Marco Berardi
Marco Berardi (Mangone, ... – Sila, dopo il 1563) è stato un eretico e un brigante calabrese (soprannominato re Marcone) e capo di una banda contro il potere spagnolo ed ecclesiastico.
La sua figura è avvolta dalla leggenda. Nato probabilmente a Mangone, un villaggio dei casali cosentini vicino alla Sila Grande, visse nel Cinquecento. Educato dai valdesi di San Sisto e divenuto simpatizzante delle loro idee, dopo il loro massacro avvenuto nel 1561 formò una banda di rivoltosi, creando un piccolo regno attorno a Crotone con funzionari incaricati dell'amministrazione e imponendo tributi ai possidenti.
Marcone impose anche una taglia di 2.000 ducati sul feudatario Marino Caracciolo, marchese di Bucchianico, e di 10 ducati su ogni soldato spagnolo. Dopo qualche successo militare, il viceré di Napoli, duca di Alcalà, Pedro Afán de Ribera volle occuparsi personalmente della lotta contro il "brigante" e gli inviò contro un piccolo esercito comandato dal marchese di Cerchiara, Fabrizio Pignatelli,
forte di duecento cavalieri, mille fanti spagnoli e altrettanti cavalli
leggieri, che lo sconfisse senza riuscire a catturarlo.
Della fine di lui e della moglie Giuditta si hanno varie versioni; secondo alcuni alla fine fu catturato, torturato e ucciso.
Nel
1539 l’imperatore Carlo V, di ritorno da una spedizione ad Algeri,
approdò in terra calabra e il 7 settembre entrò in Cosenza da Porta
Piana con al seguito moltissimi nobili dei Casali vicini che si
accodarono a coloro che avevano preso parte alla missione. Alloggiò in
casa Sersale e durante la celebrazione solenne, Valerio Mangone, dedicò
una sua composizione poetica al re che apprezzò molto, tanto da
eleggerlo suo Commensale. Al suo cospetto si presentò come Valerio
Mauro, forse per rivendicare le sue origini di Maurogona o forse per
cancellare quella radice tanto ignobile di mercanti fraudolenti. La fama
in città accrebbe per Valerio dopo le lodi dell’imperatore e nel 1554 e
1555 fu eletto Mastrogiurato al Sedile di Cosenza.
Siamo in pieno clima di riforma
luterana. Riforma che voleva abolire l’autorità papale e sostituirla con
l’autorità della bibbia. Il papa Paolo III nel 1542 aveva proclamato
l’inquisizione come legge marziale del cattolicesimo e fu costituita la
Congregazione dell’Inquisizione. Paolo IV rese ancor più aspra questa
legge e fu notte per gli insediamenti valdesi in Calabria. Tutto ciò fu
sostenuto dal governo spagnolo. Filippo II fu un re cattolico e la
Spagna divenne, in quel periodo, la più forte sostenitrice della causa
cattolica. In questo contesto si inserisce la figura del ribelle Marco
Berardi da Mangone.
Nacque a Mangone da una famiglia agiata e in piena adolescenza si trasferì a San Sisto dei Valdesi, paese nel quale la famiglia possedeva dei terreni e ne seguiva la coltivazione. Ebbe una buona cultura tanto da credere che conoscesse il Telesio. Per un giovane intelligente, vivere in un ambiente diverso, trascorrere le giornate tra gente diversa per la loro diversità culturale, di vita e di linguaggio non poteva non esercitare fascino e attrazione. Fu così che Marco Berardi si accostò naturalmente alla religione valdese. Quando nel 1560-61, quel mondo fu sconvolto con l’arrivo del frate Valerio Malvicino a capo del Tribunale della Santa Inquisizione, Marco si trovò coinvolto, esposto e denunciato, fu imprigionato e chiuso nelle carceri di Cosenza e condannato ad essere torturato e poi bruciato vivo sulla piazza di Cosenza. Insieme a Pietro Cicala riuscirono a fuggire spezzando i cancelli delle prigioni vescovili. Pietro Cicala si rifugiò in Africa, mentre Marco scelse la Sila perché era un terreno dove riusciva a muoversi bene. Questo fu il primo passo verso una attività da fuorilegge. Inizialmente pensò solo a salvaguardare la propria vita, ma vistosi affiancato da altri che trovarono dimora nei boschi silani, anch’essi, per sfuggire alle persecuzioni politiche e religiose, Marco venne così travolto nel vortice della rivolta, ma assumendo atteggiamenti del tutto propri, facendosi promotore di una sollevazione contro il governo per proclamare l’indipendenza della Calabria dalla Spagna. Quindi la sua rivolta fu sia verso il potere temporale che su quello religioso. Era nemico acerrimo degli spagnoli, mentre era unito ai suoi confratelli calabresi che accorsero numerosi ad ingrossare le fila della rivolta raggiungendo in poco tempo il numero di un piccolo esercito pronti a tentare tutto e a non tralasciare nulla purchè gli invasori fossero cacciati dalle provincie e fosse abbattuto il Tribunale dell’Inquisizione di Cosenza. Fu soprannominato Re Marcone formando un proprio governo e nei bandi da lui emessi si firmava Re della Sila. Filippo II indispettito ordinò al Viceré di Napoli di scagliare contro il Berardi tutte le milizie a disposizione per farla finita una volta per tutte. Non riuscirono a catturarlo malgrado fossero mandati contro due reggimenti con 500 cavalli e quattro bombarde. Nel 1563 concepì addirittura il progetto di impossessarsi di Crotone per proclamarsi signore di quel territorio. Sarebbe riuscito nel suo progetto se il viceré non avesse spedito contro Fabrizio Pignatelli, marchese di Cerchiara, a capo di un esercito di 600 uomini di cavalleria e 3080 di fanteria. Intanto il papa lo scomunicò, il viceré promise grosse taglie a chi lo uccidesse, il tribunale dell’Inquisizione di Cosenza e il Santo Uffizio di Roma promisero indulgenze. Si formò così un schiera di delatori collegati tutti al Pignatelli. Gli furono tesi molti agguati dai suoi stessi compagni. Ormai il sogno volgeva al termine,fu abbandonato da tutti, rimase solo con Giuditta che condivise con lui la morte in una grotta ai piedi di un monte. Un mese dopo alcuni cacciatori trovarono i due cadaveri stretti l’uno all’altro. Li portarono al governatore di Cosenza, il quale volle per divertimento e disprezzo che lo scheletro di Marco con il teschio cinto da una corona di ferro e con il suo mantello rosso avvolto, fosse messo a veduta sotto un finestrone del campanile del convento di San Francesco d’Assisi e seppellito dopo il 1860 nella cappella di Santa Caterina che si trova nella chiesa del Santo di Assisi.
Nacque a Mangone da una famiglia agiata e in piena adolescenza si trasferì a San Sisto dei Valdesi, paese nel quale la famiglia possedeva dei terreni e ne seguiva la coltivazione. Ebbe una buona cultura tanto da credere che conoscesse il Telesio. Per un giovane intelligente, vivere in un ambiente diverso, trascorrere le giornate tra gente diversa per la loro diversità culturale, di vita e di linguaggio non poteva non esercitare fascino e attrazione. Fu così che Marco Berardi si accostò naturalmente alla religione valdese. Quando nel 1560-61, quel mondo fu sconvolto con l’arrivo del frate Valerio Malvicino a capo del Tribunale della Santa Inquisizione, Marco si trovò coinvolto, esposto e denunciato, fu imprigionato e chiuso nelle carceri di Cosenza e condannato ad essere torturato e poi bruciato vivo sulla piazza di Cosenza. Insieme a Pietro Cicala riuscirono a fuggire spezzando i cancelli delle prigioni vescovili. Pietro Cicala si rifugiò in Africa, mentre Marco scelse la Sila perché era un terreno dove riusciva a muoversi bene. Questo fu il primo passo verso una attività da fuorilegge. Inizialmente pensò solo a salvaguardare la propria vita, ma vistosi affiancato da altri che trovarono dimora nei boschi silani, anch’essi, per sfuggire alle persecuzioni politiche e religiose, Marco venne così travolto nel vortice della rivolta, ma assumendo atteggiamenti del tutto propri, facendosi promotore di una sollevazione contro il governo per proclamare l’indipendenza della Calabria dalla Spagna. Quindi la sua rivolta fu sia verso il potere temporale che su quello religioso. Era nemico acerrimo degli spagnoli, mentre era unito ai suoi confratelli calabresi che accorsero numerosi ad ingrossare le fila della rivolta raggiungendo in poco tempo il numero di un piccolo esercito pronti a tentare tutto e a non tralasciare nulla purchè gli invasori fossero cacciati dalle provincie e fosse abbattuto il Tribunale dell’Inquisizione di Cosenza. Fu soprannominato Re Marcone formando un proprio governo e nei bandi da lui emessi si firmava Re della Sila. Filippo II indispettito ordinò al Viceré di Napoli di scagliare contro il Berardi tutte le milizie a disposizione per farla finita una volta per tutte. Non riuscirono a catturarlo malgrado fossero mandati contro due reggimenti con 500 cavalli e quattro bombarde. Nel 1563 concepì addirittura il progetto di impossessarsi di Crotone per proclamarsi signore di quel territorio. Sarebbe riuscito nel suo progetto se il viceré non avesse spedito contro Fabrizio Pignatelli, marchese di Cerchiara, a capo di un esercito di 600 uomini di cavalleria e 3080 di fanteria. Intanto il papa lo scomunicò, il viceré promise grosse taglie a chi lo uccidesse, il tribunale dell’Inquisizione di Cosenza e il Santo Uffizio di Roma promisero indulgenze. Si formò così un schiera di delatori collegati tutti al Pignatelli. Gli furono tesi molti agguati dai suoi stessi compagni. Ormai il sogno volgeva al termine,fu abbandonato da tutti, rimase solo con Giuditta che condivise con lui la morte in una grotta ai piedi di un monte. Un mese dopo alcuni cacciatori trovarono i due cadaveri stretti l’uno all’altro. Li portarono al governatore di Cosenza, il quale volle per divertimento e disprezzo che lo scheletro di Marco con il teschio cinto da una corona di ferro e con il suo mantello rosso avvolto, fosse messo a veduta sotto un finestrone del campanile del convento di San Francesco d’Assisi e seppellito dopo il 1860 nella cappella di Santa Caterina che si trova nella chiesa del Santo di Assisi.
La presenza dei briganti in Sila risale a tempi antichissimi: già sotto il regno di Federico II si nominava il Magister Silae, persona deputata a dirimere le controversie per il legno e per i pascoli tra i baroni latifondisti ed i contadini. In genere, i briganti erano contadini o pastori che, stanchi di subire le angherie dei padroni che li sfruttavano malamente, si davano alla macchia nelle grandi foreste, dove era veramente difficile catturarli. Molti erano delinquenti sanguinari, altri divennero dei simboli di libertà per il popolo oppresso dei contadini.
Uno dei primi fu “Re Marcone” (Marco Berardi), che nel 1500 giunse a conquistare con le sue bande armate la città di Crotone. La sua storia iniziò con la fuga dalle carceri dell’Inquisizione, che a Cosenza erano situate sotto il palazzo vescovile. Finito in carcere perché sospettato di eresia, riuscì ad evadere e riparare nei boschi, dove insieme ad altri con cui divideva lo stesso destino, formò una banda numerosissima ed armata, quasi un piccolo esercito con l’obiettivo di conquistare gran parte del territorio, espellere gli Spagnoli ed abolire il tribunale dell’Inquisizione.
Discendeva da una famiglia nobile. Era della Calabria silana e possedeva un buon grado di istruzione. Ma non era un conformista e le sue contestazioni non tardarono ad attirargli la poco gradevole attenzione della Santa Inquisizione. Condannato, riuscì a evadere dal carcere e a riparare nella Sila, terreno dove si muoveva bene perché era in parte feudo della sua famiglia. Fu il primo passo verso un’attività di fuorilegge, che gli guadagnò il soprannome di «Re Marcone» ma anche una reputazione di «giustiziere». Più che per necessità di guadagno, Marco Berardi praticò il brigantaggio per motivi ideologici, tanto che non esitò nemmeno a colpire gli interessi della sua casta di appartenenza. Si mise alla testa dei contadini, la cui secolare miseria era stata ulteriormente esasperata da una crisi economica a causa della quale varie regioni centro-meridionali, da esportatrici di grano, divennero importatrici. Ad aggravare ulteriormente la penuria contribuiva la forte esplosione demografica, che proprio in quegli anni si verificò nelle aree rurali. Alla fine, la pressione fece saltare il coperchio della pentola: sotto la stretta della fame, proprio in Calabria incominciarono a esplodere le rivolte antibaronali.
«Re Marcone» volle essere il capo di una sua insurrezione contro le angherie. Scrisse e divulgò un programma in cui propugnava la «libertà di tutti di servirsi di quanto Dio spontaneamente elargisce». Venivano anche teorizzate la «distribuzione dei prodotti secondo i bisogni di ciascuno» e l’«appartenenza dei campi e dei feudi ai contadini, e non ai principi».
Era una specie di comunismo ante-litteram, che attirò sulla testa di Berardi nuove accuse di eresia. Ma per molto tempo «Re Marcone» tenne testa a quanti gli davano la caccia. La sua banda, forte di tremila uomini, riuscì a sconfiggere i reparti spagnoli in pieno assetto bellico a cui il governo vicereale di Napoli aveva affidato il compito di liquidare la sedizione. Si tentò a questo punto di trattare con il brigante: da Filippo II gli giunse perfino l’offerta dello scettro di “Re della Sila”. Marco Berardi non lo rifiutò, ma quando si rese conto che si voleva strumentalizzarlo come monarca-fantoccio per il ristabilimento dell’ordine tradizionale, si diede nuovamente alla macchia.
La sua utopia durò fino al 1563 l’anno in cui tornò a cadere nelle mani dell’Inquisizione che non se lo lasciò più sfuggire.
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