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sabato 24 giugno 2023

ANARCHICI & ANARCHIA 5

 

ANARCHICI & ANARCHIA 5 

Antonio D'Alba (Roma, 4 dicembre 1891 - Roma, 17 giugno 1953), di mestiere muratore, è stato un anarchico italiano. A Roma, il 14 marzo 1912, attentò alla vita di Vittorio Emanuele III sparandogli due colpi di rivoltella. Il re uscì indenne, ma D'Alba fu catturato e condannato ai lavori forzati.

Biografia

Antonio D'Alba nasce a Roma il 4 dicembre 1891 da Cesare, di professione guardiano/giardiniere, e Cristina Bellante, portinaia. A causa delle difficoltà economiche in cui versa la famiglia, sin dalla tenera età di 11 anni comincia a lavorare come manovale edile. A 15 anni cominciano per lui i primi guai con la giustizia: il 3 gennaio 1906 viene condannato a sei giorni di reclusione per furto. In seguito sarà ancora condannato per furto e per maltrattamenti ai genitori.

L'anarchismo

Intorno i 17 anni si avvicina all'anarchismo, anche se non proprio con una militanza attiva. Il 21 febbraio 1910, la questura di Roma propone per lui la vigilanza speciale, ma l'autorità giudiziaria rifiuta di applicare la misura restrittiva perché riteneva che negli ultimi tempi si fosse ravveduto. In effetti, Antonio D'Alba aveva continuato ad esercitare la professione di muratore senza essere segnalato agli organi di polizia per nessun motivo, fino a quando, d'improvviso, mette in atto a Roma un clamoroso attentato contro il re Vittorio Emanuele III..

L'attentato e le immediate conseguenze

Il mattino del 14 marzo 1912, l'anarchico romano, dopo essersi nascosto tra le colonne di palazzo Salviati, si fa largo tra la poca gente presente al passaggio del corteo reale ed esplode due colpi di rivoltella contro la carrozza in cui era Vittorio Emanuele III. Il re e la regina si stavano recando al Pantheon per assistere ad una messa funebre in suffragio di Umberto I, ucciso 12 anni prima dall'anarchico Gaetano Bresci; entrambi escono indenni, due dei due colpi esplosi feriscono invece un maggiore dei corazzieri e un cavallo della scorta. Antonio D'Alba viene immediatamente bloccato e percosso dalla gente accorsa.

Arrestato, D'Alba manifesta una personalità che sconcerta le autorità, alternando dichiarazioni sulla propria appartenenza all'anarchismo ad atteggiamenti al limite dello squilibrio mentale, talvolta dichiarando di avere agito da solo e tal'altra di avere avuto complici e mandanti. La polizia indirizzerà le proprie indagini verso la Svizzera, dove l'attentato aveva prodotto un certo entusiasmo tra gli anarchici italiani emigrati.

Alla fine le indagini porteranno a stabilire che, con buone probabilità, l'attentato fu l'azione diretta di una singola individualità, ma ciò ebbe comunque conseguenze importanti per la vita politica italiana. Innanzitutto, a causa dell'attentato di D'Alba, si incrinano i rapporti tra il capo del govenro Giolitti e il re, essendo emerse palesi manchevolezze nell'apparato di polizia (il questore di Roma fu sostituto); poi l'attentato sarà la causa indiretta dell'espulsione dal partito socialista di Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi e Angiolo Cabrini, che si erano felicitati con Vittorio Emanuele per lo scampato pericolo.

Il processo e la condanna

In attesa del processo, Antonio D'Alba tenta il suicidio, ma senza riuscire a portarlo a termine. L'8 ottobre 1912, davanti ai giudici della corte d'assise di Roma, proclama la sua fede nell'anarchismo, dichiarando sprezzantemente di aver agito da solo. La sua difesa viene assunta dall'avvocato socialista Enrico Ferri, che fonderà il processo sull'incapacità di intendere e volere del D'Alba. Per Ferri l'accusato non è «né delinquente nato né delinquente passionale, né delinquente politico», ma soltanto un «cervello instabile e semioscuro», uno dei «miseri abbandonati dalla famiglia nel fango della strada».

Il processo è breve e si conclude il 9 ottobre 1912 con la condanna dell'anarchico a trent'anni di carcere e a tre anni di vigilanza speciale. All'imputato non viene riconosciuta nessuna attenuante, esclusa la minore età, in virtù del quale non gli viene comminato l'ergastolo. Trasferito nel carcere di Noto (prov. Siracusa), D'Alba minaccia più volte il suicidio giacché l'isolamento era molto duro ed equiparabile a vera e propria tortura fisica e psicologica. Il 21 gennaio 1914 gli viene finalmente tolto l'isolamento e viene posto sotto stretta sorveglianza.

In carcere riceve molta solidarietà dai militanti anarchici, compreso anche somme di denaro. Il 25 giugno 1920, per paura che improvvise proteste popolari potessero provocarne la liberazione, Antonio D'Alba viene trasferito nella prigione di S. Stefano, dove vi rimane fino al 31 ottobre 1921, quando viene dimesso in seguito a provvedimento di grazia.

Gli ultimi anni

Ritornato a Roma, Antonio D'Alba manifesta segni di squilibrio mentali. Viene posto sotto stretta osservazione medica e gli viene diagnosticato uno stato di demenza precoce. Nel dicembre 1921 viene rinchiuso in manicomio. Le sue condizioni generali col tempo peggiorano sempre più. Diventa cieco e sordo ma mentalmente pare più stabile (a quanto riferiscono i medici), per questo passerà il resto della sua vita nel reparto "tranquilli".

Antonio D'Alba muore nel manicomio di Roma, all'età di sessantadue anni, il 17 giugno 1953.






Virgilia D'Andrea (Sulmona, l'11 febbraio 1888 – New York, 12 maggio 1933), compagna di Armando Borghi, è stata anarchica, sindacalista dell'USI e una celeberrima scrittrice.

Biografia 

Virgilia D'Andrea nasce a Sulmona l'11 febbraio 1888 da Stefano e Nicoletta Gambascia, insegnante elementare. Orfana sin da bambina, viene affidata a delle parenti religiose. La sua triste e solitaria infanzia si sviluppa in un convento in cui vige un'educazione rigidamente autoritaria e fortemente bigotta. Le uniche distrazioni per la piccola Virgilia sono le letture di Leopardi, Carducci e Ada Negri.

La prima volta che sente la parola anarchia è nel 1900, quando Umberto I muore per mano dell'anarchico Gaetano Bresci. Le suore vorrebbero costringere le ragazzine pregare per il “re buono”, ma Virgilia si rifiuta perché prova un'istintiva simpatia per Bresci, l'anarchico vendicatore.

Diplomatasi maestra elementare, nel 1909 abbandona il convento e, dopo aver conseguito la licenza definitiva, inizia l'insegnamento nei paesini nei pressi di Sulmona. Quest'esperienza la metterà in contatto diretto con tutta quell'umanità emarginata, povera ma dignitosa ed abbandonata dallo Stato al proprio destino.

L'anarchia e l'incontro con Armando Borghi

Alla vigilia della 1° guerra mondiale Virgilia D'Andrea partecipa a molte iniziative antimilitariste, conoscendo molti anarchici abruzzesi che la introdurranno definitivamente negli ambienti anarchici. Nel 1917 M. Tozzi le presenta l'anarco-sindacalista Armando Borghi, all'epoca confinato in Abruzzo. Si tratta di un incontro decisivo per la vita di entrambi, da questo momento in poi saranno infatti compagni di vita inseparabili.

Nonostante le autorità non esprimano giudizi troppo lusinghieri su di lei («Benché non consti che la D'Andrea sia all'altezza di dirigere un movimento sindacalista anarchico [...] attraverso la lettura delle lettere, che al Borghi provengono, e da questi sono spediti ai suoi compagni, si rileva che l'accennata donna costituisce il centro di diffusione più fedele dei propri divisamenti» ) la donna viene seguita costantemente per via del suo intimo rapporto con Armando Borghi. Tuttavia, quando questi si trova esiliato ad Isernia, è proprio lei a dirigere «Guerra di Classe» (che poi dal 1968 assumerà la denominazione di «Lotta di Classe»), organo dell'USI, dimostrando notevoli abilità gestionali. Alla fine della guerra (1919), Armando e Virgilia prendono a girar l'Italia per far propaganda anarchica. Nel 1920 entra a far parte della segreteria nazionale dell'USI e la sede di Milano (via Mauri 8), diviene anche casa sua, di Borghi e di Errico Malatesta.

La poetessa dell'anarchia

«Ella si serve della letteratura come d'un 'arma; e nel folto della battaglia, in mezzo alla folla ed in faccia al nemico o ad una tetra cella di prigione, o da un rifugio amico che dalla prigione la sottrae, lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta». (Errico Malatesta, Prefazione a "Tormento")

Virgilia D'Andrea nel 1920 pubblica La presa e la resa delle fabbriche, una narrazione delle lotte operaie e delle speranze suscitate dalla rivoluzione russa. Di questo periodo è anche la lirica Resurrezione dedicata ai ribelli della Rhur. La sua attività letteraria si interrompe però dal 27 ottobre 1920 al 30 dicembre dello stesso anno, durante il quale è trattenuta in carcere per «cospirazione contro lo Stato». Una vola libera pubblica Non sono vinta, a dimostrazione che l'esperienza carceraria non l'ha piegata e le sue idee sono più vive che mai.

La donna proseguirà proficuamente la scrittura di articoli per «Guerra di classe» e anche per «Umanità Nova», pubblicando inoltre Tormento, dedicato ad Errico Malatesta, che nella prefazione la definisce la «poetessa dell'anarchia». Quest'opera però le costa  una nuova denuncia che la costringerà all'esilio. Sempre in Tormento, riferendosi al periodo dei consigli di fabbrica in Germania ed alla rivolta spartachista repressa nel sangue, inserisce una poesia dedicata a Karl Liebknecht, che con Rosa Luxemburg fu l'eponente più importante degli spartachisti:

«...O sole, o luce o scintillante aurora,
Impero ardito di possente frana,
Al puro raggio l'anima s'indora
E sarà vita di grandezza umana» 

L'esilio in Francia e Stati Uniti

Nel 1923 si trova a Berlino per partecipare, insieme all'amato Armando Borghi, al congresso fondativo dell'Internazionale anarco-sindacalista. Terminato il convegno, sempre a fianco del compagno, si reca ad Amsterdam e a Parigi, dove dal dal 1925 al 1927 dirige «Veglia», una rivista che si «propone di lavorare per la salda unione spirituale [tra] per la difesa dell'essenza vitale dell'anarchismo». Nella capitale francese scrive e pubblica inoltre L'ora di Maramaldo, spietata analisi del fenomeno fascista, e Nel covo dei profughi, vera e propria apologia di Parigi, città in cui si ritrovano molti rifugiati anarchici.

Nel 1928 decide di recarsi negli USA e di raggiungere il compagno che là si trovava da due anni. Nonostante la salute non la sostenga come in passato («Alle volte sono fisicamente stanca; ma nuovi oratori purtroppo non sorgono ancora, ma essi sarebbero cosi necessari!»), Virgilia D'Andrea fa l'oratrice ovunque riesca ad arrivare e prosegue anche con fermezza a scrivere per «L'Adunata dei Refrattari», storico giornale anarchico statunitense in lingua italiana. Nei suoi scritti e nei suoi comizi, l'anarchica denuncia la religione e la patria come le due cause principali dell'oppressione politico-sociale e dell'origine del fascismo stesso.

Intanto la sua salute è sempre più debole: nel 1932 subisce un intervento chirurgico, senza che ciò le impedisca di terminare e pubblicare Torce nella notte. L'anno seguente, il 1° maggio 1933, è costretta a ricoverarsi in un ospedale di New York a causa di un tumore all'intestino.

La malattia non le lascia scampo, Virgilia D'Andrea muore il 12 maggio. 

Bologna, 1920. In primo piano, Virgilia e Armando Borghi. Sopra, gli anarchici Adalgisa Romagnoli, Malatesta e Clodoveo Bonazzi

Sconosciuto - http://bibliotecaborghi.org/wp/wp-content/uploads/2016/01/con_Malatesta_e_Borghi1.jpg

In piedi: Adalgisa Romagnoli, Errico Malatesta e Clodoveo Bonazzi. Seduti: Virgilia D'Andrea e Armando Borghi.

 

Chi siamo e cosa vogliamo. Patria e religione

In tutte le epoche vi sono sempre stati degli uomini che hanno lottato contro i costumi, le leggi, le morali, i vincoli, le relazioni sociali del loro tempo. Senza questi malcontenti, senza questi inadattabili, l'umanità non avrebbe avanzato sulla via del progresso.

Eppure fra quanti ostacoli hanno dovuto lottare quegli uomini per affermare la loro Idea! Quante ingiurie, quante rinunce, quanto sacrificio hanno dovuto soffrire... e spesso il peso delle catene; il fondo delle galere; lo scoglio muto e solitario dell'esilio; la tortura del supplizio; la morte, nel vigore degli anni – per gridare ed invocare, fra il buio e le tempeste, l'anima ed il nome del loro Ideale.

Torce nella notte

Il direttore rispose appena al mio saluto e fece il viso buio delle circostanze gravi e serie.
"Dunque, signorina, sono già quattro mesi che avete conseguito il diploma, ed ecco... le scuole si riaprono e vi ritrovo ancora in collegio".
Io lo guardai, ebbi un impercettibile moto di sdegno e mi strinsi lievemente nelle spalle.
Non era colpa mia, pensai, se mi avevano dimenticata là dentro o se nessuno mi voleva.
"Ancora qui ... e il vostro numero di matricola è già stato assegnato ad una nuova educanda. Eccezionale tipo di uomo quel vostro ... signor ... tutore. Pretende lasciarvi in collegio fino a quando non avrete compiuto i ventuno anni... Ma impossibile, capite? Impossibile. Il regolamento parla chiaro".

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Stefano d'Errico (1953), è un anarchico e il Segretario Nazionale Unicobas Scuola e Università.

Nato a Verona il 30 aprile del 1953, nel 1968 Stefano d'Errico partecipa al movimento studentesco e successivamente a diverse delle esperienze comunitarie createsi in quel periodo.

Attivo nell'anarchismo romano, fonda il Coordinamento Anarchico Roma Nord (molto presente dal 1978 fra gli studenti medi capitolini), e dalla seconda metà degli anni '70 collabora a lungo con «A - Rivista Anarchica» ed «Umanità Nova». È quindi fra i fondatori della Cooperativa “Bravetta ‘80”, esperienza pilota della zona Aurelio-Bravetta di Roma, autogestita dall'area del “movimento” contro l'istituzionalizzazione della tossicodipendenza e per il recupero del sottoproletariato urbano. Sviluppa una lunga ricerca collettiva sul campo, riferita, con altri autori, ne La diversità domata. Cultura della droga, integrazione e controllo nei servizi per tossicodipendenti (a cura di Roberto De Angelis), Istituto “Placido Martini” - Officina Edizioni, Roma 1987).

Insegnante, nel 1986 è fra gli animatori dei Comitati di Base della Scuola e nel 1990 diviene segretario della Confederazione Italiana di Base Unicobas, prima realtà intercategoriale del sindacalismo alternativo sorta in Italia. A latere dell'Unicobas Scuola & Università (Unicobas), contribuisce dagli anni '90 allo sviluppo dell'Associazione culturale “Unicorno - l'AltrascuolA”, attiva sul terreno dell'aggiornamento dei docenti, promotrice di studi e convegni. L’Unicobas Scuola & Università è stato decisivo, con i Cobas, nel grande sciopero che nel 2000 determinò la caduta del ministro Luigi Berlinguer. Così come nelle lotte del 2008 contro la Gelmini e nel 2015 contro la cosiddetta "buona scuola" renziana. È autore di libri, sia di carattere sindacale, che sul complesso mondo dell'istruzione, ove racconta la storia del sindacalismo di base, nato nel settore, e denuncia un trentennio di massacro scientifico della scuola ad opera del neo-liberismo. Ma ha dedicato altre due opere, la principale delle quali tradotta e pubblicata sia in Spagna che in Portogallo (Anarchismo e politica, edito in Italia da Mimesis nel 2007), maturate attorno alla riattualizzazione del pensiero di Camillo Berneri, intellettuale della stessa generazione (e del calibro) di Piero Gobetti, Carlo Rosselli ed Antonio Gramsci, dei quali fu diretto e stimato interlocutore. Pressoché cancellato dall’ufficialità della storiografia accademica e scolastica (anche di sinistra) perché anarchico, per d'Errico, Berneri pose costante attenzione alla verifica sul campo dei postulati anarchici con stile antidogmatico, tracciando, oggi più che mai, il “programma minimo” per l’unico (e l’ultimo) socialismo possibile: quello libertario.

Bibliografia

  • La diversità domata. Cultura della droga, integrazione e controllo nei servizi per tossicodipendenti, a cura di Roberto De Angelis. Scritti di Franca Catri, Maura Cortesi, Roberto De Angelis e Stefano (Fabbri) d'Errico. Istituto di Ricerche Economico-Sociali Placido Martini, Officina Edizioni (Roma, 1987).
  • Tutti i contratti. Manuale per l'uso, Stefano d'Errico. U Book – Rubbettino (Catanzaro, 2000).
  • A scuola tra le culture del mondo, Davide Rossi (introduzione a cura di Stefano d'Errico). Teti Editore (Milano, 2000).
  • Anarchismo e politica. Nel problemismo e nella critica all'anarchismo del Ventesimo Secolo, il "programma minimo" dei libertari del Terzo Millennio. Rilettura antologica e biografica di Camillo Berneri, Stefano d'Errico. Mimesis Edizioni (Milano, 2007). 
  • Anarquismo e politica: revisao critica de Camillo Berneri, Stefano d'Errico. Cadernos d'A Batalha (Lisbona, 2009).
  • Un libertario in Europa. Camillo Berneri: tra totalitarismi e democrazia. Atti del convegno di studi storici, Arezzo, 5 maggio 2007, a cura di Giampietro Berti e Giorgio Sacchetti. Scritti di Giampietro Berti, Giorgio Sacchetti, Gianni Carrozza, Enrico Acciai, Claudio Venza, Francisco Madrid Santos, Stefano d'Errico, Pietro Adamo, Carlo De Maria, Fiamma Chessa. Biblioteca Panizzi / Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa, in collaborazione con la Provincia di Arezzo (Reggio Emilia, 2010).
  • Il socialismo libertario ed umanista oggi fra politica ed antipolitica. Attualità della revisione berneriana del pensiero anarchico, Stefano d'Errico. Mimesis Edizioni (Milano-Udine, 2011). [2]
  • Anarquismo y politica. El "programa minimo" de los libertarios del Tercer Milenio, Stefano d'Errico. Editan: Fed. Prov. de Sindicatos de Alava de CGT, Sindicato Unico de Burgos de la CGT, Confederacion de Euskadi de la CGT, Fundacion Salvador Segui de Madrid (Madrid, 2012). [3]
  • Giovanna Caleffi Berneri e la cultura eretica di sinistra nel secondo dopoguerra, a cura di Fiamma Chessa. Scritti di Giampietro Berti, Goffredo Fofi, Carlo De Maria, Tiziana Pironi, Giorgio Sacchetti, Pietro Adamo, Francesco Codello, Stefano d'Errico, Alessandro Bresolin, Franco Melandri, Francesco Paolella, Maria Alberici, Giovanni Stiffoni, Fiamma Chessa. Biblioteca Panizzi / Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa (Reggio Emilia, 2012).
  • La Scuola distrutta. Trent'anni di svalutazione sistematica dell'educazione pubblica e del Paese, Stefano d'Errico. Mimesis Edizioni (Milano, 2019). 
  • La Scuola rapita, il Covid e la Dad. Il disastro educativo italiano, Stefano d'Errico. Armando Editore (Roma, 2021).
  • L'invasione degli italioti. Maleducati, impuniti, autocrati, faccendieri, prenditori, mestieranti sindacali, politicanti, dilettanti, anti-politici, reazionari(zzati), rivoluzionati, (il)liberali e libert(in)ari nel paese dei balocchi, Stefano d'Errico. Edizioni Albatros (Vignate, 2022).



RaiNews24 - Intervista a Stefano d'Errico (Unicobas) - 14 Dicembre 2010 -  YouTube
Uploaded: Jan 1, 2011
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RaiNewsIntervista Stefano d'Errico14 Dicembre 2010


Gigi Damiani (Roma, 18 maggio 1876 - Roma, 16 novembre 1953) è stato un anarchico e un propagandista anarchico italiano. Figura essenziale dell'anarchismo italiano, assieme a Malatesta fu l'anima di Umanità Nova (quotidiano nel primo dopoguerra e poi settimanale nel secondo) e svolse un compito propagandistico molto importante anche in Brasile, dove visse in esilio per un certo periodo in seguito all'espulsione dall'Italia. 

Biografia

Gigi Damiani era nato a Roma il 18 maggio 1876 in ambiente estremamente bigotto a cui si ribellò finendo al riformatorio e al carcere minorile, finchè a 16 anni incontrò l'anarchia. Già nel 1894 divenne, assieme al Pasquale Binazzi, il più giovane confinato della reazione crispina e le isole, piene di compagni ben più preparati, divennero la loro università. Rilasciato nel '98 si imbarcò per il Brasile, installandosi a San Paolo (qui trovò molti italiani anarchici, anche se alcuni di questi - es. Felice Vezzani e Arturo Campagnoli - furono espulsi dal paese nel momento in cui lui vi giungeva ), dove, facendo il pittore di fondali e di decorazioni murali, per venti anni dette un apporto insostituibile all'anarchismo brasiliano collaborando con la stampa libertaria: il suo primo contributo fu la pubblicazione (28 novembre 1897) di una poesia, Ad una contessa, su La Birichina, giornale diretto da Galileo Botti. Collaborò, dopo essersi trasferito nello Stato del Paranà nel 1902, anche a Il Dirito (Curitiba, 32 numeri dall'8 ottobre 1899 all'11 giugno 1902) fondato da Egizio Cini, a O Despertar di José Buzzetti, corrispondente a Curitiba de La Battaglia (San Paolo, giugno 1904- settembre 1912). Ritornato a San Paolo nel 1908, dal 1911 sostituì Oreste Ristori  (con questi aveva precedentemente collaborato anche in Amigo do Povo, Amico del Popolo, giornale fondato a San Paolo nel 1902 ) alla giuda de La Battaglia, poi anche ai giornali che ne presero il posto: Barricata (8 settembre 1912-8 marzo 1913) e Barricata/Germinal (16 marzo - 17 agosto 1913). Nel 1914 sostituì Alessandro Cerchiai alla direzione di Propaganda Libertaria (San Paolo, 12 luglio 1913 - 31 dicembre 1914) e nel 1916 rilevò Angelo Bandoni alla gestione di Guerra Sociale (San Paolo, 59 numeri della dall'11 settembre 1915 al 20 ottobre 1917). 

Conosciuto con il nomignolo di «Ausinio Acrate» e «Simplicio», diede il suo contributo alle lotte di quel giovane movimento libertario ed operaio nel quale gli italiani erano ben presenti. Nel 1987 in occasione della commemorazione dello sciopero insurrezionale del 1917 furono calorosamente ricordati, nella gremita "praca de sé" di San Paolo, lui e il suo ruolo (in seguito collaborò ancora a A Plebe di Edgard Leuenroth). Questo però piacque meno alle autorità del tempo che, nell'autunno '19, imbarcarono a forza Damiani per l'Italia. In verità non gli dettero un gran dispiacere, Damiani desiderava tornare nella effervescente situazione italiana:

«Appena a terra» – ricorderà - «subito mi si parlò del quotidiano che si stava preparando a Milano. [Errico Malatesta, che sbarcò un mese dopo Damiani...] poi, mi propose di lavorare con lui al giornale Umanità Nova» e nel giornale rappresentò l'anima antiorganizzatrice del movimento.
«Un quotidiano» - scrisse Ugo Fedeli - «era importante per gli articoli di Malatesta, del Fabbri e di molti altri, ma veramente non si poteva concepire senza il Damiani [...] Egli era il vero giornalista del gruppo, quello che con facilità sapeva intrattenersi sulle questioni più diverse e di ognuna sapeva esporre il lato più caratteristico e interessante».

Damiani divenne fondamentale dall'ottobre del '20 dopo l'arresto in massa di Malatesta e compagni, e soprattutto dopo l'attentato del Teatro Diana, con la distruzione della tipografia e il movimento in pieno scompiglio. Riuscendo a mantenersi latitante, con l'aiuto di Pasquale Binazzi ed Ettore Molinari, riorganizzò il quotidiano e chiamò a raccolta il movimento che si rinfrancò giusto in tempo per battersi contro la montante marea fascista. Con Mussolini al potere e Umanità Nova ormai distrutta, trovò assieme a Luigi Fabbri, i fondi da donare a Malatesta per pubblicare Pensiero e Volontà e trovò anche il mezzo di pubblicare un suo settimanale - Fede! - che mantenne coraggiosamente il collegamento tra i compagni dal '23 al '26 (13 mila copie vendute!). Dopo il fallimento dell'attentato a Mussolini da parte di Gino Lucetti decise di riparare in Francia, cercando invano di convincere Malatesta a fare altrettanto.

Impossibile qui seguire la sua attività in esilio, per capirne l'atteggiamento basta il titolo del primo foglio che lanciò da Marsiglia: Non Molliamo (1927). Nel 1931 passò a Barcellona (in Spagna era caduta la monarchia) e da lì, con l'aiuto degli anarchici catalani organizzò tutto per «trarre in salvo» Malatesta, in motoscafo e poi in idrovolante. Fallita l'operazione per una soffiata, passò in nord Africa e si fermò a Tunisi dove, a due passi dalla Sicilia, viveva una piccola ma vivace colonia di libertari italiani. Lì rimase intrappolato: dopo la morte di Luigi Galleani ('31) e di Malatesta ('32) i servizi fascisti lo consideravano a capo del movimento anarchico e nessuna pressione sui francesi fu trascurata per bloccarlo. La situazione non migliorò con la guerra e nemmeno con l'arrivo degli angloamericani. Le autorità inglesi gli negarono il visto anche a guerra finita: Damiani poté rientrare a Roma solo nel febbraio '46.

La FAI gli dette subito la direzione della rinata Umanità Nova e l'impossibile compito di riportarla a quotidiano. Damiani però era già minato nel fisico; soprattutto andava perdendo la vista e nulla poterono vari interventi, presto dovette essere affiancato da U. Consiglio e poi anche da Armando Borghi. Il 16 novembre 1953 Damiani si spense a Roma con la sua ultima inseparabile sigaretta.

Il pensiero

Gigi Damiani non fu un teorico ma ebbe idee chiare, diffidò di qualsiasi organizzazione non perché possibile limitatrice della libertà individuale, ma perché sollecitava la tendenza umana a delegare (cioè a scegliere la via più comoda) a un'ipotetica realtà. Sperimentalista, diffidò di qualsiasi «specializzazione» nel movimento (sindacalismo, educazionismo ecc.) e di qualsiasi formula data per scontata; ad esempio si occupò di pedagogia libertaria, fondando a San Paolo (13 maggio 1912) una Scuola Moderna, basata sui principi di Francisco Ferrer y Guardia, insieme a Neno Vasco, Edgard Leuenroth e Oreste Ristori. Damiani pensava che l'assetto economico in una società anarchica fosse ancora tutto da inventare, non rispondendo in maniera specifica né al socialismo né al comunismo né a quant'altro. La sua produzione consiste soprattutto nei tanti articoli; in testi per il Teatro sociale; in raccolte di versi e in pochi ma essenziali opuscoli, tra i quali: Il problema della Libertà (1924 e 1946), Saggio su una concezione filosofica dell'anarchismo (1941 poi 1991), La mia bella Anarchia (1953). Non esiste alcuna ristampa di questi lavori né raccolte dei suoi scritti.














Fabrizio De André (Genova Pegli, 18 febbraio 1940 - Milano, 11 gennaio 1999) è stato un cantautore, tra i più amati in Italia, e un anarchico  che nelle sue canzoni ha spesso raccontato storie di emarginati, ribelli e prostitute, e sono state considerate da alcuni critici come vere e proprie poesie. 

«Aspetterò domani, dopodomani e magari cent'anni ancora finché la signora Libertà e la signorina Anarchia verranno considerate dalla maggioranza dei miei simili come la migliore forma possibile di convivenza civile, non dimenticando che in Europa, ancora verso la metà del Settecento, le istituzioni repubblicane erano considerate utopie. E ricordandomi con orgoglio e rammarico la felice e così breve esperienza libertaria di Kronstadt, un episodio di fratellanza e di egalitarismo repentinamente preso a cannonate dal signor Trotzkij.» 

Biografia

Fabrizio Cristiano De André nacque a Genova Pegli, in via De Nicolay 12, il 18 febbraio 1940. La leggenda vuole che sul grammofono di casa, per alleviare le doglie della moglie, il professor Giuseppe De André mettesse il Valzer campestre di Gino Marinuzzi, da cui anni dopo Fabrizio avrebbe tratto spunto per uno dei suoi primi brani, ovvero "Valzer per un amore".

Prime fasi della vita

A causa della guerra, che aveva indotto molta gente a sfollare dalle proprie abitazioni, trascorse i primissimi anni della sua vita nella casa di campagna di Revignano d'Asti, in compagnia della madre Luisa Amerio, del fratello Mauro e delle due nonne, mentre il padre fu costretto alla macchia per sfuggire ai fascisti che lo braccavano.

Quel breve periodo fu sicuramente uno dei più importanti e formativi per Fabrizio, sia per il tipo di vita che condusse, libero e spensierato, che per alcuni incontri determinanti, come quello col fattore Emilio Fassio, che gli trasmise l'amore per gli animali e per un ambiente che Fabrizio ricercherà per tutta la vita. L'infanzia a Revignano d'Asti e i personaggi che la popolarono - come la piccola Nina Manfieri (cui molti anni dopo dedicherà la canzone «Ho visto Nina volare») o i contadini Emilio e Felicina Fassio - che rimarranno fonte di rimpianto e di ispirazione fino alla sua ultimissima produzione.

Il ritorno a Genova

Come ha raccontato la madre, «Fabrizio era felicissimo di correre per i campi, di seguire i contadini nel lavoro, di andare a caccia con loro. Finita la guerra eravamo tutti felici di ritornare in città. Lui era disperato. Aveva cinque anni. Fu una dura sofferenza per lui, abituato com'era a correre libero per i prati. Fin da piccolo non sopportava di veder la gente soffrire. Quando uscivamo insieme, ogni volta che incontravamo un mendicante, mi obbligava a fermarmi e a dargli dei soldi» [In queste ultime parole emerge la spontaneità, direi quasi l'innatezza della dimensione solidaristica del futuro anarchico].

Al termine del conflitto, la famiglia ritornò a Genova stabilendosi nella nuova casa di Via Trieste 13. Nell'ottobre del 1946 Fabrizio fu iscritto alla prima elementare presso l'Istituto delle suore Marcelline, che egli - manifestando fin da allora l'insofferenza agli spazi ristretti e alla disciplina, ma anche una vena ironica che saprà spesso trasformarsi in autoironia - ribattezzò "Porcelline". Vani, essendo risultati i tentativi delle monache di indurlo a studiare, i suoi decisero di iscriverlo per l'anno successivo a una scuola statale: Fabrizio iniziò, così, la seconda elementare alla scuola Armando Diaz, in via Cesare Battisti 5.

Nell'agosto 1948, a Pocol, sopra Cortina, incontrò per la prima volta Paolo Villaggio, allora sedicenne. I due simpatizzarono subito, ma i sette anni di differenza non permisero allora che quella simpatia sfociasse in una vera e propria amicizia. Paolo e Fabrizio si persero così di vista per ritrovarsi solo una decina di anni dopo sulle tavole di un palcoscenico; e da quel momento divennero inseparabili.

Nell'estate del 1950, terminata la quarta elementare, Fabrizio trascorse l'ultima vacanza a Revignano. Il professore aveva infatti deciso di vendere il cascinale e di acquistare un appartamento ad Asti. Fabrizio soffrì moltissimo, perché a quel luogo erano legati i suoi più bei ricordi d'infanzia. Dentro di sé decise che, una volta diventato grande, avrebbe ricomprato il cascinale e comunque non avrebbe abbandonato quei posti che tanto amava. Quel desiderio lo avrebbe accompagnato negli anni a venire e, agli amici che aveva (e che avrebbe avuto) non mancò di confidare il desiderio di un'azienda agricola tutta per sé. Anni dopo realizzerà questo sogno, anche se al di là del suo mare, in Sardegna.

Nell'ottobre del 1951 Fabrizio iniziò le scuole medie alla Giovanni Pascoli, nello stesso complesso scolastico che ospitava le elementari Armando Diaz. Ma, attratto com'era dal gioco e dalla vita di strada, non mostrava interesse allo studio, tanto da rimediare una bocciatura in seconda.  Il padre, infuriato, decise allora di affidarlo ai rigidissimi gesuiti della Arecco, ma un deprecabile episodio con un padre "bulicio" ("omosessuale") lo indusse poi a fargli terminare le medie nell'Istituto Palazzi", di cui era proprietario.

L'adolescenza: la scuola, Brassens e l'anarchia

«Dopo le medie - ha raccontato ancora la madre - si iscrisse al liceo classico Colombo, che frequentò regolarmente fino alla licenza. Nelle materie letterarie andava abbastanza bene, anche se non studiava molto, ma in quelle scientifiche faceva fatica. Comunque non faceva proprio nulla per prendersi un bel voto; gli bastava la sufficienza. La sua passione era sempre la musica. Aveva avuto in regalo una chitarra e non la lasciava mai, neppure quando andava in bagno. Incominciò a scrivere qualche canzone, a cantarla».

Proprio durante gli anni del liceo avvenne un'esperienza determinante per De André: nella primavera del 1956, infatti, suo padre portò dalla Francia due 78 giri di Georges Brassens. Dall'incontro col grande cantautore francese, Fabrizio ricavò stimoli per la lettura di autori anarchici che non abbandonerà più: Bakunin e Malatesta, Kropotkin e Max Stirner. Inoltre, nel mondo cantato da Brassens, egli ritrovava quei personaggi così umili e veri che vivevano nei caruggi della sua città e che troveranno spazio, comprensione e dignità nelle sue canzoni. 

De André si iscrisse anche all'università, ma le sue scelte confermarono la scarsa propensione agli studi "ufficiali": frequentò medicina, poi lettere e infine giurisprudenza, senza laurearsi. Le sue giornate trascorrevano infatti tra musica, letture (Villon e Dostoevskij, sempre Bakunin e Max Stirner) e, soprattutto, serate in compagnia degli amici Luigi Tenco, Gino Paoli, Paolo Villaggio e altri. Affermerà in seguito, ricordando quel tempo: «Ebbi ben presto abbastanza chiaro che il mio lavoro doveva camminare su due binari: l'ansia per una giustizia sociale che ancora non esiste, e l'illusione di poter partecipare, in qualche modo, a un cambiamento del mondo. La seconda si è sbriciolata ben presto, la prima rimane».

De André cantautore

Intanto, nel 1958, aveva composto Nuvole barocche e E fu la notte, brani modesti scritti in collaborazione, che anni dopo Fabrizio definirà come "due peccati di gioventù". E infatti, già nell'estate del "60", scrisse insieme a Clelia Petracchi quella che ha sempre considerato la sua prima vera canzone, La ballata del Miche, che rimane, se non una delle più belle, una delle più note e, in considerazione dei soli vent'anni dell'autore, una delle più significative.

Nel luglio 1962 sposò Enrica Rignon (detta Puny) e il 29 dicembre dello stesso anno nacque il figlio Cristiano. Fabrizio aveva appena ventidue anni, una famiglia e, più che un lavoro, un hobby poco redditizio. Ma una svolta nella sua carriera si verificò nel 1965, allorché Mina interpretò una sua composizione, La canzone di Marinella, che divenne immediatamente un best seller e lo impose all'attenzione generale. «Mi arrivano seicentomila lire in un semestre (per quegli anni una somma davvero considerevole) - dichiarò Fabrizio in un'intervista. - Allora ho preso armi e bagagli, moglie, figlio e suocero e ci siamo trasferiti in Corso Italia, che era un quartiere chic di Genova. Quindi chiusa la storia con la laurea e con tutto il resto. Da quel momento, cominciai a pensare che forse le canzoni m'avrebbero reso di più e, soprattutto, divertito di più».

Sulla spinta di questo successo, nel 1966 vide la luce l'LP d'esordio: Tutto Fabrizio De André, contenente alcuni dei migliori brani scritti fino a quel momento, tra cui La canzone di Marinella, La guerra di Piero, Il testamento, La ballata del Miché, La canzone dell'amore perduto, La città vecchia, Carlo Martello.

Al 33 giri fece seguito nel 1967 Volume I, in cui spiccano Via del Campo, Bocca di rosa e Preghiera in gennaio: le prime due dedicate, con profondo senso di solidarietà e comprensione, a due figure di prostitute; la terza composta in occasione e a ricordo della tragica morte dell'amico Luigi Tenco, suicidatosi il 27 gennaio a Sanremo.

Con questo album si aprì la stagione più prolifica della carriera di De André; a breve distanza uno dall'altro uscirono infatti: Tutti morimmo a stento (1968), Volume III (1968), La buona novella (1970), Non al denaro non all'amore né al cielo (1971), Storia di un impiegato (1973), Canzoni (1974) e Volume VIII (1975).

Nel 1975 De André, che aveva sempre rifiutato il faccia a faccia col pubblico, esordì dal vivo nel locale simbolo della Versilia, "La Bussola". Nonostante i suoi timori (sembra che all'ultimo momento non volesse più salire sul palco), il concerto fu un vero e proprio successo.

Coi soldi guadagnati acquistò un'azienda agricola nelle vicinanze di Tempio Pausania, in Sardegna. E nel 1977, dall'unione con Dori Ghezzi (la cantante milanese alla quale si era legato dal 1974, dopo la separazione dalla prima moglie), nacque Luisa Vittoria, detta Luvi. Subito dopo uscirono gli album Rimini (album) (1978), scritto in collaborazione con Massimo Bubola, e In concerto con la PFM (1979).

La sera del 27 agosto 1979 Dori e Fabrizio furono sequestrati e rimasero prigionieri dell'Anonima sarda per quattro mesi. La drammatica esperienza non cancellò tuttavia l'amore di Fabrizio per la sua terra d'adozione; tant'è vero che non vi è traccia di rancore nelle dichiarazioni da lui rilasciate dopo la liberazione: «I rapitori - disse - erano gentilissimi, quasi materni... Ricordo che uno di loro una sera aveva bevuto un pò di grappa di troppo e si lasciò andare fino a dire che non godeva certo della nostra situazione». 

Il 29 ottobre 1980, all'età di sessant'anni, moriva l'amato George Brassens, ucciso da un tumore. De André ebbe a dire un anno dopo, durante un'intervista concessa al quotidiano La Stampa: «Pur avendone avuto la possibilità, non ho mai voluto conoscerlo personalmente, per evitare che diventasse una persona e magari scoprirlo anche antipatico. Per me è stato un mito, una guida, un esempio; è grazie a lui che mi sono avvicinato all'anarchismo. Egli rappresentava il superamento dei valori piccolo-borghesi e insegnò anche ai borghesi certe forme di rispetto ai quali non erano abituati. I suoi testi si possono leggere anche senza la musica. Per me è come leggere Socrate: ti insegna come comportarsi o, al minimo, come non comportarsi».

Dopo un periodo di riposo, il cantautore tornò all'attività con un album, Fabrizio De André (Indiano) (detto così per via del disegno di copertina), che contiene un brano, Hotel Supramonte, che è la rievocazione dei traumi e delle incertezze patiti durante il rapimento.

Nel 1984 uscì Creuza de mä (album), da molti critici considerato il suo capolavoro. Il disco, che gli valse numerosi premi e riconoscimenti e che venne presentato al pubblico nel corso di una memorabile tournée col figlio Cristiano e con Mauro Pagani (della PFM), evoca suoni, profumi, voci, odori e sapori di tutto il Mediterraneo, ma è soprattutto - come lo ha definito Luigi Viva - «un canto d'amore a Genova».

L'anno successivo Fabrizio fu colpito da un grave lutto: all'età di 72 anni moriva infatti suo padre, uomo influente e assai noto a Genova. In un'intervista all'amico Cesare G. Romana dirà: «Il problema non è che gli volevo bene, perché questo non finisce. Il problema è che lui ne voleva a me». Pochi anni dopo, nell'estate del 1989, morì il fratello Mauro, colpito da aneurisma. Aveva appena 54 anni, e Fabrizio fu naturalmente scosso dalla terribile notizia: «Alla morte di mio padre, almeno, eravamo preparati: era anziano. Ma Mauro...».

Ci furono, però, anche momenti lieti, come il matrimonio con Dori Ghezzi, celebrato nel dicembre del 1989 dopo quindici anni di convivenza; e ci fu anche il matrimonio di Cristiano.

Nel 1990, dopo sei anni di silenzio, uscì il nuovo album Le nuvole (album), sicuramente il disco più apertamente politico di tutta la produzione del cantautore, che tocca il suo apice con La domenica delle salme.

Nel 1991, a distanza di sette anni dal suo ultimo tour, Fabrizio tornò a calcare il palcoscenico con rinnovato successo, traendone l'LP dal vivo Fabrizio De André 1991 - Concerti.

Nel 1992, anno delle Colombiane, Genova festeggiò con un'esposizione e lavori per svariati miliardi i cinquecento anni della scoperta dell'America: De André venne invitato a partecipare e ad esibirsi con Bob Dylan, ma rifiutò il benché minimo coinvolgimento, ricordando anzi lo sterminio degli Indiani d'America.

Il 3 gennaio 1995, all'età di ottantatré anni, venne a mancare la madre Luisa, unica della famiglia a morire di vecchiaia.

Nel 1996 uscì Anime salve, scritto in collaborazione con Ivano Fossati, che ruota intorno al duplice tema delle minoranze isolate e della solitudine. Nello stesso anno pubblica presso Einaudi Un destino ridicolo, romanzo scritto a quattro mani con Alessandro Gennari.

Nel 1997 fu pubblicato Mi innamoravo di tutto, raccolta di vecchi brani scelti dall'autore, fra cui spiccano la versione originale di Bocca di rosa e La canzone di Marinella cantata in duetto con Mina.

Nell'estate del 1998 fu costretto a interrompere il tour seguito ad Anime salve. La tac, eseguita il 25 agosto, non lasciava speranze: tumore ai polmoni.

Appena pochi mesi dopo, alle ore 2.15 di notte dell'11 gennaio 1999, Fabrizio moriva presso l'Istituto Tumori di Milano, dov'era ricoverato, assistito sino all'ultimo momento dai suoi cari.

Una folla commossa, di oltre diecimila persone, ha seguito i suoi funerali, svoltisi il 13 gennaio nella Basilica di Carignano, a Genova. Su quel mare di umanità svettavano la bandiera del Genoa (la sua squadra del cuore) e quella anarchica (a testimonianza e ricordo del suo "credo" politico, o meglio del suo "modo d'essere").

Riposa al cimitero di Staglieno, nella cappella di famiglia.

Note


  • Signorina libertà, signorina anarchia

  • Cfr. Riccardo Bertoncelli (a cura di), Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André, Firenze, Giunti, 2003, pp. 16-18

  • Aforismi.it

  • Roberto Iovino, Fabrizio De André, l'ultimo trovatore

  • De André e l'anarchia

    Logo of Foundation Fabrizio De André


     

    Targa commemorativa sulla casa natale di De André a Pegli in via De Nicolay 12

    User: Superzen - Opera propria

    Memorial plaque in Genoa-Pegli, on the birth house of Fabrizio De André

     
    De André ventenne (1960)

    Sconosciuto - Italian newspaper

    F. De André at 20 years.

    Fabrizio De André assieme all'amico Paolo Villaggio, con cui ha condiviso gli anni dell'infanzia e della giovinezza

    Fabrizio De André nella friggitoria Rosa (poi chiusa) in Sottoripa negli anni '70, insieme al figlio Cristiano.

    Sconosciuto - dissapore.it

    Fabrizio De André and his son Cristiano in a "friggitoria", a typical place of hystorical centre of Genoa (1960s)

     

    Fabrizio De André con il poeta Riccardo Mannerini, che collaborò all'album del 1968 Senza orario senza bandiera e al testo di Cantico dei drogati.

    ANSA - Italian news magazine

    Italian singer-songwriter Fabrizio De André with the poet and songwriter Riccardo Mannerini

     

    De André durante il tour L'Indiano 1981

    De André ha spesso usato sonorità di strumenti mediterranei e medievali, come si vede in questa foto autografata del 1975

    User of it.wiki - Private work

    De André with a folk instrument.

    Fabrizio De André al Club Tenco con l'amico Léo Ferré nel 1975

    Il matrimonio di Dori Ghezzi e Fabrizio De André a Tempio Pausania il 7 dicembre 1989

    Una delle ultime esibizioni pubbliche di De André (febbraio 1998), al teatro Brancaccio di Roma

    De André con Francesco Guccini nel 1991 al Club Tenco
     
    Funerali di Fabrizio De André alla basilica dell'Assunta di Carignano il 13 gennaio 1999.

    fotografo de la Repubblica - https://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2019/01/14/news/per_de_andre_pugni_chiusi_e_ave_maria-216530978/

    Folla ai funerali di Fabrizio De André

    La cappella della famiglia a Staglieno, settore C-17. In basso le lapidi dei due fratelli
     
    Targa intitolata a Fabrizio de André in Via del Campo a Genova, riproducente alcuni versi della canzone omonima e l'immagine di copertina dell'album Mi innamoravo di tutto

    Pmk58 - Opera propria

    Targa intitolata a Fabrizio de Andrè in Via del Campo a Genova

     

    Scritta comparsa nei quartieri vecchi di Genova, che riporta alcuni versi della canzone Nella mia ora di libertà, da Storia di un impiegato (1973)
     

     
    Versi finali della Canzone del maggio (da Storia di un impiegato) a Torino su un muro del quartiere Barriera di Milano

    Pmk58 - Opera propria

    Versi della Canzone del Maggio

    Monumento a De André situato a Manarola (Cinque Terre)

    Camelia.boban - Opera propria

    Monumento a Fabrizio de André a Manarola (Cinque Terre), opera di Silvio Benedetto con la collaborazione di Olga Macaluso

    Angelo De Gubernatis (Torino, 7 aprile 1840 – Roma, 26 febbraio 1913) è stato un etnologo, linguista, orientalista, storico della letteratura e anarchico italiano. 

    Biografia

    Studiò all'Università degli Studi di Torino dove fu allievo del latinista Tommaso Vallauri, del letterato Michele Coppino e dello storico Ercole Ricotti. Ancora prima di conseguire la laurea, divenne insegnante presso il locale liceo ginnasio di Chieri e nel 1862, appena dopo la laurea, ottenne una borsa di studio a Berlino, dove divenne allievo del linguista Franz Bopp e di Albrecht Weber, esperto di sanscrito.

    Tornato in patria nel novembre del 1863 insegnò Sanscrito e Glottologia comparata presso l'Istituto di Studi Superiori Fiorentino dal 1863 dietro nomina diretta di Michele Amari, orientalista e Ministro della pubblica istruzione.

    Nel 1865 aderì agli ideali anarchici entrando a far parte del circolo di Michail Bakunin, del quale sposerà la cugina, Sof'ja Bezobrazova. Dopo aver rinunciato alla sua cattedra, verrà tuttavia reintegrato nel 1890[senza fonte], riottenendo la cattedra di Sanscrito a Firenze e, successivamente, quella di Letteratura italiana alla Sapienza - Università di Roma.

    De Gubernatis collaborò con numerose riviste: Italia letteraria (1862), la Rivista orientale (1867, da lui fondata e diretta), il Bollettino italiano degli studii orientali (1876), la Revue internationale (1883), e nel 1887 assunse la direzione del Giornale della società asiatica. Nel 1879 pubblicò il Dizionario biografico degli scrittori contemporanei (Firenze, Le Monnier).

    La sua più grande opera è Storia Universale della Letteratura in 18 volumi (1883-1885).

    Sempre attento alle persone escluse ed emarginate, in particolare alla condizione femminile, a De Gubernatis si deve la riscoperta della poetessa rinascimentale Isabella Morra, sottomessa e uccisa dai suoi fratelli e fino ad allora dimenticata dal panorama letterario. Nel 1901, tenne una conferenza al Circolo Filologico di Bologna, poi racchiusa nel suo saggio Isabella Morra. Le Rime (1907). I suoi studi saranno poi approfonditi da Benedetto Croce, al quale De Gubernatis diede una copia del saggio che fungerà da base per le sue ricerche.

    Tra il 1906 e il 1909 fu candidato per ben 14 volte al Premio Nobel per la letteratura.

    Una parte delle sue collezioni di reperti raccolte nei viaggi in India è confluita nel Museo Antropologico di Firenze.

    Scritti

    • Piccola enciclopedia indiana, 1867
    • La vita e i miracoli del dio Indra nel Rigveda, Firenze, 1867
    • Storia comparata degli usi natalizi, nuziali e muliebri in Italia e presso gli altri popoli indo-europei, 1867
    • Le fonti vediche dell'epopea indiana, Firenze, 1867
    • Memorie intorno ai viaggiatori italiani nelle Indie orientali dal secolo XIII a tutto il XVI, Firenze, 1867
    • Studi sull'epopea indiana e su l'opera biblica, Firenze, 1868
    • Zoological Mithology or The Legends of Animals, Londra, 1871, 2 voll.
    • Cenni sopra alcuni indianisti viventi, Firenze, 1872
    • Letture sopra la mitologia vedica, Firenze, 1874
    • Max Muller e la mitologia comparata, Firenze, 1875
    • Alessandro Manzoni: studio biografico. Letture fatte alla Taylorian Institution di Oxford nel maggio dell'anno 1878, successori Le Monnier, 1879
    • Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, a cura di Angelo De Gubernatis, Firenze, Successori Le Monnier, 1879, e successive edizioni;
    • Letture di archeologia indiana, Milano, 1881
    • Storia universale della letteratura, 18 volumi, 1883-1885
    • Peregrinazioni indiane, Firenze, 1887
    • Mitologia comparata, Milano, 1887
    • Dante e l'India, Roma, 1889
    • Gli studi indiani in Italia, Firenze, 1891
    • Piccolo dizionario dei contemporanei italiani, Roma, 1895
    • I popoli asiatici, Milano, 1900
    • Fibra. Pagine di ricordi, Roma, 1900
    • Isabella Morra. Le Rime, Roma, 1907
    • Storia dell'etnologia, Perugia, 1912
    • Mario Rapisardi, con Remo Sandron, 1912, ristampato 2010

    Epistolari e carteggi

    • Lettera a Angelo De Gubernatis di Mario Rapisardi, 17 febbraio 1906.
    • Il carteggio tra Cesare Cantù e Angelo De Gubernatis, 1868-1893, introduzione e cura di Luca Bani, Bergamo university press, Sestante, Bergamo 2006.
    • Grazia Deledda, Lettere ad Angelo De Gubernatis (1892-1909), a cura di Roberta Masini, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari 2007.
    • Il carteggio Farina-De Gubernatis (1870-1913), edizione critica a cura di Dino Manca, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, 2005.
    Angelo de Gubernatis. Illustration by Leo Cardini
     


    A. De Gubernatis : FIBRA pagine di ricordi Roma 1900 
     
    A. De Gubernatis
     
    Juan De Marchi, nato Giovanni De Marchi (Torino, 10 giugno 1866 – 6 aprile 1943), è stato un anarchico italiano.

    Emigrato da Torino in Cile, svolgeva il mestiere di calzolaio a Valparaíso e fu legato da una profonda amicizia con Salvador Allende, sulla cui formazione politica ebbe una importante influenza. 

     

    Biografia

    Dell'amicizia con Allende è lo stesso uomo politico a fornire testimonianza:

    «Quando ero un ragazzo tra i quattordici o quindici anni, dopo avere finito le lezioni al Liceo di Valparaíso andavo da un calzolaio, un anarchico italiano di nome Juan De Marchi, dal quale mi fermavo per scambiare opinioni sulla situazione politica cilena e internazionale. De Marchi aveva allora 63 anni e accettava volentieri di parlare con me di cose della vita, mi prestava dei libri e, inoltre, mi insegnava a giocare a scacchi.»

    Ancora Allende dichiarò al giornalista Régis Debray che De Marchi ebbe una forte influenza sulla sua formazione di adolescente.

    De Marchi emigrò in Argentina a ventisei anni, nel 1893. Fin dall'inizio aderì attivamente al movimento anarchico che faceva riferimento al gruppo di Umanità Nova guidato da Pietro Gori ed Errico Malatesta, molto attivi in America Latina. Trasferitosi in Cile, si impegnò sempre nella difesa dei lavoratori e delle persone più umili.

    De Marchi è citato nel film-documento di Patricio Guzmán intitolato Salvador Allende


    Foto policíaca de Juan De Marchi (1919)


    Gaspare de Marinis (dei Baroni de Marinis) (Pratola Peligna, 27 luglio 1840 – Raiano, 11 aprile 1893) è stato un garibaldino e un anarchico italiano.

    Molti patrioti abruzzesi che avevano partecipato attivamente alle insurrezioni pre-unitarie e alle campagne militari, attuate dal 1841 al 1867 con l'obiettivo di liberare ed unificare il Paese, non scelgono di adeguarsi alla normalizzazione moderata e borghese in atto.

    In circa 180 si raccolgono attorno al programma dell'Associazione Democratica Giovanile, costituita il 2 ottobre 1869 a L’Aquila su ispirazione dell'avvocato repubblicano Pietro Marrelli.

    Tra i circa 180 soci dell'Associazione figura anche il nome di Gaspare de Marinis.

     

    Gaetano Di Bartolo Milana (Terranova di Sicilia, 6 aprile 1902 – Gela, 15 dicembre 1984) è stato un anarchico e antifascista italiano.

    «Io abbasserò la mia bandiera nera quando passerò davanti ad una chiesa e dopo aver gridato morte a Dio griderò morte a tutti i fantasmi»

    Biografia

    Crebbe in un ambiente umile, il padre Carlo svolgeva l'attività di orologiaio mentre la madre Carmela Milano (da cui la forma storpiata nel cognome) era sarta. Fu primogenito di tre figli. Dopo il conseguimento della licenza ginnasiale, s'iscrisse al primo liceo, ma le autorità scolastiche rifiutarono l'iscrizione per le sue convinzioni politiche. Di carattere mite e dalla personalità risoluta, Di Bartolo Milana, proprio in questi anni, scopre tutta la ricchezza e la nobile profondità del pensiero anarchico attraverso la letteratura libertaria. La sua cultura politica e umanista fu vastissima.

    Attività politica e giornalistica

    L'adesione all'anarchismo avvenne durante il "Biennio Rosso", attraverso la testimonianza diretta della sommossa dei contadini di Terranova, che si concluse il 10 ottobre del 1919 davanti all'ingresso del municipio col tragico epilogo di due manifestanti uccisi dai militi e diversi feriti. Questa sua scelta politica fu dovuta anche dall'influenza indiretta del terranovese rivoluzionario, poeta e scrittore Mario Aldisio Sammito (1835-1902), amico di Bakunin, Mazzini, Garibaldi e soprattutto del figlio Menotti Garibaldi.

    Dal 1920, il Di Bartolo Milana iniziava la sua attività di pubblicista, e cominciava a tenere contatti a Catania con Maria Giudice, a Vittoria con Giorgio Nabita, a Palermo con il "vecchio anarchico" Paolo Schicchi, dove era sostenitore del suo Vespro Anarchico; diventa corrispondente di Umanità Nova, che riceveva dal redattore Carlo Frigerio, inviava articoli alla direzione dell’Avanti! e al Martello diretto da Carlo Tresca, edito a New York. Nel 1921 dava adesione al terzo congresso dell'Unione Anarchica Italiana svoltosi ad Ancona. In questo periodo, nella sua città, costituisce il Gruppo Pietro Gori. A diciannove anni era perfettamente inserito nei canali dell'anarchismo italiano.

    Il 1922 si apre con il trafiletto del Vespro che annunciava l'imminente pubblicazione del giornale La Fiaccola Anarchica, diretto da Di Bartolo Milana, cosa che avvenne il 3 giugno. Con il sequestro del materiale, la Fiaccola uscì in numero unico. Nel 1922, fonda il Partito Anarchico Italiano, ma l'esperienza finirà presto con la polemica di Errico Malatesta, che sulle pagine di Umanità Nova attaccava il Partito sia dal punto di vista terminologico che storico.

    Fondatore degli Arditi del popolo di Terranova, nel 1923, l'anarchico terranovese veniva schedato nel casellario politico come fanatico dalle idee sovversive. Iniziavano i primi arresti precauzionali, i primi viaggi punitivi da Terranova a Torino con ritorno immediato, i primi pedinamenti. La sua attività sarà antifascista e clandestina. Con lo pseudonimo di Nunzio Tempesta firmerà i suoi articoli al Risveglio di Ginevra e all’Adunata dei Refrattari di New York. La procedura di consegna avveniva attraverso il piccolo nipote Sebastiano Barone, il quale, nascondendo gli articoli negli indumenti, andava al porto ad affidarli ad un marinaio di fiducia dello zio. I documenti arrivavano in Marocco e soprattutto in Tunisia, dove vi erano colonie di anarchici fuorusciti che poi li spedivano in Europa e negli Stati Uniti. Cosciente dei rischi, l'arresto avvenne per colpa del tradimento del comunista gelese Capici, spia della locale polizia. Con l'intercettazione di una lettera spedita da Gela e diretta a Ginevra a Carlo Frigerio, noto anarchico italiano, Gaetano Di Bartolo Milana veniva arrestato e condannato, nel 1934, a cinque anni di confino di polizia, prima all'isola di Ponza e poi nelle Tremiti.

    Qui legherà fraterna amicizia con Failla, Fedeli, Schicchi, Emanuele Macaluso, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro, Giorgio Amendola, Girolamo Li Causi, Walter Audisio e il socialista Sandro Pertini. Fu una vera e propria fucina di pensiero antifascista.

    Dopo il confino

    Liberato per fine periodo nell'estate del 1940, ritornò, a Gela dove sposò la niscemese Rosa Internullo, dalla quale ebbe una figlia che morì prestissimo. Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale, sezione di Gela, rifiutò, incoraggiato da Terracini, di far parte della Costituente, così come declinò la candidatura per il Senato offertagli da Pertini e personalmente da Saragat (1953). Segretario della lega contadina (1946), divenne consigliere comunale da indipendente per le file del Partito Socialista Italiano, nella quale sezione aveva promosso il Gruppo Libertario. La sua attività durò un anno solamente, ma tanto bastò per denunciare e far dimettere giunta e sindaco per aver scoperto che le tasse comunali arrivavano nelle case di tutti i gelesi, tranne nelle loro.

    Ateo e acerrimo nemico delle chiese, Di Bartolo Milana, che al confino imparò il mestiere dell'orologiaio, visse una vita piena di stenti e non ebbe mai nessuna prova di ravvedimento.

    Il pensiero politico di Di Bartolo Milana è sintetizzato dal filone dell'anarco-comunismo. Il problema politico dell'anarchismo risiedeva nel passaggio dall'idea all'azione che, a suo modo di vedere, affondava le sue radici nella gestione dell'organizzazione. Da qui la sua costante preoccupazione di costituire gruppi, circoli, e partiti extraparlamentari.

    In età matura, lo stato, ormai democratico e repubblicano, concedette la pensione di perseguitato politico solo dal 1969 in poi, dopo che più volte gli era stata negata perché anarchico.

    Fedele al suo rigore morale, gli ultimi anni li visse frequentando la biblioteca comunale, nella quale leggeva, direttamente dalle loro lingue, i classici greci e latini.

    Con l'affetto della figlia "adottiva" Rita, prima di morire brucerà ogni lettera, ogni documento, qualsiasi lascito. Dopo aver espresso la sua volontà di non aprire la porta a nessun prete nel giorno della sua morte, si spense a Gela in una giornata di dicembre del 1984.

    Salvò solo una foto della sua bambina e una poesia a lei dedicata. Sono conservate nella giacca scura all'interno del feretro.

     

    Gaetano Di Bartolo Milana

    Raiano (AQ), 1921, anarchici abruzzesi.
    Si riconoscono, dall’alto in basso e da
    sinistra a destra, (?), Quirino Perfetto,
    Alessandro Farias, Panfilo Di Cioccio,
    Luigi Meta, con la mano sulla sua spalla
    Umberto Postiglione, Giuseppe Cerasani,
    Franco Caiola, Francesco De Rubeis,
    Pasqualina Martino

    Panfilo Di Cioccio (Pratola Peligna, 6 aprile 1893 – ...) è stato un sindacalista, anarchico e antifascista italiano.

    Biografia

    Si diploma presso la scuola tecnica di Sulmona il 19 gennaio 1914.

    Partecipa alla Grande Guerra ricevendo la croce di guerra.

    Durante gli anni del conflitto aderisce all'anarchismo. Si congeda il 5 maggio del 1919 e fa ritorno a Pratola Peligna. Immediatamente segnalato dalla PS fra «le persone pericolose per gli ordinamenti nazionali, da tenersi continuamente sorvegliato».

    Attivo nell'elaborazione delle strategie d'azione e nella partecipazione diretta alle lotte in corso su questioni concomitanti sul piano nazionale e locale, quali il caroviveri, il pacifismo, l'antimilitarismo, le agitazioni contro l'invio dei soldati italiani in Albania, l'emancipazione morale e materiale del proletariato, le libertà e i diritti sindacali, la costituzione dei gruppi del Fronte unico rivoluzionario.

    Milita nella locale sezione della Lega Proletaria con gli anarchici Luigi Meta, Luigi Breda, Francesco Di Pietro e il comunista Francesco Pizzoferrato. Con questi contribuisce alla costituzione del locale gruppo anarchico.

    Il gruppo è attivo agli inizi del 1921 nella campagna per la liberazione di Errico Malatesta e dei prigionieri politici.

    Il 23 ottobre 1921, rappresentato da Luigi Meta e Francesco Di Pietro, il gruppo partecipa ai lavori del III convegno che la Federazione anarchica abruzzese tiene a Sulmona.

    Sul finire del 1921, Di Cioccio è con altri militanti anarchici a Raiano, per l'inaugurazione della prima Casa del Popolo abruzzese, voluta e realizzata da Umberto Postiglione.

    S'adopera al contempo per la ricostituzione della Lega dei contadini di Pratola Peligna. Ricopre per qualche mese il ruolo di dirigente della sezione della Lega Proletaria.

    La PS continua a vigilarlo, perché pubblica «manifesti scritti in tono acceso e violento, esaltando le utopie comuniste e incitando la popolazione locale a lottare contro il fascismo».

    Contribuisce all'organizzazione dello sciopero generale del primo agosto 1922 indetto dall'Alleanza del Lavoro.

    Parte per gli USA. Torna a Pratola Peligna nel 1923. Con Francesco Pizzoferrato, Luigi Meta, Rocco Santacroce ed altri milita in organizzazioni clandestine armate antifasciste. Nella prima fase di quest'attività cospirativa conosce Ignazio Silone.

    Rifiutando il tesseramento al Partito Nazionale Fascista viene licenziato dalla centrale elettrica di Anversa degli Abruzzi. Disoccupato, lascia di nuovo l'Italia per l'Eritrea e l'Etiopia.

    Nell'immediato dopoguerra rifiuta l'incarico statale assegnatogli come antifascista.

    Secondo un aneddoto scrive e pubblica un libro dal titolo Quelli che rimasero, dedicato a quelle persone che non scelsero la via dell'esilio durante gli anni del ventennio fascista. 

    Giovanni Dettori (Orgosolo, Nuoro, 29 gennaio 1899 - Teruel, Spagna, 15 gennaio 1937), è stato un anarchico italiano e antifascista. Morì in Spagna durante la rivoluzione dove era partito volontario.

    Biografia

    Giovanni Dettori nasce il 29 gennaio 1899 ad Orgosolo (Nuoro), nel cuore della Sardegna: la Barbagia. Giovanni Dettori questa un'epoca in cui le istituzioni vogliono a tutti i costi il banditismo con la cieca violenza delle armi dei carabinieri . Talvolta (ma non sempre) il banditismo è una vera e propria forma istintiva di ribellione alle ingiustizie sociali  e forse per questo Giovanni Dettori sin da ragazzo manifesta una chiara e intransigente ostilità verso l'autoritarismo dello Stato. Chiamato giovanissimo sotto le armi, partecipa alla Prima guerra mondiale ma nel 1921 viene condannato a quindici giorni di prigione per «oltraggio». L'anno seguente emigra clandestinamente a Marsiglia dove intrattiene relazioni con l'anarchico siciliano Paolo Schicchi. Si ferma a Saint Cassin (Savoia), dove viene assunto in un'azienda adibita alla lavorazione delle pietre. È proprio per colpa di questo lavoro che perderà una mano in seguito all'esplosione di una cartuccia di dinamite.

    Perseguitato dal fascismo, nel novembre 1926 emigra in Tunisia, mantenendosi sempre in contatto con Schicchi e trovando appoggio nel gruppo libertario italiano di Tunisi, di cui facevano parte anche i sardi Emilio Atzori, Raimondo Mereu, Francesco e Antonio Piras. Le autorità fasciste italiane sospettano che egli abbia partecipato con Atzori, Giovanni Curti e Alberto Tarchiani agli attentati contro il consolato italiano di Tunisi (il 28 dicembre 1928) e contro il giornale fascista «Unione» (18 aprile 1929).

    Dettori, sentendosi braccato, lascia la Tunisia e nel luglio 1931 viene fermato a Ventimiglia e condannato ad un mese e mezzo di prigione per «porto illegale d'arma». In seguito gli viene assegnato il domicilio e la deportazione a Ponza, dove nel giugno 1933 riceve una nuova condanna a cinque mesi per avere partecipato ad un movimento di protesta dei deportati.

    Dopo la sua liberazione, nell'agosto 1934, ritorna in Sardegna, a Nuoro, per ottenere un nuovo passaporto e raggiungere così la sua famiglia rimasta in Tunisia. Giunto a Tunisi, nell'ottobre dello stesso anno lavora come rappresentante ambulante e partecipa ad uno sciopero dei tagliatori di pietre a Djebell Alloud. Nel luglio 1936 è oggetto di una misura d'espulsione dalla Tunisia in seguito alla sua partecipazione ad una manifestazione antifascista. In autunno parte per Marsiglia con Mazzone, Puggioni, Giovanni Fontana e Mario Giudice. Di lì decide allora di partire come volontario in Spagna in cui è in atto la rivoluzione. Il 25 ottobre giunge a Perpignano (Francia) poi attraversa il confine e arriva in Spagna dove si arruola come miliziano sul fronte di Aragona.

    Ferito una prima volta in combattimento, Giovanni Dettori muore in battaglia il 15 gennaio 1937 a Teruel.

    Giovanni Dettori era sposato con Giuseppina Puggionni, con cui aveva avuto tre figli - Giuseppe, Marius e Jean - che durante la Seconda guerra mondiale si arruoleranno tutti nella Forces Françaises libres

     

    Giovanni Dettori

     

    Severino Di Giovanni (Chieti, 17 marzo 1901 – Buenos Aires, 1º febbraio 1931) è stato un tipografo e anarchico italiano.

    Biografia

    Egli si avvicinò da giovane alle idee anarchiche con le letture delle opere di Bakunin, Errico Malatesta, Proudhon ed alla scuola del tipografo anarchico teatino Camillo Di Sciullo. Nel 1921 entrò completamente nella militanza anarchica.

    Nel 1922, quando il fascismo di Mussolini prese il potere in Italia, la censura e le persecuzioni contro gli anarchici obbligarono Severino all'esilio in Argentina con la moglie, Teresa Masciulli, e i tre figli. In Argentina, a 24 anni, s'innamorò perdutamente di América Scarfò, di 15 anni, che apparteneva ad una famiglia cattolica della locale classe media italo-argentina (la famiglia Scarfò precisamente era di origine calabrese).

    Di Giovanni arrivò a Buenos Aires con l'ultima grande ondata di immigranti italiani, in gran parte gente molto povera ed analfabeta. Ad essa Severino indirizzò la maggior parte della sua propaganda politica e dei suoi scritti, principalmente attraverso il suo periodico Culmine, che uscì nell'agosto del 1925. Di Giovanni così sintetizzava l'obiettivo del periodico:

    «Diffondere le idee anarchiche tra i lavoratori italiani. Contrastare la propaganda dei partiti politici pseudo-rivoluzionari, che fanno dell'antifascismo una speculazione per le loro future conquiste elettorali. Iniziare tra i lavoratori italiani agitazioni di carattere esclusivamente libertario per mantenere vivo lo spirito di avversione al Fascismo. Stabilire un’intensa ed attiva collaborazione tra i gruppi anarchici italiani e il movimento anarchico locale. Sostenere la campagna internazionale di solidarietà a Sacco e Vanzetti.»

    La polizia argentina cominciò ad interessarsi di lui il giorno in cui lanciò dagli spalti del Teatro Colón di Buenos Aires un volantino inneggiante a Matteotti. "Abbasso il fascismo!", urlò di fronte all'ambasciatore italiano. La polizia argentina lo fermò e i miliziani fascisti lo presero a pugni.

    Di Giovanni portò avanti una intensa attività rivoluzionaria, sia sul piano teorico - con la pubblicazione del suo periodico e di alcuni libri - sia sul piano dell'azione, con una lunga serie di attacchi contro strutture del potere. Anche se inevitabilmente fu soprattutto un uomo d'azione, questo non significa che Di Giovanni fosse privo di teoria, o che ne sottovalutasse l'importanza. Pubblicò molti numeri del suo giornale e diversi libri (di Pisacane, G. Asturi, Armand, Schicchi) e ne preparò altri per la pubblicazione (uno suo, altri di Sebastian Faure, Bakunin, Ryner, Nieuwenhuis, Pisacane, Proudhon, Goldman, Thoreau, Armand), e contribuì insieme ad Aldo Aguzzi alla pubblicazione di un quindicinale, Anarchia.

    La maggior parte dei suoi articoli inneggiava all'agitazione: il fine ultimo fu sempre la rivoluzione sociale degli oppressi. Culmine fu pieno di appelli all'azione e connesso con la situazione sociale di quel periodo (la campagna internazionale in favore di Sacco e Vanzetti, il Fascismo in Italia e altrove, le tensioni reazionarie presenti in Argentina che sfoceranno nel colpo di Stato del 6 settembre 1930).

    Gli argomenti trattati in Culmine furono i più vari, dalle analisi sulla situazione argentina e mondiale alle notizie sui detenuti politici, dalle critiche al Fascismo e all'antifascismo liberale alla denuncia dello stalinismo (una rubrica di Culmine si intitolava Dall'inferno bolscevico).

    Di Giovanni non divenne però famoso per le sue teorie o per i suoi scritti, ma per le sue azioni violente. Tra gli attentati terroristici ci fu una bomba al Consolato Italiano di Buenos Aires in cui ci furono nove morti (tra cui sette fascisti). Questo gli provocò l'antipatia di una parte dei gruppi anarchici, che sconfessò l'attività di Severino Di Giovanni subito dopo l'attentato.

    Fu ingiustamente accusato, pur non essendoci prove a suo carico, dell'omicidio di Emilio Lopez Arango, nuovo direttore del giornale anarchico avversario La protesta.

    In seguito, Severino Di Giovanni fu solo con la sua banda. Il gruppo di Severino - che incluse anche due fratelli di América, Paulino e Alejandro - continuò a rapinare banche e a colpire i simboli del Fascismo italiano, ma intanto i suoi amici caddero a uno a uno. La fazione degli illegalisti di Culmine fu però attiva al fianco degli altri anarchici, e persino dei radicali, durante il regime di José Félix Uriburu.

    Il 29 gennaio 1931 la tipografia di Severino fu circondata dalla polizia. Iniziò una fuga rocambolesca che terminò con il tentativo di Severino di uccidersi. Lo portarono all'ospedale, lo ricucirono e lo incarcerarono. Poche ore dopo il suo arresto fu condannato a morte. Fu fucilato, per ordine del presidente Uriburu il giorno successivo (1º febbraio 1931).

    Paulino Scarfò, fratello di America, condivise la medesima sorte. Prima di morire, Di Giovanni incontrò la giovane amante e la esortò a studiare e a fondare una nuova casa editrice. Più tardi la Scarfò insegnò italiano all'Università di Buenos Aires, continuando a militare nell'anarchia. Nel 1951 giunse in Italia e si recò a Chieti alla ricerca dei parenti di Severino. Ma trovò un muro. In seguito riuscì ad avere indietro dagli archivi della polizia argentina, le lettere d'amore che le aveva indirizzato Severino, grazie all'aiuto di Osvaldo Bayer, biografo dell'anarchico italiano. Fina è recentemente scomparsa, sempre tenendo vivo il ricordo del suo antico amore.

    Bibliografia

    • Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani (Pisa, BFS, 2003)
    • E. Puglielli, Dizionario degli anarchici abruzzesi, CSL "C. Di Sciullo", Chieti, 2010
    • Bayer Osvaldo, Severino Di Giovanni (Archivio Famiglia Berneri, Pistoia, 1973)
    • O. Bayer, Severino Di Giovanni. C'era una volta in America del Sud, Agenzia X, 2011.
    • Di Giovanni, Severino, Grito Noturno/Grito Nocturno. Traduzione di Gleiton Lentz. Fumetti di Aline Daka. (n.t.) Revista Literária em Tradução, n. 5, set. 2012, pp. 370-374. http://www.notadotradutor.com/comics.html




    Momenti della fucilazione di Severino Di Giovanni

     


     

    Severino Di Giovanni e
    América Josefina Scarfò, compagna di Severino Di Giovanni
    Il volantino lanciato dagli spalti del teatro Colòn di Buenos Aires.
     
     Severino Di Giovanni

    Camillo Di Sciullo (Chieti, 15 luglio 1853 – Chieti, 29 maggio 1935) è stato un tipografo e anarchico italiano. 

    L'esperienza de «Il Pensiero»

    Camillo Di Sciullo nasce a Chieti il 15 luglio 1853 da Sante e Domenica Tavano, di Fara San Martino (CH). Esercita i mestieri più disparati: «ex lanaro, barbiere, pittore, falegname, cameriere, cuoco, tappezziere, materassaio, negoziante, appaltatore, proprietario, presentemente pubblicista» (cfr. «Il Pensiero», 12 luglio 1893). Autodidatta, compie le prime esperienze giornalistiche nel 1887, quando collabora, insieme ad Ettore Croce, al settimanale satirico dialettale «La Mosche». Fa parte della Società Operaia di Chieti, ma ben presto entra in polemica con il consiglio direttivo per gli atteggiamenti clericali dei consiglieri. Partecipa alla costituzione del Circolo Giordano Bruno (1889) che il 15 agosto 1890 pubblica il primo numero del giornale anticlericale «Il Pensiero». Nel 1892 il giornale diviene di proprietà di Di Sciullo che nel frattempo si è avvicinato al movimento anarchico anche grazie ai contatti con Galileo Palla che svolge il servizio militare a Chieti. Il giornale diventa una tribuna alla quale affluiscono articoli di corrispondenti sparsi per tutto il paese. Nel 1893 «Il Pensiero» subisce i primi due sequestri. Di Sciullo prende contatto con Antonio Rubbi, un tipografo anarchico giunto da Bologna, ed apre una propria tipografia, la Tipografia del Popolo, nella quale il giornale verrà stampato a partire dal primo numero del 1894. La tipografia, oltre al giornale, stampa una miriade di pubblicazioni e opuscoli di autori anarchici: Errico Malatesta, Pietro Gori, Louise Michel, Pëtr Alekseevič Kropotkin, Michail Bakunin, Élisée Reclus. Il 6 aprile 1894 Di Sciullo viene processato per «vilipendio delle istituzioni monarchiche costituzionali, provocazione all'odio fra le diverse condizioni sociali, provocazione contro l'ordine delle famiglie, offesa al diritto della proprietà». Viene difeso da Pietro Gori che riesce a farlo assolvere e poi tiene conferenze assai seguite a Chieti e Pescara. Dopo pochi mesi, il 9 giugno, Di Sciullo subisce un nuovo processo per «eccitamento alla guerra civile, disprezzo e vilipendio pubblico delle istituzioni monarchiche costituzionali, attentato al diritto di proprietà». Sempre difeso da Gori viene di nuovo assolto. L'uccisione di Carnot in Francia ed il fallito attentato di Paolo Lega contro Francesco Crispi, che porteranno di lì a poco alle leggi eccezionali (luglio 1894), sono la causa dell'ennesimo processo. È infatti per gli articoli su questi fatti che, il 25 luglio, il P.M. chiede il rinvio a giudizio per «istigazione a commettere reati». Il 22 agosto Di Sciullo viene processato e condannato ad oltre tre anni di carcere ed a sette mesi di domicilio coatto nell'isola di Pantelleria.

    La ripresa delle attività della Tipografia del Popolo

    Liberato nella primavera del 1898, riprende a pieno ritmo l'attività della Tipografia del popolo stampando la maggior parte dei giornali sovversivi della provincia e soprattutto dando nuovo impulso all'attività editoriale. Nel 1905 pubblica, raccogliendo una serie di articoli scritti da Luigi Fabbri su giornali diversi, Lettere ad una donna sull'Anarchia. All'attività editoriale Di Sciullo affianca la partecipazione sempre più attiva al movimento anarchico. Nel dicembre del 1905 ospita Pietro Gori, in Abruzzo per un giro di propaganda. Nel 1906 dà vita a Chieti «una biblioteca popolare circolante la quale offrirà modo alla classe meno istruita e meno abbiente di abituarsi alla lettura ed a far sì che l'istruzione non sia monopolio delle sole classi privilegiate». (Cfr. «La Vita Operaia», Quindicinale di propaganda socialista-anarchica, a. I, n. 17, Ancona, 28 dicembre 1906). Nel 1907 partecipa al congresso anarchico di Roma del 16-20 giugno, prima importante assise in cui di discute sulla necessità dell'organizzazione nazionale degli anarchici d'Italia. Nel marzo del 1908 si stabilisce a Castellamare Adriatico, trasferendovi anche la casa editrice, ma mantenendo a Chieti la Tipografia. Il 12 febbraio 1912, in occasione della morte di Pietro Gori, pubblica un numero unico de «Il Pensiero». Il 1º febbraio 1914 partecipa al Congresso Sovversivo di Castellamare Adriatico. Nel febbraio 1915, nel pieno dell'ondata interventista, si fa promotore a Chieti di una manifestazione contro la guerra e fa affiggere un manifesto antimilitarista.

    Biennio rosso

    Nel primo dopoguerra aderisce alla sezione di Ancona dell'Unione comunista-anarchica italiana (UCAI, poi UAI) costituitasi nell'aprile del 1919 con il congresso di Firenze. Il 20 maggio 1920 partecipa attivamente al convegno anarchico regionale di Sulmona, nel corso del quale, con Quirino Perfetto, Attilio Conti ed altri dirigenti del movimento anarchico ed anarcosindacalista regionale si delibera la costituzione della Federazione comunista-anarchica abruzzese (FCAA, poi FAA). Nel luglio del 1920 interviene al congresso che l'UAI tiene a Bologna. Luce Fabbri, parlando del congresso dell'UAI a Bologna nel 1920, scrive:

    Il congresso dell'UAI fu seguito da un'attività intensa di propaganda. Si tenevano comizi dappertutto, sempre affollatissimi. A casa nostra assistevamo a un andare e venire di compagni, sempre eccitati e sempre affrettati; …ogni tanto venivano di passaggio Borghi o Frigerio, Agostinelli o Di Sciullo….

    Dal 2 al 4 novembre 1921 si svolge ad Ancona il III congresso dell'UAI e la partecipazione di Di Sciullo verrà ricordata in un necrologio di Carlo Frigerio:

    Noi lo ricordiamo ancora nel periodo agitato del dopoguerra, sempre vivace e entusiasta d'animo malgrado l'età, prender la parola al Congresso anarchico di Ancona per recarvi il tributo del suo ottimismo sereno e l'incoraggiamento ai più giovani. Dalla sua figura bianca di apostolo traspariva un'infinita bontà e nel suo sguardo si rifletteva la fede immutata in un miglior divenire. Fino all'ultimo Di Sciullo, nonostante il peso degli anni e l'avversità dell'ora presente, fu sorretto dalla sua fede inalterabile; egli esprimeva liberamente il suo pensiero, propagandosi senza posa ad alleviare le miserie che lo circondavano. Si è spento tra il cordoglio dei suoi concittadini che lo stimavano e rispettavano per la sua integrità ed il suo buon cuore (Cfr. «Almanacco Libertario», Pro vittime politiche per l'anno 1936, Ginevra, 1936).

    Contro il fascismo

    Durante il fascismo viene più volte arrestato in seguito a perquisizioni che portano ogni volta al ritrovamento di materiale propagandistico. A seguito di una di queste perquisizioni nel 1926 viene condannato a 2 anni di confino alle isole Tremiti (dopo due mesi la pena viene commutata in due anni di ammonizione). Muore a Chieti il 29 maggio 1935.

    La memoria

    Nel 1954 sulle colonne di «Umanità Nova» escono due articoli che ne ricordano la figura:

    Lo avevamo conosciuto personalmente negli anni lontani. Era già vecchio […]. La ricerca che abbiamo compiuto per documentarci per la rievocazione di Fabbri ci ha fatto rinverdire il ricordo di Camillo Di Sciullo e siamo riusciti a sapere di lui cose che ignoravamo […]. Visse fiero delle sue idee nella sua Chieti, povero, isolato, abbandonato, perseguitato ancora […]. E il compagno che ci scrive da Chieti queste cose, ci dà questo particolare: nella casa della nuora si conserva ancora il nerbo di bue che i nerocamiciati abbandonarono un giorno che lo aggredirono in casa sua e lo batterono a sangue. Il vecchio non cedette e gridava loro: «Le mie idee sono immortali, voi non le vincerete mai». È in volta l'idea di ricordare con una conferenza Camillo Di Sciullo a Chieti. Noi crediamo che questa sia una ottima idea per risvegliare l'iniziativa anarchica in Abruzzo […]. Noi invitiamo i compagni delle varie località che vivono in Abruzzo di considerare queste idee che buttiamo giù alla svelta, d'accordo e per suggerimento del compagno Bruschi Aldo di Chieti…

    Così invece Luce Fabbri ricorda l'editore di Chieti:

    Il nome e il ricordo di Camillo Di Sciullo mi sono molto cari. Ho voluto bene fin da bambina a quell'amico dalla barba brizzolata e dal mantello ampio, inusuale allora, che gli dava l'apparenza esotica del ‘vecchio della montagna’. Veniva ogni tanto a trovarci a Corticella (dove abitavamo allora, nei pressi di Bologna) e ci portava sempre in regalo un gran barattolo di miele di sua produzione, molto migliore di quello che si comprava. Per noi ragazzi era soprattutto l'apicultore; con noi parlava sempre della api. Ricordo una volta che m'accompagnò in città (cominciavo allora il ginnasio) e, nella mezz'ora che durò il viaggio in tramway da Corticella a Bologna, mi parlò sempre con entusiasmo dell'organizzazione del lavoro nell'alveare. Aveva una voce forte che si faceva sentire in tutta la vettura. E tutti i passeggeri tacquero ed ascoltarono con me religiosamente quella specie di conferenza. ‘È una calunnia – diceva – parlare dell'ape regina, quando si tratta della madre, tutta dedita alla sua opera creativa, che tutta la società della api operaie cerca di proteggere e di aiutare'. Naturalmente, sapevo che Di Sciullo non era solo ‘l'amico delle api', perché poi lo sentivo parlare con mio padre dei problemi del movimento anarchico, di giornali, di edizioni. Più tardi, dopo la sua scomparsa, ho potuto valutare meglio la sua importanza per la storia della cultura libertaria, ma mai ho potuto separare, nell'immaginazione, la sua figura dall'atmosfera dorata del miele e dalle api.

    Fonti

    • E. PUGLIELLI, Il movimento anarchico abruzzese 1907-1957, Textus, L'Aquila, 2010
    • E. PUGLIELLI, Dizionario degli anarchici abruzzesi, CSL "C. Di Sciullo", Chieti, 2010
    • F. PALOMBO, Camillo Di Sciullo, anarchico e tipografo di Chieti, Samizdat, Pescara, 1996
    • F. PAZIENTE, Alle origini del Socialismo nell'Abruzzo chietino, in «Movimento operaio e socialista», n. 4, 1969
    • LUIGI FABBRI, Lettera ad una donna sull'Anarchia, Samizdat, Pescara, 1997
    • ACS, CPC, b. 1819, f. ad nomen

     




     

    Carlo Doglio (Cesena, 19 novembre 1914 - Bologna, 25 aprile 1995) è stato un sociologo, docente universitario e urbanista anarchico italiano. 

    Biografia

    Nato a Cesena, vi risiede fino al conseguimento del diploma di maturità classica. Si trasferisce a Bologna nel 1932 per frequentare l'Università, dove consegue la laurea in Diritto Civile nel 1936. Qui incontra Diana Cenni, che più tardi sposerà e con la quale nel 1949 avrà il figlio Daniele. Durante questi anni si occupa soprattutto di cinema e scrittura. È ufficiale di Commissariato Aeronautico a Bari, in Friuli e a Forlì.

    Arrestato nel 1942 per attività antifasciste collegate al Partito d'azione clandestino, viene rinchiuso nel carcere di San Giovanni in Monte, da dove uscirà solamente alla caduta del fascismo. Trasferitosi nella sua città natale in cerca di maggiori sicurezze, viene nuovamente arrestato per le sue attività clandestine. per sfuggire alla repressione, si trasferisce a Milano, dove comunque prosegue nelle sue attività antifasciste. Doglio è tra i promotori del periodico La Verità , organo del Partito Italiano Lavoratori.

    Durante la resistenza aveva consolidato l'amicizia con Aldo Capitini e contemporaneamente s'era avvicinato al movimento anarchico. Nel periodo post-bellico aderisce alla Federazione Anarchica Italiana e stabilisce una solida amicizia con l'anarchico Alfonso Failla e con altri militanti (Pier Carlo Masini, Giovanna Caleffi, Cesare Zaccaria ecc.). A partire dal 1946 diventa redattore di Gioventù Anarchica e inizia a collaborare con Il Libertario e Volontà . Nel 1948 pubblica il libro di Michail Bakunin Libertà e rivoluzione.

    Grazie all'amicizia con Giancarlo De Carlo, entra in contatto con la comunità degli architetti milanesi e, con il gruppo razionalista, occupandosi di critica dell'architettura e dell'urbanistica. Ottiene l'incarico direttore editoriale alla Mondadori fino al 1949, quando viene assunto a Ivrea da Adriano Olivetti per dirigere il Giornale di Fabbrica con redazione paritetica operaia e padronale.

    Nel 1952 vince il premio Inu-Della Rocca per una monografia su La città giardino. Per la prima metà degli anni '50 lavora al piano regolatore di Ivrea e al piano territoriale del Canavese, un'esperienza durante la quale farà parte di una commissione (composta da Quaroni, Renacco e Fiocchi) formata allo scopo di visitare varie città d'Europa per poi studiare nuove pianificazioni urbane e riforme istituzionali.

    Dal 1955 al 1960 vive a Londra, dove era stato inviato, sempre come dipendente della Olivetti, dalla rivista Comunità. Nella capitale britannica si lega in sodalizio con John Papworth, direttore della rivista Resistance e consulente di Kenneth Kaunda in Zambia, con l'economista Ernst F. Schumacher (di cui tradurrà in italiano «Piccolo è bello»), con Jayaprakash Narayan e con l'urbanista anarchico Colin Ward, animatore del settimanale anarchico Freedom.

    Rientrato in Italia, nel 1961 si reca in Sicilia, a Partinico, per lavorare con Danilo Dolci. Qui, nel 1964, insegna Pianificazione territoriale come libero docente. Dopo un breve soggiorno a Napoli, nel 1969 viene chiamato da Giuseppe Samonà come professore aggregato presso il gruppo Urbanistico delll'Istituto Universitario di Architettura di Venezia.

    Diventato professore ordinario, dal 1972 insegna presso Scienze Politiche di Bologna, nel Dipartimento di Sociologia diretto da Achille Ardigò. Collaboratore di tantissime riviste (Volontà, Comunità, Mondo Economico, Metron, Dibattito Urbanisticoecc.) e autore di molte opere dedicate a Kropotkin e Lewis Mumford, si impegna in tante attività politiche e culturali sino in tarda età. Muore a Bologna il 25 aprile 1995.

    Bibliografia

    • Chiara Mazzoleni, Carlo Doglio. Selezione di scritti 1950-1984, Quaderni didattici








     


    Carlo Doglio 

    Roberto Elia (Catanzaro, 29 luglio 1871 - Napoli, 11 giugno 1924) è stato un anarchico italiano emigrato per un certo periodo negli Stati Uniti, dove si legò in amicizia ad Andrea Salsedo e ai gruppi insurrezionali galleanisti.

    Biografia

    Di professione tipografo, aderisce sin da ragazzo al partito socialista e collabora al giornale «Calabria Avanti». 

    Negli Stati Uniti

    Emigrato nel 1906 negli Stati Uniti, si lega in amicizia con Andrea Salsedo, Gaspare Cannone, Michele Caminita, tutti tipografi anarchici che ruotavano intorno alla redazione del giornale «Cronaca Sovversiva» di Luigi Galleani, che veniva stampato a Barre, nel Vermont.

    Diventato anarchico, Elia per qualche tempo assume anche l'amministratozione del giornale. Le autorità americane, nello specifico il Dipartimento di Giustizia Americano, includono il suo nome in una lista di sovversivi anarchici fuggiti in Messico per evitare la chiamata alle armi. Oltre a lui, nella lista compaiono altri nomi conosciuti: Andrea Salsedo, Luigi Galleani, Bartolomeo Vanzetti, Nicola Sacco, Mario Buda e molti altri.

    Terminata la guerra, fonda con il suo amico Salsedo la rivista quindicinale Il Domani (teoricamente avrebbe dovuto sostituire Cronaca Sovversiva dopo la sua chiusura d'autorità), che assume posizioni filo-bolsceviche, ma ben presto dovrà uscire clandestinamente con una nuova testata, L'Ordine, dopo la violenta repressione dei comunisti (intendendo con questo termine tanto il marxismo quanto l'anarchismo) voluta dal ministro della Giustizia, Mitchell Palmer. Tra i vari collaboratori c'è anche Vanzetti che si firmava con lo pseudonimo «Il Picconiere».

    La polizia ferma Elia il 25 febbraio 1920 e Andrea Salsedo il 7 marzo: vengono interrogati riguardo al volantino di rivendicazione degli attentati del 2 giugno 1919 (in uno di questi era morto l'anarchico Carlo Valdinoci a causa dell'improvvisa deflagrazione dell'ordigno che doveva collocare negli uffici del Ministro Palmer) recanti il titolo il titolo «Semplici Parole» (Plain Words, in inglese). L'FBI era arrivato ai due anarchici tramite le soffiate dell'infiltrato Luigi Ravarini (il cosiddetto agente D-5), grazie alle quali i federali erano giunti ad individuare la tipografia di Beniamino Mazzotta e Ludovico Caminiti. I due, sottoposti ad interrogatorio, avevano fatto diversi nomi di persone invischiate negli attentati, tra cui Roberto Elia e Andrea Salsedo (oltre a Recchi, Felicani, Caci, Sberna... ).

    I due vengono arrestati illegalmente e sottoposti a torture e violenze, secondo la ricostruzione fatta da Paul Avrich in Ribelli in paradiso. Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti i due cedono e parlano: Elia conferma la confessione di Salsedo, ovvero che era stato proprio l'anarchico di Pantelleria ad aver stampato, su richiesta di Nicola Recchi, il volantino Plain Words in settecento copie nella tipografia di Goffredo Canzani.

    Andrea Salsedo morirà defenestrato (suicida o assassinato) il 3 maggio 1920, volando a terra dal 14° piano del palazzo di Giustizia dove da diversi mesi veniva interrogato e torturato. Al contrario, Elia si salva grazie al «Comitato pro Vittime Politiche», costituito da Carlo Tresca, Luigi Quintiliano e Bartolomeo Vanzetti, che ne ottiene il rilascio ma senza poterne impedirne la deportazione in Italia.

    Ritorno in Italia

    Elia, fortemente minato nel fisico non solo per colpa della tubercolosi contratta negli USA ma anche a cause delle violenze subite in carcere, giunge in Italia il 30 agosto 1920.

    Immediatamente si attiva per la ricostruzione del movimento anarchico calabrese e meridionale, grazie anche a Paolo Schicchi che gli affida insieme a Gaspare Cannone la redazione del Vespro Anarchico di Palermo. L'idea di Elia però è diversa, egli vorrebbe infatti fondare un giornale nuovo, capace di spiegare le istanze dell'anarchismo e del sindacalismo ad una popolazione prevalentemente contadina e con una bassissima scolarizzazione.

    Insieme a Bruno Misefari, Roberto Elia è il principale organizzatore del primo convegno anarchico calabrese tenutosi a Reggio Calabria il 15 gennaio 1922. Con lo stesso Misefari, un mese dopo, lancia la circolare per la pubblicazione di Pane e libertà. Organo per la diffusione dell'Ideale Anarchico in Calabria. Il giornale, che vorrebbe pubblicare anche alcuni articoli in dialetto calabrese, si prefiggeva l'obiettivo di condurre «soprattutto una lotta tenace, continua, incessante contro signorotti e funzionari [che il popolo ...] vede e considera qual primo flagello delle sue povere case».

    Purtroppo, il mancato aiuto finanziario dei gruppi anarchici del Nord Italia e d'America, ritarderà la realizzazione del progetto che si concretizzerà solo due anni più tardi, il 14 dicembre 1924, con la fondazione a Reggio Calabria de L'Amico del popolo, redatto da Misefari con l'aiuto di Nino Malara e Nino Napolitano.

    Roberto Elia non potè dare il suo contributo alla realizzazione del giornale perché nel frattempo era deceduto a Napoli l'11 giugno precedente.

    Bibliografia

    • Paul Avrich, Ribelli in paradiso. Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti, Nova Delphi Libri, 2015.
    • Filippo Manganaro, Dynamite girl. Gabriella Antolini e gli anarchici italiani in America, Nova Delphi, Roma, 2013.

     



     
    Lidio Ettorre (Giulianova, 3 dicembre 1893 – Giulianova, 1977) è stato un anarchico italiano.

    Attivo dal 1910. Sottoscrittore di stampa anarchica. Dal 1912 collabora con la redazione anconetana di «Volontà». Contribuisce nello stesso anno alla costituzione del locale gruppo anarchico. Segnalato come anarchico nel 1913, dopo essersi fatto notare per propaganda astensionista. Sempre nel 1913 contribuisce alla costituzione di un meno noto gruppo intitolato a Francisco Ferrer y Guardia. Attivo nel locale Fascio anticlericale e nella propaganda laica e razionalista, nelle organizzazioni dei lavoratori della terra e nelle leghe artigiane, nella propaganda antimilitarista e in quella per la liberazione delle vittime politiche; è tra i promotori della costituzione della Casa del Popolo di Giulianova. Scrive per «La Sveglia», periodico teramano che raccorda anarchici, socialisti rivoluzionari e sindacalisti attivi in provincia. Partecipa allo sciopero della settimana rossa. È in prima linea contro il bellicismo dilagante e nelle agitazioni antimilitariste, fino agli scontri di piazza con gli interventisti. Oratore dei comizi contro le compagnie di disciplina del 24 maggio a Giulianova e del 20 settembre 1914 a Teramo.

    Guerra e antimilitarismo

    Richiamato alle armi nel 1915, assegnato al 6º reggimento bersaglieri ciclisti, 11ª compagnia di stanza a Bologna. Segnalato dalle autorità militari per propaganda anarchica e antimilitarista tra i soldati. Viene spostato ad Udine. Collabora con la redazione de «Il Libertario». A causa del contenuto di una lettera destinata a Pasquale Binazzi, si apre su di lui un'indagine per «complotto insurrezionale contro le autorità militari». Viene incarcerato con l'accusa di propaganda disfattista. Inizia il processo nel quale si rischia la pena di morte, presso il Tribunale Militare di Venezia; l'avvocato difensore, Giuseppe Romualdi, soltanto facendo passare l'ipotesi “insano di mente” riuscirà a salvarlo. La vicenda si conclude con la assoluzione e poi con il definitivo riconoscimento della inattitudine al servizio militare per vizio cardiaco, congedato “con onore”. Continua nella propaganda antimilitarista e rivoluzionaria, nella convinzione che in Italia potrebbe ripetersi quanto avvenuto in Russia: fine del conflitto e scoppio della rivoluzione. Nel periodo 1916-'17 è a Torino, attivo nell'organizzare i fasci rivoluzionari che raggruppano anarchici, elementi della sinistra socialista, quella giovanile e il sindacalismo contrario alla guerra. Passa al Partito Socialista Italiano (PSI), schierandosi con la frangia facente capo a Amadeo Bordiga. Torna a Giulianova con l'incarico di corrispondente dell'«Avanti».

    Dopoguerra

    Dal 1919 è dirigente della sezione della Lega Proletaria e del gruppo giovanile socialista di Giulianova. Con Attilio Conti è tra gli oratori del comizio di Giulianova del 19 ottobre 1919 in solidarietà alla Russia sovietica e contro il governo italiano, la controrivoluzione bianca e l'aggressione imperialista. Oratore di svariati comizi promossi dalla Lega Proletaria, che spesso e volentieri degenerano in scontri con i nazionalisti e i dannunziani. La frequenza di episodi del genere è così alta che su Giulianova inizia a parlarsi di «roccaforte rossa d'Abruzzo». Oratore di molti comizi elettorali per le elezioni del 1919.

    Il biennio rosso

    Dal 1920 porta la sezione giovanile socialista al completo a svincolarsi dalla disciplina di partito, votando una mozione in cui si ribadisce l'antiparlamentarismo e si dichiara di condividere «il contegno prettamente rivoluzionario degli anarchici». Al suo fianco opera anche Vincenzo Cerminiani. Si crea a tutti gli effetti in città un coordinamento rivoluzionario di base diretto dagli anarchici e capace di coinvolgere sindacalisti, socialisti e Lega Proletaria: «la Lega proletaria, il Circolo giovanile e la Sezione adulta sono per il Fronte unico rivoluzionario». Ettorre è attivissimo nell'elaborazione delle strategie d'azione per la formazione dei gruppi locali del Fronte unico rivoluzionario (FUR), nella partecipazione diretta alle lotte in corso su questioni concomitanti sul piano nazionale e locale quali il caroviveri, il pacifismo, l'antimilitarismo, la campagna contro l'invio dei soldati italiani in Albania, la campagna per il ritiro delle truppe 'bianche' dalla Russia sovietica, l'emancipazione morale e materiale del proletariato, le libertà e i diritti sindacali. In risposta alla propaganda nazionalista e patriottica dilagante fa affiggere in città la seguente targa, in memoria della grande strage proletaria che è stata la Grande guerra: «Ai proletari/vittime della/guerra borghese/i reduci/della Lega Proletaria/memori/2 maggio 1920». Guida la lotta dei contadini per la riforma del patto colonico. Scrive per «Umanità Nova» e per «Falce e Martello». Promotore delle assemblee di Giulianova del 1 e del 12 luglio 1920 in solidarietà ai «rivoltosi di Ancona» e per la liberazione dei prigionieri politici. Promotore nel mese di agosto di una mobilitazione contro gli eccidi proletari. Oratore del comizio di Caramanico del 30 agosto 1920 contro gli eccidi proletari e per la liberazione dei prigionieri politici. Organizzatore del comizio di propaganda anarchica di Guglielmo Boldrini del 10 settembre 1920 presso i locali della Lega Proletaria. Organizzatore di una mobilitazione popolare anticapitalista del 12 settembre 1920 contro la propaganda nazionalista e della ‘vittoria mutilata’. Promotore nell'ottobre 1920 di un convegno provinciale tra i dirigenti del movimento anarchico, socialista astensionista, del circolo giovanile socialista e della Lega Proletaria per stabilire come organizzare al meglio i gruppi d'azione del FUR e «strappare ai vari arruffoni della socialdemocrazia» la direzione del movimento politico- sindacale. In occasione delle amministrative è attivissimo nella propaganda astensionista: «domani [10 ottobre 1920] vi saranno due comizi. Parleranno il segretario della sezione socialista Pica ed il propagandista Ettorre. Nella Lega Proletaria gli astensionisti hanno avuto la maggioranza e quindi essi con entusiasmo appoggeranno la lotta astensionista. La Federazione socialista provinciale non può darsi pace». Arrestato preventivamente e detenuto per un mese. Liberato nel novembre 1920.

    Lo scontro col fascismo

    In vista dell'assise livornese, invia adesione al congresso frazionista di Imola per schierarsi con Bordiga. Oratore dei comizi per la libertà di Sacco e Vanzetti registratisi a Giulianova il 16 ottobre 1921 e l'8 gennaio 1922. Sul finire del 1921 ha nel frattempo lasciato il Partito comunista (PCdI) per tornare definitivamente all'anarchismo. Nei primi mesi del 1922, con l'involuzione degli eventi in Ucraina, Ettorre porta avanti un'importante campagna in solidarietà a Nestor Machno e contro la persecuzione in Russia di anarchici, sindacalisti e comunisti di sinistra. Tiene diverse conferenze sul tema Comunismo libertario e autoritario. S'incrinano inevitabilmente i rapporti con i comunisti italiani. D'accordo con Attilio Conti e con gli altri militanti del gruppo anarchico Carlo Pisacane di Castellamare Adriatico, fonda e dirige il periodico «L'Annunciatore», Organo degli anarchici d'Abruzzo. Successivamente il periodico cambia nome in «Aurora Libertaria». Contribuisce alla costituzione del locale gruppo comunista-anarchico La Luce. Al suo fianco opera anche Francesco Bentivoglio. Organizza a Giulianova lo sciopero del I maggio 1922 indetto dall'Alleanza del Lavoro (AdL), è oratore del comizio conclusivo. Attivissimo in questi mesi nella lotta anticapitalista. È tra i promotori del IV convegno che la Federazione anarchica abruzzese (FAA), aderente all'Unione anarchica italiana (UAI) tiene a Castellamare Adriatico il 7 maggio 1922 nei locali della sezione repubblicana di viale Regina Elena. Partecipa allo sciopero dell'agosto 1922 indetto dall'AdL, che a Giulianova si caratterizza con conflitti a fuoco con i fascisti. Subisce nello stesso mese la violenza fascista, a causa dell'invasione squadrista e poliziesca della cittadina adriatica. Il 7 ottobre 1922 subisce un pestaggio al termine del quale i fascisti gli incendiano la falegnameria e la casa. Nel 1923 il suo nome figura ancora in un elenco «di nominativi di anarchici costituenti una vasta organizzazione di propaganda sovversiva».

    Perseguitato politico antifascista

    È per qualche mese esule in Francia. Durante gli anni della dittatura subisce numerosissimi fermi e perquisizioni; è oggetto anche di parecchie percosse, più volte ricevute con conseguenze permanentemente gravi per la salute. Oppositore irriducibile del regime, gli viene imposto nel 1930 la carta d'identità perché «pericoloso in linea politica e compreso nell'elenco delle persone da arrestare in determinate circostanze». Ammonito nel 1942 per disfattismo. Negli anni 1942-43, con vecchi e nuovi compagni (tra cui Alessandro Pica) è tra i fondatori del movimento clandestino "Italia Libera". Nel secondo dopoguerra scrive Le memorie di un perseguitato politico antifascista e riprende il proprio impegno politico e civile. Muore nel 1977.

    Fonti

    • E. PUGLIELLI, Il movimento anarchico abruzzese 1907-1957, Textus, L'Aquila, 2010
    • E. PUGLIELLI, Dizionario degli anarchici abruzzesi, CSL "C. Di Sciullo", Chieti, 2010
    • ACS, CPC, b. 1897, f. ad nomen
    • «L'Agitatore», Periodico settimanale anarchico, Bologna, 20 ottobre 1912; Ivi, 16 novembre 1912; P. BENTIVOGLIO, Nel Mondo Libertario. Giulianova, Ivi, 6 aprile 1913; Giulianova, Ivi, 19 gennaio 1913
    • L. ETTORRE, Giulianova, «Volontà», Periodico di propaganda anarchica, Ancona, 13 settembre 1913; Giulianova. La nostra Casa del Popolo, Ivi, 22 agosto 1914; L. ETTORRE, Comunicati, Ivi, 12 settembre 1914
    • L. ETTORRE, Dalla provincia. Ai compagni di Giulianova, «La Sveglia», Suona al sabato, Teramo, 23 maggio 1914
    • L. ETTORRE, La patria si allarga! L'internazionale cammina! Ai traditori dell'internazionale, «Il Libertario», Giornale anarchico, La Spezia, 13 luglio 1916; L. ETTORRE, Una regione selvaggia, Ivi, 22 giugno 1916; L. ETTORRE, Gli sciacalli, Ivi, 27 luglio 1916; L. ETTORRE, Il pazzo errante dell'Abruzzo, Ivi, 10 agosto 1916
    • Da Giulianova. Nuovo «Club Amici»!!, «Abruzzo Rosso», Organo settimanale della Federazione Socialista Abruzzese, Aquila, 7 settembre 1919; Comitato «Pro Giulianova», Ibidem; Da Giulianova. Combattenti in guardia!!!, Ivi, 4 ottobre 1919; Da Giulianova, Manifestazione proletaria, Ibidem; Da Giulianova. Grande comizio socialista, Ivi, 25 ottobre 1919; Da Giulianova, Comizio socialista, Ibidem; Da Castellammare Adriatico, Ivi, 25 ottobre 1919; La solenne proclamazione dei nostri candidati, Ivi, 7 novembre 1919; Il proletariato giuliese contro i dannunziani. Acerbo Fischiato, Ibidem; Danesi fischiato e sconfitto in contraddittorio, Ibidem; Comizio a Silvi, Ibidem
    • Per l'azione rivoluzionaria. Riceviamo e pubblichiamo sopprimendo alcuni aggettivi un po' aspri... Giulianova, «Umanità Nova», Quotidiano anarchico, Milano (poi Roma), 30 marzo 1920; CIRCOLO GIOV. SOC., Per solidarietà coi fatti di Ancona. Giulianova, Ivi, 9 luglio 1920; L. ETTORRE, Per la liberazione di tutti i condannati politici. Giulianova, Ivi, 14 luglio 1920; MARGIO, Comizio di protesta contro gli eccidi. Giulianova, Ivi, 6 agosto 1920; MARGIO, Comizi e manifestazioni. Giulianova, Ivi, 2 settembre 1920; Pro Vittime politiche. L. ETTORRE, Caramanico, Ivi, 5 settembre 1920; MARGIO, Contro i mestatori del dannunzianismo. Giulianova, Ivi, 16 settembre 1920; Movimento Anarchico, MARGIO, Giulianova, Ivi, 22 settembre 1920; MARGIO, Comizi e conferenze. Il blocco che si sgretola. Teramo, Ivi, 10 ottobre 1920; MARGIO, Giulianova proletaria contro la scheda. Giulianova, Ivi, 13 ottobre 1920; MARGIO, Come si svolge la farsa elettorale. Giulianova, Ivi, 21 ottobre 1920; L. ETTORRE, Comunicati. Giulianova, Ivi, 25 novembre 1920; Ivi, 11 novembre 1920; Perché Sacco e Vanzetti non muoiano. In cento e cento comizi l'animo del popolo italiano ha vibrato domenica della più pura passione. ETTORRE, Giulianova, Ivi, 19 ottobre 1921; Propaganda. MARGIO, Giulianova, Ivi, 4 gennaio 1922; Lettere abruzzesi. L. ETTORRE, Anarchici e comunisti. Giulianova, Ivi, 7 gennaio 1922; Sopraffazioni poliziesche a Giulianova, Ivi, 11 gennaio 1922; L'agitazione nazionale per la vita di Sacco e Vanzetti. La manifestazione di domenica. Imponente comizio a Giulianova, Ibidem; Da Giulianova. Propaganda, Ivi, 18 febbraio 1922; Lettere Abruzzesi. Discussioni nostre. Giulianova, Ivi, 24 febbraio 1922; MARGIO, Da Giulianova. Per un numero unico, Ivi, 3 marzo 1922; Piccola Posta. L. ETTORRE, Giulianova, Ivi, 21 marzo 1922; MARGIO, Pubblicazioni nostre. È uscito «L'Annunciatore». Giulianova, Ivi, 24 marzo 1922; Comunicati. Giulianova, Ivi, 25 marzo 1922; F. BENTIVOGLIO, Piccola posta amministrativa, Ivi, 26 marzo 1922; Comunicati. Giulianova, Ivi, 2 aprile 1922; Comunicati. Giulianova, Ivi, 14 aprile 1922; Movimento Anarchico. Castellamare Adriatico. Ai Gruppi anarchici ed ai compagni, Ivi, 29 aprile 1922; MARGIO, A Giulianova, Ivi, 6 maggio 1922; LIBERO, IV Convegno della Federaz. Anarchica Abruzzese. Per la propaganda e per il quotidiano, Ivi, 13 maggio 1922; Metodi comunisti di discussione. Castellamare A., Ibidem; Comunicati. Giulianova, Ivi, 16 maggio 1922; Movimento Anarchico. Come si vuole aiutare «U. N.», Ibidem; Comunicati. Giulianova, Ivi, 8 giugno 1922; L. ETTORRE, Una lettera di Lidio Ettorre, Ivi, 14 ottobre 1922
    • Giulianova, «Il Comunista», Organo della Frazione Comunista del Partito Socialista Italiano, Imola, 2 gennaio 1921
    • In punta di penna, «L'Abruzzo Rosso», Organo del Partito Comunista d'Italia, Aquila, 24 marzo 1922; Questa è carina, Ibidem; Giulianova. A Lidio Ettorre. Per una risposta che nulla ha dimostrato, Ivi, 6 aprile 1922; Giulianova. Avviso importantissimo!!!, Ivi, 21 aprile 1922; A quando la dimostrazione?, Ivi, 21 aprile 1922; In punta di penna. Anarchici e comunisti, Ivi, 11 giugno 1922; Dalle Prov. Chieti-Teramo. Per il libertario Lidio Ettorre, Ivi, 18 giugno 1922; Da Giulianova. Sarebbe ora di finirla, Ivi, 25 giugno 1922; Dalle Prov. Chieti-Teramo. Per un libertario, Ivi, 2 luglio 1922; Dalle Prov. Chieti-Teramo. Per finirla col binomio Lidio Ettorre-Bentivoglio Francesco, Ivi, 23 luglio 1922; Da Giulianova, Ibidem; Da Giulianova. Le infami gesta fasciste a Giulianova, Ivi, 15 ottobre 1922
    • Il primo maggio in Abruzzo. Nostre corrispondenze. Da Giulianova, «La Riscossa d'Abruzzo», Organo della Federazione Repubblicana Abruzzese-Molisana, Castellamare Adriatico, 6 maggio 1922
     


    Luce Fabbri (Roma, 25 luglio 1908 - Montevideo, 19 agosto 2000), figlia del comunista anarchico Luigi Fabbri, è stata un'anarchica e una letterata italiana. 

    Biografia

    Luce Fabbri nasce a Roma il 25 luglio 1908 da Luigi, noto anarchico italiano, e Bianca Sbricioli, docente universitaria. Luce passa l'infanzia a Bologna, condividendo sin da adolescente le lotte sociali e le idee antiautoritarie portate avanti dai genitori.

    Persecuzioni fasciste ed esilio in Francia

    Il suo primo articolo, Scienza, filosofia ed anarchismo, lo scrive a 17 anni in seguito ad una polemica con Errico Malatesta. Pubblicato su «Pensiero e Volontà», Luce lo firma con lo pseudonimo "Epicari".

    Il fascismo, che oramai si è strutturato nel paese come un terribile e violento regime dittatoriale, costringe la famiglia (nota alle autorità per il suo antifascismo) a dividersi momentaneamente, così lei tra il 1926 e il 1928 è costretta all'esilio a Parigi. Laureatasi successivamente in lettere, a Bologna, nel 1928 raggiunge clandestinamente Parigi un'altra volta, grazie all'aiuto di Luigi Bertoni. Nella capitale francese vive per tre mesi con la famiglia e fa la conoscenza di molti esiliati anarchici: Camillo Berneri, Jacques Mesnil, Nestor Makhno, Jean Grave e Mollie Steimer.

    In Uruguay: attivismo anarchico e letterario

    In seguito la famiglia Fabbri si trasferisce ad Ambres (Belgio) e da là si imbarca verso l'Uruguay, giungendo a Montevideo, capitale del paese, il 18 maggio del 1929. In Uruguay i Fabbri frequentano l'ambiente del Circolo Napolitano, l'unica delle società italiane di Montevideo che non avesse o non stesse per aderire al fascismo; in seguito, Luigi Fabbri fonda la rivista di resistenza antifascista «Studi Sociali» avvalendosi della preziosa collaborazione di Luce, che dal 1935 (data di morte del padre) sino al 1946 dirigerà lei stessa.

    «La rivista non morì. Dopo una lunga malattia (una cortico-pleurite) e durante una lunghissima convalescenza - ebbi sei mesi di licenza nel mio lavoro d'insegnante - preparai il primo numero della nuova serie, non senza molti dubbi e molti scambi di lettere coi compagni. Non credo nell'al di là, e far uscire ancora la rivista era l'unica maniera di rimanere in contatto con lui, quella parte di lui che la morte non poteva toglierci: il suo pensiero» (Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero) .

    Luce Fabbri si impegna attivamente nel movimento anarchico uruguayano, scrive articoli, libri (es. I Canti dell'attesa, 1932, da lei definito: «Libro di esilio e solitudine»), tiene conferenze e si impegna in svariati ambiti.

    Svolge l'incarico di professoressa di Storia in molte scuole uruguayane (dal 1933 al 1970), nel 1936 si sposa con l'anarchico Ermacora Cressati, che contribuirà in maniera decisiva con consigli, idee e stimoli vari, allo sviluppo della produzione letteraria di Luce. Gli eventi rivoluzionari della Spagna le ispirano allora la stesura di Antologia de la Revolucion espanola (Montevideo, 1937), firmata con lo pseudonimo "Luz D'Alba", in cui cerca di ricostruire le vicende e soprattutto le aspirazioni libertarie degli anarchici spagnoli. È instancabilmente attiva contro il fascismo e le dittature sudamericane, collabora inoltre con diverse riviste anarchiche: «Solidaridad Obrera» di Montevideo, «La Protesta» di Buenos Aires, «A - Rivista Anarchica» (italiana) ed altre minori.

    Durante la guerra si occupa di «Rivoluzione libertaria» (un giornale spedito clandestinamente in Italia e di cui usciranno 5 numeri) ed è la responsabile versione italiana di «Socialismo y libertad», una rivista trilingue a cui collaborano anche socialisti, anarchici e repubblicani, tutti uniti contro il fascismo.

    Terminata la guerra, all'inizio del 1946 Luce va in Brasile, a Rio de Janeiro, in visita agli anarchici italiani Nello Garavini e Emma Neri, esuli antifascisti. Nella selva brasiliana, Luce e Nello contraggono la malaria e rischiano seriamente di morire. Debilitata, Luce rientra a Montevideo, dove l'attendono il marito e la figlia, riuscendo a recuperare pienamente la salute. Poco dopo chiude anche la terza serie di «Studi Sociali», che durante la guerra aveva già cambiato formato ed aveva diminuito il numero di stampe.

    Dal 1949, e sino al 1991, esclusa la parentesi di dittatura militare (1975-1985), le viene affidata la cattedra di Letteratura italiana alla facoltà di Umanistica e Scienze dell'Educazione, a dimostrazione della sua caratura letteraria e del rispetto che gode nel paese sudamericano.

    Contro ogni autoritarismo

    Numerosi sono i suoi saggi pubblicati su Dante, Macchiavelli e Leopardi, oltre a tutta la produzione letteraria contro il fascismo e il totalitarismo scritti da un punto di vista libertario, di cui El totalitarismo entre les dos guerras (Rosario, 1948) ne rappresenta un esempio lampante, anticipando le tematiche che poi saranno sviluppate da Hannah Arendt negli anni ‘60. In gran parte dei suoi scritti, anche quelli non politici, il tema della libertà è dell'anarchia non manca di essere evidenziato, così come si nota l'influenza paterna sul suo pensiero. Il suo grande ideale, essenza stessa della sua vita, è la lotta contro ogni autoritarismo (di destra o di sinistra) e contro chi nega la libertà dell'individuo in nome di ragioni astruse: patria, religione, partito, ideologia ecc. È da questo fondamento che si sviluppa il pensiero libertario di Luce Fabbri, definita da Diego Abad de Santillán «una donna d'oro».

    Essendo contraria ad ogni forma di autoritarismo, si oppone tenacemente alla rivoluzione castrista del 1959, denunciandone la deriva autoritaria e antilibertaria. Le differenti valutazioni della rivoluzione cubana provocano accese discussioni e polemiche all'interno della Federazione Anarchica Uruguayana (FAU), e Luce, trovandosi in minoranza su una questione per lei imprescindibile, lascia l'organizzazione con pochi altri compagni con cui fonda un proprio gruppo autonomo.

    Quando anche l'Uruguay conosce il dramma della dittatura militare (1975-1985), Luce non subisce persecuzioni particolari, ma la sua attività politica viene necessariamente a mancare.

    Ultimo periodo

    A partire dal 1985, con l'inizio del processo di democratizzazione dell'Uruguay, riprende la pubblicazione di «Opicion libertaria», organo del Grupo de Estudio y Accion Libertaria, fondato insieme, tra gli altri, a Luis Alberto Gallego e Débora Céspedes. Partecipa a diversi convegni sull'anarchismo e la libertà, tra cui Outros 500. Pensamento Libertario internacional (San Paolo del Brasile, agosto 1992) e il congresso internazionale anarchico di Barcellona (1993), dove riceve numerose manifestazioni di affetto.

    Nel 1996 pubblica una biografia del padre, Luigi Fabbri, storicizzando anche l'esperienza libertaria della fine XX secolo in Italia e in sud america. Il suo prestigio in Uruguay e tale che persino la tv nazionale le dedica un importante documentario, dal titolo Testigos, e che sarà molto diffuso anche all'estero.

    Attiva sino agli ultimi giorni della sua vita, Luce Fabbri muore a Montevideo il 19 agosto 2000.

    Note


    1. Luce Fabbri, una grande lezione di pensiero e volontà

    Bibliografia

    Opere di Luce Fabbri 

    • Camisas negras, Ediciones Nervio, Buenos Aires. 1935
    • 19 de julio. Antologia de la revolucion espanola, Coleccion Esfuerzo, Montevideo, 1937 (con lo pseudonimo Luz D. Alba)
    • Gli anarchici e la rivoluzione spagnola, Carlo Frigerio Editore, Lugano, 1938 (con Diego Abad de Santillan)
    • La libertà nelle crisi rivoluzionarie, Edizioni Studi Sociali, Montevideo, 1947
    • El totalitarismo entre las dos guerras, Ediciones Union Socialista Libertaria, Buenos Aires, 1948
    • L'anticomunismo, l'antimperialismo e la pace, Edizioni di Studi Sociali, Montevideo, 1949
    • La strada, Edizioni Studi Sociali, Montevideo, 1952
    • Sotto la minaccia totalitaria, Edizioni RL, Napoli, 1955
    • Problemi d'oggi, Edizioni RL, Napoli, 1958
    • La libertad entre la historia y la utopia, Ediciones Union Socialista Libertaria, Rosario, 1962
    • El anarquismo: mas allà de la democracia, Editorial Reconstruir, Buenos Aires, 1983
    • Luigi Fabbri. Storia d'un uomo libero, BFS, Pisa, 1996
    • Una strada concreta verso l'utopia, Samizdat, Pescara, 1998
    • La libertad entre la historia y la utopia. Tres ensayos y otros textos del siglo XX, Barcellona, 1998

    Opere su Luce Fabbri

    • Margareth Rago, Tra la storia e la libertà. Luce Fabbri e l'anarchismo contemporaneo, Zero in condotta, 2008
    • M. Rago, Luce Fabbri, in Dizionario biografico degli anarchici italiani, Tomo I, Pisa, BFS, 2003, pp. 555-556

    "Ho nel cuore, Bologna, il tuo sorriso

    di quando il sol riposa

    sui muri rossi delle case antiche,

    o sfavilla indeciso

    sulla neve recente e vaporosa,

    vergine spuma sulle strade amiche"

    Luce Fabbri ed Errico Malatesta

     

    "Nel cielo e nella terra sta il futuro,

    L’ormai prossimo futuro

    in cui io morirò.

    Rendetelo luminoso tu e gli altri,

    non lasciate che io muoia tra le tenebre

    rannicchiata sotto l’orizzonte".

    a Porto Alegre (Brasile), 1946



     

     

     

     

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