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lunedì 16 aprile 2018

Severino Di Giovanni (Chieti, Italy, 17 March 1901 – Buenos Aires, Argentina, 1 February 1931), Anarchist

Severino Di Giovanni

Severino Di Giovanni (Chieti, 17 marzo 1901 – Buenos Aires, 1º febbraio 1931) è stato un tipografo e anarchico italiano.

Biografia

Egli si avvicinò da giovane alle idee anarchiche con le letture delle opere di Bakunin, Errico Malatesta, Proudhon ed alla scuola del tipografo anarchico teatino Camillo Di Sciullo. Nel 1921 entrò completamente nella militanza anarchica.
Nel 1922, quando il Fascismo di Mussolini prese il potere in Italia, la censura e le persecuzioni contro gli anarchici obbligarono Severino all'esilio in Argentina con la moglie, Teresa Mascullo, e i tre figli. In Argentina, a 24 anni, s'innamorò perdutamente di América Scarfò, di 15 anni, che apparteneva ad una famiglia cattolica della locale classe media italo-argentina (la famiglia Scarfò precisamente era di origine calabrese).
Di Giovanni arrivò a Buenos Aires con l'ultima grande ondata di immigranti italiani, in gran parte gente molto povera ed analfabeta. Ad essa Severino indirizzò la maggior parte della sua propaganda politica e dei suoi scritti, principalmente attraverso il suo periodico Culmine, che uscì nell'agosto del 1925. Di Giovanni così sintetizzava l'obiettivo del periodico:
« Diffondere le idee anarchiche tra i lavoratori italiani. Contrastare la propaganda dei partiti politici pseudo-rivoluzionari, che fanno dell'antifascismo una speculazione per le loro future conquiste elettorali. Iniziare tra i lavoratori italiani agitazioni di carattere esclusivamente libertario per mantenere vivo lo spirito di avversione al Fascismo. Stabilire un’intensa ed attiva collaborazione tra i gruppi anarchici italiani e il movimento anarchico locale. Sostenere la campagna internazionale di solidarietà a Sacco e Vanzetti. »
La polizia argentina cominciò ad interessarsi di lui il giorno in cui lanciò dagli spalti del teatro Colòn di Buenos Aires un volantino inneggiante a Matteotti. "Abbasso il fascismo!", urlò di fronte all'ambasciatore italiano. La polizia argentina lo fermò e i miliziani fascisti lo presero a pugni.
Di Giovanni portò avanti una intensa attività rivoluzionaria, sia sul piano teorico - con la pubblicazione del suo periodico e di alcuni libri - sia sul piano dell'azione, con una lunga serie di attacchi contro strutture del potere. Anche se inevitabilmente fu soprattutto un uomo d'azione, questo non significa che Di Giovanni fosse privo di teoria, o che ne sottovalutasse l'importanza. Pubblicò molti numeri del suo giornale e diversi libri (di Pisacane, G. Asturi, Armand, Schicchi) e ne preparò altri per la pubblicazione (uno suo, altri di Sebastian Faure, Bakunin, Ryner, Nieuwenhuis, Pisacane, Proudhon, Goldman, Thoreau, Armand), e contribuì insieme ad Aldo Aguzzi alla pubblicazione di un quindicinale, Anarchia.
La maggior parte dei suoi articoli inneggiava all'agitazione: il fine ultimo fu sempre la rivoluzione sociale degli oppressi. Culmine fu pieno di appelli all'azione e connesso con la situazione sociale di quel periodo (la campagna internazionale in favore di Sacco e Vanzetti, il Fascismo in Italia e altrove, le tensioni reazionarie presenti in Argentina che sfoceranno nel colpo di Stato del 6 settembre 1930).
Gli argomenti trattati in Culmine furono i più vari, dalle analisi sulla situazione argentina e mondiale alle notizie sui detenuti politici, dalle critiche al Fascismo e all'antifascismo liberale alla denuncia dello stalinismo (una rubrica di Culmine si intitolava Dall'inferno bolscevico).
Di Giovanni non divenne però famoso per le sue teorie o per i suoi scritti, ma per le sue azioni violente. Tra gli attentati terroristici ci fu una bomba al Consolato Italiano di Buenos Aires in cui ci furono nove morti (tra cui sette fascisti). Questo gli provocò l'antipatia di una parte dei gruppi anarchici, che sconfessò l'attività di Severino Di Giovanni subito dopo l'attentato.
Commise molti altri gesti clamorosi, fra cui forse l'uccisione di Emilio Lopez Arango, nuovo direttore del giornale anarchico avversario La protesta, del cui omicidio non ci sono prove a carico di Severino Di Giovanni.
In seguito, Severino Di Giovanni fu solo con la sua banda. Il gruppo di Severino - che incluse anche due fratelli di América, Paulino e Alejandro - continuò a rapinare banche e a colpire i simboli del Fascismo italiano, ma intanto i suoi amici caddero uno a uno. La fazione degli illegalisti di Culmine fu però attiva al fianco degli altri anarchici, e persino dei radicali, durante il regime di José Félix Uriburu.
Il 29 gennaio 1931 la tipografia di Severino fu circondata dalla polizia. Iniziò una fuga rocambolesca che terminò con il tentativo di Severino di uccidersi. Lo portarono all'ospedale, lo ricucirono e lo incarcerarono. Poche ore dopo il suo arresto fu condannato a morte. Fu fucilato, per ordine del presidente Uriburu il giorno successivo (1º febbraio 1931).
Paulino Scarfò, fratello di America, condivise la medesima sorte. Prima di morire, Di Giovanni incontrò la giovane amante e la esortò a studiare e a fondare una nuova casa editrice. Più tardi la Scarfò insegnò italiano all'Università di Buenos Aires, continuando a militare nell'anarchia. Nel 1951 giunse in Italia e si recò a Chieti alla ricerca dei parenti di Severino. Ma trovò un muro. In seguito riuscì ad avere indietro dagli archivi della polizia argentina, le lettere d'amore che le aveva indirizzato Severino, grazie all'aiuto di Osvaldo Bayer, biografo dell'anarchico italiano. Fina è recentemente scomparsa, sempre tenendo vivo il ricordo del suo antico amore.

Bibliografia

  • Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani (Pisa, BFS, 2003)
  • E. Puglielli, Dizionario degli anarchici abruzzesi, CSL "C. Di Sciullo", Chieti, 2010
  • Bayer Osvaldo, Severino Di Giovanni (Archivio Famiglia Berneri, Pistoia, 1973)
  • O. Bayer, Severino Di Giovanni. C'era una volta in America del Sud, Agenzia X, 2011.
  • Di Giovanni, Severino, Grito Noturno/Grito Nocturno. Traduzione di Gleiton Lentz. Fumetti di Aline Daka. (n.t.) Revista Literária em Tradução, n. 5, set. 2012, pp. 370-374. http://www.notadotradutor.com/comics.html

Severino Di Giovanni (Chieti, Italy, 17 March 1901 – Buenos Aires, Argentina, 1 February 1931), was an Italian anarchist who immigrated to Argentina, where he became the best-known anarchist figure in that country for his campaign of violence in support of Sacco and Vanzetti and antifascism.

Italy

Di Giovanni was born on 17 March 1901, in Chieti, Abruzzo. Raised right after World War I in a period of deprivations, such as hunger and poverty, his upbringing had a huge impact on his politics. He followed courses to become a teacher, and soon started teaching, before graduating, in a school of his town. He learnt by his own the art of typography and read, in his free time, Mikhail Bakunin, Malatesta, Proudhon, and Élisée Reclus.
Di Giovanni started rebelling against authority at a very young age. At the age of 19 he was orphaned, and at the age of twenty (1921), fully embraced the anarchist movement. He married his cousin Teresa Masciulli in 1922, the same year Benito Mussolini's Black Shirts took power during the March on Rome. Giovanni and Teresa decided to exile themselves to Argentina, where they immediately became involved with anarchists and antifascist movements. Severino and Teresa had three children.[citation needed]

Arrival in Argentina

Di Giovanni arrived in Buenos Aires with the last big wave of Italian immigrants before World War II. He lived in Morón and travelled daily to Buenos Aires Capital to participate in meetings and plan actions against fascism and Italian fascist supporters in Argentina. Di Giovanni's ideology was close to the radical factions of the anarchist movement in Argentina associated with the magazine La Antorcha, then to the Argentine Regional Workers' Federation (FORA), and the historical newspaper La Protesta. During the 1920s, Argentina was led by the moderate left UCR Party, headed successively by Presidents Hipólito Yrigoyen and Marcelo Torcuato de Alvear.[citation needed]
An anarchist, Di Giovanni had nothing but contempt for the UCR, which he saw as a pale reflection of more right-wing and fascist elements in Argentine politics. Severino Di Giovanni's first direct action took place on 6 June 1925, during the celebration of the 25th anniversary of Victor Emmanuel III's accession to the Italian throne, which took place at the Teatro Colón. President Alvear, his wife, opera singer Regina Pacini, and Count Luigi Aldrovandi Marescotti, ambassador of Fascist Italy, were present at the act, as well as numerous Black shirts put in place by Marescotti to prevent any disorder. When the orchestra started the Italian hymn, Giovanni and his companions threw leaflets around, at the cries of "Assassins! thieves!" The Black shirts managed to overcome them, and hand them over to the police.

Culmine, Sacco and Vanzetti, and Propaganda of the Deed

After being quickly released, Di Giovanni took part in international protests against the arrest and trial of Sacco and Vanzetti, members of the Galleanist anarchist group, who were accused of a robbery and murder of two payroll guards. At the time, Di Giovanni was in Argentina one of the most active anarchists in Argentina defending the two Italian immigrants, writing in various newspapers, including his own, founded in August 1925 and titled Culmine, and in the New York publication L' Adunata dei refrattari. Culmine advocated direct action and propaganda of the deed. Di Giovanni worked at it at nighttime, supporting his activism and family by working in factories and as a typesetter. He summarized Culmine's objectives:
  • To spread anarchist ideals among Italian workers;
  • To fight the propaganda of pseudo-revolutionary political parties, which use fake anti-fascism as a tool for winning political elections;
  • To start anarchist agitation among Italian workers and keep anti-fascism alive;
  • To interest Italian workers in Argentina in protest and expropriation;
  • To establish an intense and active collaboration between anarchist groups, isolated partners and the regional anarchist movement.
On 16 May 1926, several hours after Sacco and Vanzetti's death sentence was announced, Di Giovanni bombed the U.S. embassy in Buenos Aires, destroying the front of the building. The following day, President Alvear ordered several police searches of those suspected in the attack, and the police requested assistance from the Italian embassy in order to identify suspects. The embassy immediately named Giovanni, who had disturbed the celebrations of the Teatro Colón. He was soon arrested by the police and tortured for 5 days, but would not provide information. Di Giovanni was released for lack of evidence.
Meanwhile, in Massachusetts, the defense counsel for Sacco and Vanzetti managed to postpone their executions until 23 August 1927. A movement in support of the Galleanist anarchists continued to agitate for their pardon and release. On 21 July 1927, the U.S. embassy published an article in the conservative newspaper La Nación, which described the two Italian anarchists as common-law delinquents. On the following day, Di Giovanni and two of his anarchist comrades, Alejandro and Paulino Scarfó, blew up a statue of George Washington in Palermo, Buenos Aires, and several hours later, exploded a bomb at the Ford Motor Company. Confronted with evidence of anarchist involvement in the bombings, on 15 August 1927, Eduardo Santiago, the Federal Police officer in charge of the investigation, claimed that everything was under control and that no anarchist in the world would defeat him. On the following day, Santiago barely escaped from the bombing of his house by Di Giovanni and his group, having gone to buy cigarettes a few minutes before.
On 23 August 1927, Sacco and Vanzetti were executed; in response, a 24-hour general strike was proclaimed in Buenos Aires, as well as many other capitals of the world. Several days after the executions, Di Giovanni received a letter from Sacco's widow, which thanked him for his work, and informing him that the director of the tobacco firm Combinados had proposed her a contract to produce a cigarette brand named "Sacco & Vanzetti". On 26 November 1927, Di Giovanni and his comrades duly bombed Bernardo Gurevich's tobacco shop Combinados on Rivadavia 2279. Di Giovanni and his comrades continued their anti-U.S. campaign of terror. The headquarters of Citibank and the Bank of Boston were severely damaged in a bombing on 24 December 1927, killing two people and injuring twenty-three others.
At the beginning of 1928, the Italian liberal newspaper from Buenos Aires, L'Italia del Popolo, denounced the Italian consul, Italo Capil, as an informer and supporter of fascist elements in the Federal Police. Upon being told that the consul would visit the new consulate, along with the new ambassador, Giovanni and the Scarfó brothers bombed the Italian consulate on 23 May 1928, killing nine people and injuring 34 others. At the time, the Italian consulate bombing was the deadliest bombing ever to take place in Argentina. Opponents of the Italian fascist government claimed derisively that the funerals of the consular employees were performed in accordance with the "fascist funeral rite", in the presence of the ambassador, the state delegate of Italian fascists in Argentina (Romualdo Matarelli), President Alvear (and his wife, Regina), and General Agustín P. Justo. On the same day, Di Giovanni attempted to bomb Benjamín Mastronardi's pharmacy, in La Boca. Mastronardi was the president of the Fascist Committee of La Boca. The bomb was deactivated by Mastronardi's son.
Giovanni's penchant for 'propaganda by the deed' triggered fierce debates inside the anarchist community; some anarchist leaders argued that Di Giovanni's actions were counterproductive, and could only result in a military coup and a victory for fascist forces. Anarchist journals such as La Antorcha and La Protesta criticized Di Giovanni's methods of direct action and indiscriminate violence. La Protesta, edited by a fierce opponent of Di Giovanni, the anarcho-syndicalist Diego Abad de Santillán, took an openly anti-Di Giovanni line, which hardened as the bombings got more indiscriminate. La Antorcha was more ambiguous in its criticism. Neither paper pleased Di Giovanni, and both were denounced by Culmine. The war of words escalated. On 25 October 1929 someone assassinated Emilio López Arango, an editor of La Protesta. At first a group of bakers who were members of the same union as Arango were suspected of the killing but were never charged with the crime. Di Giovanni and his group were reportedly the prime suspects in the assassination.
La Protesta immediately denounced the bombing of the Italian consulate. The criticism had no effect. Three days after the Italian consulate bombing, Di Giovanni struck again in Caballito, bombing the home of Cesare Afeltra, a member of Mussolini's secret police. Alfeltra was accused by Italian anarchist exiles of having practiced torture on members of various radical anarchist and anti-fascist groups in Italy. U.S. President-elect Herbert Hoover visited Argentina in December 1928. Di Giovanni wanted to bomb Hoover's train in revenge for the execution of Sacco and Vanzetti, but the bomber, Alejandro Scarfó, was detained shortly before installing the explosives on the rails.
This debacle led Di Giovanni to suspend his bombing campaign; he focused instead on his journal Culmine. In 1929, he wrote:
Spending monotonous hours among the common people, the resigned ones, the collaborators, the conformists – isn't living; it's a vegetative existence, simply the transport, in ambulatory form, of a mass of flesh and bones. Life needs the exquisite and sublime experience of rebellion in action as well as thought.
Following the September 1930 military coup, which overthrew Hipólito Yrigoyen, replaced by General José Félix Uriburu and Agustín P. Justo, Giovanni made plans to free his comrade Alejandro Scarfó from prison. Needing funds in order to bribe the prison guards, he assaulted Obras Sanitarias de la Nación on 2 October 1930, achieving the most important robbery until then in Argentina, taking with him 286,000 pesos. However, the planned breakout never took place, and Scarfó remained in prison.

Capture and execution

In 1927, Giovanni left his wife, and commenced an affair with América Josefina ("Fina") Scarfó, the 15-year-old sister of the Scarfó brothers, Alejandro and Paulino. Fina had married anarchist Silvio Astolfi to remain with Giovanni, but was promptly cut off from all contact with her family. At the beginning of the Infamous Decade initiated by the military coup, Di Giovanni passed long periods of his time in reclusion, working on Elisée Reclus's complete works. The police attempted to arrest him at a printing shop, but Di Giovanni managed to escape during a gun battle in which one policeman was killed and another injured. In January 1931, Di Giovanni was arrested after being seriously injured in yet another gun battle, along with Fina and Paulino Scarfó. Two other anarchists were killed in the firefight. Di Giovanni announced that the 300 chickens found in their house were to be given to the poor of Burzaco.
The military junta publicized the arrests as a victory of the new regime, and immediately organized a military tribunal. Di Giovanni was ably defended by his appointed defense counsel, Lieutenant Juan Carlos Franco, who spoke out in favor of the independence of the judicial system, and alleged that Di Giovanni had been tortured by the police. Lt. Franco's spirited defense of his client caused his own arrest after the trial; he was later dismissed from the ranks of the armed forces and briefly imprisoned before his deportation from Argentina. It was to no avail; the evidence against Di Giovanni was overwhelming. Both he and Paulino Scarfó were sentenced to death; Fina, being underage, was freed.
Severino Di Giovanni was executed by firing squad on 1 February 1931; he was 29 years old. He shouted "Evviva l'Anarchia!" (Long live Anarchy!), before being hit by at least eight 7.65 mm Mauser rifle bullets. After exchanging a final farewell, Paulino Scarfó was also executed few hours later. Di Giovanni's body was to be buried secretly, on orders of the Interior Minister Matías Sánchez Sorondo, in La Chacarita. However, on the following day his grave was anonymously decorated with flowers.

Postscript

After Di Giovanni's execution, Fina abandoned her husband Silvio Astolfi, and eventually remarried, settling down to a quiet life in Buenos Aires. After serving a lengthy prison term, Astolfi returned to Europe and carried on with his antifascist activity: he was later killed during the civil war in Spain. On 28 July 1999, Fina Scarfó obtained the love letters which Di Giovanni had sent to her from prison decades earlier, but which had been seized by the police.
Fina died on 19 August 2006, at age 93. Teresa Masciulli, Di Giovanni's widow, remarried, and Di Giovanni's children changed their names. Alejandro Scarfó, after serving a term of imprisonment for the attempted assassination of President Hoover, was released from prison in 1935. Abandoned by his relatives and even his fiancée, he vanished into obscurity, embittered and resentful.


Severino Di Giovanni (Chieti, Italia, 17 de marzo de 1901 – Buenos Aires, Argentina, 1 de febrero de 1931) fue un periodista, obrero y poeta​ anarquista italiano, emigrado a la Argentina, donde se convirtió en la más conocida de las figuras anarquistas individualistas de su tiempo por su campaña en apoyo de Sacco y Vanzetti y su lucha contra el fascismo.

Infancia y juventud en Italia

Nació el 17 de marzo de 1901 en Chieti, en la región italiana de los Abruzos, a 180 kilómetros del este de Roma. Durante su infancia se vio fuertemente impactado por las imágenes de posguerra: hambre, pobreza y soldados mendigando en las calles. Severino empezó a rebelarse desde pequeño contra cualquier tipo de autoridad. Comenzó estudios para ser maestro y pronto comenzó a enseñar, antes de graduarse, en una escuela de su pueblo. Autodidacta, aprendió el oficio de tipógrafo mientras en su tiempo libre leía a Bakunin, Malatesta, Proudhon, Kropotkin y Élisée Reclus.
A la edad de diecinueve años quedó huérfano y en 1921 -a los veinte años- se entregó por entero a la militancia anarquista. En 1922, el mismo año en que los Camisas Negras de Benito Mussolini tomaban el poder tras la Marcha sobre Roma, se casó con su prima Teresa Masciulli, una muchacha de Chieti. El fascismo se impuso en Italia y la censura y las persecuciones a los anarquistas decidieron a la pareja a exiliarse con su familia a la Argentina. Severino y Teresa tuvieron tres hijos.

Exilio y vida en Argentina

Llegó a la Argentina y se estableció en la localidad de Morón, Provincia de Buenos Aires desde donde viajaba diariamente a la ciudad de Buenos Aires para trabajar como obrero tipógrafo.​ La Argentina de la década de 1920 era gobernada por el moderado partido radical, durante las sucesivas presidencias de Hipólito Yrigoyen (1916-1922 y 1928-1930) y Marcelo T. de Alvear (1922-1928). Fue ese el período de la última gran oleada de inmigrantes italianos. A ellos dirigiría Severino la mayor parte de su propaganda política y escritos, principalmente a través de su periódico más célebre, Culmine, que escribía durante las noches. Fue un momento propicio, ya que muchos otros anarquistas italianos se organizaban en Argentina, siendo el país sudamericano donde las ideas libertarias más se propagaron.
Conoce en Buenos Aires a Paulino Scarfó un anarquista argentino de ascendencia italiana y su hermana también anarquista, además de feminista América Scarfó a sus 14 años quien sería su compañera sentimental toda su vida.
La posición de Di Giovanni era cercana al grupo más radical del anarquismo en la Argentina, nucleado alrededor de los sindicatos autónomos y el periódico La Antorcha que dirigían Rodolfo González Pacheco y Teodoro Antillí, opuesto al sector "moderado" que representaban la FORA y el periódico La Protesta que dirigían Emilio López Arango - a quien se cree que asesinó - y Diego Abad de Santillán.
Su primera actuación pública resonante tuvo lugar el 6 de junio de 1925, cuando en Teatro Colón se realizaba una función especial en celebración del 25º aniversario del acceso al trono de Italia de Vittorio Emanuele III, con la presencia del presidente Alvear y el embajador fascista , conde Luigi Aldrovandi Marescotti. Un grupo de militantes anarquistas entre los que se hallaba Di Giovanni interrumpió la función arrojando volantes y gritando "¡Asesinos, ladrones!" a los dignatarios italianos. El incidente terminó en una trifulca con los "Camisas Negras" que escoltaban al embajador, y el encarcelamiento de Severino y sus compañeros.
Di Giovanni también participa y protesta en actos en solidaridad por el arresto y ejecución de Sacco y Vanzetti en 1927. Gran parte de su estadía en Argentina la pasó prófugo, debiendo mudarse continuamente de un lugar a otro del país con su familia para evitar ser apresado.

Culmine

Periódico anarquista. Lo comenzó en agosto de 1925. Así sintetizaba Di Giovanni el objetivo de 'Culmine':
  • Difundir las ideas anarquistas entre los trabajadores italianos
  • Contrarrestar la propaganda de los partidos políticos seudorevolucionarios, que hacen del antifascismo una especulación para sus futuras conquistas por sufragio.
  • Iniciar en el medio de los trabajadores italianos agitaciones de carácter exclusivamente libertario para mantener vivo el espíritu de aversión al fascismo.
  • Interesar a los trabajadores italianos en todas las agitaciones proletarias de Argentina.
  • Establecer una intensa y activa colaboración entre los grupos anarquistas italianos, los compañeros aislados y el movimiento anarquista regional.

Acción y bombas

Di Giovanni no se quedó en la teoría y los panfletos y no fueron sus escritos los que lo volvieron famoso sino su accionar violento. Él creía que era necesaria la 'revolución violenta' como se puede comprobar en este extracto del último mensaje que escribió en su celda pocas horas antes de ser ejecutado:
[...]No busqué afirmación social, ni una vida acomodada, ni tampoco una vida tranquila. Para mí elegi la lucha. Vivir en monotonía las horas mohosas de lo adocenado, de los resignados, de los acomodados, de las conveniencias, no es vivir , es solamente vegetar y transportar en forma ambulante una masa de carne y de huesos. A la vida es necesario brindarle la elevación exquisita, la rebelión del brazo y de la mente. Enfrenté a la sociedad con sus mismas armas, sin inclinar la cabeza, por eso me consideran, y soy, un hombre peligroso.
Dentro de los atentados asociados a él, se encuentran: la voladura de la embajada de EE.UU. en Argentina (como consecuencia del asesinato de Sacco y Vanzetti), la voladura del "City Bank" en el centro porteño, y la voladura del consulado italiano en Buenos Aires (donde se hallaban reunidos los mejores hombres de Mussolini en Argentina) donde murieron siete fascistas, lo que provocó gran parte de la antipatía del resto de los grupos anarquistas y su condena en los periódicos. También participó en robos e hirió severamente a un policía desfigurándolo de un tiro en la cara. El mayor robo del que participó fue a un camión pagador por 286.000 pesos, lo que le permitió realizar su sueño de abrir su propia imprenta.

Captura y muerte

En su último panfleto Di Giovannni escribió
Sepan Uriburu y su horda fusiladora que nuestras balas buscarán sus cuerpos. Sepa el comercio, la industria, la banca, los terratenientes y hacendados que sus vidas y posesiones serán quemadas y destruidas.
Esa fue la gota que colmó el vaso. A las pocas horas de su detención se dictaminó su sentencia, pese a la encendida defensa que hizo el teniente Juan Carlos Franco, designado su defensor oficial.​ La defensa de Di Giovanni le costaría a Franco su baja del ejército, encarcelamiento y destierro. Severino fue fusilado el día siguiente, el primero de febrero de 1931.
Pocas horas antes de ser fusilado pide un café dulce desde su celda. Lo rechaza al probar el primer sorbo: "Pedí con mucha azúcar... No importa, será la próxima vez" dice con humor ácido. Muere fusilado al grito de Evviva l'Anarchia! (¡Viva la anarquía!). El escritor Roberto Arlt presenció la sentencia y escribió una redacción al respecto.
Su cuerpo está enterrado en el Cementerio de la Chacarita.

Severino Di Giovanni in court
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Severino di Giovanni in court

Citas

  • «No busqué afirmación social, ni una vida acomodada, ni tampoco una vida tranquila. Para mí elegí la lucha. Vivir en monotonía las horas mohosas de lo adocenado, de los resignados, de los acomodados, de las conveniencias, no es vivir , es solamente vegetar y transportar en forma ambulante una masa de carne y de huesos. A la vida es necesario brindarle la elevación exquisita del brazo y de la mente. Enfrenté a la sociedad con sus mismas armas, sin inclinar la cabeza, por eso me consideran, y soy, un hombre peligroso».
    • Severino Di Giovanni, en su celda, horas antes de ser ejecutado.
  • «Sepan Uriburu y su horda fusiladora que nuestras balas buscarán sus cuerpos. Sepa el comercio, la industria, la banca, los terratenientes y hacendados que sus vidas y posesiones serán quemadas y destruidas».
    • Panfleto escrito por Severino, durante la dictadura de José Félix Uriburu, días antes de ser capturado.
  • «Tú no puedes comprender mi tragedia. Verdadera tragedia de quien vive diariamente proscripto de la sociedad y vituperado por los anarquistas... ‘aceptables’. Solamente en contacto conmigo podrías comprenderme y justificar la ira, la actitud, la rebelión contra ciertos ‘anarquistas’. Y no vayas a creer que no amo al compañero, o que sea invadido por el pesimismo charlatán o el anticompañerismo —excúsame estas palabras ocasionales— porque te equivocarías en grande. Quien me conoce íntimamente puede saber de cuanto amor está acorazado mi espíritu. Y es este amor que hace cavar precipicios, el abismo, entre yo y el espía y el calumniador, y no otra cosa, porque sólo aquel que sabe amar tanto puede odiar tanto. Con el tiempo —le dice— mejor nos conoceremos y mejor nos comprenderemos y podrás evaluar así mis odios, mis gestos bruscos, las tempestades que se desencadenan en el corazón e impulsan el brazo y hace decidir la voluntad y la mente. Como sueño, a veces —en el ocio que me obliga la vida actual— con un mundo todo en armonía: cada tendencia basada en su propia iniciativa, sin jamás chocar, sin jamás humillarse, para ser más fuertes en el mañana cuando debamos correr todos hacia la gran batalla de la revolución. Pero son todos sueños».
    • Severino en carta a Hugo Treni.
  • «En la eterna lucha contra el Estado y sus puntales, el anarquista que siente en sí mismo todo el peso de su función y de su rebelión que emanan del ideal que profesa y de la concepción que tiene de la acción, no puede muchas veces prever que la avalancha que dentro de poco hará rodar por la ladera deberá necesariamente embestir el codo del vecino que está abstraído en la contemplación de las estrellas, o pisar el callo de otro que se obstina en no moverse, venga lo que venga en torno a él. Es lo inevitable de la lucha, que el anarquista no busca adrede, por puro gusto, pero que por un cúmulo de casualidades se atraviesa en su camino y provoca la nota violenta. No valen para reparar lo inevitable las acostumbradas recriminaciones, las ‘diferencias’, las serenatas al llanto, las alambicaciones leguleyas, las maldiciones de siempre y los repudios: si en el camino debemos correr, no podemos hacerlo parados ni impedidos por un falso sentimentalismo improductivo sin obstaculizar aquello que se quiere conducir como meta de la enérgica rebelión».
    • Severino Di Giovanni, “El Terrorismo”.
  • «Así como los obreros sufren la tiranía económica de la clase capitalista, así las mujeres —en la costumbre y en la ley— son víctimas de la tiranía del sexo masculino. La liberación de aquéllos del yugo económico y de éstas del yugo sexual no podrá llegar a realizarse sino a través del esfuerzo colectivo de todos los explotados por la sociedad. Así como la liberación de los trabajadores no podrá ser sino a través de ellos mismos —de acuerdo al dictamen de la Internacional— así la liberación de la mujer será siempre una afirmación vacía si la mujer no la emprende por sí misma».
    • Frase de Pietro Gori, reproducida en uno de sus discursos, atribuída a Severino Di Giovanni, pues el la redactó en su periódico Cúlmine.

Otras citas sobre Severino Di Giovanni

  • «Siempre he pensado que, así como no nace el hombre que escape a su destino, no debiera nacer quien no tenga una causa por la cual luchar, justificando su paso por la vida. Di Giovanni fue un idealista, equivocado o no, y es respetable para los que luchamos por una causa que tampoco podemos saber si es la verdad».
    • Opinión de Juan Domingo Perón sobre Severino Di Giovanni. 

Camino a la muerte

  • «El condenado camina como un pato. Los pies aherrojados con una barra de hierro a las esposas que amarran las manos. Atraviesa la franja de adoquinado rústico. Algunos espectadores se ríen. ¿Zoncera? ¿Nerviosidad? ¡Quién sabe! El reo se sienta reposadamente en el banquillo. Apoya la espalda y saca pecho. Mira arriba. Luego se inclina y parece, con las manos abandonadas entre las rodillas abiertas, un hombre que cuida el fuego mientras se calienta agua para tomar el mate. Permanece así cuatro segundos. Un suboficial le cruza una soga al pecho, para que cuando los proyectiles lo maten no ruede por tierra. Di Giovanni gira la cabeza de derecha a izquierda y se deja amarrar. Ha formado el blanco pelotón fusilero. El suboficial quiere vendar al condenado. Éste grita: “Venda no”.
Mira tiesamente a los ejecutores. Emana voluntad. Si sufre o no, es un secreto. Pero permanece así, tieso, orgulloso. Di Giovanni permanece recto, apoyada la espalda en el respaldar. Sobre su cabeza, en una franja de muralla gris, se mueven piernas de soldados. Saca pecho. ¿Será para recibir las balas?
Pelotón, firme. Apunten.
La voz del reo estalla metálica, vibrante:
— ¡Viva la anarquía!
¡Fuego!
Resplandor subitáneo. Un cuerpo recio se ha convertido en una doblada lámina de papel. Las balas rompen la soga. El cuerpo cae de cabeza y queda en el pasto verde con las manos tocando las rodillas. Fogonazo del tiro de gracia.
Las balas han escrito la última palabra en el cuerpo del reo. El rostro permanece sereno. Pálido. Los ojos entreabiertos. Un herrero martillea a los pies del cadáver. Quita los remaches del grillete y de la barra de hierro. Un médico lo observa. Certifica que el condenado ha muerto. Un señor, que ha venido de frac y con zapatos de baile, se retira con la galera en la coronilla. Parece que saliera del cabaret. Otro dice una mala palabra.
Veo cuatro muchachos pálidos como muertos y desfigurados que se muerden los labios; son: Gauna, de La Razón, Álvarez, de Última Hora, Enrique González Tuñón, de Crítica y Gómez de El Mundo. Yo estoy como borracho. Pienso en los que se reían. Pienso que a la entrada de la Penitenciaría debería ponerse un cartel que rezara:
— Está prohibido reírse.
— Está prohibido concurrir con zapatos de baile».
  • Roberto Arlt presencia y narra la ejecución de Severino Di Giovanni.

América Scarfó, Fina, posing for Severino Di Giovanni at San Isidro, 1930
Severino Di Giovanni - Bayer, Osvaldo: Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia. Grafica Yanina, 1989. ISBN 9506001294
América Scarfó, aka Fina, posing for Severino Di Giovanni at San Isidro, north of Buenos Aires.


Anarchici italiani in Argentina: Severino Di Giovanni, l'uomo in camicia ...

www.unive.it/media/allegato/dep/n_1speciale/06_Cattarulla.pdf
by C Cattarulla - ‎Cited by 4 - ‎Related articles
Anarchici italiani in Argentina: Severino Di Giovanni, l'uomo in camicia di seta di. Camilla Cattarulla*. Abstract: Severino Di Giovanni (Chieti 1901 - Buenos Aires 1931) was one of the anarchists in Argentina most famous in the 1920s for his violent revolts against public and private institutions. Executed by firing squad on ...
 

Distruggiamo Cartagine! La Cartagine moderna, quella dei ricchi, dei preti e dei militari! Questo deve essere il grido dei ribelli e il motto della rivoluzione sociale. Distruggiamo i tartufi! Distruggiamo il covo dei tiranni!
Severino Di Giovanni, 1929

 

Severino

Quinteto Negro La Boca
 
Si tratta di una milonga in memoria di un anarchico, l’italiano Severino Di Giovanni, un tipografo emigrato dall’Abruzzo in Argentina che alla fine degli anni 20 a Buenos Aires fu artefice di una lunga scia di sangue nella sua quasi personale guerra contro il sistema di sfruttamento capitalistico, contro il terrorismo di Stato e contro i simboli del fascismo italiano oltreoceano. Catturato il 29 gennaio del 1931, fu fucilato il 1 febbraio seguente, dopo un processo sommario di fronte ad un tribunale speciale miltare (il tenente che fu incaricato della difesa e che ci provò per davvero fu in seguito degradato ed espulso dall’esercito…).

Severino Di Giovanni dopo la cattura
Severino Di Giovanni dopo la cattura



Su Severino Di Giovanni nel 1970 Osvaldo Bayer, storico e scrittore e giornalista anarchico argentino, ha scritto anche un saggio, più volte ripubblicato, intitolato “Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia”, dal quale sono in gran parte tratte le notizie che possono leggersi su questa pagina de La Cueva Tango Club.
Si veda anche Éste y aquél, sempre di Osvaldo Bayer, dedicata all’anarchico Simón Radowitzky.

Nella sua battaglia a colpi di rapine, di bombe (che fecero parecchie vittime innocenti) e di controinformazione libertaria, Severino Di Giovanni non fece che mettere in pratica quanto dichiarato alcuni decenni prima da un altro anarchico bombarolo, il francese Émile Henry, prima di offrire il collo alla ghigliottina: “Nella guerra da noi dichiarata alla borghesia non chiediamo pietà. Diamo la morte e sappiamo subirla. Per questo attendo con indifferenza il vostro verdetto. So che la mia testa non sarà l'ultima che taglierete. Aggiungerete altri morti alla lista sanguinosa dei nostri morti. Impiccati a Chicago, decapitati in Germania, garrotati a Xerès, fucilati a Barcellona, ghigliottinati a Montbrison e a Parigi, i nostri morti sono numerosi; ma voi non siete riusciti a distruggere l'anarchia. Le sue radici sono profonde. Essa è nata nel seno di una società putrefatta e vicina alla sua fine; essa è una violenta reazione all'ordine stabilito; essa rappresenta le aspirazioni di uguaglianza e libertà che distruggono l'attuale autoritarismo. Essa è dovunque. Questo la rende indomabile, per questo finirà coll'uccidervi”.

 
Severino, Severino aquel héroe ya olvidado.
Fueron los milicos que te fusilaron
Severino, Severino el pueblo lloró tu muerte.
en los años treinta sobre aquel amanecer
(en los años treinta… sobre aquel amanecer)

Severino, con tu lucha hasta la muerte
Muy enamorado de tu América,
la bella muchacha,
Muchachita que siempre esperó y seguirá esperando.
Severino, libertario… dinamita y corazón.
En los años treinta… sobre aquel amanecer
En los años treinta… siempre te verán volver

Severino con tus libros y con tu palabra impresa
con todas las armas luchaste por un ideal
y caíste ante el tirano defensor de aquel sistema
En los años treinta sobre aquel amanecer,
En los años treinta… siempre te verán volver

En los años treinta sobre aquel amanecer,
En los años treinta… siempre te verán volver
 
 
 
 
 
 

Severino Di Giovanni (Documental argentino de Canal 2) - YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=W7WWdFfy6do
Apr 4, 2014 - Uploaded by RaroVHS (Canal 2)
http://rarovhsvideos.blogspot.com.ar/ Incluye publicidades de la época.

Severino Di Giovanni. Bio.Ar (1/3) - YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=w26DxkheYPU
Nov 18, 2009 - Uploaded by sexpistolsliveee
Documental realizado y emitido por el canal Encuentro de Argentina. El film relata los sucesos más importante ...

Severino Di Giovanni - YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=DpfGVoyXzl8
Nov 20, 2016 - Uploaded by Mariano Fain
Severino Di Giovanni (Documental argentino de Canal 2) - Duration: 59:17. RaroVHS (Canal 2) 5,979 ...
Feb 1, 2016 - Uploaded by Leandro Turco
Pequeño extracto sobre Severino Di Giovanni por Osvaldo Bayer, en los cuentos del timonel. Donde Osvaldo ...

Severino Di Giovanni. Bio.Ar (2/3) - YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=2T_bEZ9g5n0
Nov 18, 2009 - Uploaded by sexpistolsliveee
Documental realizado y emitido por el canal Encuentro de Argentina. El film relata los sucesos más importante ...

Severino di Giovanni - Sig Ragga en Vivo Emergente HD - YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=fdp0N2cG9eU
Jun 21, 2015 - Uploaded by 3bvn
Severino di Giovanni - Sig Ragga En vivo desde el Festival Ciudad Emergente 8va edición 20/06/2015.

Biografía de Severino Di Giovanni - YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=mBJ5_l5HC6Q
Nov 20, 2011 - Uploaded by Catalocu
Realización: Federico Orlandi Locución: Sergio Catalogna http://www.multilocutor.com.ar.

Severino Di Giovanni. Bio.Ar (3/3) - YouTube

https://www.youtube.com/watch?v=Bj69tQMR1NA
Nov 18, 2009 - Uploaded by sexpistolsliveee
Documental realizado y emitido por el canal Encuentro de Argentina. El film relata los sucesos más importante ...
Jul 4, 2011 - Uploaded by Malhaya Damian
http://musicaypeliculasacratas.blogspot.com.ar/2012/01/gabriel-sequeira-discografia.html.
Sep 9, 2012 - Uploaded by CielodeOctubre
Obra de teatro en el CENTRO CULTURAL ROSA LUXEMBURGO, sobre la vida del anarquista italiano ...

             
America Josefa Scarfò (Buenos Aires 1913 - ivi 26 agosto 2006) figlia di Pietro originario di Portigliola e di Caterina Romano di Tropea
e Severino Di Giovanni (Chieti 17 marzo 1901 - Buenos Aires 1° febbraio 1931)

ULTIMO TANGO A BUENOS AIRES

di Antonio Orlando



Gli Scarfò sono una grande famiglia calabrese: padre, madre e ben otto figli, tra cui America Josefa, che tutti chiamano “Fina”; una ragazza di quindici anni, studentessa delle Scuole Magistrali, che diventa subito, è un colpo di fulmine, il grande amore di Severino. Fina è bella, giovane ed è irresistibilmente attratta da quest’uomo dai modi raffinati e dall’eloquenza fluente, che sa accendere in lei una passione sconosciuta e fortissima. Saranno tre anni di amore ardente fatto di lettere appassionate, di appuntamenti davanti alla scuola di lei, come un qualsiasi adolescente alla sua prima cotta, di lunghi silenzi e di baci furtivi. Severino non vuole assolutamente che la loro relazione sia conosciuta. I fratelli di Fina non lo sapranno mai o faranno finta di non sapere; Teresina, donna semplice, non si accorgerà mai di niente ed i due amanti non daranno mai luogo al benché minimo sospetto. Le lettere di Severino rivelano un animo poetico insospettato in una persona così fredda, così determinata, così violenta. L’ideale anarchico, che per lui trascende qualsiasi vicenda umana, trova in questo amore disperato un lenimento, ma, al tempo stesso, proprio perché si tratta di una passione senza sbocchi, la sua azione politica si attorciglia in una spirale di violenza e di morte che lo conduce prima all’isolamento totale e poi verso una sorta di paranoia ossessiva.
Per tre anni Severino vive col tempo contato, senza un attimo di respiro, e combatte una guerra totale contro tutti, compresi i suoi amici anarchici, che da lui, a poco a poco, prendono le distanze. Due attentati, con parecchi morti e feriti, segnano una svolta nei rapporti con il movimento anarchico. Il primo è quello al Consolato italiano. L’intenzione di Severino è di portare la bomba fin dentro la stanza del console, chiuderlo dentro e lasciare che esploda. Per una serie di tragicomiche circostanze, dopo due tentativi falliti, la bomba viene lasciata nell’atrio del Consolato, perchè, pare, che di lì a poco il console dovesse uscire. Invece l’ordigno esplode tra le centinaia di persone che stanno facendo la fila per ottenere il visto di entrata in Italia: nove morti e 34 feriti. Il secondo attentato avviene la vigilia di Natale del 1927. Una valigetta viene depositata nella sede della National City Bank. Nel clima euforico delle feste, le impiegate stanno acquistando da un commesso delle calze di seta, non si accorgono di quella valigetta nera, lasciata sotto una sedia da un cliente vestito di nero: due morti e 23 feriti. I giornali anarchici si scagliano contro le belve sanguinarie che, in nome dell’anarchia, seminano solo lutti; perfino La Anthorcha, pur tra mille contorcimenti, condanna gli attentati indiscriminati e che colpiscono persone innocenti ed estranee. Solo Aldo Aguzzi difende Severino e i gruppi terroristici e parla di risposta sbagliata al terrorismo di Stato. Di Giovanni ribatte alle accuse colpo su colpo, scrive articoli deliranti su Culmine, interviene su L’Antorcha, scrive a L’Adunata dei refrattari pretendendo la nomina di una specie di Gran Giurì dell’Anarchismo mondiale che giudichi le sue azioni. Da New York i patriarchi del movimento anarchico Luigi Fabbri e Vincenzo Capuana gli danno ragione. Sentendosi quasi autorizzato da questa singolare “sentenza”, Severino compie di seguito un attentato alla cattedrale, un morto; colloca, insieme con Buenaventura Durruti, una bomba su una nave attraccata nel porto ed il cui equipaggio era in sciopero; rapina il Banco de Avellaneda, la Centrale degli autobus, il furgone della ditta Kloekner, che portava le paghe dei dipendenti e la sede degli Acquedotti comunali.
Maria Teresa Santini, moglie di Severino Di Giovanni, con i figli
 L’azione che, però, lo perde definitivamente è l’uccisione di Emilio Lopez Arango, anarchico, nuovo direttore de La protesta. Nessuno degli anarchici può perdonargli questo fratricidio; da quel momento, fine gennaio del 1930, Di Giovanni è veramente solo, anche perchè Alejandro Scarfò è stato arrestato ed altri tre della sua banda hanno perso la vita negli scontri a fuoco avvenuti durante le rapine. Gli resta soltanto il fedelissimo Paulino e l’immenso amore di Fina. Progetta, perciò, di far evadere, colt alla mano, Alejandro e poi di fuggire con Fina ed i suoi fratelli in Francia. L’assalto al furgone di polizia in cui dovrebbe esserci il suo carissimo amico riesce, ma il furgone è pieno solo di prostitute. Alejandro è rinchiuso in una delle prigioni più fortificate ed inaccessibili dell’Argentina, il manicomio criminale di Vieytes. Severino non è uomo che si arrende facilmente. La liberazione di Alejandro diventa il suo unico obiettivo e per fare questo si procura altro denaro rapinando, nel settembre del 1930, l’Opera Sanitaria Italiana. Con quei soldi affitta una villetta, con annesso un orto, nella zona di Belgrano e ci va a vivere insieme con Paulino, Fina, Jorge Tamayo Gavilan, l’uomo che è felice solo quando può giocarsi la vita e Silvio Astolfi. Ha un progetto complicato: liberare Alejandro, fuggire in Uruguaj e da lì imbarcarsi per la Francia e far espatriare Fina, facendola sposare ad Astolfi, che ha conservato la cittadinanza italiana. Nello stesso tempo non rinuncia alla sua attività di tipografo-editore e prepara un’edizione, elegante e raffinata, con tiratura limitata in due volumi, degli scritti di Eliseo Reclus, il suo autore preferito. Per preparare l’evasione il gruppetto di anarchici dispiega una vasta azione terroristica, basti pensare che in un solo giorno, fanno esplodere tre bombe in tre posti diversi della capitale, facendo quattro morti. Severino vuole creare un clima di inquietudine ed esasperazione per far si che l’attenzione della polizia si concentri sull’ordine pubblico e si pensi ad una cospirazione anarchica di vaste proporzioni. In tal modo crede di sviare l’interesse verso gli anarchici in carcere.
 
America 'Fina' Scarfò in una foto scattata da Severino Di Giovanni
Nel pomeriggio del 30 gennaio 1931 si reca in tipografia per correggere le bozze definitive del secondo volume degli scritti di Reclus. E’ un’imprudenza perché la polizia ha compiuto diverse retate ed ha arrestato, tra gli altri, parecchi tipografi di origine italiana, praticamente tutte le tipografie di Buenos Aires sono sotto controllo. All’uscita dalla tipografia due poliziotti in borghese gli intimano: “Fermati Di Giovanni, sei in arresto”. Severino scappa tra i vicoli del centro e spara contro gli inseguitori. Più di venti poliziotti tentano di bloccarlo; sparano tutti; tra i due fuochi viene colpita a morte una bambina. Severino si ritrova all’improvviso, in un vicolo, un agente, senza esitare spara e lo abbatte poi corre a rifugiarsi in un hotel. Ai clienti dell’albergo che vedendolo cominciano a urlare, dice: “non vi spaventate, non vi faccio niente”. In quel momento irrompe la polizia che spara all’impazzata, Severino, senza scomporsi, risponde ed uccide un secondo poliziotto poi imbocca l’ascensore e cerca di svicolare dal tetto. Riesce, passando attraverso alcune terrazze, a scendere in un garage, ma lì ci sono i poliziotti ad attenderlo e gli scaricano addosso più di cento colpi. Sentendosi perduto, appoggia la pistola al petto e si spara un colpo, la ferita non è mortale e gli fa solo perdere i sensi. Gli agenti lo bloccano e lo caricano su un’ambulanza che viene scortata da dieci pattuglie in motocicletta. In ospedale i chirurghi lo operano immediatamente, ma non è in pericolo di vita. Il Presidente della repubblica in persona ordina al Ministro degli interni, Matias Sanchez Sorondo, di trasferire subito Di Giovanni in un penitenziario e di costituire un tribunale militare per giudicarlo. Il gen. Medina viene, con decreto d’urgenza, nominato presidente della corte marziale. Nella notte Di Giovanni e Paulino Scarfò vengono giudicati e condannati a morte mediante fucilazione. Si verifica solo un imprevisto. Il ten. Juan Carlos Franco, nominato difensore d’ufficio, svolge il suo compito sul serio e tiene un’arringa difensiva che mette sotto accusa i metodi terroristici della polizia e l’uso strumentale che il governo vuole fare della vicenda Di Giovanni. Non appena il ten. Franco finisce di parlare, la pubblica accusa chiede il suo arresto immediato e propone la degradazione e l’espulsione dall’esercito. La Corte prima pronuncia la sentenza di condanna a morte per Severino e poi accontenta il pubblico ministero, aggiungendo anche l’espulsione dallo Stato per il ten. Franco, che viene esiliato a Montevideo.
Severino Di Giovanni in Tribunale
 Centinaia di persone si accalcano davanti alla prigione per cercare di vedere il famoso bandito; alcuni ministri, qualche attore famoso ed altre personalità chiedono di vedere da vicino “la belva sanguinaria”. Di Giovanni si rifiuta di vedere chiunque ed accetta solo la visita di Teresina e di Fina, che è venuta con la scusa di salutare il fratello. All’alba del 1 febbraio 1931 Severino di Giovanni viene condotto nel cortile del carcere Central per essere fucilato. Si racconta che chiese al sergente che comandava il plotone di poter esprimere un ultimo desiderio e questi pose subito mano al pacchetto delle sigarette. “Non voglio fumare, disse Severino, voglio un caffè. Dolce, mi raccomando”. Gli portarono una tazzina che riuscì a reggere a stento poichè i ferri gli serravano i polsi; bevve in maniera goffa quel caffe e restituendo la tazzina, rimproverò il sergente: “Avevo detto dolce, un caffè molto dolce; pazienza, sarà per la prossima volta” e s’avviò verso il cortile. Nessuno degli otto soldati, che componevano il plotone d’esecuzione, sbagliò. Paulino Scarfò fu fucilato un’ora dopo; non aveva ancora compiuto 21 anni.
 Severino Di Giovanni viene condotto alla fucilazione eseguita l'1 febbraio 1931
Dopo la fucilazione di Severino Di Giovanni e Paulino Scarfò, le attività del movimento degli anarchici espropriatori in Argentina, subirono un inevitabile blocco. Seguirono una serie di arresti e conseguenti processi con condanne pesantissime, mentre i pochi che riuscirono a scampare alla repressione si rifugiarono in Uruguaj o cercarono di ritornare in Europa. Queste due esecuzioni, per le quali non ci fu alcuna mobilitazione, come, invece, era successo appena tre anni prima per Sacco Vanzetti, indubbiamente chiusero una fase del movimento anarchico. Il destino di tutti che, a qualsiasi titolo, erano rimasti coinvolti in quella tragica vicenda restò segnato e, probabilmente, subì, nel bene e nel male, un’influenza determinante.
 Neppure dopo morto Severino ebbe pace. Fatto seppellire in fretta e furia e clandestinamente in un’anonima tomba dell’immenso cimitero della Chacarita, così grande che lo chiamano “la città dei morti”, già il giorno dopo, la polizia scopre che la tomba è ricoperta di rose rosse. Il ministro dell’ Interno ordina che venga riesumato il cadavere e buttato in una fossa comune e pure questa, per giorni e giorni, viene misteriosamente ornata di tantissime rose rosse. Poi, col passare del tempo, il ricordo si perde anche se, si dice, che, in realtà, Severino sia stato cremato e le sue ceneri sparse sul Rio della Plata. Probabilmente è una delle tante leggende fiorite sul suo nome.
Paulino Scarfò fucilato a Buenos Aires il 2 febbraio 1931
Anche a Paulino la polizia vorrebbe riservare lo stesso trattamento, ma la famiglia si oppone con decisione e la madre ottiene che questo suo figlio, morto appena ventenne, riposi finalmente in pace. La famiglia Scarfò fu, ovviamente, la più colpita. I legami con Fina furono troncati al punto che la nonna paterna non le rivolse più la parola e non perdonò mai quella nipote sciagurata. Tutta la famiglia si trasferì immediatamente in un quartiere nella parte opposta di Buenos Aires e il fratello maggiore, licenziato in tronco dalla ditta inglese in cui lavorava, fu costretto a cambiare mestiere. La madre di Fina, col passare degli anni perdonò la figlia, ma continuò a maledire quel diavolo biondo che gli aveva rubato tre figli. Si racconta, lo narra con poetica partecipazione Maria Luisa Magagnoli nel suo splendido romanzo Un caffè molto dolce, che la notte del processo a Paulino, la signora Scarfò uscì di casa e vagando per le strade semideserte, giunse nella centralissima e celebre Plaza de Mayo. Le venne di fronte la Casa Rosada, la residenza del Presidente, e decise, d’impulso, di tentare la carta estrema. Percorse in ginocchio, così come aveva visto fare alle sue ave calabresi (la Scarfò era nata a Tropea) quando impetravano una grazia dalla Madonna, l’intera piazza e poi, tra lo stupore delle guardie, salì, sempre in ginocchio, i gradini della dimora presidenziale. Per sua sfortuna il Presidente non c’era, era partito per una visita a Rosario e a Santa Fè, e non ricevette mai quella supplica di una madre cui stavano per uccidere un figlio ventenne, traviato da “un anarchico vestito di nero”. Paulino, sicuramente, avrebbe rifiutato la grazia, così come rifiutò di ricevere visite. Non volle vedere neppure sua madre, prima di essere fucilato. America Josephine, “Fina”, troncati i rapporti con la famiglia, abbandonato Silvio Astolfi, il marito di comodo, sposato per poter stare con Severino, completò gli studi e si laureò in Lettere, specializzandosi in Letteratura italiana, così come voleva il suo “amore biondo”. Si risposò con un intellettuale libertario e, dapprima, lavorò in una casa editrice e poi cominciò ad insegnare. Nel 1951, a vent’anni dalla tragedia, venne in Italia a visitare la terra dei suoi genitori; fu anche a Chieti, la città natale di Severino, ma non riuscì a trovare i suoi familiari. Oggi è un’elegante, raffinata signora di ottantatre anni, vive a Buenos Aires, appartata e riservata; ha sempre respinto, con fastidio, le miliardarie offerte dei produttori hollywoodiani che vogliono ricavare un film dalla sua vicenda. Alejandro Scarfò uscì dal carcere intorno al 1934-35. Una profonda amarezza caratterizzò sempre la sua esistenza; abbandonato dai familiari e, perfino, dalla fidanzata si perse nella vita grigia di tutti i giorni.
Silvio Astolfi
Silvio Astolfi, dopo aver scontato la dura condanna, tornò in Europa e continuò la sua attività antifascista; morì nella guerra di Spagna. Teserina Masculli, la moglie di Severino, si risposò con un connazionale che poi diventò giornalista. Dei figli non si hanno notizie; forse, incapaci di sopportare un’eredità così pesante, per volere anche della madre, cambiarono cognome.
 Il tenente Juan Carlos Franco, l’avvocato difensore d’ufficio di Severino nel processo, quello che volle fare il suo dovere, venne degradato, espulso dall’Esercito ed internato in un penitenziario militare. Nel marzo 1931 il ministro della guerra, gen. Francisco Medina, ordina che venga liberato ed espulso dalla Stato. Va in esilio ad Asuncion, in Paraguay, dove fa il giornalista. Nell’ottobre del 1932, grazie ad un indulto del nuovo presidente, rientra in patria, viene reintegrato nell’esercito e nel grado, ma viene inviato in un’oscura guarnigione di provincia. Muore, a soli 35 anni, nel febbraio del 1934, forse di febbri malariche.
Diego Abad de Santillan
Diego Abad de Santillan riuscì a rientrare in Spagna dove assunse importanti incarichi nella C.N.T. - Confederacion Nacional del Trabajo -, il potentissimo sindacato anarchico, fino a diventare segretario generale; assunse poi incarichi ministeriali nei governi repubblicani, durante la guerra civile. Dopo la sconfitta andò in esilio prima in Messico e poi di nuovo in Argentina. Scrisse parecchi libri sulla sua esperienza politica e anche sugli anarchici espropriatori. E’ morto nel 1970.
Aldo Aguzzi, l’anarchico italiano, direttore de L’Antorcha e di Critica, che sempre aveva difeso Di Giovanni, partecipò alla guerra di Spagna e rifugiatosi, dopo la sconfitta, di nuovo in Argentina, si suicidò nel 1941.
Nicola Recchi, secondo alcuni “il teorico”, ispiratore delle azioni degli anarchici espropriatori, fu arrestato nel gennaio del 1930 e sottoposto, durante gli interrogatori di polizia, a durissime torture. I suoi aguzzini si accanirono tanto sulle sue mani che, alla fine, dovettero amputargli la mano destra, ridotta ad un brandello di carne sanguinolenta. Si racconta che non gli sfuggì neppure un nome e che, ostinatamente, non ammise alcuno dei cinquanta capi d’imputazione a suo carico. Dopo una terribile esperienza carceraria, una volta liberato, visse nell’ombra, dimenticato da tutti e morì a Buenos Aires nel 1987.
Jorge Tamajo Gavilan, il cileno che si divertiva solo quando si giocava la vita, l’uomo destinato a diventare l’erede di Di Giovanni, fu ucciso, in circostanze rimaste oscure, nel luglio del 1931, durante un’irruzione della polizia nell’albergo in cui alloggiava. Dopo la morte del suo capo compì due rischiose rapine; nel corso della seconda uccise ben tre poliziotti. Per vendicare Severino, Gavilan organizzò ed eseguì, forse di persona, l’omicidio del maggiore Rosasco, il capo della polizia di Buenos Aires. Il 12 giugno 1931, riunito quel che resta della banda di Severino, Gavilan entra nel ristorante in cui sta cenando il magg. Rosasco, insieme ad altri notabili e alcuni politici. Il commando, che è formato da quattro uomini, ordina da mangiare, consuma il pasto e attende, con freddezza, che l’allegra tavolata termini a sua volta di mangiare. Quando il magg. Rosasco sta per gustare il dolce che ha ordinato, uno del gruppo, forse lo stesso Gavilan, si avvicina al tavolo e, con una lentezza esasperante, racconteranno i testimoni, estrae una “colt 45” e spara due precisi colpi sul maggiore. E’ l’estremo, terribile omaggio a Severino.
 
Miguel Arcangel Roscigna
Miguel Arcangel Roscigna, l’urugujano, l’amico fraterno di Severino, l’uomo che Osvaldo Bayer, storico argentino, giudica il più intelligente, il più preparato, il più coraggioso e, diremmo oggi, “il più politico” di tutti gli anarchici espropriatori, scompare misteriosamente nei primi giorni di gennaio del 1936. Il programma politico di Roscigna è quanto di più ambizioso e, al tempo stesso, sofisticato, l’anarchismo armato sia riuscito ad elaborare. Egli intende collegare tutti i gruppi anarchici sudamericani e stabilire un contatto stabile con gli anarchici europei, con gli spagnoli in particolare. Non è un caso che Buenaventura Durruti e Paco Ascasco, i due famosi capi anarchici catalani, siano, come dire, “di casa” in Argentina. Roscigna ritiene, che le azioni armate siano soltanto uno dei tanti strumenti illegali di lotta e, nella sua idealistica ingenuità, è convinto, tanto per fare un esempio, che spacciando denaro falso si possa abbattere il capitalismo perché lo si colpisce nel suo punto nevralgico. La scomparsa di Severino per lui è un colpo durissimo poiché gli viene a mancare il più convinto, il più determinato e il più audace dei compagni di lotta. Inseguito dalla polizia, che ora lo considera il nemico numero uno, fugge a Montevideo e qui viene arrestato nel 1933. Sconta, insieme con Andres Vazquez Paredes, un certo Paz e l’italiano Fernando Malvicini, quasi quattro anni di lavori forzati. La magistratura argentina chiese l’estradizione, che non venne, tuttavia, concessa. In tutta segretezza, però, le due polizie concordarono di eliminare per sempre questi pericolosi anarchici. Il patto prevede che i quattro anarchici verranno espulsi dall’ Uruguay come indesiderabili, ma verranno avviati, guarda caso, verso la frontiera con l’Argentina e qui saranno presi in consegna dal dr. Fernandez Bazan, nuovo capo della polizia di Buenos Aires. Il 31 dicembre 1935 i quattro, effettivamente, escono dal carcere e su un cellulare della polizia vengono portati verso la frontiera. Da questo momento, di loro, si perde ogni traccia. Secondo un’attendibile ricostruzione, vengono caricati su un aereo militare argentino e gettati, vivi, in volo, nelle acque del Rio della Plata. Con loro viene, in pratica, inaugurata una tecnica di eliminazione degli avversari politici, che, in tempi recentissimi, gli aguzzini del gen. Videla provvederanno ad applicare in maniera sistematica e massiccia.
America Scarfò novantenne
Con Roscigna si chiude definitivamente l’epopea tragica dell’anarchismo espropriatore. “Non possiamo difenderli”, diceva Diego Abad de Santillan, ma non possiamo neppure ignorarli e parlarne oggi non significa, necessariamente, né esaltare le loro gesta criminali, né esorcizzarli quasi si trattasse dell’incarnazione del demonio. Del resto Severino Di Giovanni e tutti gli altri non sono mai diventati eroi e neppure un mito, sia pur negativo. A Severino gli argentini hanno sempre preferito Carlos Gardel, l’immortale re del tango e, in seguito, l’eterea Evita, Eva Duarte Peron, la madonna dei descamisados. “L’anarchico vestito di nero”, “il bandito gentiluomo”, “l’eversione venuta da lontano”, “l’idealista della violenza” era troppo italiano per gli argentini ed è troppo argentino per noi italiani. La storia gli ha dato torto, che almeno rimanga la leggenda.

 

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