aggravato, ma in realtà è condannato a 29 giorni di carcere per oltraggio agli agenti di ps e per grida sediziose. Secondo la Prefettura di Novara (allora Mongrando e Biella erano in provincia di Novara) G. emigra in Francia alla fine del 1893 per poi rientrare in Italia nell’aprile 1894, in seguito a espulsione. In realtà tutti gli interrogatori effettuati nell’ambito dell’inchiesta sull’affaire Malato, tra cui anche quello di Rinaldo Rigola, confermano la presenza di G. a Mongrando nel gennaio. Nell’interrogatorio già citato comunque G. sostiene di conoscere “per fama” Malato, di cui aveva sentito “parlare molto a Parigi”. Il processo si conclude per G. con una condanna a cinque mesi di detenzione, a cui seguono dal settembre 1894 al settembre 1896 due anni di domicilio coatto a Tremiti, durante il quale è testimone dell’uccisione di Argante Salucci. Nell’aprile 1897 si riporta nuovamente in Francia ed è ancora una volta espulso nel marzo dell’anno seguente e consegnato al confine italiano. Il 6 luglio 1898 lascia Mongrando alla volta di Paterson, evitando la nuova assegnazione al coatto per cinque anni, decisa nell’ottobre successivo. In un articolo, apparso ne «La Questione sociale» (Rimembranze, 29 lug. 1899), G. scrive: “È triste, immensamente triste, per uno spirito ribelle, per un combattente sincero, abbandonare il campo della lotta”. In realtà, una volta arrivato negli USA, si inserisce immediatamente nell’ambiente anarchico, entrando nel gruppo “Diritto all’esistenza” e, come si ricava dall’interrogatorio effettuatogli, in seguito a rogatoria della Corte d’appello di Milano, per l’attentato Bresci, diventa uno dei tipografi compositori de «La Questione sociale», nonché redattore del giornale. Segnalato “tra gli anarchici più attivi di Paterson”, nel 1903 “sembra in procinto di trasferirsi a Barre per andare a far parte della redazione della «Cronaca sovversiva»” di Luigi Galleani, “ma poi si limita a diventarne il corrispondente per gli stati di New York e New Jersey” (Ostuni,  p. 35), pur continuando a collaborare talvolta anche a «La Questione sociale». Arrestato nel 1920, insieme con il fratello Paolo (nato il 2 giugno 1882), Ludovico Caminita e altri (Ibidem), rischia di essere deportato in Italia. Con l’avvento del fascismo in Italia, G. entra a far parte dell’Alleanza Antifascista del Nord America, organizzazione unitaria, anche se in seguito forma con altri compagni la Lega Antifascista di Paterson e collabora al settimanale «La Scopa». Il periodico è fondato a Paterson nell’agosto 1925 da Beniamino Mazzotta, un tipografo anarchico (nato a Catanzaro il 1° novembre 1874), sbarcato nel maggio 1897 a Filadelfia da una nave militare, disertando, e ormai naturalizzato americano. Nel 1926 G. “figura tra i firmatari della lettera di rinunzia alla cittadinanza italiana inviata il 16 marzo u. s. alla R. Ambasciata e pubblicata sui loro giornali sovversivi”. Agli inizi del 1931 viene intercettato un suo “piccolo money order” destinato a Malatesta. Gestisce ormai una rivendita di libri e giornali, “ritrovo abituale dei sovversivi di Paterson, a due passi dalla tipografia di Mazzotta. E sempre nel 1931 il suo nome compare in un elenco di anarchici “che costituirebbero il Comitato denominato ‘La nostra guerra’ il cui compito sarebbe quello di raccogliere fondi per compiere attentati in Italia”. L’ultima segnalazione risale al 1940. Muore a Paterson nel 1941. (M. Antonioli)

Ferdinando Gualtieri
Nasce a Nocera Terinese (Cz) il 20 settembre 1888 da Aurelio e Rosa Maria Cataldi, calzolaio. Nel 1916 viene arrestato a New York in occasione dei disordini avvenuti il 29 luglio di quell’anno presso gli uffici del giornale «Il Progresso Italo Americano» a causa del rifiuto dell’organo di stampa di aderire all’agitazione promossa dagli anarchici a favore di Carlo Tresca, che era stato appena arrestato nel Minnesota con l’accusa di complicità in omicidio per avere incitato alcuni operai di un’acciaieria a uno sciopero nel corso del quale si era registrata una vittima. Muore a New York il 29 gennaio 1933. (K. Massara)

Fernando GUALTIERI Nasce a Savelli (Kr) l’8 dicembre 1901 da Antonio e Maria Greco, ragioniere-redattore. Ex sottobrigadiere della Guardia di Finanza, già durante la sua permanenza in patria manifesta tendenze anarchiche, che sviluppa ulteriormente quando, verso la fine del 1924, raggiunge il fratello Domenico a New York. Nel 1931, segnalato come attivo propagandista, viene nominato amministratore del gruppo anarco-sindacalista che pubblicava il giornale «Il Proletario», mentre due anni dopo fa parte - con lo pseudonimo di Enotrio Greco - del comitato esecutivo provvisorio del Fronte unico antifascista in qualità di rappresentante del gruppo socialista massimalista, venendo quindi iscritto in «Rubrica di frontiera» e nel «Bollettino delle ricerche» per il provvedimento di fermo. Anche in seguito continua a svolgere attività anarchica. Nel settembre 1938, insieme ai socialisti Giuseppe Lupis e Serafino Romualdi, redattori di «Stampa Libera», inizia la pubblicazione del mensile antifascista «Il Mondo», che era finanziato da Luigi Antonini e dal Sindacato dei sarti e delle lavoratrici dell’ago di New York. Nel 1941 fa parte del comitato esecutivo dell’“Italian emergency rescue committee”, organismo che si era interessato dell’assistenza agli antifascisti francesi e che in quel periodo si incaricava di raccogliere 15.0000 dollari per portare in salvo una settantina di persone esposte al pericolo di cadere nelle mani della Gestapo e dell’OVRA. Del comitato facevano parte – oltre allo stesso Antonini - anche Max Ascoli, Angelica Balabanoff, Carlo Sforza, Marion Rosselli, Gaetano Salvemini, Alfredo Segre, Alberto Tarchiani e Walter Toscanini, figlio del maestro. G. era anche membro della “Mazzini Society”; l’associazione, presieduta da Max Ascoli e sostenuta dal sindaco di New York Fiorello La Guardia, era costituita da un gruppo di antifascisti italiani, da ebrei e massoni legati alla rivista «Il Mondo», trasformatasi in quotidiano dal settembre di quell’anno. Infine, il 31 agosto 1942, G. scrive da New York una lettera a carattere antifascista a Nicolina Flammia, residente nella Città del Vaticano, nella quale, fra l’altro, asserisce di avere incontrato qualche settimana prima don Luigi Sturzo. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara) 
Guglielmo ​GUBERTI Nasce a Ferrara il 9 marzo 1885 da Gaetano e Maria Borsari, meccanico, con istruzione elementare. G. lascia Ferrara, dove era segnalato come socialista, nel 1905 e si sposta in diverse città, lavorando in officine meccaniche e fabbriche automobilistiche e frequentando gli ambienti anarchici: Torino, Savona, ancora Torino (dove “è altro dei gonfalonieri di quel gruppo anarchico nella dimostrazione” del 1° maggio 1907), Carrara, La Spezia, Genova, Bolzaneto, Sestri Ponente, Ala (allora provincia di Verona), di nuovo Torino e, agli inizi del 1908, Milano. La sua presenza a Milano viene “notata” solo quando, nel febbraio 1908, si registra come gerente de «La Protesta umana». Arrestato nell’aprile, viene condannato una prima volta a cinque mesi e 22 giorni per reato di stampa. Nel novembre subisce un’ulteriore condanna a due anni sette mesi e 26 giorni sempre per articoli di eccitamento al regicidio e all’odio fra le classi sociali. Parzialmente ammesso ai benefici dell’amnistia, nell’ottobre 1909 lascia il carcere di Saluzzo e si stabilisce a Milano, dichiarando alla Questura di volersi dedicare al lavoro, “avendo già dato il suo contributo all’idea”.

Nel dicembre però è nuovamente arrestato “dovendo espiare 100 giorni di detenzione sussidiaria” per mancato pagamento di una multa. Scarcerato alla fine di marzo 1910, si trasferisce nel dicembre alla Spezia, dove svolge attiva propaganda e partecipa, il 22 gennaio 1911, al Convegno anarchico ligure. Nel marzo è a Genova e poi Torino, dove “si mostra attivissimo e pericoloso nella propaganda sovversiva”. Nell’aprile 1912 “infermo e privo di mezzi” viene rimpatriato a Ferrara presso il fratello Gualtiero. Il 28 luglio interviene al Convegno anarchico romagnolo-marchigiano di Rimini, sollecitando a discutere sul “contegno che gli anarchici debbono avere di fronte alle organizzazioni operaie” (Il convegno di Rimini e i suoi pratici risultati, «L’Agitatore», 4 ag. 1912). Di lì poco (25 ago.) si tiene a Ferrara un Convegno anarchico provinciale, di cui G., con Mario Poledrelli e Arturo Mazza, è uno dei promotori e che dà vita al Gruppo anarchico provinciale ferrarese, il cui principale obiettivo è quello di “penetrare nelle organizzazioni operaie per sottrarle alle influenze dei partiti politici ed ispirarle invece al concetto dell’Azione Diretta” (Per una più grande azione, «L’Agitatore», 1° sett. 1912).

In questo periodo G. compie giri di propaganda, dedicandosi in particolare alla campagna di protesta per la liberazione di Joseph Ettor e Arturo Giovannitti. Nel novembre partecipa, a Modena, al Congresso di fondazione dell’USI, nel dicembre al Congresso della cdl di Ferrara e nel maggio successivo al Convegno anarchico bolognese. Nel febbraio 1914 ritorna a Milano e si stabilisce a Greco Milanese, dove lavora come facchino e partecipa at-tivamente alle iniziative del Fascio Libertario Milanese, soprattutto durante gli scioperi promossi dall’usm. Denunciato nel settembre per grida sediziose in occasione di un comizio nel piacentino, viene condannato a 35 giorni. Nel dicembre 1915 G. colleziona un’ulteriore denuncia per “denigrazione alla guerra”, ma il processo viene rinviato. Fa parte della Commissione esecutiva della Sezione milanese dell’USI, costituitasi dopo l’espulsione dell’usm per le sue posizioni interventiste. Più volte licenziato, nel dicembre 1916 si trasferisce a Piacenza e assume provvisoriamente la carica di segretario della locale cdl in sostituzione di Alibrando Giovannetti. Alla fine di dicembre partecipa a Bologna a un convegno anarchico emiliano romagnolo e si attiva per promuoverne uno nel ferrarese.

Nell’aprile 1917 G. viene sostituito alla segreteria della cdl dall’anarchico fiorentino Gregorio Benvenuti, ma – tra un licenziamento e l’altro – continua a risiedere a Piacenza fino a maggio inoltrato quando un decreto prefettizio ne dispone l’allontanamento per ragioni di ordine pubblico. Arrestato a Crema quale renitente, G. viene tradotto a Ferrara a disposizione del consiglio di leva, ma viene definitivamente riformato per i postumi di una poliomielite. Nel novembre 1919 pubblica (per soli quattro numeri) «La Tribuna rossa dell’Unione Sindacale Ferrarese», poi «La Tribuna rossa». Rimane nella città natale fino agli inizi del 1920, ritornando poi a Milano, dove viene considerato “uno dei membri più influenti” del Comitato Centrale dell’USI. Nell’aprile si trasferisce a Comacchio come segretario della locale CdL e viene quasi immediatamente arrestato per attentato alla libertà di lavoro e oltraggio all’autorità. L’offensiva fascista costringe G. a lasciare Comacchio.

Nel luglio 1921 si stabilisce a Mandriole di Ravenna e poi, nel 1922, di nuovo a Milano, dove passa da un lavoro all’altro. Nel 1923, disoccupato, “vive nella più squallida miseria avendo moglie e ben 5 figli, dei quali il maggiore conta appena 8 anni”. Nel 1927 pare tenti, senza successo, un espatrio clandestino e viene poi condannato a sei mesi per appropriazione indebita. All’inizio degli anni Trenta risiede sempre a Milano, esercita il mestiere di merciaio ambulante e grazie alla sua buona condotta viene radiato dal casellario (1937). Nell’ottobre 1942, tuttavia, viene sorpreso ad ascoltare trasmissioni radiofoniche nemiche e la figlia Ivonne testimonia, “spontaneamente”, di questa sua abitudine. Una perquisizione domiciliare consente di rinvenire, oltre a “libri di viete teorie e sistemi politici” una “voluminosa raccolta di poesie” di suo pugno. In una si può leggere: “Ma l’avvenire cammina ratto, e cuce/il lenzuolo funebre che febbrile/coprirà la menzogna, maledetto Duce”. Considerato pericoloso, nonostante le precarie condizioni di salute, viene arrestato e proposto per il confino. Rilasciato nel 1944, muore a Milano il 1° febbraio 1945. Durante le esquie, civili, un gruppo di anarchici tenne un elogio funebre al Ponte della Ghisolfa. (M. Antonioli)

Guglielmo ​GUBERTI

 
Giuseppe  GUELFI
Nasce a Nizza il 10 febbraio 1894 da Oreste e Ernestina Babbini, pittore decoratore, meccanico. Trascorre l’adolescenza a Massa, città d’origine dei genitori, e qui si avvicina all’anarchismo. Chiamato alle armi nel 1914, partecipa alla guerra come soldato di cavalleria. Pregiudicato per reati contro la proprietà e condannato per diserzione militare ripara in Francia nel 1921. Da qui espulso nel 1928 è rintracciato a Savona e arrestato. Espatria nuovamente dopo aver scontato tre anni al reclusorio militare di Gaeta. “La sua attività sovversiva ed antinazionale all’estero è stata conosciuta attraverso le Autorità consolari e le sue peregrinazioni ed espulsioni ne rivelano l’attività pericolosa”. Usa i nomi falsi di “Juan Torres Gouvece”, “Elia Ascenzi”, “Juan Casedemunt”, “Jose Juifrut”, “Giuseppe Martinelli”, “Luigi Contri”, “Umberto Fei”. In Francia risulta ricercato per l’uccisione di due gendarmi. La sua presenza è segnalata in Svizzera, Belgio, Olanda, Portogallo e Spagna. Qui, “implicato nel movimento rivoluzionario dell’alto Llobregat”, è incarcerato a Barcellona nel 1932 insieme ad altri anarchici italiani (fra cui Nicola Turchinovic, Pietro Bruzzi e Bruno Toccafondi). Il 27 luglio di quell’anno è inserito nel «Bollettino delle ricerche». Conosciuto negli ambienti dei fuorusciti, noto fra l’altro anche per la sua saltuaria collaborazione al giornale anarcosindacalista catalano «Solidaridad obrera», dal 1934 si trova ufficialmente al servizio della polizia fascista. Svolge la sua attività d’informatore presentando dettagliate relazioni circa le attività cospirative all’estero ed in Italia. Nella ristretta schiera dei “fiduciari anarchici” del ministero dell’interno conosciuti è, dopo Bernardo Cremonini, senz’altro fra i più puntuali. A Roma i suoi rapporti, custoditi in un voluminoso fascicolo, vengono direttamente trattati dal vice capo della polizia. Messo alla prova, inizia la sua collaborazione promettendo di far smascherare un comitato nazionale di agitazione anarchica con sede in Livorno, emanazione della Concentrazione antifascista parigina. Nel giugno del 1934 sono così eseguite in quella città 23 perquisizioni simultanee ad altrettante persone da lui indicate – tutti amici di Augusto Consani – ma l’esito è negativo. Allo stesso modo fallisce il tentativo dell’OVRA di inserirsi, usando il nome di Paolo Schicchi, nella corrispondenza del Soccorso anarchico internazionale. Una successiva importante “missione” si compie fra i confinati di Ponza. Qui G. tenta, ma senza grandi risultati, di raccogliere le confidenze, fra gli altri, di Vincenzo Capuana “giornalista terrorista” appena rimpatriato da New York. Poi sarà trasferito in altre colonie (Ustica, Fonni, Tremiti, Lampedusa, Favignana e Ventotene) e anche in carceri (Napoli e Trapani), e su queste esperienze davvero dirette fornirà ogni volta “relazioni sull’ordine pubblico”, cioè sui comportamenti degli anarchici e sui loro progetti insurrezionali, veri o falsi. Perduta ogni credibilità come collaboratore tenta invano e disperatamente di evadere dal confino. Muore il 14 maggio 1940 all’ospedale Pace di Napoli. (G. Sacchetti) 

 
GUELFI Guelfo Nasce a Volterra (PI) il 27 aprile 1895 da Giuseppe e Zandira Gori, scultore, detto “Zaffa” o “figlio di Tacchi”. Giovanissimo si avvicina agli ideali anarchici e aderisce del gruppo “Germinal” di Volterra, composto prevalentemente da artigiani dell’alabastro. Amico dell’anarchico Gino Fantozzi, anch’egli alabastraio, G. è tra gli animatori dello sciopero e delle manifestazioni cittadine durante la Settimana rossa (giu. 1914). Nel 1915 è richiamato sotto le armi in fanteria, durante il conflitto riporta due ferite ed è decorato con la Croce di guerra. Dopo l’ascesa al potere del fascismo, nell’ottobre del 1925, è costretto a riparare in Belgio insieme alla sua famiglia, dove prosegue la sua attività di scultore. Si ricordano di lui opere ritraenti Nestor Machno ed E. Malatesta. Durante gli anni Trenta le autorità lo sottopongono ad una stretta vigilanza che, tuttavia, non gli impedisce di dare il proprio appoggio alle iniziative del movimento libertario di origine italiana presente in Belgio con una comunità vivace e numerosa. Allo scoppio della guerra G. viene arrestato dalla polizia tedesca alla fine di settembre del 1940 e consegnato alle autorità italiane. Poco più di un mese dopo riacquista la libertà con l’obbligo di risiedere a Volterra. Nel luglio 1941 ritorna in Belgio per riunirsi alla famiglia. Continua la sua attività di militante anche nel dopoguerra. A Volterra rifonde la lapide a Ferrer che era stata rimossa dai fascisti e che viene ricollocata il 12 ottobre 1969. Muore a Bruxelles il 10 novembre 1973. (F. Bertolucci)

Settimo   GUERRIERI Nasce a Piombino (LI) il 24 aprile 1905 da Antonio e Pia Vagelli, operaio. Dopo un’infanzia trascorsa tra stenti e privazioni a causa delle disagiate condizioni economiche familiari, inizia ben presto a lavorare come operaio presso gli sta-bilimenti siderurgici dell’ILVA. Durante gli anni di mobilitazione politica e sociale del Primo dopoguerra, si avvicina alla militanza anarchica distinguendosi per il suo entusiasmo giovanile e il suo spirito d’intraprendenza. Come tanti altri operai piombinesi rimasti disoccupati in seguito alla crisi produttiva che nei primi anni Venti colpisce l’ILVA, anche G. decide, nel 1925, di emigrare verso Torino in cerca di nuova occupazione. Assunto alla FIAT Ferriere va ad abitare nei dintorni della Barriera di Milano, quartiere di periferia a forte concentrazione industriale ad alta densità operaia. Non appena arrivato in città, assume subito un ruolo di rilievo nelle iniziative di lotta predisposte dalle cellule anarchiche locali nel tentativo di mantenere in vita una rete di op-posizione clandestina al fascismo. Molti, ad esempio, sono i suoi collegamenti con un gruppo di militanti rifugiatisi a Lione, cui fornisce informazioni sullo stato d’animo delle masse operaie e sulla situazione politica interna. Negli anni del-la crisi economica indirizza la propria azione verso un’attività specifica, finalizzata al riallacciamento dei vari quadri che operano in città. È lui, infatti, che spesso s’incarica di “radunare i compagni in qualche locale o nell’abitazione di persone di fiducia per scambiare e comunicare notizie sul movimento e per tener desta l’idea anarchica”. Di notevole importanza, inoltre, è anche il suo contributo nel favoreggiamento degli espatri clandestini e nella distribuzione dei fondi del soccorso anarchico alle famiglie dei detenuti politici. Individuato nell’estate 1930 come uno degli esponenti di maggior spicco del gruppo anarchico “Barriera di Milano”, è segnalato dalla Questura di Torino come “elemento che per la sua mentalità irriducibilmente sovversiva, per la sua attività e per la sua capacità di scendere all’azione, qualora sorgesse il momento a lui favorevole, è da ritenersi veramente pericoloso per l’ordine pubblico”. Fermato per “attività sovversiva”, è denunciato alla Commissione Provinciale di Torino che, nel marzo del 1931, lo condanna a cinque anni (poi ridotti a tre) di confino da scontarsi a Ponza. Il periodo di relegazione nell’isola non riesce però a mitigare l’indole ribelle e refrattaria ad ogni disciplina di G. che, nel giro di pochi mesi, è nuovamente ar-restato per aver partecipato all’agitazione dei confinati contro i soprusi perpetrati dalle autorità confinarie. Denunciato al Tribunale di Napoli, nell’ottobre del 1931 è condannato a tre mesi di detenzione per “manifestazione sediziosa e contravvenzione agli obblighi di confino”. Ritradotto a Ponza dopo aver scontato la pena nel carcere di Poggioreale, è prosciolto dal rimanente periodo confinario in occasione della celebrazione del decennale della nascita del fascismo. Con lo scoppio della Guerra Civile spagnola, G. è tra coloro che si mobilitano per accorrere in sostegno del proletariato iberico in lotta contro i generali golpisti. Insieme ad altri compagni organizza così la propria fuga dall’Italia e, servendosi dei tracciati e delle persone a lui note, nella notte tra il 9 e il 10 settembre 1936 riesce ad eludere i vari controlli di polizia e a varcare clandestinamente la frontiera. Raggiunto il territorio francese, si dirige verso Marsiglia dove, dopo alcuni giorni di permanenza, s’imbarca sul piroscafo Ciudad de Barcelona. Giunto in Catalogna, si arruola come miliziano nella Sezione Italiana della Colonna “Ascaso” cnt-faib, combattendo valorosamente sul fronte aragonese. Strettissime, inoltre, sono le sue relazioni con il gruppo redazionale del periodico «Guerra di classe», pubblicato a Barcellona da Berneri e altri militanti libertari. Dopo la vittoria di Franco si rifugia in Francia stabilendosi a Brive-la-Gallarde. Tratto in arresto per misure di PS dalle autorità francesi nell’estate del 1939, viene prima deportato al campo di concentramento di Argèles-sur-Mer e, successivamente, tradotto in quello di Saint-Cyprien. Dopo la Liberazione il suo nome è nella lista libertaria della FIAT Ferriere per il consiglio direttivo della FIOM. Muore a Piombino nel 1975. (F. Giulietti – T. Imperato)

​GUERRINI Giulio

Nasce a Roma il 1° gennaio 1893 da Augusto e Aida Modesti, falegname, nome di battaglia “Gigi”. Si trasferisce con la famiglia a Genova nel 1906 e successivamente a Torino. È uno dei primi organizzatori degli Arditi del popolo torinesi. Nel luglio 1921 è arrestato e accusato di “essere il capo degli Arditi del popolo del Pilonetto e di aver comandato e condotto una squadra di questi ad una festa proletaria a Moncalieri”. Il processo, che è celebrato l’anno successivo con diversi accusati (fra cui Raffaele Schiavina), si conclude con l’assoluzione di tutti gli imputati. Appena rilasciato, G. emigra a Londra, ma non riesce a ottenere il permesso di soggiorno, per cui si trasferisce a Bruxelles, alternando la residenza fra le due città fin al 1928, anno in cui si stabilisce definitivamente nella capitale belga, ove partecipa alle attività della comunità anarchica italiana.

Il suo nome appare sovente nei rapporti informativi del consolato italiano ed è iscritto nella “Rubrica di frontiera”. Nel 1940, in seguito all’occupazione nazista del Belgio, rientra in Italia, dove è arrestato e rilasciato dopo pochi giorni. G. fa rientro a Torino dove è diffidato. Dopo l’8 settembre 1943 si dedica interamente alla lotta clandestina e fa parte delle formazioni partigiane della Val Pellice con l’incarico di far da tramite coi compagni di Torino.

Nel gennaio 1944 è arrestato e in seguito liberato con uno scambio di prigionieri. Rientra a Torino ove milita nella Resistenza nella divisione cittadina di GL. In ottobre è arrestato, risulta passato dalle carceri milanesi, da dove viene poi trasferito al Campo di concentramento di Bolzano (N. matricola: 6577). Il 19 gennaio 1945 viene deportato a Flossenbürg, dove giunge il 23 gennaio per poi, il 3 febbraio 1945, essere trasferito al sottocampo di Porschdorf. N. di matricola: 43645. Classificato con la categoria Pol. È infine destinato in Cecoslovacchia (oggi Repubblica Ceca), dove muore nell’ospedale di Leitmeritz (Litoměřice) il 5 maggio 1945. (T. Imperato e redazione DBAI)

 
Ivan Guerrini
(Brescia, giugno 1922 - Brescia, 2 maggio 2010) è stato un anarchico italiano. 

Biografia 

Nato nel giugno del 1922 a Brescia, dopo gli anni della guerra a cui partecipa malvolentieri e «senza sparare un colpo contro altri uomini», nell'estate del 1945 ha un primo incontro con i vecchi compagni bresciani tra i quali il calzolaio Ettore Bonometti; nel settembre dello stesso anno partecipa alla ricostruzione del Gruppo Anarchico Bresciano (GAB). Nella primavera del 1946, al termine di un comizio incontra Palmiro Togliatti (allora ministro di Grazia e Giustizia) sottoponendogli il caso del compagno Giuseppe Mariani (ancora detenuto nelle patrie galere), implicato nella strage del teatro Diana di Milano (marzo 1921), e della rivolta del penitenziario di Santo Stefano (1943), dove era recluso da molti anni. Ivan, aderente alla Federazione Anarchica Italiana, partecipa a numerosi convegni e congressi: Milano (1945), Genova Sestri e Firenze (1946), Bologna e Rimini (1947), Livorno (1949, 1954, 1955), Ancona (1950).

Da una serie di incontri dei compagni bresciani con quelli veneti e mantovani nasce la Federazione Anarchica Triveneta (FAT). Nel 1965, durante il Congresso FAI di Carrara (ottobre-novembre) Guerrini con altri compagni contesta il nuovo “Patto Associativo” e propone un documento alternativo da sottoporre ai presenti, che lo acquisiscono solo agli atti, approvando alla fine quello “ufficiale” (a maggioranza e non all'unanimità). A questo punto Guerrini ed altri escono dalla sala, «dove si scatena un putiferio». Nel dicembre dello stesso anno “i dissidenti” del congresso carrarino si riuniscono a Pisa e costituiscono i Gruppi di Iniziativa Anarchica (GIA) per «svolgere un lavoro volontario d'insieme per la propaganda anarchica». Nasce il quindicinale L'Internazionale e al compagno bresciano viene affidato l'ufficio di corrispondenza. Nel 1966 lo stesso produce un ciclostilato mensile: Notiziario GIA, nel quale vengono raccolte e diffuse notizie interne, proposte di lavoro, corrispondenza varia. Nel frattempo si svolgono cinque Congressi GIA.

Nel settembre del 1975, in occasione di una riunione a Senigallia per le “vittime politiche”, alcuni compagni dei Gruppi di Iniziativa Anarchica annunciano di voler fare un congresso nello stesso giorno per discutere «l'organizzazione dei GIA in relazione al loro orientamento». Ivan si oppone al metodo inadeguato di preparazione del congresso, che, a suo avviso, dovrebbe invece informare preventivamente tutti i compagni raccogliendo le loro opinioni al riguardo.

I quattro compagni “proponenti” si oppongono alle critiche di Guerrini. A questo punto il compagno bresciano rassegna le dimissioni dai GIA informando tutti i compagni tramite il bollettino e sollecitando la loro opinione. Molte risposte condividono l'analisi di Guerrini e vengono decisi degli incontri per discutere sul da farsi. Si svolgono quattro riunioni a Carrara e nell'ultima viene presa la decisione di rendersi autonomi dai GIA e di rieditare un giornale, Seme Anarchico, pubblicato a Torino nel 1951 dai compagni Italo Garinei e Dante Armanetti. La redazione viene affidata a Guerrini e nel febbraio del 1980 iniziano le pubblicazioni come mensile. Per trent'anni il compagno è il direttore e quasi ininterrottamente il redattore (ricordiamo le redazioni di Franco Bonçiuga, Nicola Vitale, Elisa Di Bernardo e Fabio Razzi e tutt'oggi di Antonietta Catale e Guido Durante) del Seme Anarchico.

L'anarchismo di Ivan affonda le radici nella cultura illuminista e positivista e si modella sui principi del Congresso Antiautoritario di Saint-Imier (1872). Una riflessione costante presente nell'opera di Guerrini è quella del rapporto tra anarchismo e organizzazione, convivenza spesso problematica con derive a volte autoritarie. L'iniziativa, l'azione anarchica, secondo Guerrini, è innanzitutto individuale e si riproduce nell'associazionismo volontario, mai strutturato in organizzazioni statiche e burocratiche.

Dalla lucidissima analisi dei poteri (da quello statale a quello economico, da quello religioso a quello militarista), il compagno bresciano propone con la sua limpida prosa puntuali soluzioni e suggerimenti avulsi da teoremi filosofici. Lo strumento indispensabile per il raggiungimento della libertà viene indicato nell'opera educazionista, la sola a dissolvere l'ignoranza e i pregiudizi fomentati dalle religioni e dagli Stati. Ecco l'importanza della pedagogia anarchica, che da Francisco Ferrer ha contribuito all'evolversi dell'emancipazione umana.

La scomparsa di Guerrini avviene a Gussago (Brescia) il 2 maggio 2010, a seguito a un'inesorabile malattia e crea un vuoto profondo nei moltissimi compagni che lo conoscevano e lo stimavano, ma l'esempio della sua lunga e prolifica esistenza all'insegna dell'anarchia sprona a proseguire decisi sulla strada della grande liberazione. Sulla bara, prima della cremazione, vengono distese la bandiera anarchica e quella dell'Unione Sindacale Italiana per ricordare il suo impegno e la sua collaborazione vivace anche con il periodico Lotta di classe.

Contemporaneamente al lavoro giornalistico Guerrini ha scritto opere di propaganda e letteratura pubblicate sin dalla fine degli anni Sessanta: Saggi critici di attualità politica, Almanacco di effemeridi storiche, Commentario popolare, il romanzo Tomaso, Raccolta di poesie, Clendario antiautoritario. Nel dicembre 2009 amici e compagni bresciani hanno pubblicato una raccolta di poesie vecchie e nuove dal titolo Rimembranze.


Bibliografia

  • Ivan Guerrini, Motivi di Propaganda Anarchica, Brescia
  • Ivan Guerrini, Almanacco delle effemeridi storiche, a cura del Gruppo Anarchico Bresciano, Edizioni l'Antistato, Cesena, 1969
  • Ivan Guerrini, Tomaso. Alla memoria di Spagna Rizieri, a cura del Gruppo Anarchico Bresciano, Brescia, 1970

 
GUIDI, Giuseppe Nasce a Castel Bolognese (RA) il 15 settembre 1881 da Mario e Luigia Galeati, pittore. Detto “Sladacc”. Compie gli studi classici presso il ginnasio Torricelli di Faenza, senza concluderli per mancanza di mezzi, a causa del fallimento del padre negoziante salumiere che getta la famiglia pressoché nella miseria. Nel maggio 1900 viene condannato a cinque mesi e 25 giorni di reclusione per due furti consumati in casa di un compagno di scuola. È con ogni probabilità subito dopo questo episodio, che lo emargina completamente dal “ceto civile” del paese, che si colloca la sua adesione all’anarchismo. Diventa ben presto un attivo propagandista e già nel 1902 le fonti di polizia segnalano che esercita molta influenza sui compagni, anche se limitata all’ambito locale, per la sua cultura e anche per il carattere “ardimentoso, esaltato”. Considerato “molto intelligente”, svolge una “attivissima propaganda fra gli adolescenti conquistando sempre nuovi proseliti al partito”. Appartiene al gruppo “Diritto all’esistenza” di Castel Bolognese e ne è “una delle menti direttive”. Pubblica articoli e corrispondenze su argomenti economici e di attualità su «L’Agitazione» di Roma, su «L’Avvenire sociale» di Messina e su «L’Aurora» di Ravenna con lo pseudonimo “Activos”. Nel luglio del 1902 si trasferisce a S. Giorgio di Nogaro (UD) per ragioni di lavoro, impiegandosi come elettricista in uno zuccherificio. Il 2 marzo 1903 è arrestato sotto l’imputazione di furto continuato di oggetti meccanici e chimici ai danni dello stesso zuccherificio, e il 20 maggio il Tribunale di Udine lo condanna a 14 mesi e 17 giorni di reclusione. Il 18 maggio 1904 viene rilasciato per pena ultimata e viene rimpatriato a Castel Bolognese con foglio di via obbligatorio. Il 7 agosto 1904 riparte alla volta di Trieste, dove il successivo 20 novembre viene sorpreso dalla polizia in un gruppo di nove muratori intenti a cantare l’inno di Caserio; tutti vengono condannati a un mese di arresto ciascuno. In seguito soggiorna a Vienna dove lavora come imbianchino e decoratore, e contemporaneamente studia pittura. Dopo avere venduto un primo quadro in un’esposizione a Budapest, partecipa a Vienna al “Salone dei Secessionisti”. Il movimento della Secessione viennese eserciterà un’evidente influenza anche sulla sua produzione artistica successiva. Nel novembre 1905 è espulso dai territori dell’impero austriaco e rimpatriato a Castel Bolognese con foglio di via, come sospetto anarchico. Dopo una sosta di alcuni mesi a Milano, dove non trova lavoro, si reca a Parigi dove, costretto dalla fame, si adatta a dipingere cartelloni pubblicitari per fiere, giostre e circhi equestri. Riesce comunque a presentare una sua tela al “Salone degli Indipendenti”. Alla fine del 1908 si trasferisce definitivamente a Milano, dove secondo la polizia “conserva regolare condotta e non si occupa di politica”. Prima lavora presso una manifattura di ricami e passemanerie, poi dal 1912 apre uno studio di pittore. Nel novembre del 1915 si arruola volontario nella Croce Rossa. Dopo il congedo riprende la sua attività di pittore, peraltro mai del tutto interrotta. Nel dopoguerra, prima dell’avvento al potere del fascismo, ospita più volte a casa sua Benito Mussolini, al quale è legato da rapporti di parentela (il padre di G. è fratello del padre di Rachele Guidi, moglie di Mussolini). Il prefetto di Milano, comunicando nel 1925 al Ministero dell’Interno la decisione di sospendere la vigilanza nei suoi confronti, segnala che dal 1918 in poi non si è interessato più di politica e non è più anarchico: “Attualmente non manca di esaltare il movimento fascista”. Si dedica ormai solo alla sua carriera di artista (pittura a olio, acqueforti e incisioni, smalti su metallo), nella quale – dopo anni d’intenso lavoro e di limitate soddisfazioni – otterrà infine lusinghieri riconoscimenti. Gabriele d’Annunzio, che lo apprezza, gli commissiona un’intera Via crucis per il suo Vittoriale a Gardone Riviera. Dal 1926 riceve un incarico d’insegnamento di Tecniche dell’incisione presso la R. Accademia di Belle Arti di Milano. Espone le sue opere in diverse mostre ed esposizioni, tra cui la XVII Biennale d’Arte di Venezia nel 1930. Muore a Milano il 7 novembre 1931. (G. Landi)

 

 


Giuseppe Guidi (Castel Bolognese, 1881 - Milano, 1931) : Pezzente ubriaco
 

 
 
 

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