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venerdì 6 ottobre 2023

ANARCHICI & ANARCHIA 12

 

A N A R C H I C I & A N A R C H I A

GIOVANNONE, Amedeo

Nasce a Cetraro (Cs) il 12 maggio 1887 da Luigi e Carmela Picarella, elettricista. Nel 1907, dopo aver risieduto per qualche tempo a Milano, emigra a Buenos Aires dove entra nel “Gruppo libertario cetrarese” e si fa immediatamente notare per i suoi principi. Nel 1930, non essendo stato possibile accertare il suo recapito, il suo nominativo viene incluso negli elenchi quindicinali dei sovversivi da rintracciare e identificare e, nel 1931, nel «Bollettino delle ricerche» per il provvedimento di fermo, perquisizione e segnalazione. Nel 1939 era iscritto anche in «Rubrica di frontiera» per il provvedimento di arresto. Si ignorano luogo e data di morte. (K. Massara)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, b. 2440, f. 43915, cc. 26, 1909-1910 e 1930-1932.

Bibliografia: O. Greco, Anarchici calabresi in Sudamerica, in Calabresi sovversivi nel mondo: l’esodo, l’impegno politico, le lotte degli emigrati in terra straniera (1880-1940), a cura di A. Paparazzo, Soveria Mannelli 2004, p. 136n; K. Massara, L’emigrazione “sovversiva”. Storie di anarchici calabresi all’estero, Cosenza 2003, p. 41n; A. Pagliaro, Il gruppo libertario cetrarese, Cosenza 2008, pp. 19 e 56-58.


 
GIRELLI, Angelo

Nasce a Cortona (AR) il 28 febbraio 1886, operaio. Allevato dal contadino Romualdo Benelli a Farneta di Cortona, si trasferisce a Sasso d’Ombrone nel 1897 e abita, in seguito, a Cinigiano e a Montalcino, poi, nel 1910, si stabilisce a Piombino, dove lavora agli Alti forni, si iscrive alla Camera del lavoro sindacalista e aderisce al movimento anarchico. Consigliere nella Commissione camerale, insieme a Paris Pampana, Pilade Jacometti, Primo Fastame e Domenico Rossi, interviene, il 9 aprile e il 18 maggio 1919, ai lavori del Consiglio generale della Camera del lavoro, a nome degli operai dell’alto forno, poi, al IV Congresso camerale (gen. 1921), viene rieletto membro della Commissione esecutiva, insieme a Eligio Pozzi, Paris Abati, Giovanni Mancini, Ruffo Giorgi, Otello Cocchi, Luigi Taddei, Lampisio Pineschi, Alpinolo Righini, Pietro Favilli, Dante Muzzi, Tillo Ticciati e Albino Zazzeri. Dopo le violenze fasciste, che portano alla distruzione della cdl sindacalista nel giugno 1922, emigra clandestinamente in Francia e fissa la residenza a Marsiglia, dove ha stretti legami con Zazzeri, Giulio Bacconi, Egizio Cennini, Paolo Bonatti e altri anarchici. Nell’ottobre 1932 scompare improvvisamente dalla città portuale, mettendo in allarme il console italiano il quale, temendo che voglia rimpatriare per compiere un attentato, lo segnala, il 12 novembre, al Ministero dell’Interno, come “militante attivo del partito anarchico”. Il 24 novembre il capo della polizia fascista invita il prefetto di Arezzo a fornirgli urgentemente tutte le notizie disponibili sull’esule, “richiamando speciale attenzione uffici terra et mare per ricerche arresto et trovar modo inviare fotografia predetto assicurando”. Iscritto immediatamente nella “Rubrica di frontiera” per l’arresto, G. riappare a Marsiglia dopo qualche giorno di assenza e, alla fine dell’anno, dà la sua adesione al Comitato per la difesa di Pietro Cociancich e Dante Fornasari, accusati di un attentato dinamitardo contro la Casa degli italiani di Aubagne (un covo di fascisti). Sempre molto attivo, G. partecipa, il 9 gennaio 1933, all’inaugurazione dell’“Università popolare” di Marsiglia e il 29 gennaio è presente alla conferenza di Emilio Lussu sulla rivoluzione italiana. Il 10 ottobre viene schedato e nella primavera del 1934 fa parte della Federazione anarchica del Sud-Est della Francia, un’organizzazione composta dal Gruppo Aurora, i cui esponenti principali sono G. e Luca Bregliano, dal Gruppo comunista-anarchico, i cui elementi più conosciuti sono Edoardo Angeli, Celso Persici e Marcello Cicero, dal Gruppo della “Belle de Mai”, che fa capo a Bacconi, dal Gruppo “Sacco e Vanzetti”, di cui è segretario Leonildo Biasci, e dal Gruppo di Tolone, guidato da Ugo Boccardi e Romualdo Del Papa. Il 20 gennaio 1935 G. assiste alla conferenza di Silvio Trentin sul Crepuscolo del diritto e dello stato borghese e il 1° maggio 1936 sfila nel corteo del fronte popolare, insieme a Bacconi, Bregliano, Ludovico Rossi, Emilio Strafelini, Cesare Fietta e Lazzaro Turroni, dietro la bandiera nera degli anarchici, portata dalla moglie del compagno Ercolino Bardini. Membro della sezione marsigliese del Comitato nazionale pro vittime politiche, G. interviene, in novembre, alla conferenza di Luigi Campolonghi alla Bourse du Travail di Marsiglia e il 13 novembre 1938 partecipa al corteo, organizzato dai comunisti e dagli anarchici per protestare contro l’assenso di Mussolini allo smembramento nazista della Cecoslovacchia. Rimasto in Francia dopo la Seconda Guerra mondiale, muore a Marsiglia l’8 giugno 1955. (F. Bucci – G. Piermaria)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; [Necrologio], «Umanità nova», 26 giu. 1955.
 
​GIRELLI, Domenico 
 
 
Nasce a Civitella di Romagna (FC) il 19 febbraio 1893 da Giovanni e Teresa Faggi, operaio metalmeccanico. Primogenito di quattro tra fratelli e sorelle, cresce in una famiglia poverissima e può frequentare la scuola solo fino alla terza elementare. Il padre è contadino e la madre pecoraia, entrambi analfabeti. Nel 1905, a soli 12 anni, parte per la Francia con il padre emigrato per lavoro. Si stabilisce a Homécourt, in Meurthe-et-Moselle, dove nel 1906 è assunto come operaio in una officina locale dove già lavora il padre. Giovanissimo nel 1908 si avvicina all’anarchismo, leggendo i primi giornali e discutendo con emigrati italiani di idee libertarie. Sono gli anni decisivi per la sua formazione. Conduce una vita morigerata, dedicando alla lettura di cui è appassionato cinque o sei ore tutti i giorni (dopo aver lavorato 10 ore in officina), formandosi una disceta cultura da autodidatta. Una certa influenza esercita inizialmente su di lui Virgilio Gemelli, un compagno di lavoro sposato con una sua cugina, originario di Civitella e animatore del locale gruppo anarchico, amico di P. Gori. Nei periodi che G. trascorre a Civitella, dove rientra per un mese di ferie ogni due anni, diventa compagno inseparabile di alcuni giovani anarchici del paese suoi coetanei, tra i quali Cairo Giovannini e Leandro Arpinati, futuro ras del fascismo bolognese, all’epoca anarchico individualista. Negli anni successivi frequenta anche il socialista Torquato Nanni, nella vicina Santa Sofia. Pur riluttante, su insistenza del padre che gli prospetta le conseguenze negative della renitenza alla leva, nel 1913 G. rientra in Italia per il servizio militare. Dopo due mesi è talmente depresso e deperito che ottiene un anno di convalescenza da trascorrere a casa. Durante la convalescenza, nel giugno 1914 scoppia lo sciopero insurrezionale della Settimana rossa. Prende parte a tutte le manifestazioni nel paese, mettendosi in luce per numerosi episodi. In particolare, con un bastone e una corda infilati nei battenti della porta, tiene segregati per una settimana nella loro caserma i carabinieri del paese. Con assi e chiodi sbarra anche la porta della chiesa. Colloca di notte una bandiera rossa e nera in cima alla Torre pubblica. Dopo la fine dei moti non subisce conseguenze. Tornato al battaglione, di stanza a Verona, allo scoppio della guerra si rifiuta di usare le armi e si dichiara disposto ad andare in carcere, ma è convinto a svolgere il servizio senz’armi, come infermiere portaferiti. Accetta perché la soluzione non è in contraddizione con i suoi ideali umanitari. Svolge servizio prima nelle retrovie poi al fronte. Nel novembre 1917 viene fatto prigioniero dagli austriaci sull’Altipiano della Bainsizza, durante la rotta di Caporetto. È mandato prima in un campo di concentramento nell’Ungheria meridionale, poi a lavorare, negli ultimi mesi di guerra, presso una famiglia di contadini in un villaggio. Liberato dalla prigionia alla fine della guerra, deve riterminare il servizio militare. Dopo il congedo riprende a svolgere attività politica a Civitella, svolgendo in particolare un’intensa propaganda antielettorale per le elezioni del 1919. Alla fine dell’anno si reca a Genova in cerca di lavoro. L’8 gennaio 1920 è arrestato durante una manifestazione, condannato con la condizionale e rimpatriato a Civitella con foglio di via. La mattina dopo riparte e torna a Genova, dove dopo più di tre mesi trova finalmente lavoro presso la San Martino Macchine Agricole, un’officina meccanica del gruppo Ansaldo, con circa 500 operai. Nella stessa azienda lavorano una quindicina di anarchici, fra i quali il toscano Emilio Grassini, e alcune decine sono gli aderenti all’USI (G. collabora con loro, ma non aderisce in odio a tutte le tessere). Nel settembre del 1920 prende parte attiva all’occupazione delle fabbriche, nel corso della quale gli operai continuano la produzione da soli e sorvegliano armati gli stabilimenti. Con i compagni di lavoro costruisce, con spezzoni di tubi riempiti di esplosivo, numerose bombe che poi vengono nascoste in luoghi diversi. Implicato in un furto d’armi avvenuto in una caserma militare, nella notte tra il 30 e il 31 dicembre 1920 riesce in modo rocambolesco a sfuggire all’arresto mentre una decina di poliziotti irrompono nella sua abitazione. Dopo alcune settimane di latitanza decide di riparare in Francia, dove conosce l’ambiente e la lingua. Si stabilisce nella regione di Parigi, dove risiederà per il resto della sua esistenza. Nel 1923, dopo alcuni anni di unione libera, si sposa con la sua affittacamere di Genova, vedova di guerra con una figlia piccola a carico e dalla quale ha un figlio. Quando finalmente ottiene il permesso di soggiorno la situazione migliora. Per sei anni lavora alla Renault di Billancourt, ma è licenziato per avere preso parte allo sciopero in occasione del 1° maggio del 1930. Attraversa di nuovo un periodo di difficoltà economiche, che non gli impediscono di svolgere un’importante attività a sostegno delle vittime politiche e dei compagni italiani in fuga dal fascismo, che affluiscono numerosi in Francia, e che spesso proprio grazie a G. trovano cibo, lavoro, alloggio. Nel 1936, allo scoppio della Guerra Civile, insieme a molti altri compagni accorre in Spagna a combattere in armi il fascismo. Passa diversi mesi al fronte, prendendo parte ad alcuni combattimenti. Nell’aprile 1937 ottiene una licenza e ritorna a Parigi per rivedere la famiglia. Dopo quindici giorni, mentre con un piccolo gruppo di compagni sta per rientrare in Spagna, viene arrestato dalla polizia francese alla frontiera di Perpignano, e condannato ad alcuni mesi di carcere per avere infranto le norme, appena entrate in vigore, varate dal governo Blum in omaggio alla politica del “non intervento”. Liberato, su consiglio di alcuni compagni rinuncia a rientrare in Spagna dove, dopo i fatti del maggio 1937 a Barcellona e l’inizio della repressione stalinista nei confronti di anarchici e poumisti, la situazione si è ormai deteriorata. A Parigi G. affronta Luigi Longo e altri dirigenti comunisti in occasione di pubblici dibattiti accusandoli di complicità nell’assassinio di Camillo Berberi e di altri militanti libertari, e rischia per questo di essere aggredito. Nel luglio del 1938 è arrestato nell’ambito delle misure precauzionali adottate per l’imminente visita del re d’Inghilterra. Accompagnato alla frontiera con il Belgio, è espulso e diffidato a rimettere piede in Francia se non vuole incorrere in una pesante condanna. Il giorno dopo è di nuovo clandestino a Parigi. Durante l’occupazione nazista è segnalato dalla polizia francese alle autorità tedesche come antifascista e combattente in Spagna. Arrestato, trascorre quattro mesi nella prigione della Santé prima di essere interrogato dalla Gestapo. Dichiara di essersi recato in Spagna per lavoro, e si salva solo perché i tedeschi in quel momento sono interessati soprattutto a mettere le mani sugli intellettuali antifascisti, scrittori propagandisti o giornalisti, e si accontentano della sua versione dei fatti senza svolgere ulteriori indagini. Nel corso della guerra perde il figlio che, deportato a lavorare in Germania, non fa più ritorno. A differenza di molti altri compagni non prende parte alla Resistenza, che rifiuta come tutte le altre guerre, in quanto ai suoi occhi si tratta pur sempre di schierarsi dalla parte di uno Stato contro un altro Stato. Nel 1946, dopo la Liberazione, è arrestato per l’ultima volta e sconta quattro mesi di carcere per avere cercato di occultare alcune armi passategli da un ex resistente, figlio del suo datore di lavoro. Partecipa a riunioni e convegni sia in Francia, sia in Italia, compreso il Congresso internazionale anarchico di Carrara del 1968. L’ultima forma d’impegno è l’assistenza prestata agli esuli politici italiani a Parigi negli anni ’70 e ’80, particolarmente dopo che la morte della moglie lo lascia libero di disporre interamente della sua casa di Suresnes, alla periferia della città, e dei magri risparmi. Muore in un ospedale di Parigi l’8 maggio 1991. Razionalista e libero pensatore, lascia il suo corpo alla medicina e viene poi cremato. (G. Landi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Biblioteca libertaria A. Borghi, Fondo Domenico Girelli; ivi, D. Girelli, Intervista rilasciata a G. Landi, 1982/87; Archivio Nazionale Cinematografico della resistenza, ad nomen.
 
Bibliografia: A. Vitale, Un ami de près d’un siècle: Dominique Girelli, «La trace» juin 1988 ; G. Landi, Ricordando Domenico Girelli, «A rivista anarchica», giu.-lug. 1991.
 

​GIRELLI, Domenico
 
GIROLIMETTI, Carlo
Nasce a Senigallia (AN) il 27 marzo 1907 da Ercole e Anna Franzi, meccanico, esercente, cameriere, barbiere. Chiamato comunemente “Carlo de Sdazarìn”, nel 1912 insieme ai suoi familiari si trasferisce a Santarcangelo di Romagna. Per tutto il ventennio fascista in questo paese (all’epoca il più popoloso della provincia dopo il capoluogo Rimini) si susseguono episodi di opposizione al regime fascista tanto da diventare una “bestia nera” per la polizia di allora. Nel 1922 G. ha 15 anni e insieme alla sua famiglia, formata da un quantitativo considerevole di “teste calde” per la Questura di Forlì, vale a dire un clan di sei fratelli più numerosi altri parenti e amici, vive in prima linea le infuocate vicende locali. Aderisce al neo-costituito PCdI, dove apprende i primi rudimenti sulla lotta di classe. Viene schedato al Casellario Politico Centrale per le sua appartenenza a “famiglia social-comunista”. Il 12 agosto 1924, dopo che il fratello Natale, il 6 aprile, è stato selvaggiamente bastonato dai fascisti (morirà per le conseguenze dell’aggressione nel manicomio di Imola), emigra a Grasse, in Francia, per motivi di lavoro, dove riceve l’ospitalità del cognato, l’anarchico Domenico Nanni, detto “Nino” originario di Pesaro, già convivente di Felicita, detta “Felix”, sua seconda sorella. Dalla Francia emigra in Lussemburgo, venendo meno nel frattempo agli obblighi di leva, ciò pertanto induce le autorità italiane a negargli il rinnovo del passaporto. Nel giugno 1926 raggiunge clandestinamente Montbéliard, Francia, a pochi chilometri dal confine svizzero, dove è accolto dalla sorella Maria, anch’essa anarchica e da una piccola ma vivace comunità libertaria. Probabilmente in questo periodo G. inizia a meditare l’abbandono del PCdI per approdare al movimento anarchico. Tra il 1927 e il 1930 si sposta per motivi di lavoro in Belgio, ma le Autorità italiane sono insospettite da questi spostamenti e lo iscrivono nella “Rubrica di frontiera” quale “sovversivo da fermare”, sollecitando “un’oculata vigilanza su un suo eventuale ritorno in patria”. Il 12 agosto 1932 viene fatta richiesta per l’inserimento di G. nel «Bollettino delle ricerche». Il 30 novembre seguente lascia Liegi per Parigi, perché infastidito dalla continua vigilanza che la polizia belga esercita su di lui. È altresì fiducioso di contare sull’ospitalità di un suo amico, l’anarchico Bernardo Cremonini (in realtà spia dell’OVRA) emigrato a Parigi, con il quale è da diverso tempo in corrispondenza epistolare. Nell’aprile del 1933 G. è di nuovo a Liegi dove entra in contatto con il comunista Giuseppe Bossi e l’anarchico Giovanni Battista Buzzi – ricercato dalla polizia – entrambi di Varese. I tre, assieme ad altri compagni progettano un attentato a Mussolini. Dal carteggio della polizia si sostiene che G. “vive in un continuo stato di esaltazione e di irrequietezza, escogitando quotidianamente progetti più o meno attuabili, spesso molto fantasiosi”. L’abbandono definitivo dell’idea avviene in seguito all’arresto e alla fucilazione di Angelo Sbardellotto il 17 giugno 1932. Da allora in poi G. porta con sé due rivoltelle e spesso si esercita in qualche poligono improvvisato ed elude la polizia con false identità. Nel luglio 1932 è assunto dall’impresario, Domenico Gasparini, anarchico originario di Udine, presso una ditta di costruzioni in cemento a Liegi. Il 17 maggio 1934 è assunto come cameriere al Grand Hotel des Boulevards a Liegi. Qualche giorno dopo G. entra in contatto con l’anarchica Virginia Orsi residente a Tolone. Ai primi di luglio è licenziato dall’hotel mentre riprende quota momentaneamente il piano contro Mussolini, che viene definitivamente abbandonato per scarsità di mezzi. Un informatore della polizia dichiara che G. in questo periodo (set. 1935) “lavora come un dannato” (assunto temporaneamente come cameriere all’esposizione universale di Bruxelles) “e fa una economia da avaro”. Sensibile agli eventi in terra di Spagna (lug. 1936) decide di combattere contro le forze franchiste. Sua intenzione, non avendo ottenuto alcun lasciapassare dalle autorità di Bruxelles, è di poter ottenere un permesso mediante qualche raggiro al confine spagnolo, tuttavia ogni tentativo di passare la frontiera, insieme al suo compagno Dino Rossi, fallisce (i fratelli Ferruccio e Mario invece riescono ad arruolarsi rispettivamente nella colonna anarchica e nei reparti del POUM di Barcellona). Lontano dalla Spagna si sospetta una sua partecipazione nella fornitura di armi da destinare alle milizie rosse, grazie anche alla collaborazione dell’anarchico Giuseppe Baretto di Torino. Il 16 settembre 1937 le autorità di Bruxelles decretano l’espulsione di G. dal suolo belga per motivi politici. Il 31 ottobre, incurante del provvedimento giudiziario appena notificatogli rientra clandestinamente e ottiene rifugio prima a Eupen, dall’anarchico Marcello Aimi, poi presso il compagno Victor Baiwir a Jemeppe, nei pressi di Liegi. Nel dicembre 1938 è ospite di Ferruccio – definitivamente uscito dall’esperienza della guerra di Spagna e ora residente a Marsiglia – e nel gennaio 1939 fa ritorno in Belgio, a Bruxelles, dove conduce una vita riservatissima data la sua difficile posizione. Viene arrestato dalle autorità belghe il 27 aprile 1939 per infrazione al decreto di espulsione e il 9 maggio seguente è condotto alla frontiera con il Lussemburgo. Qualche mese dopo rientra clandestinamente e trova rifugio a Bruxelles presso la sua compagna, Lucia Moreau. Il 16 dicembre 1940 i funzionari della Gestapo in una retata contro i militanti politici antifascisti in Belgio arrestano G. insieme a Montanari, i comunisti Viscardo Lucchi, Angelo Fabbri e Guglielmo Marconi; tutti vengono consegnati all’ufficio di PS del Brennero e successivamente trasferiti nelle carceri di Forlì, in attesa di un nuovo provvedimento giudiziario. Il 17 febbraio 1941 la Commissione provinciale per confinati politici invia G. a Ventotene, per un periodo di tre anni con l’accusa di propaganda sovversiva all’estero. Nel luglio 1943 G., è internato nel campo di concentramento di Renicci, nei pressi di Anghiari (AR), da dove evaderà pochi giorni dopo l’8 settembre, quando la notizia dell’armistizio mette in fuga gli uomini di guardia. Tornato a Santarcangelo dal confino insieme ai fratelli Ferruccio e Mario e ad altri antifascisti, costituisce un primo nucleo di attivisti che darà vita alla prima Resistenza armata contro i nazi-fascisti. Dopo la guerra si trasferisce definitivamente a Bruxelles dove apre una barbieria. Muore a Bruxelles il 28 giugno 1997. (L. Febo)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: P. Zaghini, L’emigrazione politica nel riminese (1920-1940), in Antifascisti romagnoli in esilio, Firenze 1983, pp. 421-422; G. Giovagnoli, Storia del Partito Comunista nel riminese 1921/1940, Rimini 1981; G. Fucci, S. Baldazzi, La notte delle bandierine rosse. Vita a Santarcangelo tra fascismo e antifascismo 1919-1943, Santarcangelo, 1994, ad indicem.
 
 
​GIROLIMETTI, Ferruccio
Nasce a Senigallia (AN) il 24 marzo 1909 da Ercole e Anna Franzi, venditore ambulante, mo-saicista. Dalle Marche la sua famiglia si trasferisce a Santarcangelo di Romagna quando G. ha solo tre anni e mezzo di età. La famiglia G. è di tradizione sovversive e antifascista, partecipe agli eventi della cittadina romagnola, nota nel circondario di Rimini per il suo antagonismo al fascismo. G., chiamato comunemente “Ferruccio de Sdazarìn”, è il più giovane dei sei fratelli. La polizia lo descrive come un individuo di “scarsa cultura ma di brillante intelligenza”. Costretto dalle condizioni politiche e pronto a seguire il destino dei fratelli già rifugiati all’estero, il 31 agosto 1934 emigra a Grasse, in Francia, dove viene accolto dall’anarchico Domenico Nanni, convivente di sua sorella Felicita. Nel frattempo le autorità italiane inseriscono il suo nome nella “Rubrica di frontiera” e nel «Bollettino delle ricerche» con un’annotazione (di rito) affinché si applichi una rigorosa “perquisizione e la segnalazione” in caso di rientro in Italia. Si trasferisce per motivi di lavoro a Nizza, poi a Marsiglia dove, grazie all’aiuto degli anarchici Edoardo Angeli, detto “Dino”, e Celso Persici, viene assunto presso una società cooperativa di costruzioni e decorazioni di mosaici. In una lettera al fratello Carlo (residente in Belgio) G. delinea il suo concetto dell’anarchia: “Non impongo la mia ragione, poiché so che una ragione anche che sia verità, se è imposta perde metà del suo valore. Per me la verità non va imposta, ma liberamente accettata o discussa. Questa è la mia idea; il mio anarchismo”. Deciso a scegliere “una vita più semplice” in Africa, decide di prendere la nave per Orano (Quahran), in Algeria. Giunto a destinazione è assunto come cementista in una ditta di costruzioni edili. Nel luglio 1935 lascia l’Algeria (con tappa a Marsiglia) per il Belgio, a Liegi, dove trova l’accoglienza del fratello Carlo. Nella città belga G. svolge la professione di mosaicista ma nell’agosto 1936, ottenuto un lasciapassare dalle autorità di Bruxelles, decide di partire per la Spagna, in seguito allo scoppio della Guerra Civile. Anche Carlo lo segue nel viaggio ma è respinto al confine spagnolo essendo privo del necessario lasciapassare. Dopo due tappe, una a Parigi e l’altra Marsiglia, il 23 settembre G. è in territorio spagnolo. A Barcellona si arruola, assumendo il nome di battaglia “Mario Bordoni”, nella Colonna “Ascaso” cnt-faib. Il 21 ottobre è inviato sul fronte di Huesca a combattere la battaglia di Almudévar, a nord-est di Saragozza. Ritorna in Aragona dopo un incarico di spionaggio affidatogli ai danni dei reparti comunisti a Barcellona. Il 10 aprile 1937 resta gravemente ferito alla spalla destra sul fronte di Lerida, in seguito a uno scontro tra alcuni reparti anarchici e comunisti stalinisti sorto dopo la scoperta dell’opera d’intercettazione di segnalazione semaforica a lui stesso affidata ai danni dei comunisti. Il giornale anarchico «Il Risveglio» dà notizia dell’episodio e cita del ferimento di G. durante la sua attività. Viene medicato nell’ospedale di Lerida e successivamente in quello di Tarragona, a sud-ovest di Barcellona dove viene dimesso due mesi dopo. In agosto esce dalla Spagna per recarsi a Grasse dalla sorella Felicia. Il 4 settembre anche Carlo, rientrato da Parigi, si unisce a loro. Ritornato a Barcellona lavora come autista fino al maggio seguente, quando abbandona definitivamente la Spagna per rifugiarsi a Marsiglia dove lavora in un primo tempo a Bandol poi a Aubagne come mosaicista. In maggio fugge a Liegi perché ricercato dalla polizia francese in seguito a una condanna emessa dal Tribunale di Metz di un mese di carcere e un multa per vendita illecita. Cresce l’allarme delle autorità di polizia attorno a G., indicato come probabile sovversivo “disposto a tutto”, anche a offrirsi come “manovalanza” per azioni terroristiche. Arrestato dalla Gestapo a Bruxelles il 24 aprile 1941 viene consegnato alle autorità di ps del Brennero e rinchiuso nelle carceri di Vipiteno. Successivamente condotto nelle carceri di Forlì, il 19 giugno viene condannato a cinque anni di confino da scontare nell’isola di Ventotene. Il 29 agosto 1943 G. è internato nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari (AR), dove ha l’opportunità di rivedere i fratelli Mario e Carlo. Evade dal campo pochi giorni dopo l’8 settembre, ma è ripreso e di nuovo tradotto a Ventotene. Qualche settimana dopo, durante il viaggio di trasferimento alle carceri di Roma, riesce a eludere la sorveglianza delle guardie e a fuggire. Viene arrestato in provincia di Arezzo ma il 7 dicembre seguente viene liberato e con un foglio di via obbligatorio è condotto a Castelfranco Emilia. Ritornato a Santarcangelo insieme ai fratelli Carlo, Mario e altri antifascisti del luogo, costituisce uno dei primi nuclei di Resistenza armata contro i nazifascisti. Dopo la conclusione della guerra partecipa come delegato del gruppo anarchico “C. Berneri” di Santarcangelo al Convegno interregionale di Milano della Federazione Comunista Libertaria dell’Alta Italia del 23-25 giugno e poi al Congresso nazionale della Federazione Anarchica Italiana di Carrara del 15-19 settembre 1945. Muore nel giugno 1968. (L. Febo)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: P. Zaghini, L’emigrazione politica nel riminese (1920-1940), in Antifascisti romagnoli in esilio, Firenze 1983, pp.421, 438-439; G. Fucci-S. Baldazzi, La notte delle bandierine rosse. Vita a Santarcangelo tra fascismo e antifascismo 1919-1943, Santarcangelo 1994, ad indicem.
 
​GIROLIMETTI, Maria
 
Nasce a Senigallia (AN) il 28 novembre 1895 da Ercole e Anna Franzi, massaia, venditrice ambulante. Chiamata comunemente “Sdazarina”, quando insieme alla sua famiglia emigra a Santarcangelo di Romagna, G. ha 17 anni ed è la più grande dei suoi cinque fratelli. Cresciuta in una famiglia in cui l’ideale rivoluzionario è da sempre presente, aderisce all’anarchismo come Carlo, Mario e Ferruccio. Il suo però è un anarchismo visto al femminile, senza risonanza ma ricco di passione ed è alimentato dalla “vicinanza” dei suoi fratelli e dei suoi parenti e amici, sparsi tra la Francia, il Belgio e l’Italia, i quali nel complesso numerico assumono le dimensioni di un vero “clan”. Nel 1924, costretta dalle mutate condizioni politiche italiane, emigra a Montbéliard, in Francia. Con lei ci sono diversi anarchici italiani tra i quali, Edoardo Angeli, detto “Dino”, Alfonso Fabbri di Cesena e suo figlio Pietro (i quali gestiscono una cantina vinicola sospettata di essere utilizzata anche per riunioni di anarchici e di antifascisti in genere), Domenico Camillucci di Varese, Giuseppe, Umberto e Pietro Fucci e altri ancora. Questi nomi costituiscono una comunità di sovversivi ben noti alle Questure italiane. Conduce una vita fatta di difficoltà economiche a cui tenta di ovviare mediante modesti lavori di massaia. Rientra in Italia nel 1928 ma due anni dopo, con passaporto regolare ritorna in Francia, a Grasse. Il motivo dell’espatrio è rivolto a una possibile attività commerciale da avviare insieme alla sorella Felicita, detta “Felix”, convivente del noto anarchico Domenico Nanni, detto “Nino”, originario della provincia di Pesaro. Il progetto però è destinato a non vedere la luce e nel marzo del 1930 costretta a fare ritorno, stavolta definitivamente, a Santarcangelo, dove si mette a lavorare come venditrice ambulante. Resta costantemente vigilata fino al 1943, non dimostrando alcuna variazione nella sua condotta morale e non cedendo di fronte alle minacce della dittatura fascista. Muore a Rimini il 15 maggio 1981. (L. Febo)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: P. Zaghini, L’emigrazione politica nel riminese (1920-1940), in Antifascisti romagnoli in esilio, Firenze 1983; G. Fucci-S. Baldazzi, La notte delle bandierine rosse. Vita a Santarcangelo tra fascismo e anti-fascismo 1919-1943, Santarcangelo, 1994, ad indicem.
 
GIROLIMETTI, Maria
 
​GIROLIMETTI, Mario

Nasce a Senigallia (AN) il 17 febbraio 1902 da Ercole e Anna Franzi, meccanico, venditore ambulante. Nel 1912 insieme ai familiari si trasferisce a Santarcangelo di Romagna. Terzo di sei figli (dopo Maria e Natale), prima di approdare all’anarchismo, G., chiamato comunemente “Mario de Sdazarìn”, è un militante del neo-costituito PCdI. Per motivi di lavoro il 30 aprile 1924 emigra a Montbéliard in Francia, dove sono rifugiati diversi anarchici italiani, tra cui la sorella Maria. Due mesi dopo si trasferisce a Belfort, a pochi chilometri dal confine svizzero. L’11 settembre dell’anno seguente è condannato dal Tribunale di Belfort a tre mesi di reclusione e a un’ammenda per contrabbando di tabacco. Non avendo il denaro per pagarla, chiede che l’ammenda gli venga convertita in pena detentiva, per un totale di otto mesi di reclusione. Negli anni seguenti viaggia per motivi di lavoro tra Belgio e Lussemburgo. L’8 maggio 1931 è iscritto nella “Rubrica di frontiera” quale “sovversivo da fermare” e nel «Bollettino delle ricerche». Nel 1934 si trasferisce a Liegi, dove incontra diversi italiani antifascisti, tra i quali i suoi fratelli Ferruccio e Carlo (quest’ultimo, temutissimo dalle Autorità, è costantemente sorvegliato perché sospettato di preparare un attentato ai danni di Mussolini). Mantiene una condotta riservata per paura di incorrere in un decreto di espulsione. In seguito allo scoppio della Guerra Civile in Spagna, nel dicembre 1936 si arruola volontario nella milizia comunista antistalinista del poum, forte soprattutto in Catalogna (Ferruccio milita nella colonna anarchica della faib di Barcellona). Tre mesi dopo viene inviato ad Albacete, a ovest di Valencia, e aggregato alla compagnia italiana della 15ª Brigata Internazionale, qui dislocata. Successivamente viene trasferito a Mahora, addetto alla riparazione di armi, data la sua competenza di meccanico. Ai primi di marzo del 1937 riporta una profonda ferita alla gamba destra in uno scontro nelle retrovie di Morata di Tajuòa, a pochi chilometri da Madrid. Ricoverato nell’Ospedale dell’Università di Murcia e successivamente in quello di Albacete, viene dimesso il 24 aprile. Resta ad Albacete e qui è assegnato al servizio di aiuto tipografo per la stampa e la diffusione del giornale d’informazione delle Brigate Internazionali. Esce dalla Spagna il 17 gennaio 1938, desideroso di non sentir più parlare di guerra. L’esperienza spagnola segna anche il definitivo tramonto della sua adesione al comunismo (già da qualche tempo in crisi), in favore di un progressivo avvicinamento all’anarchismo. Ritorna in Belgio, a Flèmalle Haute, nei pressi di Liegi, e qui è assunto come impresario in una ditta di lavori in cemento. Nel frattempo le autorità belghe stanno avviando la pratica per un decreto di espulsione nei confronti di G., pertanto il 23 giugno è costretto a partire per la Francia. In settembre anche Carlo è colpito dallo stesso provvedimento giudiziario, ed è probabile che i due, una volta incontratisi, decidano per il rientro clandestino in Belgio, cosa che avviene in ottobre. Per contravvenzione alle regole sul decreto di espulsione viene arrestato a Jemeppe, nei pressi di Liegi, l’8 giugno 1939 ed è tradotto in carcere. Il 7 luglio seguente G. esce di prigione in virtù dell’amnistia ma viene accompagnato al confine con il Lussemburgo per via degli effetti del decreto di espulsione ancora in vigore (cesseranno dopo qualche mese). Rientra clandestinamente e si trasferisce prima a Eupen poi a Bruxelles. Il 20 agosto 1940 gli è negato il rinnovo del passaporto in seguito alla motivazione che da Roma giunge al Consolato italiano a Bruxelles: “il G. è un anarchico pericoloso ed un ex miliziano rosso, un irriducibile e pericoloso antifascista”. Il 17 settembre è rinchiuso nelle carceri di Bruxelles perché ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico. Esce di prigione l’8 febbraio 1941. Arrestato dalla Gestapo a Bruxelles il 24 aprile (nella stessa retata vengono arrestati il fratello Ferruccio e l’anarchico Mario Giampaoli, nato ad Arcola in provincia di Spezia ed emigrato a Liegi), viene consegnato alle autorità di PS del Brennero e successivamente condotto nelle carceri di Forlì. Il 13 luglio seguente la Commissione provinciale per l’assegnazione al confino di polizia, condanna G. a quattro anni di confino politico da scontare nell’isola di Ventotene. Il 28 luglio 1943 è internato nel campo di concentramento di Renicci d’Anghiari (AR). Evade dal campo pochi giorni dopo l’8 settembre. Raggiunge tra mille difficoltà la Romagna e i suoi familiari. Ritornato a Santarcangelo insieme ai fratelli Carlo, Ferruccio e altri antifascisti del luogo costituisce uno dei primi nuclei di Resistenza armata contro i nazifascisti Muore a S. Arcangelo di Romagna il 16 giugno 1982. (L. Febo)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: P. Zaghini, L’emigrazione politica nel riminese (1920-1940), in Antifascisti romagnoli in esilio, Firenze 1983; U. Tommasini, L’anarchico triestino, a cura di C. Venza, Milano 1984; G. Fucci-S. Baldazzi, La notte delle bandierine rosse. Vita a Santarcangelo tra fascismo e antifascismo 1919-1943, Santarcangelo, 1994, ad indicem.
 

GIROLO, Eugenio
Nasce a Andalo Valtellino (SO) il 2 gennaio 1886 da Bernardo e Caterina Maccani. Di poverissima famiglia contadina, frequenta le tre prime classi elementari, diventando poi meccanico. Seguendo una consuetudine largamente diffusa in Valtellina, emigra molto giovane in Svizzera, all’inizio secondo cadenze stagionali, poi, dal 1904, in modo stabile. Comunque già alla fine del 1903 invia a «Il Libertario» una corrispondenza da Fernsthalen, che si conclude con “Avanti, sempre per l’Anarchia!”. Nel luglio del 1904 si trasferisce a Schaffausen e tiene contatti epistolari con la redazione de «Il Grido della folla». Nel 1905, con lo pseudonimo di “Eugenio Vattelacerca”, manda corrispondenze a «L’Aurora» di Ravenna. Nel 1906 si stabilisce a Rorschach, nel Cantone di S. Gallo, e dà avvio a una  attività giornalistica e propagandistica che diverrà sempre più intensa. Nel luglio tenta di tenere a Basilea una conferenza dal titolo Umberto e Bresci, proibita per l’intervento delle autorità consolari italiane. Agli inizi di dicembre lascia la Svizzera per Milano, trova lavoro come meccanico in uno stabilimento di Corso Porta Nuova, ma non ha fissa dimora, “passando la notte ora presso un compagno, ora presso l’altro [sovente presso Ricciotti Longhi], e spesso rimanendo anche nel piccolo locale di redazione della «Protesta umana»”, per la quale scrive. Nel numero dell’8 dicembre, infatti, appaiono addirittura tre suoi articoli, rispettivamente firmati “Olorig”, “Girolo” e “Eugenio Vattelacerca”. Nel contempo si mette a disposizione degli anarchici delle località e delle province vicine per tenere conferenze domenicali. Durante una di queste, a Piacenza d’Adige (pd), oltraggia i carabinieri, è arrestato e condannato a 40 giorni di reclusione. Dopo un breve soggiorno a Milano, durante il quale pubblica ne «La Protesta umana» articoli a firma “Attilio Regolo”, in cui giunge a sostenere “Al posto delle ciarle occorre mettere petrolio e dinamite”, ritorna in Svizzera, fissa la sua residenza ad Arbon ma si sposta dando conferenze sotto il nome di “Attilio Regolo”. “Sfrattato” il 1° maggio 1908 dalla Svizzera per vagabondaggio e consegnato alle autorità italiane, è rimpatriato ad Andalo. Dopo pochi giorni scompare di nuovo ed è rintracciato a Mülhausen, in Alsazia, da dove è espulso perché in possesso di materiale anarchico e tradotto a Chiasso. Anche in questo caso, la sua permanenza in Italia è breve. Nel dicembre 1908 è nuovamente ad Arbon, che lascia nel 1911 per tornare a Rorschach dove viene classificato come “capo movimento”. Nel 1912 inizia a collaborare a «Il Risveglio» di Ginevra con lo pseudonimo di Maligno, esaltando, dopo l’attentato D’Alba, la bellezza dell’atto individuale. Secondo la polizia italiana “Dopo il Bertoni è il più attivo e violento dei conferenzieri anarchici esistenti in Svizzera. [...] È inoltre uno dei propagandisti più arditi ed intraprendenti”. Nel 1914 cambia nuovamente residenza, trasferendosi a Horgen presso Zurigo, continuando la sua attività di conferenziere particolarmente gradito agli emigrati italiani. Durante la guerra rimane in Svizzera e, dopo Caporetto, il Tribunale militare di Milano emette a suo carico una condanna per “diserzione alla mobilitazione”. Espulso dalla Confederazione al termine del conflitto “quale sospetto di bolscevismo”, nel marzo è individuato a Monaco di Baviera e nell’ottobre torna in Italia, prima a Milano, poi dall’aprile 1920 a Carrara come vice segretario propagandista della locale Camera del lavoro. E in qualità di rappresentante della Camera del lavoro carrarese, nel luglio 1920, partecipa al Congresso anarchico nazionale di Bologna. Con la crisi delle organizzazioni sindacali libere, nel 1921 G. riprende il suo lavoro di meccanico in una ditta milanese senza esplicare una particolare attività politica, ma nel 1925 espatria clandestinamente alla volta di Parigi e di qui, nel giugno 1926, passa in Lus-semburgo. Espulso l’anno seguente, trova rifugio in Belgio, prima a Bruxelles, successivamente nei dintorni di Liegi, dove pare svolga “nascostamente attività sovversiva”, e poi ancora Bruxelles, alloggiando vicino alla bottega dell’ex anarchico Camillo Roncoroni, con cui ha stretti rapporti. Nonostante le pessime condizioni di salute e finanziarie, nel 1936 e poi agli inizi del 1937 G. partecipa alle riunioni degli anarchici italiani (tra i quali c’è anche Mario Mantovani) a proposito della situazione spagnola e della questione dell’adesione o meno al fronte popolare. Gravemente minato nel fisico, muore il 27 marzo 1937 nella colonia degli alienati di Beckheim (Bruxelles) per meningite ed encefalite. (M. Antonioli) 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
 
Carlo Giuliani, nato il 14 marzo 1978 a Roma e morto il 20 luglio 2001 a Genova, è uno studente italiano e attivista “no global”, proveniente da una famiglia impegnata di sinistra. Fu ucciso da un agente di polizia il 20 luglio 2001 durante i disordini anti-G8 a Genova.
 Carlo Giuliani viene ucciso a colpi di arma da fuoco durante una manifestazione sfociata in un violento scontro con i gendarmi italiani (carabinieri), durante il controvertice organizzato dal Genoa Social Forum a margine del vertice del G8. Di fronte ai manifestanti nei pressi della “zona rossa”, dove si trova il Palazzo Ducale che ospita il G8, viene dato ordine alla polizia di sgomberare le arterie principali. Si susseguono le accuse della polizia antisommossa e le controaccuse degli attivisti. Un Land Rover Defender 4x4 occupato da tre carabinieri viene bloccato dai manifestanti che lo attaccano. Carlo Giulani si prepara a lanciare un estintore contro la portiera posteriore del veicolo. Uno dei carabinieri gli ha sparato con una pistola: è stato colpito alla testa ed è caduto. Gli attivisti si disperdono e il Defender manovra rapidamente per scappare, rotolando per due volte sul corpo di Carlo Giuliani.
Nel febbraio 2002, il ministro dell'Interno, Claudio Scajola, incaricato di garantire la sicurezza del vertice, affermò di essere stato "obbligato a dare l'ordine di sparare" alla polizia ma ritirò poco dopo, in seguito alle polemiche scatenate dai suoi commenti . Il caso è stato archiviato dal sistema giudiziario italiano nel 2003, ritirando tutte le accuse contro Mario Placanica, il fuciliere di 24 anni che ha sparato i colpi. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato in primo grado l'Italia il 25 agosto 2009 per "carenze nelle indagini sulla morte di Carlo Giuliani" e ha riconosciuto "15.000 euro ai genitori della vittima e 10.000 alla sorella". La stessa Corte ha infine assolto lo Stato italiano con sentenza definitiva. Nel marzo 2011 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha assolto l'Italia da ogni responsabilità per la morte di Carlo Giuliani: “L'uso di un mezzo di difesa potenzialmente mortale, come gli spari, era giustificato”, ritiene nella sua sentenza definitiva la Corte di Strasburgo La piazza dove è stato ucciso, piazza Alimonda, è stata ribattezzata piazza Carlo Giulani dai manifestanti che hanno eretto anche un memoriale. Anche un'altra piazza, a Berna, la capitale svizzera, si chiamava Carlo-Giuliani Platz. Il cambio di nome è avvenuto in occasione di una mostra commemorativa d'arte intitolata Geometrie della Memoria. È nato un Comitato partigiano di Piazza Carlo Giuliani per informare sui fatti del luglio 2001, riaffermare il diritto di esprimere le proprie idee e manifestare, ma anche sostenere iniziative di solidarietà internazionale..
 
Il corpo senza vita a Piazza Alimonda, circondato da una pozza di sangue, è quello del ventitreenne Carlo Giuliani.

Attorno a lui, centinaia di uomini in divisa, in lontananza migliaia di persone, confuse, incredule, immobili.

Carlo è morto. Carlo è stato ucciso da un colpo d’arma da fuoco partito da una della camionette che gli stavano di fronte.

Carlo desiderava un futuro diverso, fatto di libertà, di uguaglianza, di giustizia sociale, senza oppressi e sfruttati costretti a pagare le politiche scellerate dei potenti della terra, che affamano e impoveriscono in nome delle finanze internazionali, dei profitti e dei mercati.

Per questo Carlo si trovava in quella piazza, non da solo, ma insieme a centinaia di migliaia di persone, arrivate a Genova da ogni parte d’Italia e d’Europa.
Carlo aveva ragione, eppure i suoi sogni, le sue speranze sono state stroncare quel 20 luglio di diciassette anni fa.

Il tempo si è fermato quel Venerdì, a Piazza Alimonda.
Tutto è rimasto invariato, o quasi.
A non fermarsi sono state le migliaia di donne e di uomini che tutti i giorni continuano a lottare per un mondo diverso, migliore, per le stesse idee che in quel luglio 2001 riempirono le strade e le piazze di Genova.

Il sogno di una società differente, di un futuro migliore non è terminato.
Spetta a noi costruirlo, giorno per giorno, anche per Carlo.





 



 

GIUSTI, Antonio
Nasce a Forlì il 24 maggio 1861 da Vincenzo e Lucia Dall’Agata, facchino di piazza. Di modestissime origini, frequenta solo le classi elementari. Aderisce in gioventù all’anarchismo, appartenendo negli anni Ottanta alla Federazione Socialista di Forlì (in cui sono presenti sia libertari che socialisti delle diverse tendenze) e poi al Circolo “Sempre Avanti”, in cui confluiscono gli anarchici intransigenti. In collaborazione con Vittorino Valbonesi, Temistocle Bondi, Alessandro Nicolini (che si firma “N. Sandri”) e altri, pubblica in qualità di gerente per il Circolo “Sempre Avanti” alcuni numeri unici: «Spartaco» (11 nov. 1890), «Lo Staffile» (22 nov. 1890), «La Vittima» (20 dic. 1890). È sposato con Carolina Malducci ed è padre di cinque figli (almeno uno dei quali, Galba, diventerà anarchico). Nel “Cenno biografico al giorno 27 Ottobre anno 1897”, conservato nel suo fascicolo al cpc, il prefetto di Forlì lo descrive “di carattere violento e di poca educazione”, con una “discreta intelligenza ma nessuna coltura”. Godrebbe cattiva fama perché “dedito a reati di sangue”, anche se si riconosce che è “discreto lavoratore” e che si comporta bene con la famiglia. Anarchico militante, “è uno dei migliori gregari pronto a servire il partito stesso in qualsiasi delittuosa circostanza”. Nel movimento anarchico ha molta influenza, ed è in intime relazioni con i più audaci anarchici d’azione di Forlì, come T. Bondi e Antonio Mascanzoni (originario, quest’ultimo, di Alfonsine). È considerato un “caldo fautore delle proprie idee”, di cui fa propaganda “colla classe più infima e con discreto profitto”. È in corrispondenza con Amilcare Cipriani durante la permanenza di quest’ultimo all’estero. Prende parte alle riunioni pubbliche e alle manifestazioni di piazza distribuendo manifesti sovversivi e “incoraggiando i compagni alla ribellione”. Viene condannato per ferimento a 10 giorni di carcere nel gennaio 1882 e successivamente per lo stesso reato a tre mesi nel marzo 1883. Riporta lievi condanne per porto d’arma e altri reati nell’aprile 1891 e nell’ottobre 1892. Dopo l’introduzione delle leggi eccezionali del 1894 è deliberato il suo invio al domicilio coatto per due anni. Il 3 gennaio 1895 il Ministero lo assegna a Porto Ercole, da dove è liberato condizionatamente il successivo 27 maggio. Nel luglio 1899 è condannato a tre mesi di reclusione e a una multa per oltraggi e minacce alle guardie municipali, ma la condanna è poi condonata per un’amnistia. Durante l’epoca giolittiana sembra verificarsi una progressiva riduzione della sua attività politica. Il 4 novembre 1905 s’imbarca a Genova sul piroscafo Vincenzo Florio diretto a Buenos Aires, ma rientra a Forlì nel marzo successivo. Nel di-cembre 1910 è denunciato per minacce a mano armata rivolte ad altri facchini, ma è successivamente assolto. Nel 1921 si segnala che professa ancora idee anarchiche ma non fa propaganda e solo di rado prende parte alle riunioni, per cui non è più considerato pericoloso. Muore a Forlì il 9 dicembre 1926. (G. Landi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: Personaggi della vita pubblica di Forlì e circondario. Dizionario biobibliografico 1897-1987, 2 voll., a c.ura di L. Bedeschi e D. Mengozzi, Urbino 1996, ad nomen.
 
​GIUSTI, Galba
Nasce a Forlì il 28 luglio 1893 da Antonio e Carolina Molducci, tappezziere. Apprendista presso alcune note botteghe cittadine, studia da autodidatta i classici e riceve lezioni di canto, fino a entrare nel coro del Teatro Comunale. Forse sotto l’influenza del padre, un anarchico piuttosto noto in città, aderisce anch’egli agli ideali libertari ma la scarsa documentazione non consente di ricostruire la sua attività politica prima della presa del potere da parte del fascismo. In gioventù stringe amicizia con i socialisti locali, a quanto risulta instaurando un buon rapporto anche con Mussolini. Il 26 luglio 1917, mentre è militare in artiglieria, si sposa per procura con Edvige Mazzetti, da cui avrà cinque figli (Igea, Platone, Tacito, Euterpe, Eràto). Rimane coinvolto nella ritirata di Caporetto insieme alla moglie da cui si è fatto raggiungere clandestinamente. Nel dopoguerra intraprende l’attività di tappezziere in proprio, raggiungendo in breve tempo un discreto benessere economico e alcuni riconoscimenti professionali. Fin dai primi tempi assume un atteggiamento critico nei confronti del fascismo al potere, unendosi al gruppo antifascista giellista che fa capo all’avv. Bruno Angeletti. Per questo, secondo fonti che però non hanno trovato riscontro nelle carte di polizia, subisce una ventina di arresti cautelativi e varie perquisizioni sia nel laboratorio che nella sua abitazione. Nonostante ciò Mussolini gli commissiona i lavori di tappezzeria di Rocca delle Caminate. Nel gennaio 1937 è diffidato perché diffonde “notizie sfavorevoli alle operazioni dell’esercito del Generale Franco”. Riceve nuove diffide nel 1939 per “aver fatto apprezzamenti irriguardosi nei confronti di Altissime Personalità” e poi ancora nel febbraio 1943 per “attività disfattista”. Successivamente sul suo conto vengono elevati gravi sospetti per l’attività che svolgerebbe all’interno dell’organizzazione antifascista “Italia Libera” per i frequenti contatti tenuti con noti esponenti dell’antifascismo forlivese. Nel periodo compreso tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943 manifesta apertamente i suoi sentimenti di avversione al fascismo, mantenendosi in relazione con elementi del suo stesso orientamento politico. Svolge comunque un ruolo di moderazione, evitando in qualche caso rappresaglie contro i fascisti. Il 27 luglio è tra i firmatari di un appello rivolto agli operai forlivesi in sciopero, che pur solidarizzando con loro li invita a ritornare al lavoro. Il manifesto è diffuso dal Comitato forlivese di azione antifascista, un organismo interpartitico di cui  fanno parte, oltre a G. per gli anarchici, due esponenti comunisti, un socialista, un cattolico e un aderente alla Unione Lavoratori Italiani. Dopo avere subìto, secondo alcune fonti, un primo arresto nel dicembre 1943, il suo nome è compreso in un elenco di persone segnalate nel gennaio 1944 dalla Questura di Forlì come esponenti del movimento antifascista nella provincia. È pertanto convocato davanti alla locale Commissione Provinciale per essere sottoposto all’ammonizione. In seguito, secondo altre fonti, verrebbe ricercato per attività sovversiva e condannato a morte (mentre il figlio Platone resterebbe ostaggio della polizia), trovando sicuro rifugio con altri antifascisti in una casa di proprietà dell’amico socialista Alessandro Schiavi. Di certo è arrestato il 26 maggio 1944, per ordine del Tribunale Provinciale Straordinario di Forlì creato dalle autorità della Repubblica Sociale Italiana, accusato con gli altri firmatari del manifesto del 27 luglio 1943 di avere “denigrato il Fascismo e le sue istituzioni incitando anche a violenze contro elementi fascisti con la richiesta di allontanamento di costoro dal lavoro”, ma lo stesso Tribunale lo rilascia in libertà provvisoria il 30 maggio 1944 e ordina infine l’archiviazione degli atti per tutti gli imputati il successivo 18 giugno. È probabile che la sua latitanza inizi solo nel periodo successivo, concludendosi poi con la liberazione della città. In ogni caso, quando a Forlì si forma clandestinamente il Comitato di Liberazione Nazionale nell’inverno del 1944, e anche in seguito, nessun anarchico sarà presente tra i suoi membri. Nell’immediato dopoguerra riprende l’attività politica di G., che per esporre le proprie idee si serve anche di giornali di altre tendenze (si veda in particolare il suo art. Onestà politica ne «Il Pensiero romagnolo», settimanale forlivese del Partito Repubblicano Italiano, 5 gen. 1946). Quest’attività all’interno del movimento libertario si conclude però ben presto in modo inatteso, con un comunicato apparso nel numero del 1° maggio 1946 de «L’Aurora», periodico della Federazione Anarchica Romagnola: “Il Gruppo ‘Pietro Gori’ di Forlì  avverte i compagni e i partiti che il signor Giusti Galba è stato allontanato dal movimento anarchico per volontà unanime di questo Gruppo per mancanza di coerenza e di probità. N.d.R. – Il convegno regionale del 22 Aprile ha approvato la decisione del Gruppo P. Gori. Per il Gruppo: Soprani Ulisse”. Non è dato sapere le ragioni di questa grave decisione, ma nei numeri successivi del periodico compariranno altri articoli critici nei confronti di G., accusato di avere pubblicato – dopo il suo allontanamento dal movimento – su giornali di altri partiti degli articoli a favore della partecipazione degli anarchici alle elezioni. Da varie testimonianze orali raccolte nel corso degli anni si può concludere che G., nel periodo della sua militanza e anche dopo, è stato giudicato dai compagni romagnoli una figura incoerente che si lasciava “usare” dagli altri partiti. Negli anni successivi sembra che la sua attività pubblica si esaurisca nel dibattito per la ricostruzione del Teatro, distrutto nel corso del conflitto. Su questo tema pubblica vari articoli sulla stampa cittadina. Personaggio molto noto a Forlì, di alta statura e col pizzetto a punta, attira l’attenzione anche per la prestanza fisica e l’abbigliamento (ama vestire con la tipica capparella nera romagnola, la cravatta alla lavallière, un nero cappello a larghe falde). Muore a Forlì il 10 dicembre 1953. (G. Landi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Istituto Storico della Resistenza Forlì, Fondo Flamigni; Comunicato, «L’Aurora», 1° mag. 1946; La Redazione, L’onestà e la … politica, ivi, 15 giu. 1946; La Redazione, Improbità ovvero Narciso da Forlì, ivi, 30 giu. 1946.
 
Bibliografia: La provincia di Forlì nella resistenza e nel-la guerra di liberazione. Immagini e documenti, Forlì 1979; Guglielmo Marconi (“Paolo”), Vita e ricordi sull’8 Brigata romagnola, a cura di D. Mengozzi, Rimini 1984; P. Temeroli, Nel laboratorio della Resistenza. Aspetti politici della lotta di liberazione a Forlì e in Romagna (luglio 1943-marzo 1944), Cesena1995; Personaggi della vita pubblica di Forlì e circondario. Dizionario biobibliografico 1897-1987, 2 vol., a cura di L. Bedeschi e D. Mengozzi, Urbino 1996, ad nomen.
 
GIUSTI, Lorenzo
Nasce a Bologna il 21 settembre 1890 da Giovanni e Giulia Venturi, capostazione delle ferrovie. Aderisce giovanissimo agli ideali anarchici e per anni rappresenta questa componente politica nel sindacato ferrovieri italiani, lo SFI, a livello provinciale e nazionale. All’interno del sindacato è tra i sostenitori, all’inizio del 1922, della necessità di costituire un fronte unico antifascista di tutte le forze del lavoro. Il 9 febbraio fa parte della delegazione dello SFI che incontra i rappresentanti del PSI, PCdI, CGdL e USI per dare vita all’Alleanza del Lavoro. Per non essersi presentato al lavoro il 1° maggio 1922 subisce una sospensione dal servizio e per avere preso parte allo sciopero del primo agosto 1922 – indetto dall’Alleanza del lavoro, in difesa della libertà – è retrocesso a sottocapostazione. Nel luglio 1923 è licenziato con la formula dello “scarso rendimento di lavoro”. In seguito, anche se già licenziato, è sottoposto a procedimento disciplinare e condannato per lo sciopero del 1922. Pur combattendolo, il regime fascista tenta di attirarlo nel sindacato corporativo per sfruttare il grande prestigio che gode tra i ferrovieri. Al termine di un colloquio, nel corso del quale gli è proposta invano la carica di segretario del sindacato fascista dei trasporti, Mussolini gli dice: “Ti stroncheremo”. Nel 1931 si sottrae alle persecuzioni fasciste emigrando prima in Francia e poi in Spagna. Diviene dirigente del sindacato internazionale dei ferrovieri e delle organizzazioni anarchiche spagnole. Per questa attività è espulso e torna in Francia a Tolosa. Nel 1936, dopo la vittoria delle sinistre, si reca a Barcellona e diviene dirigente della CNT e della FAIb. All’indomani della sedizione franchista è tra gli organizzatori della Sezione iItaliana della Colonna “Ascaso” CNT-FAIb che si batte sul fronte di Huesca. Nel 1937 è schedato dalla polizia italiana e, nei suoi confronti, è emesso un ordine di arresto, in caso di rimpatrio. In seguito milita nella colonna “Durruti”, partecipando a tutte le principali bat-taglie. Nello stesso periodo ricopre la carica di responsabile del gruppo “P. Gori” a Barcellona. Dopo l’assassinio di C. Berneri, ad opera della polizia stalinista, ha numerosi e forti contrasti con i dirigenti del pcdi. Conclusasi tragicamente la guerra, rientra in Francia, ma viene internato nel campo di concentramento a Argèles-sur-Mer. Riottenuta la libertà, partecipa attivamente alla lotta di liberazione contro i tedeschi, dai quali è catturato a Dunkerque e deportato in Germania. Tornato in libertà dopo un’avventurosa evasione nel 1941, rientra in Francia e si stabilisce a Tolosa. Il 5 agosto 1943, quando si presenta al confine a Mentone, per rimpatriare, è fermato nonostante la caduta del fascismo. Dopo un breve periodo di prigione è liberato e torna a Bologna. Aderisce al PSI e dopo l’8 settembre 1943 partecipa alla guerra di liberazione nella zona imolese. Il 21 gennaio 1944 la polizia della rsi emette un mandato di cattura nei suoi confronti, che resta inattuato. Dopo la Liberazione è nominato nella segreteria nazionale dello SFI e presidente della cooperativa ferrovieri di Bologna. Nel marzo 1946 e nel maggio 1951 è eletto consigliere al comune di Bologna e per un decennio ricopre la carica di assessore alla polizia urbana. Muore improvvisamente la sera del 19 gennaio 1962, mentre partecipa all’assemblea della sezione del PSI, alla quale era iscritto. (N.S. Onofri)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: A. Albertazzi, L. Arbizzani, N.S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo bolognese (1919-1945). Dizionario biografico, 6 voll., Bologna 1986-2003, ad nomen; S. D’Onofrio, Libertà vo’ cercando. Bologna 1890-1962. Storia dell’anarchico Lorenzo Giusti ferroviere e assessore nel comune socialista di Bologna, Bologna 1990.
 



“Cari amici e compagni, vi dò l’ultimo saluto. La mia tormentata vita terrena ha cessato di essere; sono passato nel numero dei più. Per me ora il grave e grande mistero dell’oltretomba non esiste più. Comunque a questo mi ci ero serenamente e tranquillamente preparato. Non si può andare contro la legge della natura; non si può temere il poi quando si è rispettato la morale della coscienza onesta ed intelligente. Ho sofferto molto ma ho amato di più. Le gioie tutte intime di cui mi fu larga la vita le debbo unicamente alla coscienza del mio dovere compiuto verso la famiglia e verso la società. I dolori, le contrarietà, i sacrifici mi resero capace di comprensione, di tolleranza, di perdono per tutti coloro che soffrono e che cadono in errore. Una sola cosa ho odiato e combattuto: l’ingiustizia…”

GNOCCHETTI, Ettore

Nasce a Genzano (RM) il 31 ottobre 1857 da Vincenzo e Camilla Gabbani, operaio-fabbro. Intriso di un rivoluzionarismo individualistico fa inizialmente parte della Federazione Operaia Socialista, nel febbraio del 1886 fonda un circolo anarchico che prenderà successivamente, nel momento della riorganizzazione del movimento, il nome di Circolo “XI novembre”. G. è uno dei protagonisti delle agitazioni di disoccupati romani nei difficili anni della crisi edilizia tra la fine del 1880 e gli inizi del nuovo decennio. Roma, infatti, vede lo sviluppo di un fiorente movimento anarchico che per almeno due anni mantiene il controllo sulle agitazioni per il lavoro. Il comizio di piazza Dante del 30 settembre 1888, con la partecipazione di circa 4.000 lavoratori, infatti, anziché segnare la riaffermazione dell’egemonia dei democratici segna la comparsa ufficiale degli anarchici come forza autonoma. Il comizio, promosso da alcune società operaie si conclude con l’approvazione all’unanimità di un odg presentato da G., Zolfanelli e Giovanetti in cui si fa riferimento alla rivoluzione sociale e alla inefficacia di ogni riforma parziale. Mentre si moltiplicano le manifestazioni di gruppi di disoccupati, il 7 febbraio è nominata una commissione con il compito di rivolgersi alle autorità per sollecitare nuovi lavori per far fronte al peggioramento della crisi; adunati in piazza S. Croce in Gerusalemme gli operai attendono i risultati della commissione, ma l’intervento di G., allora giovane anarchico di 28 anni, suona come un campanello di allarme. Riprendendo i temi del comizio di piazza Dante, G. denuncia l’inutilità “di quell’andare in giro a mendicare lavoro” e l’8 febbraio, quando la commissione arriva a rispondere del suo operato in piazza Cavour, di nuovo G. prende la parola incitando le masse a non farsi prendere in giro e a passare all’azione. La risposta è un lungo corteo che si indirizza verso il centro travolgendo polizia e protestando animatamente. Dagli “organizzatori dei moti dell’8 febbraio 1889”, scriverà F.S. Merlino, ci si attende molto e nonostante gli arresti seguiti a quei fatti il processo di riorganizzazioni pur tra lentezze procede. A partire dal 1890 G. si dedica, in stretta collaborazione con Pietro Calcagno, a gettare le basi per la costruzione della federazione anarchica. Viene inviato al Congresso di Capolago (4-6 gen. 1891) a rappresentanza degli anarchici romani. Tra le quattro risoluzioni di Capolago ve ne è una dedicata al 1° maggio inteso come momento di propaganda insurrezionale. In linea con quella risoluzione, durante un comizio a piazza Dante, il 19 marzo 1891, viene nominato, insieme ad Agostinucci, Calcagno e Scutilli, membro della commissione che si occupa dell’organizzazione della festa dei lavoratori. Il 1° maggio prende, quindi, parte ai “fatti di piazza S. Croce in Gerusalemme”. Dietro la bandiera della Federazione anarchica rivoluzionaria convengono circa 2.000 persone; il comizio romano, animato dalla presenza di Amilcare Cipriani, degenera in gravi disordini tra partecipanti e forze dell’ordine. Per la partecipazione a quegli avvenimenti, duramente repressi dalla polizia (un morto e centinaia di feriti tra i dimostranti) G. è condannato dalla Corte di appello di Roma, il 4 luglio 1892, a 19 mesi di reclusione. Colleziona altre brevi condanne, ma continua, inframmezzando periodi di carcere, la sua opera di propaganda. Sull’onda della repressione dei moti del dicembre in Sicilia contro il rincaro delle farine, a Roma si susseguono una serie di esplosioni di bombe presso Palazzo Montecitorio e al Ministero di Grazia e Giustizia e della Guerra, ma la maggioranza degli anarchici sono estranei a questi accadimenti. G. partecipa la sera del 7 gennaio 1894 a una riunione che si conclude a Trastevere, in via Lungaretta, con uno scontro con la polizia al grido di “evviva la rivoluzione, evviva l’anarchia”. Seguono nuove condanne. Nel settembre del 1898 viene arrestato a Capranica dopo l’assassinio a Ginevra dell’imperatrice d’Austria ma viene rilasciato e si da alla latitanza. Contro di lui è spiccato mandato di cattura e il 9 novembre è arrestato. Inviato al domicilio coatto a Orbetello, rimane in contatto con gli ambienti anarchici romani ed è Giuseppe Del Bravo a inviargli un vaglia, frutto di una festa al teatro Marcello organizzata per i “dodici coatti politici di Roma” da Stagnetti e Ceccarelli, così come risulta anche da un resoconto dell’«Avanti!». Rimesso in libertà inizia per lui un periodo di continui spostamenti tra Firenze, Pisa e Grosseto. La sorveglianza sugli anarchici si fa più stretta dopo l’assassinio di Umberto i il 29 luglio 1900 e G. è fatto pedinare. L’8 agosto viene, infatti, arrestato a Fiumicino per “associazione a delinquere”. Scarcerato il 17 settembre continua a essere vigilato. Nel novembre 1902 si reca in compagnia di un altro anarchico romano Spadea Pandolci a Genova per imbarcarsi verso il Brasile, ma fermati, vengono rinviati a Roma. G. riesce successivamente a partire per S. Paolo, nel dicembre, dove entra subito in contatto con altri anarchici. La sua età e la salute malferma lo separano progressivamente dalla militanza politica. Rientra in Italia, e continua la sua attività nel movimento anarchico. Nel 1908 è l’artefice di un opuscolo anticlericale distribuito clandestinamente a Roma dal titolo Le 3 P (il papa, i preti, i porci). Ben presto, però, dopo un primo ricovero nel novembre del 1912 al Fate Bene Fratelli, perché affetto da tbc, le sue precarie condizioni di salute peggiorano ulteriormente. Nel maggio del 1914 fa stampare e distribuire clandestinamente un opuscolo antimilitarista dal titolo Disonoriamo la guerra. In settembre è nuovamente ricoverato e il 13 ottobre muore a Roma presso l’ospedale S. Giovanni. (I. Del Biondo) 

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 
Bibliografia: L. Cafagna, Anarchismo e socialismo a Roma negli anni della «febbre edilizia» e della crisi 1882-1891, «Movimento Operaio», set.-ott. 1952; E. Santarelli, Il socialismo anarchico in Italia, nuova ed. riv. e ampl. Milano 1973, ad indicem; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Milano, 1969, ad indicem.

Torquato Gobbi (Bagnolo in Piano, Emilia Romagna, 6 agosto 1888 - Uruguay, maggio 1963) è stato un anarchico italiano.

Biografia

Di professione rilegatore, entra molto giovane a far parte del movimento anarchico frequentando il "Circolo Francisco Ferrer Guardia" di Reggio Emilia. La sua partecipazione agli scioperi dell'autunno del 1911 contro l'invio di truppe in Libia, lo vede protagonista e immediatamente segnalato alle autorità come anarchico e quindi perseguibile penalmente per « distribuzione di manifesti antimilitaristi » e di opuscoli in sostegno al soldato ribelle Augusto Masetti. All'inizio del 1914 Gobbi è uno dei promotori di una riunione in favore di Masetti che era stato internato a Reggio Emilia.

Militante dell'Unione Sindacale Italiana (USI), si schiera con la tendenza di Armando Borghi che si oppone strenuamente alla guerra e alla fazione interventista guidata da Alceste De Ambris. Nel gennaio 1915 partecipa al congresso anarchico nazionale a Pisa organizzato per sviluppare una strategia unitaria di opposizione alla guerra. Proprio durante questo periodo convince il suo giovane amico Camillo Berneri, segretario della Federazione Giovanile Socialista Italiana di Reggio Emilia, ad abbandonare il socialismo per abbracciare l'anarchismo.

Nel mese di giugno del 1916, durante un congresso semi-clandestino di Firenze, viene eletto insieme a Temistocle Monticelli, Pasquale Binazzi, Gregorio Benvenuti e Virgilio Mazzoni al Comitato d'Azione Anarchico Internazionale (CAIA) per coordinare la lotta contro la guerra in Italia e in collegamento con i compagni stranieri. La sua propaganda antimilitarista gli costa diverse persecuzioni giudiziarie, in particolare tra l'aprile 1917 e il febbraio 1918, quando viene condannato a dieci anni di prigione.

Dopo l'amnistia del marzo 1919, rientra in libertà e riprende il suo attivismo partecipando al congresso di fondazione dell'Unione Comunista Anarchica Italiana, svoltosi a Firenze dal 12 al 14 aprile. Con l'avvento del fascismo viene più volte aggredito a Reggio Emilia, per questo, dopo aver preso parte al 3 ° Congresso dell'Unione Anarchica Italiana (novembre 1921) decide di emigrare in Francia.

Membro del «gruppo Gori» di Parigi, in cui tra gli altri militano Armando Borghi, Angelo Diotallevi, Alberto Meschi e Enzo Fantozzi, viene ingenuamente coinvolto nell'avventura pseudo-antifascista di Ricciotti Garibaldi, che ben presto si scoprirà essere un provocatore al soldo dell'OVRA fascista. Nel 1927 è membro del gruppo Pensiero e Volontà e uno dei redattori del suo organo propagandistico: La Lotta Umana, diretto da Luigi Fabbri (Parigi, ottobre 1927 - aprile 1929).

Come molti altri redattori del giornale (Fabbri, Fedeli, Berneri), il 16 settembre 1927 viene espulso dal paese transalpino. Si reca quindi in Belgio, a Bruxelles, dove viene assunto come operaio in una fabbrica di bottoni, pur proseguendo attivamente nella sua attività antifascista e anarchica. Espulso dal Belgio nel 1929, nonostante l'intervento della «Lega Italiana dei Diritti dell'Uomo», decide di emigrare verso l'America latina per raggiungere Luigi Fabbri a Montevideo.

Nella capitale uruguayana collabora alla rivista «Studi Sociali» (Montevideo-Bienos Aires, 40 numeri dal 16 marzo 1930 al 15 maggio 1935) diretta da Luigi e Luce Fabbri. In seguito, a partire dal 1930, si indirizza verso il socialismo riformista di natura libertaria.

Durante la Seconda guerra mondiale diviene presidente del Comitato di Montevideo dell'associazione Italia Libera e organizza molte manifestazioni contro il nazi-fascismo. Dopo la guerra, Gobbi permane nella sua residenza in Uruguay, dove apre una libreria e fonda la casa editrice Libreria Italiana. Depressosi a causa della grave crisi economica che colpisce l'Uruguay negli anni '60, Torquato Gobbi si suicida nel maggio del 1963.

Bibliografia

  • Antonio Senta, Note su Torquato Gobbi, un anarchico problematico, Clio: rivista trimestrale di studi storici, 2008
  • Fabrizio Montanari, Voci dal Plata: (vita e morte di Torquato Gobbi), Bertani, 1997


GODANI, Adelmo
 
Nasce a Arcola (SP) il 22 aprile 1907 da Ettore e Antonia Gregori, calzolaio. Giovanissimo, abbraccia le idee libertarie e nel luglio 1923 emigra in Francia, insieme alla famiglia, stabilendosi a La Seyne-sur-Mer (Var). Nel 1933 viene iscritto nella Rubrica di frontiera e nel Bollettino delle ricerche perché frequenta Ugo Boccardi e ha partecipato alle proteste contro l’arresto di Vincenzo Capuana, rientrato in Italia per compiere un gesto clamoroso contro i gerarchi. La Questura di La Spezia lo segnala come “anarchico pericoloso da fermare” e ricorda che è privo di una gamba. Nel 1935 G. abita a Algeri, insieme ai comunisti dissidenti Muzio Brunetti (Considerato comunista dissidente o anarchico, Muzio [o Bruno] Brunetti era cugino di Adelmo Godani e faceva il muratore. Tornato a La Seyne-sur-Mer nel luglio 1936, partì per la Spagna nell’agosto seguente) e Comunardo Coppini, e si vede spesso con l’anarchico Vindice Rabitti. Il 6 dicembre 1936 giunge nella città francese di Perpignano, da dove prosegue alla volta di Barcellona, insieme agli anarchici Silvio Casella e Guglielmo Vitali. Il 4 marzo 1937 è ancora in Spagna, come riferisce il direttore capo della Divisione polizia politica, Michelangelo Di Stefano, e il 2 maggio 1937 viene segnalato ai prefetti dal capo della polizia fascista, Arturo Bocchini, con un telegramma, in cui si legge che è “partito dalla Francia per Spagna quale volontario milizie rosse” e che urge “disporre adeguate misure vigilanza dirette cattura predetto qualora rientrasse Regno”. Nel novembre 1937 G. torna in Francia e il 13 dicembre viene schedato. Il prefetto di La Spezia scrive che professa idee anarchiche come quasi tutti i suoi familiari e che a Limone frequentava i giovani sovversivi: “In terra straniera – prosegue il funzionario – non tardò ad affiancare i peggiori elementi anarchici e antifascisti, fra i quali il noto pericolosissimo Boccardi Ugo”. Il 31 gennaio 1938 il console di Tolosa ripete che G., Umilio Ginesi, Vasco Fontana e Luigi Fossi sono andati in Spagna oltre un anno prima e che G. ha già fatto ritorno in Francia e il 21 novembre 1938 il capo della Divisione polizia politica riferisce che il nome di G. figura in un quaderno dell’anarchico Giuseppe Pasotti, accanto a quelli di Karl Bruner, Marcel Chappan, Robert Zayli, Pasas Pierko e Marcel Balez, tutti “miliziani rossi”. Nel 1940 l’anarchico di Arcola risiede a La Seyne-sur-Mer e nel 1942 è ancora all’estero, probabilmente in Francia. S'ignorano luogo e data di morte. (F. Bucci, G. Ciao Pointer, G. Piermaria)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; ivi, Divisione Polizia Politica, f. personali, ad nomen.

Bibliografia: Antifascisti nel casellario politico centrale, 18 voll., Roma 1988-1995, ad nomen; La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939, Tre anni di storia da non dimenticare, Roma 1996, ad nomen.
 

GOLOSIO, Domenico
 
Nasce a Mamoiada (NU) il 10 ottobre 1910 da Antonio e Anna Biggio, operaio. Nel luglio 1933 emigra in Francia e il mese seguente raggiunge il fratello Pietro a Madrid. Nel luglio 1934 manifesta idee sovversive in una lettera ai famigliari e il 18 febbraio 1936 è arrestato per diffusione di volantini antifascisti. Dopo il sollevamento franchista si arruola nel 5° Reggimento e nel Battaglione Garibaldi e partecipa alla difesa di Madrid e alle battaglie di Navalcerrada e del Jarama, dove viene ferito alle gambe (feb. 1937). Ricoverato a Murcia, è trasferito, dopo la guarigione, nella base delle Brigate Internazionali di Albacete. Sospettato di preparare, con il fratello Pietro, un agguato a un corriere italiano, per impadronirsi della corrispondenza destinata ai diplomatici fascisti di Salamanca, è incorporato nella XII Brigata BRT “Garibaldi” e ferito al braccio e al fianco destro nella battaglia dell’Ebro (set. 1938).

Schedato il 9 dicembre, rientra in Francia nel febbraio 1939, finendo internato nei campi di Saint-Cyprien e di Gurs, da cui evade in maggio. Spostatosi a Parigi, scrive al Ministero dell’Interno, nell’aprile 1940, di essere emigrato in Spagna fin dal 1933 e che, al momento dello scoppio della Guerra Civile, era stato costretto dai “rossi” a lavorare nelle industrie di guerra. Arrestato a Limoges in ottobre e rinchiuso nei campi francesi di Argelès-sur-Mer e di Rivesaltes, è imprigionato a Fresnes nel novembre 1942. Fermato al Brennero il 13 febbraio 1943 e interrogato a Nuoro e a Sassari, racconta di aver conosciuto nella penisola iberica Dino Giacobbe, Cornelio Martis, fucilato dai comunisti, Pietrino Sale, Andrea Scano ed Emilio Suardi e si dice pronto a collaborare con l’apparato repressivo fascista, riprendendo “contatto con gli amici in Francia od altrove”, a condizione di non essere compromesso.

Il 21 maggio un ispettore generale di PS riferisce che G. “ha rinnovato l’offerta di mettersi a disposizione della polizia italiana qualora si credesse di rimandarlo in Francia, dove, a suo dire, sarebbe in grado di rendere importanti servizi. Si ha, invece, la sensazione che lo stesso tenti di riprendere la libertà d’azione e che la sua offerta di collaborazione sia per nulla sincera, data anche la reticenza mantenuta circa i suoi contatti con Lussu e con ‘Giustizia e libertà’. Ciò premesso sarei di subordinato avviso che il Golosio Domenico venisse internato in un campo di concentramento per tutta la durata della guerra”. Ancora incarcerato a Sassari, G. viene rilasciato il 14 agosto 1943. S’ignorano data e luogo di morte. (F. Bucci)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.


Bibliografia: L’antifascismo in Sardegna, a cura di M. Brigaglia [et al.], 2 voll., Cagliari 1986, p. 59; La Spagna nel nostro cuore. 1936-1939, Tre anni di storia da non dimenticare, Roma 1996, ad nomen; F. Bertolucci, Gli anarchici italiani deportati in Germania durante il Secondo conflitto mondiale, «A : rivista anarchica», aprile 2017, pp. 63-98.


 
GOMEZ, Gaspare Giuseppe
 
Nasce a Montevarchi (AR) il 25 gennaio 1850 da Valeriano e Margherita Lelli, decoratore. Partecipa a tutte le vicende dell’internazionalismo fiorentino. Lui e la moglie Ildebranda Dell’Innocenti (nata a Firenze nel 1851 da genitori ignoti, sarta anch’essa anarchica molto attiva), vivono assieme ai coniugi Pezzi a due passi dalla Manifattura Tabacchi, in borgo San Frediano n. 30 e la loro casa diventa rifugio per ogni compagno bisognoso di assistenza. Non solo, Luisa e Ildebranda fanno di quell’appartamento la sede della Sezione Femminile dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, poi del Circolo di Propaganda Socialista tra Operaie e dei vari comitati delle sigaraie. Il 22 settembre 1878 G. è tra gli arrestati per la grande manifestazione organizzata in occasione dell’inaugurazione della sezione dell’Internazionale di Peretola-Brozzi, alla periferia di Firenze. È da notare che l’ail in quel momento è fuorilegge a seguito del moto del Matese. Pochi giorni dopo, il 1° ottobre G. è nuovamente fermato, assieme a F. Natta, O. Falleri, G. Talchi, A. Kuliscioff e i Pezzi per aver partecipato al “congresso intimo”, come lo definisce Merlino, del giorno precedente. Questa volta l’accusa è di cospirazione e la detenzione di G. termina solo con il grande processo del 9 novembre 1879-7 gennaio 1880. G. è assolto come gli altri ma è ammonito. Così il 25 gennaio 1882 preferisce emigrare a Nizza, dove si è già rifugiato Talchi, e dove è raggiunto due mesi dopo dalla sua compagna. Qui, l’anno dopo, è tra gli animatori dei gruppi “Amilcare Cipriani” e i “Figli della miseria”. Nel 1884 si trasferisce a Sanremo, dove si segnala come uno degli iniziatori dei primi gruppi socialistici locali (dalla Associazione democratica del 1884 alla Lega Figli del Lavoro, sezione del Partito operaio italiano di Milano, dell’anno dopo). La sua cartella al Casellario Politico centrale consiste solo nell’intestazione e l’intero fascicolo è mancante, al suo posto c’è l’appunto: “oggetto della prefettizia del 14.1.1903 n.15”. Muore a Firenze il 17 febbraio 1925. (L. Di Lembo)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio di Stato Firenze, Questura, cp, p. 6; ivi, Tribunale Penale, Processi risolti con sentenza 1880 p. 437.

Bibliografia: E. Conti, Le origini del socialismo a Firenze (1860-1880) Roma 1950, ad indicem; N. Capitini Maccabruni, La CdL nella vita politica e amministrativa fiorentina (dalle origini al 1900), Firenze 1965, ad indicem; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani. Da Bakunin a Malatesta, Milano, 1969, ad indicem.
 
GORI, Alfredo
 
Nasce a Firenze il 14 dicembre 1872 da Pasquale e Maddalena Macelloni, ferroviere, poi verniciatore. Frequenta le classi elementari fino alla quinta. Anarchico, sindacalista, approfitta del suo lavoro per fare propaganda politica e diffondere la stampa libertaria tra i viaggiatori delle ferrovie. Nel 1913, durante la sua permanenza a Santo Stefano Magra, si fa notare per la sua partecipazione agli scioperi e per l’organizzazioni di manifestazioni sovversive, è sospettato anche di aver distribuito manifestini di carattere politico nei convogli della linea ferroviaria Parma-La Spezia. Il 20 marzo 1919, quale rappresentante della categoria dei ferrovieri, è presente a Roma a un convegno sindacale. Licenziato politico delle ferrovie nel 1922, si trasferisce a Viareggio dove frequenta assiduamente gli anarchici di quella città e ove muore il 4 dicembre 1926. (I. Rossi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen.
 

 
GORI, Egisto
 
Nasce a Pistoia il 23 maggio 1893 da Silvio e Anna Potenti, ferroviere. Pseudonimo “Minos”. Appena quindicenne aderisce al movimento anarchico e partecipa attivamente a tutte le iniziative del gruppo di Pistoia, di cui fanno parte, fra gli altri, Virgilio Gozzoli, Tito Eschini, Dino e Alfredo Gori. Antimilitarista e poi antinterventista, G. è arrestato assieme ad altri anarchici nel giugno 1914 per aver partecipato alle dimostrazioni contro le compagnie di disciplina e in favore di Augusto Masetti. L’accusa contro di lui è quella di “distribuzione di manifesti sovversivi e propaganda antimilitarista”. Finisce con gli altri di fronte al tribunale. È segretario dell’USI fino al 1921 e corrispondente da Pistoia di «Guerra di classe». Si mostra molto attivo nella lotta contro il fascismo e il 31 luglio 1922 le “camicie nere” uccidono per errore suo fratello Fabio, ma la vittima designata era G., infatti, la sera stessa subisce a sua volta un attentato. Licenziato in tronco per motivi politici dalle ferrovie, dopo lo sciopero del 1922, G. da metalmeccanico si improvvisa falegname e riapre la bottega del fratello Fabio. Il 25 luglio 1943 si trova già operante nella clandestinità e l’8 settembre è pronto, insieme agli anarchici di Pistoia, Bottegone e Barba, a dare inizio ai primi nuclei di resistenza al nazi-fascismo nel pistoiese. Ricercato in tutto il territorio della RSI, ripara a Firenze in casa di alcuni parenti. Ritornato a Pistoia, fa parte del Comitato di Liberazione Nazionale locale in rappresentanza della Federazione anarchica. Nel dopoguerra riprende la lotta politica e aderisce alla Federazione Anarchica Italiana. Muore a Pistoia il 21 maggio 1965. (I. Rossi)

Fonti

Fonti: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Casellario politico centrale, ad nomen; Archivio Famiglia Berneri-A. Chessa, Memoria del figlio Minos Gori; «Umanità nova» 30 mag. 1965 e 13 giu. 1965.
 
 

Pietro Gori (Messina, 14 agosto 1865 - Portoferraio, 8 gennaio 1911) fu avvocato, intellettuale e poeta anarchico.
Oltre che per l'attività politica è ricordato come autore di alcune tra le più famose canzoni anarchiche della fine del XIX secolo tra cui: Addio a Lugano, Stornelli d'esilio, Ballata per Sante Caserio.

«... Pietro Gori era un poeta, aveva un bel viso, un corpo snello ed elegante. Si accarezzava il baffo appuntito e sapeva ascoltare i coloni ravennati che raccontavano la loro storia. Provava un profondo rispetto per il coraggio che avevano speso in quella impresa, e glielo diceva con calore. Gli ricordavano gli uomini della Pampa, ripeté. Avevano anche cantato insieme, fino a sgolarsi, quella notte. Avevano cantato le sue canzoni, gli Stornelli d'esilio, Ballata per Sante Caserio, Amore ribelle... Di Addio Lugano Bella Gori aveva raccontato com'era nata. Dopo che Sante Caserio aveva pugnalato a morte Carnot, lui era dovuto riparare in Svizzera. Qui l'avevano arrestato, insieme con altri 150 fuorusciti italiani, anarchici e socialisti. Tutti poi erano stati espulsi. Quando li conducevano alla frontiera, avevano le manette ai polsi e i loro passi affondavano nella neve... Con le lacrime agli occhi, si era girato indietro a guardare Lugano e pensava agli anarchici scacciati senza colpa che partono cantando con la speranza in cuor... ». 

Biografia

Pietro Gori nacque a Messina il 14 agosto 1865 da Francesco Gori, ufficiale dell'esercito, e Giulia Lusoni, originaria di Rosignano Marittimo.  Il padre fu cospiratore risorgimentale, il nonno fu invece ufficiale della Vecchia Guardia di Napoleone I. Stabilitasi la famiglia a Livorno (1878-1885), Gori compì studi classici, aderendo giovanissimo ad una “Associazione Monarchica” dalla quale venne espulso per indegnità. Collaborò anche al periodico moderato «La Riforma».

Il periodo pisano: l'anarchia

Nel 1886 si iscrisse all'Università di Pisa alla facoltà di Giurisprudenza dove si laureerà nel 1889 con una tesi di sociologia criminale su La Miseria e il Delitto ispirata alle idee dell'allora nuova “Scuola Penale Positiva”. Il noto professore Francesco Carrara sarà relatore della tesi.

Entrato in contatto con gli ambienti anarchici ne diventa ben presto uno dei leader più in vista. Nel 1887 fu arrestato per un'epigrafe scritta per ricordare i martiri di Chicago  e ritenuta un'istigazione alla protesta contro le navi statunitensi alla fonda nel porto di Livorno. L'anno successivo, in qualità di segretario dell'Associazione studentesca, organizzò una commemorazione del filosofo Giordano Bruno.

Nel novembre del 1889 pubblicò, firmato con l'anagramma “Rigo” il suo primo opuscolo - Pensieri ribelli - contenente i testi delle prime conferenze. La pubblicazione venne sequestrata dalle autorità che bandirono un processo contro Gori per «istigazione all'odio di classe». Un nutrito stuolo d'avvocati, amici di corso e professori, difenderà Gori in questo suo primo processo che lo vedrà assolto da tutte le accuse.

Il 13 maggio dell'anno successivo (1890) venne nuovamente arrestato perché considerato, insieme ad altri 27 studenti ed operai, tra gli organizzatori delle manifestazioni del primo maggio a Livorno durante la quale vi furono scontri tra operai e forze dell'ordine. Con l'accusa di «ribellione ed eccitamento all'odio fra le diverse classi sociali» venne processato e condannato ad un anno di reclusione (poi ridotto in Cassazione ad alcuni mesi) e rimase in carcere, prima a Livorno e poi a Lucca, fino al 10 novembre.

Il periodo milanese

In seguito si trasferì a Milano dove esercitò la professione di avvocato presso lo studio di Filippo Turati. Nel gennaio 1891, sostenne le tesi malatestiane al Congresso di Capolago in cui si decise la fondazione del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario. Nello stesso anno partecipa al congresso del Partito Operaio Italiano che si tenne a Milano e tradusse, per la biblioteca popolare socialista, il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels. Verso la fine dell'anno, inizia le pubblicazioni de «L'Amico del popolo», un giornale che si autodefiniva "socialista anarchico" e di cui uscirono 27 numeri, tutti sequestrati, che gli procurarono altri arresti e processi.

Il 4 aprile 1892 in una conferenza dal titolo Socialismo legalitario e socialismo anarchico tenuta nella sede del "Consolato operaio" di Milano, esplicitò le posizioni anarchiche fortemente critiche nei confronti del socialismo riformista ritenuto autoritario e parlamentarista. Non stupisce quindi che il 14 agosto dello stesso anno al congresso nazionale delle organizzazioni operaie e socialista tenutosi a Genova Gori fosse tra i più strenui oppositori della maggioranza riformista che decise di dar vita al Partito dei Lavoratori Italiani che si trasformò poi in Partito Socialista Italiano.

Ormai ben conosciuto dalla polizia - una nota riservata del Ministero degli interni del 22 novembre 1891 diretta a tutti i prefetti del Regno chiedeva che venisse sottoposto a "speciale sorveglianza - all'approssimarsi del primo maggio veniva sistematicamente arrestato per motivi cautelari. Durante una di queste detenzioni, proprio nel 1892, scrisse nel carcere di San Vittore il testo di una delle sue canzoni più note: Inno del primo maggio. La sue prime opere poetiche - "Alla conquista dell'Avvenire" e "Prigioni e Battaglie" - pubblicate nei mesi successivi andarono ben presto esaurite nonostante la tiratura fosse di ben 9000 copie.

La sua attività di avvocato a difesa dei compagni e di conferenziere proseguì intanto senza sosta. In questo periodo partecipò anche, nell'agosto 1893, al Congresso socialista di Zurigo dal quale venne espulso e fondò la rivista «La Lotta Sociale» che ebbe breve vita a causa dei continui sequestri disposti dall'autorità.

Il primo esilio: Stati Uniti e Canada

Dopo l'approvazione voluta dal governo Crispi di tre liberticide leggi anti-anarchiche (luglio 1894) Gori, che era restato in corrispondenza con Sante Caserio, da lui difeso in un processo a Milano, fu accusato dalla stampa borghese di essere l'ispiratore dell'omicidio del Presidente francese Sadi Carnot e, per evitare una condanna a cinque anni di carcere, fu costretto a fuggire a Lugano. Nel gennaio 1895 fu arrestato con altri diciassette esuli politici italiani e, dopo due settimane di carcere, fu espulso insieme a loro dalla Svizzera. Per l'occasione compose i versi di quella che è la più nota canzone anarchica: Addio a Lugano. Questa diviene popolarissima con l'inizio del nuovo secolo anche grazie a numerose edizioni de Il Canzoniere dei Ribelli  apparso per la prima volta nel 1904 a Barre - Vermont - e ancor oggi è uno dei canti politici più eseguito. Con lo stesso titolo "Addio a Lugano" esiste una romanza del 1830 circa che canta anch'essa di un esilio politico in terra elvetica con testo siglato D. P. e musica di Fabio Campana

Attraverso la Germania e il Belgio, giunse a Londra dove si incontrò con i principali esponenti dell'anarchismo mondiale. Dopo il breve periodo inglese si recò a New York e da qui partì per un ampio giro di conferenze (oltre 400 in un anno) in Canada e negli Stati Uniti, dove collaborò alla rivista «La Questione Sociale».

Nell'estate 1896 torna a Londra per partecipare, come delegato delle organizzazioni operaie statunitensi, ai lavori del secondo Congresso della II Internazionale in cui ribadisce le sue tesi anarchiche. Nella città inglese si ammalò gravemente ed fu ricoverato al National Hospital.

Grazie all'interessamento di alcuni parlamentari, il Governo gli concesse di rientrare in Italia anche se lo obbligò, almeno inizialmente, a risiedere all'Isola d'Elba. Una volta rientrato riprese i contatti con il movimento anarchico e quindi l'attività di avvocato in difesa dei compagni e la collaborazione a pubblicazioni periodiche anarchiche tra cui «l'Agitazione» di Ancona.

Il secondo esilio: Argentina

Nel 1898 l'aumento dei prezzi del pane provocò tumulti in tutta Italia a cui il Governo rispose con il pugno di ferro. I morti del 7 maggio a Milano (il cui numero varia dagli 80 dei dati ufficiali agli oltre 300 secondo gli oppositori), quando il generale Bava-Beccaris ordinò all'esercito di sparare sulla folla, sono solo la punta dell'iceberg; non meno feroce fu infatti la repressione delle organizzazioni politiche e sindacali di sinistra a seguito della quale Gori fu costretto ad un nuovo esilio per evitare la condanna - a dodici anni - che gli venne inflitta in contumacia.

Da Marsiglia si imbarcò alla volta del Sudamerica. Qui si fece conoscere sia per la sua attività scientifica che per quella politica. Infatti, oltre ad essere tra i promotori della Federación Obrera Argentina (congresso di Buenos Aires, 25-26 maggio 1901), che poi assumerà la denominazione di FORA, tenne corsi di criminologia all'Università di Buenos Aires e fondò la rivista "Criminologia moderna".

L'ultimo periodo

Grazie ad un'amnistia e per problemi familiari oltre che di salute, nel 1902 rientrò in Italia e, l'anno successivo, insieme a Luigi Fabbri fondò la rivista «Il Pensiero». Se si esclude un viaggio in Egitto e Palestina nel 1904, passò i pochi anni della vita rimastigli nelle consuete attività di attivista politico, di scrittore e di avvocato difensore dei compagni arrestati.

Morì l'8 gennaio 1911 a Portoferraio lasciando un'ampia produzione letteraria che spazia dal saggio politico al teatro, dalla criminologia alla poesia oltre alle arringhe e alle conferenze.

Note


  • Liliana Madeo Gli scariolanti di Ostia antica. Storia di una colonia socialista, op. cit., p.182. La ricostruzione che l'autrice fa è ripresa dal diario di Luigi Sarrecchia (Pescosolido 1875-Ostia 1968), uno dei personaggi di rilievo della Colonia di Ostia. Il diario è conservato presso il Museo Centrale del Risorgimento. Utili per questo lavoro sono altre notizie che L. Madeo fornisce sulla vita della colonia che è formata, ripetiamo, da braccianti socialisti, anarchici e repubblicani: notizie che Luigi Sarrecchia preferisce non riportare nel suo diario e riguardano i rapporti politici tra le varie componenti che non sempre sono stati idilliaci come nel caso dell'accoltellamento alla schiena di un anarchico di Campiano. «... Della realtà in cui vive [Sarrecchia] non fa venire alla ribalta i salti, gli strattoni, i vuoti, le contraddizioni. Sono dimensioni che non sa controllare, e se ne sottrae ignorandole. Non raccoglie le canzonacce con cui si rinverdivano ostilità e inimicizie:
    Enrico Ferri alla finestra
    i socialisti in un cantò
    i repubblicani int e'buson
    Cul zel popò popò...
    Cul zel popò... Cul zel...
    (Cul zel - Culo giallo - erano i repubblicani)» [pp. 165-166].

  • Pietro Gori (l'anarchico romantico) 150 anni dopo

  • Militanti anarchici che, accusati di aver organizzato i disordini del primo maggio 1886 per rivendicare la giornata lavorativa di otto ore, furono impiccati l'11 novembre 1887.

    1. Il Canzoniere dei Ribelli, Barre - Vermont - 1904, edizione della «Cronaca Sovversiva».

    Bibliografia

    Opere di Pietro Gori

    • Prigioni, 1891
    • Alarico Carli. Un galantuomo, un valentuomo, un patriotta, 1900
    • La mia anarchia 
    • Opere, 14 volumi, Milano, Editrice Moderna, 1946-1949
    1. Prigioni: versi
    2. Battaglie: versi
    3. Ceneri e faville
    4. Ceneri e faville
    5. Le difese pronunciate innanzi ai tribunali e alle corti di assise
    6. Sociologia criminale
    7. Sociologia anarchica
    8. Bozzetti sociali
    9. Bozzetti sociali
    10. Pagine di vagabondaggio
    11. Conferenze politiche
    12. Conferenze politiche
    13. Canti d'esilio: poesie varie
    14. La vita e l'opera di Pietro Gori nei ricordi di Sandro Foresi. Ultime battaglie: lettere e scritti inediti
    • Addio Lugano Bella, Milano, M&B Publishing, 1996
    • La miseria e i delitti, Pisa, BFS, 2010 (a cura di Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci)
    • Il vostro ordine e il nostro disordine, Castelvecchi, 2014 (a cura di Claudio Marrucci)

    Canzoni

    • Inno del primo maggio, 1892
    • Addio a Lugano, 1895
    • Nostra patria è il mondo intero, 1895
    • Addio compagni addio, 1896
    • Stornelli d'esilio, 1898
    • La ballata di Sante Caserio, 1900

    Traduzioni

    • Il Manifesto del Partito Comunista, 1891

    Opere su Pietro Gori

    • Maurizio Antonioli, Pietro Gori, il cavaliere errante dell'anarchia: studi e testi, Pisa, BFS, 1995
    • Antonio Bellandi, Carlo Della Giacoma e Pietro Gori: musica e politica nella Livorno di fine Ottocento, Livorno, Comune di Livorno, 2005
    • Roberto Carocci, Roma sovversiva. Anarchismo e conflittualità sociale dall'età giolittiana al fascismo (1900-1926), Roma, Odradek, 2012
    Note bibliografiche

    Scritto di Pietro Gori estratto da Come sarà la società futura?, in Scritti scelti, vol. 1, Cesena, L'Antistato, 1968, pp. 82-83.
     
     

     

     
    ​GORI, Pietro Ernesto Antonio Giuseppe Cesare Augusto
     





     

     
     
    Campiglia marittima, via pietro gori, con medaglione dipinto
     Sailko - Own work
     
    Campo nell'elba, sant'ilario, lapide a pietro gori
     Sailko - Own work 
     
    Castagneto carducci, targa pietro gori
    Sailko - Own work

    Cimitero di rosignano marittimo, cappella gori
    Sailko - Own work
     
    Cimitero di rosignano marittimo, monumento a pietro gori
    Sailko - Own work

    Cimitero di rosignano marittimo, monumento a pietro gori
     Sailko - Own work
     
    Pisa, targa pietro gori
    Sailko - Own work
     
    Portoferraio, monumento a pietro gori, 1913-1946
      Sailko - Own work
     
    Büste des Anarchisten Pietro Gori in Rosignano Marittimo
     Janericloebe - Own work
     
     

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