Visualizzazioni totali

venerdì 26 gennaio 2018

Cosimo Giordano (Cerreto Sannita, 15 ottobre 1839 – Isola di Favignana, 14 novembre 1888) Brigante

Cosimo Giordano

Cosimo Giordano (Cerreto Sannita, 15 ottobre 1839 – Isola di Favignana, 14 novembre 1888) è stato un brigante italiano, già membro dell'esercito delle Due Sicilie e autore di diversi omicidi, furti e sequestri. Nel 1884 fu riconosciuto colpevole di numerosi reati tra i quali estorsione, furto, omicidi volontari (di cui uno aggravato perché preceduto da un agguato) e per questo fu condannato alla pena dei lavori forzati a vita con sentenza della Corte di Assise.
La sua figura è connessa alla strage di quaranta soldati italiani e quattro carabinieri a Pontelandolfo e Casalduni, che ebbe come conseguenza la strage di civili ordinata dal generale Enrico Cialdini ai danni delle popolazioni dei due comuni.
Nel 2016 la Giunta comunale di Cerreto Sannita ha proposto di dedicargli una piazzetta del centro storico nei pressi della sua casa natale. Gli storici locali tuttavia hanno sempre evidenziato, anche di recente, la ferocia dell'azione del Giordano che spesso effettuava "orrendi delitti e ricatti" a danno anche di persone povere. L'intitolazione di una strada al Giordano "tra l'altro, mortificherebbe il senso civico e morale dei cerretesi". Avverso la proposta di intitolazione della piazza al Giordano, alcuni cittadini cerretesi hanno depositato dei ricorsi presso la Prefettura di Benevento sottolineando, tra l'altro, che il Giordano "non fu mai protagonista di gesta eroiche o patriottiche ma solo di una lunga scia di omicidi, furti e sequestri".

Biografia

Dal primo omicidio al massacro di Pontelandolfo e Casalduni

Figlio di Generoso e di Concetta Isaia, nel 1855 a soli sedici anni uccise un uomo: Giuseppe Baldini, che aveva ammazzato il padre perché debitore di alcuni carlini. Per quest'omicidio fu però assolto dalla Corte penale di Napoli.
Divenuto stalliere e garzone, a venti anni entrò a far parte del corpo borbonico dei Carabinieri a cavallo grazie anche alla sua costituzione fisica. Durante la battaglia del Volturno venne premiato al grado di capitano da Francesco II delle Due Sicilie per il coraggio e l'impegno dimostrato.
Dopo la guerra, a Napoli venne accusato del furto di una valigia che conteneva 800 ducati. Successivamente tornò nel suo paese natale.
Cerreto Sannita fu protagonista di un tentativo di reazione legittimista il 27 settembre 1860 quando alcuni contrabbandieri, incoraggiati da voce secondo le quali delle truppe borboniche marciavano da Amorosi verso San Salvatore Telesino, assaltarono la locale stazione della guardia nazionale armandosi dei fucili e delle armi ivi presenti. Successivamente gli insorti costrinsero la banda musicale a seguirli sino alla piazza antistante la Cattedrale. Indotti dal vescovo Luigi Sodo a disperdersi, si ritrovarono davanti il palazzo di Giacinto Ciaburro che venne assaltato e saccheggiato poco dopo la fuga, tramite il giardino, della famiglia. Il vescovo Sodo venne però accusato di essere stato l'ideatore della rivolta, e a seguito dell'emissione di un mandato di cattura, fuggì a Napoli il 7 novembre. Tornò in paese il 15 giugno 1861 ma dovette scappare di nuovo perché sospettato di favoreggiamento verso i briganti..
Per questa iniziativa reazionaria, Giordano fu arrestato per ben tre volte da Felice Stocchetti, 1º tenente della Legione del Matese, inviato per sedare i tumulti contro i piemontesi. Lo Stocchetti avrebbe dovuto procedere anche all'arresto del vescovo Luigi Sodo ma questi fuggì a Napoli.
Il 10 maggio 1861 Giordano venne arrestato assieme al cognato, secondo alcuni storici in maniera pretestuosa e al solo fine di far restare sola la bella cognata che era al centro delle attenzioni di una persona importante ed influente.
Dopo l'ennesimo mandato di cattura iniziò la sua latitanza sui monti del Matese dove assieme ad altri filo borbonici formò una banda per sollevare la popolazione locale contro il nuovo governo. In poco tempo la banda si arricchì di uomini provenienti da Solopaca, Pietraroja, San Lorenzo Maggiore e Morcone e divenne una delle protagoniste del brigantaggio postunitario.
Già a partire dagli ultimi mesi del 1860 la folta banda di briganti comandata dal cerretese Cosimo Giordano, andava incitando le popolazioni locali alla rivolta contro l'esercito piemontese. Così nell'agosto 1861 importanti tentativi di rivolta si ebbero nei comuni di Pontelandolfo (7-9 agosto) e Casalduni (11 agosto). Ma mentre a Pontelandolfo furono commessi solo alcuni omicidi di traditori e spie per mano del Giordano e dei suoi uomini, a Casalduni invece la popolazione trucidò, una volta fatti prigionieri, ben quaranta soldati, quattro carabinieri e un luogotenente di fanteria. In risposta il 14 agosto all'alba un battaglione di cinquecento soldati comandato dal colonnello Pier Eleonoro Negri, trovò vendetta sull'incolpevole popolazione di Pontelandolfo, abbandonandosi a stupri ed uccisioni efferate mentre il paese veniva dato alle fiamme.
Forse a causa della inattività delle amministrazioni comunali di fronte al fenomeno del brigantaggio, il sottoprefetto di Cerreto cav. Ruffo inviò una circolare con la quale invitava i sindaci a collaborare per reprimere il brigantaggio.

Le estorsioni e l'appoggio dei politici locali

Nel 1862 il Giordano tornò a Cerreto Sannita dove ricattò Giovanni Mastrobuoni ed il giudice De Gennaro. A giugno fu ammazzato il liberale e politico Nunziante Ciffarelli mentre a settembre avvenne uno scontro armato fra la banda del Giordano ed alcuni cittadini di Guardia Sanframondi fra i quali il sindaco Giovanni Pingue ed il capitano della locale Guardia Nazionale Raffaele Pigna.
Negli anni successivi molte bande di briganti vennero arrestate grazie alla repressione guidata dal generale Pallavicini ed il Giordano, per evitare l'arresto, abbandonò la zona di Cerreto Sannita per migrare mascherandosi da venditore ambulante e cantastorie con tanto di barba finta.
Tornò nel suo paese natale nel 1865 facendo nuovi ricatti ed estorsione. Alcuni storici fanno notare come il ritorno del Giordano sia coinciso con le elezioni parlamentari dove era candidato Michele Ungaro, potente signore locale che viene indicato dal Fiorillo come il "protettore" di Cosimo Giordano e che di fatto, grazie all'omicidio del Ciffarelli, era rimasto l'unico candidato del collegio.
L'anno successivo il Giordano sostò per lungo periodo a Roma dove, vestito in maniera elegante, frequentava personalità politiche legate ai Borbone. A luglio tornò a Cerreto Sannita per nuovi ricatti poi tornò a Roma per poi emigrare a Londra.
Nel 1867 per due anni sostò a Marsiglia col falso nome di Giuseppe Pollice. Nel frattempo nel Matese si andava intensificando la lotta al brigantaggio e in tale direzione furono emesse numerose circolari dalla Sottoprefettura di Cerreto Sannita. La n. 788 del 5 settembre 1868 recita:
« Lo illustrissimo signor Generale Pallavicini, Comandante superiore delle truppe riunite contro il brigantaggio, dopo venia del Ministero degli Interni ha messo fuori un manifesto per il quale vengono fissati premi che verrebbero pagati in oro a coloro che uccidono o fanno presentare i seguenti capi briganti: L. 12.000 per Domenico Fusco, L. 3.000 per Cosimo Giordano, Alessandro Pace, Domenico Fontana, Francesco Cedrone, Giuseppe Campana. La Provincia offre inoltre altre L. 3.000 a chi assicura alla giustizia Cosimo Giordano e Ludovico Vincenzo alias Pilucchiello. »
Le taglie messe sui capi briganti, le assenze continue del Giordano e del Pilucchiello e la collaborazione della popolazione iniziarono a minare l'unità della banda.

L'arresto, la condanna e la morte

Nel 1880 il Giordano tornò a Cerreto Sannita estorcendo in un solo giorno 16.000 lire, una cifra esorbitante per l'epoca. In quello stesso anno si recò a Lione in Francia. Qui visse i suoi ultimi tempi di libertà perché, avendo riferito il suo vero nome alla donna che amava, questa ne informò le autorità italiane. Un commissario, fingendosi grossista di frutta ed interessato a stringere rapporti economici col Giordano, lo convinse a seguirlo in Italia dove a Genova venne arrestato il 25 agosto 1882.
Durante il processo fu difeso da Giuseppe D'Andrea, seguito da Michele Ungaro e Antonio Mellusi.
Esattamente due anni dopo l'arresto, il 25 agosto 1884, la Corte di Assise pronunciò la sentenza di condanna ai lavori forzati a vita:
« In nome di Sua Maestà Umberto I per grazia di Dio e volontà della Nazione Re d'Italia [...] letto il verdetto dei Giurati, dal quale Cosimo Giordano fu Generoso, da Cerreto Sannita, è dichiarato colpevole:
1. Di avere nel 4 novembre 1860 [...] rotta una valigia [...] del valore di oltre lire 500;
2. Di aver fatto parte di un'associazione di malfattori del numero non minore di 5, dal maggio del 1861 al 1864, percorrendo le campagne del Beneventano e luoghi vicini, ad oggetto di delinquere contro le persone e le proprietà [...];
3. Di avere nel giugno 1882 [...] sequestrato Gian Battista Mastrobuoni, e con minacce di morte o di altro grave danno [...] ottenne dalla famiglia del medesimo la somma di lire 8.500;
4. Di avere nel 29 maggio 1861 nella contrada Cerasiello in tenimento di Cerreto, ucciso Giuseppe Parente con un colpo di arma da fuoco;
5. Di avere nel 1º settembre 1861 tolto volontariamente la vita ad Annibale Piccirilli dopo averlo aspettato per qualche tempo lungo la strada che da Guardia Sanframondi mena a Cerreto Sannita [...];
6. Di avere nel 14 luglio 1862 in contrada Starsia tenimento di Guardia in riunione di banda armata in numero non minore di 5 con violenze e minacc, depredato il giudice Giovannantonio De Gennaro di una valigia [...] del complessivo valore di lire 300, e la domestica di altri oggetti del complessivo valore di lire 171. Nonché di aver sequestrato il detto De Gennaro [...];
7. Di avere nel 10 gennaio 1863 in tenimento di Cerreto tolto volontariamente la vita a Vincenzo D'Andrea [...] (e) manifestato la volontà di uccidere Giuseppe D'Andrea;
8. Di avere, nell'ottobre 1863, [...] manifestato la volontà di estorcere denaro ad Antonio Vaccarella [...];
9. Nonché di avere ordinato e fatto eseguire la uccisione di numero 350 pecore di pertinenza del medesimo Vaccarella [...];
10. Di avere, nel 12 luglio 1866 tolto volontariamente la vita a Raffaele De Blasio [...];
11. Di avere, nel luglio 1866, sequestrato le persone di Fabio Bolognese e di Pasquale Mazzarella ed estorto alla famiglia del primo, mercé minacce di morte o di altro grave danno la somma di lire 5.098;
12. Di avere, nell'agosto 1861 in Pontelandolfo in riunione di banda armata di cui egli era il capo consumati atti di esecuzione aventi per oggetto di cangiare e distruggere la forma del Governo e di istigare gli abitanti ad armarsi contro il potere dello Stato.
Considerato che i fatti affermati costituiscono furto qualificato, mancata estorsione, estorsione consumata in banda armata e con sequestro di persona, grassazione con violenze e minacce, omicidi volontari uno dei quali aggravato dall'agguato, punibile con la reclusione, con i lavori forzati a vita;
[...]
Per questi motivi la Corte visti gli articoli 605, 606, 601, 610, 161, 426, 428, 596 num. 597, 522, 529, 534, 106, 107, 97, 20, 23 del codice penale, 568 e 569 del codice di procedura penale,
CONDANNA

Cosimo Giordano del fu Generoso e della fu Isaia Concetta, di anni 43 di Cerreto Sannita, alla pena dei lavori forzati a vita, alla perdita dei diritti civili e politici e alla interdizione patrimoniale, nonché ai danni a favore delle parti lese ed alle spese del giudizio a pro dell'Erario dello Stato. »
Tradotto nel carcere di Favignana, vi ebbe come compagno di prigionia l'avvocato Giuseppe Tardio, legittimista borbonico che aveva operato con una banda armata nel Distretto di Vallo in Cilento tra il 1862 e il 1863.
Giordano morì in carcere il 14 novembre 1888 alle ore 9,55.

La banda Giordano

La banda di Cosimo Giordano era costituita dai seguenti briganti:
  1. Alessandrelli Andrea, arrestato;
  2. Alessandrelli Nicola, fucilato;
  3. Amato Agostino, ucciso;
  4. Amato Francesco, arrestato;
  5. Amato Nicola, arrestato;
  6. Barbieri Giovanni, fucilato;
  7. Barbieri Saverio, arrestato;
  8. Barbieri Vincenzo, arrestato;
  9. Barile Antonio, emigrato;
  10. Barile Libero Antonio, emigrato;
  11. Barile Luigi, arrestato;
  12. Barletta Giovanni;
  13. Barone Vincenzo, arrestato;
  14. Basile Francesco;
  15. Bello Francesco, fucilato;
  16. Bocchino Angelo, costituitosi;
  17. Brino Angelo;
  18. Buontempo Nicola, arrestato;
  19. Canelli Tommaso, emigrato;
  20. Caruso Vincenzo, costituitosi;
  21. Ciarleglio Giuseppe;
  22. Cimirro;
  23. Cofrancesco Giuseppe;
  24. Conte Domenico, fucilato;
  25. Conte Gennaro, arrestato;
  26. Crocco Giovanni, fucilato;
  27. De Iorio Girolamo, arrestato;
  28. Della Vecchia Carlo, catturato;
  29. De Simone Luigi, ucciso;
  30. Di Biase Angelo;
  31. Di Biase Luigi, fucilato;
  32. Di Crosta Bartolomeo, fucilato;
  33. Di Crosta Domenico, arrestato;
  34. Di Crosta Francesco;
  35. Di Rubbo Gennaro, fucilato;
  36. Di Rubbo Saverio (Bascetta);
  37. Falaco Rosario;
  38. Fappiano Costantino, emigrato;
  39. Ferrazza Giovanni, fucilato;
  40. Ferruccio Geremia, costituitosi;
  41. Fidanza Carmine, costituitosi;
  42. Finelli Saverio;
  43. Florio Girolamo, arrestato;
  44. Franco Pasquale, fucilato;
  45. Fusco Domenico, fucilato;
  46. Gaudio Tommaso, arrestato;
  47. Giordano Antonio;
  48. Giordano Domenico, fucilato;
  49. Giordano Enrico, fucilato;
  50. Giordano Pasquale, fucilato;
  51. Giordano Tommaso, emigrato;
  52. Gismondi Giovanni, arrestato;
  53. Granitto Baldassarre, costituitosi;
  54. Guerrasio Giuseppe;
  55. Guerrera Antonio, arrestato;
  56. Guerrera Domenico, arrestato;
  57. Guerriero Antonio;
  58. La Rosa Benedetto, fucilato;
  59. Laurenza Filippo, fucilato;
  60. Lena Antonio, costituitosi;
  61. Lavorgna Filippo, emigrato;
  62. Longo Michelangelo, fucilato;
  63. Longo Vincenzo, fucilato;
  64. Luciano Donato, fucilato;
  65. Mancini Nicola;
  66. Marazzi Vincenzo;
  67. Marucci Domenico;
  68. Massarelli Raffaele, costituitosi;
  69. Mastroianni Domenico, emigrante;
  70. Mastroianni Giuseppe, emigrante;
  71. Mattei Filippo, fucilato;
  72. Mattei Mariangelo, fucilato;
  73. Matteo Leucio, fucilato;
  74. Melillo Giuliano, arrestato;
  75. Mendillo Pasquale (sciampagna);
  76. Meoli Pasquale, fucilato;
  77. Montanaro Carmine, arrestato;
  78. Muccio Ferdinando;
  79. Mugno Gerardo;
  80. Narciso Pietro, suicidatosi;
  81. Nardone Prospero (cardillo);
  82. Nigro Giovanni;
  83. Paglialonga Nicola;
  84. Palumbo Francesco (farmacista);
  85. Paoluccio Crescenzo;
  86. Peritano Demetrio, arrestato;
  87. Perugini Bartolomeo, fucilato;
  88. Perugini Gregorio, fucilato;
  89. Petroli Vincenzo;
  90. Petronzi Vincenzo;
  91. Pistacchi Salvatore;
  92. Prece Pasquale;
  93. Puzella Gennaro;
  94. Ricigliano Clemente, fucilato;
  95. Rinaldi Antonio, fucilato;
  96. Rinaldi Salvatore;
  97. Rinaldo Libero, fucilato;
  98. Romano Nicola;
  99. Ruzzo Libero;
  100. Sagnella Silvestro;
  101. Sanillo E., arrestato;
  102. Santagata Vincenzo;
  103. Santangelo Angelo, fucilato;
  104. Sanzari Pasquale, emigrato;
  105. Sasso Lorenzo, fucilato;
  106. Sasso Zaccaria, fucilato;
  107. Sciarra Giovanni, arrestato;
  108. Seneca Pellegrino, costituitosi;
  109. Sforza Angelo, fucilato;
  110. Sforza Nicola, fucilato;
  111. Sigismondi Tommaso;
  112. Sorrentino Francesco;
  113. Tacinelli Domenico;
  114. Tammaro Tommaso;
  115. Tommaso Michele, fucilato.
La banda era suddivisa in quattro brigate comandate da Cosimo Giordano, da Vincenzo Ludovico (Pilucchiello), da Errichiello e da Girolamo Civitillo.

 
I briganti Cosimo Giordano (primo a sinistra), Carlo Sartore e Francesco Guerra poco prima del loro arresto

La casa di Cosimo Giordano in Cerreto Sannita.
Adam91 - Opera propria
Casa del brigante Cosimo Giordano in Cerreto Sannita (Italia).

 Il vescovo Luigi Sodo, accusato ingiustamente di favoreggiamento verso i briganti.
Adam91 - Opera propria
busto raffigurante mons. Luigi Sodo sito nella Collegiata di San Martino in Cerreto Sannita (Bn)

 Michele Ungaro, più volte deputato al Parlamento.

 Il palazzo dove ebbe sede la Sottoprefettura a Cerreto Sannita durante gli anni di brigantaggio di Cosimo Giordano.
Adam91 - Opera propria
L'Istituto Santa Rita - Fondazione Edoardo Guarino, già orfanotrofio femminile delle Suore degli angeli e sede della sottoprefettura. Cerreto Sannita (Italia)
 Massacro di Pontelandolfo e Casalduni
Il massacro di Pontelandolfo e Casalduni fu una strage di rappresaglia compiuta dal Regio Esercito italiano ai danni della popolazione civile dei due comuni in data 14 agosto 1861.
La decisione di eseguire la rappresaglia fu presa in seguito al precedente massacro di 45 militari dell'esercito unitario (un ufficiale, quaranta fanti del 36° e quattro carabinieri), catturati alcuni giorni prima da alcuni briganti e contadini del posto. I due piccoli centri vennero quasi rasi al suolo, lasciando circa 3.000 persone senza dimora. Il numero di vittime è tuttora incerto, ma Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella riportano che alcuni autori lo stimano compreso fra il centinaio e il migliaio.
Sulla base della lettura dei registri parrocchiali della chiesa della Santissima Annunziata ove sarebbero annotati dal canonico Pietro Biondi e dal canonico Michelangelo Caterini (firmatario degli atti di morte) i nomi dei morti, le modalità della loro morte e il luogo del seppellimento: 13 persone (undici uomini e due donne) sarebbero morte durante il giorno stesso della strage (dieci direttamente uccisi e due nel rogo delle case) e una tredicesima morì il giorno seguente.
Il numero di 13 morti viene confermato nel 2016 dalla scoperta di una lettera d'epoca datata 3 settembre 1861 pubblicata sulla rivista Frammenti del Centro culturale per lo studio della civiltà contadina nel Sannio con sede in Campolattaro. L’autrice della lettera è la signora Carolina Lombardi, originaria di Pontelandolfo, sposata con don Salvadore Tedeschi, speziale in Campolattaro.

Storia

Antefatto

All'indomani della proclamazione del Regno d'Italia, in molte parti dei territori dell'ex Regno delle Due Sicilie scoppiarono moti di rivolta filoborbonici, spesso capeggiati da cittadini o ex militari del disciolto Esercito delle Due Sicilie. Uno di questi moti ebbe luogo il 7 agosto 1861 quando alcuni briganti della brigata Fra Diavolo, comandati da un ex sergente borbonico, il cerretese Cosimo Giordano, approfittando dell'allontanamento di una truppa delle Guardie Nazionali da Pontelandolfo, occupò il paese, uccidendo i pochi ufficiali rimasti, issandovi la bandiera borbonica e proclamandovi un governo provvisorio.
L'11 agosto il luogotenente Cesare Augusto Bracci, incaricato di effettuare una ricognizione, si diresse verso Pontelandolfo alla guida di quaranta soldati e quattro carabinieri. Nei pressi del paese, gli uomini del reparto piemontese furono catturati da un gruppo di briganti e contadini armati che li portarono a Casalduni, dove furono uccisi per ordine del brigante Angelo Pica.
« Il tenente Bracci fu torturato per circa otto ore, prima di venire ucciso a colpi di pietra. La testa gli fu tagliata e venne infilzata su d’una croce, posta nella chiesa di Pontelandolfo. Una sorte analoga toccò a tutto il suo reparto, i cui soldati finirono uccisi a colpi di scure, di mazza, dilaniati dagli zoccoli di cavalli ecc. Sei militari, già gravemente feriti, furono massacrati a colpi di mazza. Un cocchiere si segnalò per il suo comportamento, facendo passare e ripassare dei cavalli al galoppo sopra i corpi dei soldati, alcuni moribondi, altri solo feriti ma impossibilitati a muoversi perché legati. Fu allora inviato un altro reparto militare, questa volta di ben maggiore forza, comandato dal tenente colonnello Pier Eleonoro Negri e costituito da 400 bersaglieri. Quando entrarono a Pontelandolfo, il 14 agosto del 1861, questi soldati, che già sapevano della strage dei propri commilitoni arresisi, videro che i loro stessi corpi erano stati smembrati ed appesi dai briganti come trofei in diverse parti della località, con il capo mozzo del tenente Bracci che era stato conficcato su d’una croce, come si è detto sopra. »
(da Il Nuovo Monitore Napoletano.)
Un sergente del reparto sfuggì alla cattura e successiva uccisione e riuscì a raggiungere Benevento, dove informò i suoi superiori dell'accaduto. Costoro chiesero a loro volta un dettagliato rapporto ai capitani locali della Guardia Nazionale Saverio Mazzaccara e Achille Jacobelli. Ottenuti dettagli sull'accaduto, le autorità di Benevento informarono quindi il generale Enrico Cialdini. Racconta Carlo Melegari, a quel tempo ufficiale dei bersaglieri, che il rapporto inviato a Cialdini conteneva una descrizione raccapricciante dell'uccisione dei bersaglieri. Cialdini, consultandosi con altri generali, ordinò l'incendio di Pontelandolfo e Casalduni con la fucilazione di tutti gli abitanti dei due paesi "meno i figli, le donne e gli infermi".

Il massacro

« Di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra. »
(Cialdini al colonnello Negri)

Il generale Cialdini, per l'attuazione del piano, incaricò il colonnello Pier Eleonoro Negri e il maggiore Melegari, che comandavano due reparti della divisione del gen. Maurizio Gerbaix de Sonnaz. I due reparti si diressero rispettivamente a Pontelandolfo e a Casalduni. All'alba del 14 agosto i soldati raggiunsero i due paesi. Mentre Casalduni fu trovata quasi disabitata (gran parte degli abitanti riuscì a fuggire dopo aver saputo dell'arrivo delle truppe), a Pontelandolfo i cittadini vennero sorpresi nel sonno. Le chiese furono assaltate, le case furono dapprima saccheggiate per poi essere incendiate con le persone che ancora vi dormivano. In alcuni casi, i bersaglieri attesero che i civili uscissero delle loro abitazioni in fiamme per poter sparare loro non appena fossero stati allo scoperto. Gli uomini furono fucilati mentre le donne (nonostante l'ordine di risparmiarle) furono sottoposte a sevizie o addirittura vennero violentate. Carlo Margolfo, uno dei militari che parteciparono alla spedizione punitiva, scrisse nelle sue memorie:
« Al mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l'ordine superiore di entrare a Pontelandolfo, fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi (ma molte donne perirono) ed incendiarlo. Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato l'incendio al paese. Non si poteva stare d'intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava…Casalduni fu l'obiettivo del maggiore Melegari. I pochi che erano rimasti si chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli, sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava. »
(Carlo Margolfo)
Alcuni particolari del massacro si leggono nella relazione parlamentare che il deputato Giuseppe Ferrari scrisse a seguito del suo sopralluogo a Pontelandolfo all'indomani del terribile evento. Nella relazione si citano due fratelli Rinaldi, uno avvocato e un altro negoziante, entrambi liberali convinti. I fratelli, usciti fuori di casa per vedere cosa stesse accadendo, vennero freddati all'istante e uno dei due, ancora in agonia dopo i colpi di fucile, fu finito a colpi di baionetta. Un altro episodio citato è quello di una ragazza, tale Concetta Biondi, che rifiutandosi di essere violentata da alcuni soldati, fu fucilata.
« Una graziosa fanciulla, Concetta Biondi, per non essere preda di quegli assalitori inumani, andò a nascondersi in cantina, dietro alcune botti di vino. Sorpresa, svenne, e la mano assassina colpì a morte il delicato fiore, mentre il vino usciva dalle botti spillate, confondendosi col sangue »
(Nicolina Vallillo)
Al termine del massacro, il colonnello Negri telegrafò a Cialdini:
« Ieri mattina all'alba giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora. »
(Pier Eleonoro Negri)
A causa dell'incendio degli archivi comunali e della mancanza di un censimento non si conosce la cifra esatta delle vittime del massacro. Alcune stime parlano di circa 100 civili uccisi, altre di 400, altre di circa 900 ed altre ancora di almeno un migliaio.
Una forte revisione al ribasso del numero degli uccisi, ridotti a 13 morti, viene sostenuta dal ricercatore Davide Fernando Panella sulla base della lettura dei registri parrocchiali della chiesa della Santissima Annunziata ove sarebbero annotati dal canonico Pietro Biondi e dal canonico Michelangelo Caterini (firmatario degli atti di morte) i nomi dei morti, le modalità della loro morte e il luogo del seppellimento: 12 persone (undici uomini e due donne) sarebbero morte durante il giorno stesso della strage (dieci direttamente uccisi e due nel rogo delle case) e una tredicesima morì il giorno seguente.
Il numero di 13 morti viene confermato nel 2016 dalla scoperta di una lettera d'epoca datata 3 settembre 1861 pubblicata sulla rivista Frammenti del Centro culturale per lo studio della civiltà contadina nel Sannio con sede in Campolattaro. L’autrice della lettera è la signora Carolina Lombardi, originaria di Pontelandolfo, sposata con don Salvadore Tedeschi, speziale in Compolattaro.

Cultura di massa

Il 14 agosto del 1973, il gruppo musicale milanese degli Stormy Six, tenne in Pontelandolfo un concerto nel corso del quale, con una canzone di protesta, si denunciò "la grande macchia della Storia italiana". In seguito all'evento, i familiari delle vittime lanciarono la prima petizione per chiedere la verità sul massacro.
Un secolo e mezzo dopo i fatti, il 14 agosto 2011, Giuliano Amato, presidente del comitato per le celebrazioni del centocinquantenario dell'Unità d'Italia, ha commemorato quella strage, porgendo a tutti gli abitanti di quella che è stata definita «città martire», le scuse dell'Italia.
Il massacro è stato raccontato a fumetti, dal pittore, grafico e fumettista viterbese Riccardo Fortuna, nel Graphic novel “Agosto 1861 – Pontelandolfo”.

Il generale Enrico Cialdini che ordinò le stragi di Pontelandolfo e Casalduni.

I, Sailko
Litografia ballagny, fine XIX sec. gen. enrico cialdini
Litografia ballagny, fine XIX sec. gen. enrico cialdini

Una lapide commemorativa nei pressi di uno dei luoghi dell'eccidio
Fiore Silvestro Barbato - Flickr: Casalduni (BN), 2009, Lapide commemorativa dell'eccidio.
Casalduni è tristemente nota, insieme alla vicina Pontelandolfo, per gli eccidi compiuti dalle truppe sabaude dal 12 al 14 agosto 1861. Un battaglione di 500 bersaglieri comandati dal colonnello Gaetano Negri, divenuto poi sindaco di Milano, massacrò centinaia di cittadini e distrusse i due paesi incendiandoli. Molte donne furono stuprate prima di esser assassinate. Si cercò di nascondere l'eccidio bruciando ed occultando i cadaveri. Una lapide in prossimità del castello ricorda uno dei luoghi dell'eccidio
Presentazione fumetto strage Pontelandolfo-Casalduni:14 agosto ...
YouTube714 × 960Ricerca tramite immagine
Presentazione fumetto strage Pontelandolfo-Casalduni:14 agosto 1861, Riccardo Fortuna. 720p - YouTube

Pontelandolfo - Stormy Six. - YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=voNLhO3Z120
31 ott 2007 - Caricato da DueSicilie
Questa canzone degli Stormy Six, tratta dall'Album Unità del 1972, ricostruisce magistralmente la ...



Nessun commento:

Posta un commento