Altilia
Le origini
Altilia è un piccolo comune della Provincia di Cosenza posto su un
costone roccioso nei pressi della Valle del Savuto. Secondo Gabriele
Barrio (storico - umanista vissuto nel XVI secolo), Altilia, sarebbe
sorta sulle rovine di un’antichissima città chiamata Astalonga, ubicata
ai piedi della collina lungo la Valle del Savuto, che la tradizione
locale chiama Stralonga. Questa è una delle tantissime tesi circa
l’origine del paese.
Pietro Miceli
ponte annibale.
Nel paese ammiriamo antichi insediamenti monastici ed edifici ornati da splendidi portali, balconi e facciate in pietra, opera dei maestri scalpellini altiliesi, conosciuti e ingaggiati in tutta la regione.
Altilia è paesetto di montagna,
esposto al sole, al vento, alle tempeste;
sito tra il rovo, il pruno ed il castagno,
tra le querce, gli ulivi e le ginestre!
E’ limitato da due fiumicelli:
Savuto all’est, all’ovest Carito;
lontani vedi borghi e paeselli,
vaporosi e sfumanti all’infinito!
Verso San Mango, in vista piccolino,
“bocca di mare”, appena, si discerna;
a manca la Gran Sila e il Reventino,
a destra il monticel “Santa Lucerna”.
L’aria è stupenda e molto salutare!
Il paesaggio è proprio una bellezza:
laggiù, laggiù, si vede un po’ di mare
e colli e valli nella loro ampiezza!
Il paese poi abbonda d’ogni cosa:
fave, cicorie, ceci e fagiolini;
pecorelle, conigli e uova a iosa,
e vino, e frutta, e galli e maialini…
L’altra tesi dice che lungo la vallata del Savuto si estendesse l’influenza di un’antica città, Temesa o Terina, che si vuole ubicata alla foce del fiume, per cui Stralonga potrebbe essere il termine con cui veniva volgarmente indicata questa città. Altre fonti ci dicono che fu il paese fondato da Giovan Corrado e Altilio dell’Alimena.
Questa tesi, però, contrasterebbe sia con la precedente che con quella di quanti altri vorrebbero Altilia fondata come Casale di Cosenza all’epoca delle invasioni saraceniche del secolo decimo. E’ infatti opinione comune degli studiosi dei Casali che essi non furono fondati bensì ripopolati dai Cosentini che, per sfuggire alla ferocia dei Saraceni, si rifugiarono con i loro “Signori” nei feudi circostanti.Altilia, feudo degli Scaglione e degli Alimena, fu quindi anch’essa ripopolata da queste famiglie e dai loro parenti e sudditi. L’ipotesi più verosimile sembrerebbe quindi essere quella che vorrebbe il sito di Altilia frequentato da antiche comunità e da altre poi, di volta in volta, ripopolato. Questa tesi si baserebbe sulle considerazioni che nella valle del Savuto è ipotizzabile un tracciato che da Cosenza e da Santo Stefano di Rogliano raggiungesse questo fiume e proseguisse poi fino alla foce, nonché sul fatto che vi fosse un tracciato che discendeva lungo questo corso d’acqua, ricostruibile sulla linea di una serie di strade e mulattiere; esso raggiungeva Contrada Pianetti-Donnico di Grimaldi, dove sono venute alla luce tombe con vari ritrovamenti in terracotta del periodo ellenistico, ascrivibile al III secolo. Altra importante via di comunicazione era quella che viene comunemente indicata con il nome di Via Popilia, che attraversava il Savuto con il ponte di Annibale, dove era presente una stazione di posta.
Altilia quindi non sembrerebbe fondata dagli Alimena, ma anche da essi ripopolata insieme ai loro familiari e sudditi, provenienti dalla terra di Alimena, che gli antichi scrittori pongono nei pressi di Mendicino, dove ancora oggi scorre un omonimo torrente Alimena.
Altilia - panorama
Le cave di tufo
Un tempo, Altilia, era un vivido centro specializzato per le architetture e le decorazioni in pietra. Presenta numerose caratteristiche di antichità negli innumerevoli portali tufacei realizzati con pietra locale proveniente dalle “Parrere”.
Viene
denominata “Parrere” la zona dove un tempo esistevano le cave di
pietra da cui si estraevano i blocchi per ricavarne i conci per le
costruzioni. Le finestre, i balconi e gli ingressi delle case più
antiche, sono ornati da meravigliose cornici in pietra, a manifattura
locale, alcune delle quali rispecchiano preminentemente lo stile
rinascimentale, per cui l’arte dello scalpello dei migliori maestri
altiliesi si imponeva alla considerazione ed all’apprezzamento
dell’intera regione.
L’influenza artistica di queste antiche maestranze è presente in molti centri limitrofi tra cui Cosenza, precisamente nei lavori di restauro dei capitelli e delle colonne del Duomo. Questa arte è espressa magnificamente nei numerosi portali in tufo locale e dalla magnifica architettura dello storico Convento di Santa Maria delle Grazie, tenuto a suo tempo dai Padri Conventuali, edificato presumibilmente intorno al ‘500.
L’influenza artistica di queste antiche maestranze è presente in molti centri limitrofi tra cui Cosenza, precisamente nei lavori di restauro dei capitelli e delle colonne del Duomo. Questa arte è espressa magnificamente nei numerosi portali in tufo locale e dalla magnifica architettura dello storico Convento di Santa Maria delle Grazie, tenuto a suo tempo dai Padri Conventuali, edificato presumibilmente intorno al ‘500.
Gli affreschi nella grotta Dal
fortuito ritrovamento avvenuto alle spalle della Chiesa S.Maria delle
Grazie e immediatamente a valle del convento, che attualmente ospita la
sede municipale, è venuta alla luce la volta di una piccola grotta
affrescata con immagini di Cristo, della Vergine, di San Sebastiano e di
San Francesco di Paola, alcune ben conservate e quindi ben leggibili,
altre poco chiare.
Da
qui la volontà di chiarire l’entità del ritrovamento che certamente
rappresenta un elemento importante dal punto di vista storico ed
artistico per la storia della religiosità, dei culti, e delle tradizioni
del paese.
A
questo punto è necessario approfondire il discorso sulla storia del
paese e sull’eventuale passaggio di San Francesco da Altilia.
È necessario riprendere e valorizzare il patrimonio storico artistico di Altilia con un’azione di recupero che permetterà agli altiliesi di conoscere se stessi e le cause più lontane, creando in ciascuno di noi una coscienza ambientale che sia di stimolo per iniziative individuali e comunitarie per la tutela dell’ambiente e del patrimonio storico artistico ed archeologico.
La valorizzazione permetterà di contribuire alla crescita del potenziale attrattivo e del flusso del turismo culturale.
Certamente un particolare interesse sarà riservato al coinvolgimento delle nuove generazioni attraverso un’azione coordinata di studio, di ricerca, di formazione e promozione.
Il nostro obiettivo è quello di portare alla luce le grotticelle liberandole dal materiale di risulta. Per fare ciò è necessario un progetto, quindi i lavori da seguire con personale esperto.
È necessario riprendere e valorizzare il patrimonio storico artistico di Altilia con un’azione di recupero che permetterà agli altiliesi di conoscere se stessi e le cause più lontane, creando in ciascuno di noi una coscienza ambientale che sia di stimolo per iniziative individuali e comunitarie per la tutela dell’ambiente e del patrimonio storico artistico ed archeologico.
La valorizzazione permetterà di contribuire alla crescita del potenziale attrattivo e del flusso del turismo culturale.
Certamente un particolare interesse sarà riservato al coinvolgimento delle nuove generazioni attraverso un’azione coordinata di studio, di ricerca, di formazione e promozione.
Il nostro obiettivo è quello di portare alla luce le grotticelle liberandole dal materiale di risulta. Per fare ciò è necessario un progetto, quindi i lavori da seguire con personale esperto.
Per questa prima fase sono necessari i dovuti permessi e, stante l’interesse di tutti, un congruo finanziamento.
I Minimi sono i religiosi appartenenti all’Ordine dei francescani fondato nel 1435 da San Francesco di Paola, che, dopo una prima approvazione arcivescovile (Cosenza 1471) e pontificia ( Sisto IV, 1474), fu definitivamente riconosciuto da Alessandro VI nel 1492 e mutò in tale occasione il nome originario di eremiti di San Francesco di Assisi in quello di “frati minimi” con la sua regola, approvata definitivamente nel 1506 da Giulio II, San Francesco di Paola fondava un Ordine religioso nuovo che riproponesse :
- l’ideale contemplativo del monachesimo ma unendo ad esso un attivo spirito d’apostolato,
- la rigorosa osservanza della povertà francescana
- la pratica di una severissima ascesi
l’Ordine, che si articola in :
- religiosi,
- monache (second’ordine fondato in spagna nel 1495)
- terziari, maschili e femminili
ha a capo un Correttore Generale, che dura in carica 6 anni. I terziari, a differenza dei religiosi, non sono tenuti all’osservanza dei consigli evangelici in quanto i loro impegni non hanno valore di voti, ma di semplice promessa. Il terz’ordine, come costituito da San Francesco, è un’associazione di fedeli secolari d’ambo i sessi, appartenenti ad ogni stato e ad ogni condizione sociale.
I Minimi sono i religiosi appartenenti all’Ordine dei francescani fondato nel 1435 da San Francesco di Paola, che, dopo una prima approvazione arcivescovile (Cosenza 1471) e pontificia ( Sisto IV, 1474), fu definitivamente riconosciuto da Alessandro VI nel 1492 e mutò in tale occasione il nome originario di eremiti di San Francesco di Assisi in quello di “frati minimi” con la sua regola, approvata definitivamente nel 1506 da Giulio II, San Francesco di Paola fondava un Ordine religioso nuovo che riproponesse :
- l’ideale contemplativo del monachesimo ma unendo ad esso un attivo spirito d’apostolato,
- la rigorosa osservanza della povertà francescana
- la pratica di una severissima ascesi
l’Ordine, che si articola in :
- religiosi,
- monache (second’ordine fondato in spagna nel 1495)
- terziari, maschili e femminili
ha a capo un Correttore Generale, che dura in carica 6 anni. I terziari, a differenza dei religiosi, non sono tenuti all’osservanza dei consigli evangelici in quanto i loro impegni non hanno valore di voti, ma di semplice promessa. Il terz’ordine, come costituito da San Francesco, è un’associazione di fedeli secolari d’ambo i sessi, appartenenti ad ogni stato e ad ogni condizione sociale.
In
Altilia, la congregazione dei terziari aveva come sopraintendente la
zelante direzione del sacerdote Angelo Serra. Nel Processo calabro, tra
gli altri testimoni vi è una certa suor Perna, correttrice in Altilia di
sedici terziarie di San Francesco di Paola, la quale ha attestato che
un’antica sorella di quella congregazione, di nome Giovanna Caserta, era
stata vessata per vari anni da ossessione maligna e resa libera dal
Servo di Dio. Giovanna Caserta venne favorita da molti doni e tra questi
quello di conoscere il giorno della sua morte che lei stessa
preannunciò sette settimane prima che avvenisse.
I minimi, dopo un periodo di grande espansione, (alla fine del 500 erano più di 14.000), decaddero dalla metà del secolo 18° .
I minimi, dopo un periodo di grande espansione, (alla fine del 500 erano più di 14.000), decaddero dalla metà del secolo 18° .
Pietro Miceli
Altilia
(borgo, palazzo Marsico)
ALTILIA
Altilia (Cosenza), Convento di San Francesco d'Assisi, 1952
Altilia
(Cosenza), 1952.
Altilia, altro
Palazzo Marsico.
«In Altilia si ammirano antichi
insediamenti monastici ma soprattutto edifici, sacri e civili, opera dei
notissimi scalpellini locali i quali, conosciuti e ingaggiati in tutta la
regione, ivi realizzarono splendidi portali, balconi, facciate in pietra;
inoltre si rammenta la consistente produzione e il commercio della seta ivi
introdotto dagli Ebrei, autori di un consistente sviluppo commerciale nel
Quattro-Cinquecento. ... Tra i palazzi è certamente quello più importante
sia da un punto di vista storico sia storico-artistico quello Marsico di
Campitelli che colpisce per la bellezza e la fine lavorazione del portale e
dall’insieme di mensole e balaustre datate 1619. Oggi è la sede del
Municipio mentre nella parte bassa conserva ancora i resti delle celle dei
monaci e di un profondissimo pozzo. Esistono nel piccolo borgo altri palazzi
gentilizi quali casa Ferrari - nata dai ruderi di un antico castello -, casa
Romano nonché i palazzi e i monumenti della frazione Maione».
Nel paese ammiriamo antichi insediamenti monastici ed edifici ornati da splendidi portali, balconi e facciate in pietra, opera dei maestri scalpellini altiliesi, conosciuti e ingaggiati in tutta la regione.
SUINO NERO DI CALABRIA
“Il mio paese”, poesia di Attilio Adamo, 1946.
Altilia è paesetto di montagna,
esposto al sole, al vento, alle tempeste;
sito tra il rovo, il pruno ed il castagno,
tra le querce, gli ulivi e le ginestre!
E’ limitato da due fiumicelli:
Savuto all’est, all’ovest Carito;
lontani vedi borghi e paeselli,
vaporosi e sfumanti all’infinito!
Verso San Mango, in vista piccolino,
“bocca di mare”, appena, si discerna;
a manca la Gran Sila e il Reventino,
a destra il monticel “Santa Lucerna”.
L’aria è stupenda e molto salutare!
Il paesaggio è proprio una bellezza:
laggiù, laggiù, si vede un po’ di mare
e colli e valli nella loro ampiezza!
Il paese poi abbonda d’ogni cosa:
fave, cicorie, ceci e fagiolini;
pecorelle, conigli e uova a iosa,
e vino, e frutta, e galli e maialini…
QUEL VECCHIO DEPRAVATO
Sembra una
notte tranquilla quella del 27 giugno 1909 in casa di Giuseppe Bevacqua.
Nell’unica stanza da letto del fabbricato rurale posta in contrada Petrarizzi,
nei dintorni di Maione, stanno dormendo, in tre letti separati, il quarantottenne
capofamiglia in quello a sinistra di chi entra, le due figlie più grandi
Bernardina di 14 anni e Angela di 12, insieme alla ventenne Maria Bevacqua –
fidanzata del loro fratello maggiore Carmine – in quello sulla destra e le
quattro bambine più piccole nel lettino di fronte alla porta.
Mancano da
casa, la notte del 27 giugno, Francesca Gigliotti, trentasettenne moglie di
Giuseppe, la quale è andata dal suo amante a Motta Santa Lucia, e i due figli
maschi Carmine di 18 anni, che è andato alla fiera di Nicastro e Antonio di 16
che preferisce dormire a casa di amici.
All’improvviso,
verso le due, una specie di rantolo, come se qualcuno stesse vomitando, turba la
tranquillità della casa
- Svegliatevi che vostro padre si vomita –
dice Maria Bevacqua alle due ragazze scuotendole, poi si alza guidata dalla
fioca luce che emette quello che resta della brace nel focolare, la ravviva
soffiandoci sopra e accende un lumino. Le tre ragazze guardano verso il letto
dove dorme Giuseppe per vedere come sta, ma ciò che vedono le fa urlare di
terrore: il loro padre e suocero, completamente nudo, sanguina abbondantemente
da due vaste ferite, una alle spalle e una alla gola. Lo chiamano ma non può
rispondere: è morto.
Le tre
ragazze, terrorizzate, urlano a squarciagola per richiamare l’attenzione delle
famiglie che abitano nelle vicinanze ma nessuno risponde. Maria apre la porta
di casa, esce sullo sconquassato ballatoio di legno e continua a urlare più
forte che può ma inutilmente. Tutte quelle grida svegliano le bambine più
piccole che cominciano a piangere e così Maria, quella che mantiene i nervi più
saldi, ordina a tutti di uscire di casa e di andare a rifugiarsi da Domenico
Aiello.
- Ho sentito
un grido soffocato venire dal letto di mio padre – Maria Bevacqua così chiama
il futuro suocero – seguito da un fruscio di vestiti e dal rumore di qualcuno
che stava uscendo dalla porta che lui lasciava sempre aperta per sentire gli
animali… poi mi sono alzata e…
Alle prime
luci dell’alba, finalmente, arrivano gli altri vicini a vedere cosa è accaduto.
Durante la notte non si erano preoccupati perché abituati a sentire le urla
della moglie di Giuseppe per le continue liti familiari. Ma ora è diverso, ora
c’è scappato il morto!
I Carabinieri
e il Pretore di Grimaldi arrivano verso le dieci di mattina e cominciano a
indagare. Arrivano, a breve distanza l’una dall’altro, anche la moglie e il
figlio maggiore di Giuseppe. I Carabinieri già hanno saputo delle liti tra i
coniugi e si insospettiscono quando sanno che la moglie, partendo, aveva detto
che sarebbe tornata il venerdì mentre è tornata un giorno prima. Perché? È
ovvio che questa circostanza la faccia mettere in cima alla lista dei
sospettati. E se è sospettata Francesca Gigliotti, è evidente che debba essere
sospettato anche il suo amante, Giuseppe Chirillo. Ma i testimoni interrogati
giurano che Giuseppe aveva qualche altro nemico e che bisogna indagare anche su
di questi.
C’è un certo
Gennaro Floro, bovaro, che aveva gravi motivi di risentimento nei confronti
della vittima perché pochi mesi prima gli aveva messa incinta la figlia
- Mia figlia
era stata precedentemente violentata da un certo Antonio Aiello e io, allora
come ora, ho sopportato l’onta al mio onore. Quando Giuseppe Bevacqua mise
incinta mia figlia i miei rapporti con lui si sono interrotti, mentre col resto
della sua famiglia i rapporti sono buoni anche perché deploravano la condotta
del padre. Sono un uomo solo e non
scacciavo di casa mia figlia soltanto per necessità… non mi sono mai
sognato di vendicarmi anche se qualche volta, litigando con lui, ho usato delle
parole anche minacciose… – poi
racconta ciò che ha sentito quella mattina presto – stamattina sono andato a
vedere ma non ho avuto il coraggio di entrare a casa e me ne sono andato. Sono
ritornato poco dopo e ho trovato il figlio piccolo, Antonio, che, quasi
indifferente, faceva uscire le vacche dalla stalla e diceva: La ‘Ncina deve pagarlo… signor Giudice,
dovete sapere che con quel nome chiamano Maria Bevacqua…
Già, Maria
Bevacqua, la ventenne fidanzata di Carmine. Gli inquirenti scoprono molte cose
su di lei e sulla sua presenza in casa del morto. Maria è di Motta Santa Lucia,
al confine tra le province di Cosenza e Catanzaro, e dello stesso paese è la
famiglia di Giuseppe che, seppur portando lo stesso cognome, non è imparentata
con quella della ragazza. Un anno e mezzo prima, Carmine, allora poco più che
sedicenne, si invaghisce di Maria, di quasi due anni più grande, e prega i
genitori di aiutarlo a sposarla, ma i genitori della ragazza si oppongono e
Giuseppe, per accontentare il figlio, ne organizza il rapimento e la portano
nella casa colonica dove abitano, che dista solo pochi chilometri da Motta. I
mesi passano ma Giuseppe e la moglie non si decidono ancora ad andare a parlare
con il padre di Maria per riparare col matrimonio al rapimento. Perché? Presto
detto
- Le intenzioni dell’ucciso Bevacqua verso la
giovine Maria Bevacqua non erano buone essendomi accorto sia dalle premure
troppo sollecite che il Bevacqua stesso rivolgeva alla Maria e sia anche perché
l’ucciso diverse volte mi disse che per la Maria ci pensava lui solo e che essa non aveva
nulla da temere. Una volta mi trovai presente a Pitrarizzi quando il
Bevacqua stando vicino alla Maria la carezzava e la toccava in ogni parte, al
che la giovinetta non opponeva resistenza – dice Arcangela Mendicino.
- Ho notato un contegno troppo attaccato alla
Bevacqua Maria la quale conviveva in sua casa. spesso sorprendevo il Bevacqua a
palpeggiare la Maria,
la quale secondo lui doveva essere la padroncina della casa sua –
racconta Rosa De Caro
- Mio marito viveva tenero della Bevacqua alla
quale secondava ogni desiderio e ciò contrastava con l’abbandono in cui lasciò
sempre la mia persona. Non so perché ciò facesse ma la gente diceva che avesse
delle intenzioni non legittime verso la Bevacqua stessa – dice la vedova
Quindi
Giuseppe Bevacqua era un uomo che si dava da fare con le ragazze.
Gli
inquirenti, acquisite molte testimonianze che raccontano dei dissapori
esistenti tra la vittima e l’amante della moglie, non solo per via della
relazione adulterina ma anche per una vecchia storia relativa a una falsa
testimonianza resa da Giuseppe ai danni del padre di Chirillo durante il
processo che lo vedeva imputato, e poi condannato per omicidio, concentrano la
propria attenzione sulla pista che porta alla famiglia di Maria Bevacqua
perché, oltre alle premurose attenzioni che Giuseppe riservava alla ragazza, è
spuntata un’altra circostanza molto significativa: il categorico rifiuto di
Giuseppe a concedere il benestare alle nozze tra Carmine e Maria è seguito
dall’inizio delle trattative con la famiglia di Caterina Villella per arrivare
alle nozze tra questa e Carmine. Ovviamente la famiglia di Maria non prende
molto bene questa notizia e i sospetti si addensano anche su Vincenzo Bevacqua,
padre della ragazza
- Un giorno del mese di aprile, mentre io ero
col Bevacqua a costruire un ponte sul Savuto, vennero il padre ed il cognato
della ‘Ncina e fecero premure perché avesse indotto il figlio a sposare costei.
Il Bevacqua, non curante, rispose che a lui non importava e che non avrebbe mai
dato il consenso al figlio – racconta Gennaro Floro
- Il 14 giugno andai a Motta Santa Lucia in
occasione della festa di S. Antonio e là ebbi occasione di incontrarmi con
Saveria Bevacqua, madre di Maria Bevacqua, la quale mi diceva se io potevo
interpormi per far fare il matrimonio tra la suddetta sua figliuola e Carmine
Bevacqua. Io le risposi che non volevo aver che fare col padre di costui, il
quale era una persona che non troppo era trattabile e che d’altra parte lo
stesso andava dicendo che la
Maria doveva stare sotto la sua coscia. La Bevacqua Saveria
insistette ancora col dire che i figli dall’America avevano scritto che oltre
la dotazione di mille lire per la loro sorella, loro erano disposti di pagare
anche il viaggio per gli sposi se costoro volessero emigrare. Mi aggiunse anche
che la condotta del padre di Carmine Bevacqua era stata troppo cattiva a loro
riguardo e che magari per toglierselo di torno avrebbero regalato cento lire a
chiunque l’avesse ucciso pur di non fare compromettere i suoi figli. – poi
Felice D’Amore aggiunge – Io mi sono
trovato qualche volta in contrada Petrarizzi ed ho notato che l’ucciso Bevacqua
anche alla mia presenza faceva degli atti poco onesti alla Maria Bevacqua
mettendole le mani in parti del corpo pudiche e Maria lo tollerava forse
pensando che in questa sola maniera avrebbe potuto ingraziarselo per farla
sposare col figliuolo Carmine
E se davvero
i fratelli di Maria fossero tornati clandestinamente dall’America e avessero
ucciso Giuseppe Bevacqua? Si indaga anche su questo ma non si riesce a venirne
a capo.
Intanto, per
non sbagliare, il Giudice fa arrestare tutti i sospettati e si resta in attesa
che qualcuno faccia un passo falso, cosa che non avviene.
Succede,
però, che Maria in uno dei tanti interrogatori a cui è sottoposta, faccia delle
dichiarazioni sconvolgenti
- Sono stata
io a uccidere Giuseppe Bevacqua mentre dormiva. Quella sera in casa non c’erano
né la moglie e né i figli maschi. Dopo mangiato ho fatto coricare le bambine e
mi sono messa a rammendare dei panni. Lui è uscito fuori la porta e ci è
rimasto un poco poi, quando era sicuro che le figlie si erano addormentate, è
rientrato, mi è venuto dietro afferrandomi per le spalle con un braccio e
tappandomi la bocca con l’altra, poi mi ha trascinato sul suo letto e ha
abusato di me. Quando ha finito mi ha lasciato andare e io, per non far
accorgere di niente le bambine sono stata zitta e mi sono coricata come al
solito con Bernardina e Angela. Lui si è addormentato subito perché l’ho
sentito russare e io, riflettuta la
triste posizione in cui ormai mi trovavo per opera di quel vecchio depravato,
pensai di vendicare il mio onore e quello della mia famiglia. Mi alzai dal
letto, accesi un lumino, presi la sua accetta, mi avvicinai a lui che dormiva
rivolto con la faccia verso il muro e lo colpii con tutte la mie forze alle
spalle. Egli ebbe la forza di gridare una
o due volte e si rivoltò un poco. Io assecondai il colpo al collo e con questo colpo
il manico dell’accetta si spezzò. Accertatami che il Bevacqua fosse morto,
pulii e lavai l’accetta nella pozza di acqua che c’è fuori casa e la rimisi a
posto sulla tavola dove solitamente teniamo il pane, poi svegliai le bambine e
le feci uscire mettendomi a gridare per richiamare gente ma siccome non venne
nessuno, andai con le bambine a casa di Domenico Aiello. Sono stata spinta al triste passo dalle continue ed insistenti
richieste oscene del Bevacqua ed anche perché, stando in casa del Bevacqua
da ormai quattordici mesi come moglie del figlio Carmine, attirata dalla promessa che costui mi avrebbe sposata, mi accorsi
che avevano intavolato trattative di matrimonio con il padre di Caterina
Villella per farla sposare al mio fidanzato. Questa era una manovra di Giuseppe
Bevacqua il quale pensava che in questa
sola maniera egli avrebbe potuto godermi a suo agio. Giuro di aver fatto
tutto da sola e nessuno mi ha indotto a uccidere
Su
quest’ultimo punto il giudice vuole vederci chiaro perché non è convinto che
sia tutta farina del sacco di Maria. Ma chi può averla aiutata o indotta a fare
ciò che ha fatto? Forse Gennaro Floro per vendicarsi dell’offesa fatta alla
figlia? O forse la moglie di Giuseppe per stare in pace col suo amante. E
perché non l’amante Giuseppe Chirillo che avrebbe raggiunto il duplice scopo di
godersi Francesca e di vendicare la
condanna per omicidio subita dal padre con la falsa testimonianza di Giuseppe?
E la famiglia di Maria non avrebbe avuto tutte le ragioni per vendicarsi e
armarle la mano?
Ma per quante
indagini si facciano non si riesce a trovare prove contro nessuno e la Procura del re è costretta
a chiedere il proscioglimento per tutti gli imputati, tranne Maria Bevacqua per
la quale viene chiesto e ottenuto il rinvio a Giudizio con l’accusa di omicidio
premeditato. È il 28 dicembre 1906.
Maria, in
attesa di giudizio viene trasferita nel carcere di Messina ma è fortunata. Le
vengono assegnati come difensori d’ufficio due dei migliori avvocati del foro
cosentino: Ernesto Fagiani e Nicola Serra, i quali hanno buon gioco a basare la
difesa sulla personalità della vittima e sull’onore calpestato di Maria e della
sua famiglia. L’otto ottobre 1907 la giuria della Corte d’Assise di Cosenza la
manda assolta dall’accusa e il Presidente della Corte ne dispone l’immediata
scarcerazione. [1]
[1] ASCS, Processi penali.
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