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domenica 24 giugno 2018

Alessandro Magno/Alexander the Great 4th BC Explorer

Alessandro Magno

Alessandro III di Macedonia, (in greco antico: Ἀλέξανδρος Γ' ὁ Μακεδών, Aléxandros trίtos ho Makedόn), universalmente conosciuto come Alessandro Magno (Μέγας Ἀλέξανδρος, Mégas Aléxandros; Pella, ecatombeone - 20 o 21 luglio 356 a.C. – Babilonia, targelione - 10 o 11 giugno 323 a.C.), è stato un militare macedone antico, re di Macedonia della dinastia degli Argeadi a partire dal 336 a.C., succedendo al padre Filippo II.
È noto anche come Alessandro il Grande, Alessandro il Conquistatore o Alessandro il Macedone. Il termine "magno" deriva dal latino magnus "grande", che traduce il termine greco antico μέγας (mégas). È considerato uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia.
In soli dodici anni conquistò l'intero Impero persiano, un territorio immenso che si estendeva dall'Asia Minore all'Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Tale straordinario successo fu dovuto sia a una congiuntura storica eccezionalmente favorevole (le crisi dell'Impero persiano e della Grecia delle poleis, unite all'opera espansionistica già incominciata dal padre) sia a una sua innegabile intelligenza militare e diplomatica. Dotato di grande coraggio e carisma, Alessandro aveva un forte ascendente sui suoi soldati, che spronava anche partecipando personalmente ai combattimenti. Inoltre, egli fu uno dei primi condottieri dell'antichità ad aver capito l'importanza fondamentale della propaganda, sia per guadagnare prestigio nelle proprie fila, sia per incutere timore ai nemici.
Per assicurarsi ciò, Alessandro costituì un'imponente macchina mediatica (si fece accompagnare per tutta la durata della sua campagna da una quantità di storici e redattori di diari giornalieri, tra cui il greco Callistene) e diede estrema importanza nel corso di tutta la spedizione a gesti di forte valenza simbolica e alla divulgazione di leggende sulla propria discendenza da eroi mitici (Eracle e Achille) o persino da vere e proprie divinità. Infine si sforzò in ogni modo di fondere e amalgamare le culture delle diverse etnie che abitavano le terre che si trovò a unificare sotto il suo impero, dimostrando una disposizione al sincretismo estremamente inusuale per un greco del suo tempo. Le sue innumerevoli conquiste diedero alla cultura greca una diffusione universale, dando così avvio al cosiddetto periodo ellenistico.
Alessandro morì a Babilonia nel mese di daisios (targelione) del 323 a.C., forse avvelenato, forse per una recidiva della malaria che aveva contratto in precedenza o, secondo teorie più recenti, a causa di una cirrosi epatica provocata dall'abuso di vino o di pancreatite acuta. Dopo la morte del Conquistatore, l'Impero macedone fu suddiviso, non senza molti scontri e guerre, tra i generali che lo avevano accompagnato nelle sue spedizioni. Si costituirono così i cosiddetti regni ellenistici, tra cui quello Tolemaico in Egitto, quello degli Antigonidi in Macedonia e quello dei Seleucidi in Siria e in Asia Minore.
L'eccezionalità del personaggio e delle sue imprese ispirò, già durante la vita ma ancor più dopo la sua morte, un gran numero di leggende (una famosa è quella della costruzione delle mitiche Porte di Alessandro) e una sterminata tradizione letteraria e figurativa, in cui il condottiero venne ritratto in sembianza di eroe (ad esempio è spesso scolpito nudo, un trattamento riservato, nella Grecia classica, esclusivamente agli dei o ai semidei). Nella ritrattistica è spesso assimilato ad Achille, di cui Alessandro stesso si considerava diretto discendente per parte di madre.
I racconti storici sul suo conto hanno ben presto assunto colorazioni mitiche, ed è pertanto difficile discernere i fatti storici dalle rielaborazioni fantastiche. Le storie a lui riferite non si ritrovano solo nelle letterature occidentali: nella Bibbia (Primo libro dei Maccabei), ad esempio, si fa esplicito riferimento ad Alessandro, mentre nel Corano il misterioso Dhu al-Qarnayn (il Bicorne o letteralmente "quello dalle due corna") viene talvolta identificato con il mitico conquistatore macedone.

Descrizione fisica

(LA) « Per idem tempus conditorium et corpus Magni Alexandri, cum prolatum e penetrali subiecisset oculis, corona aurea imposita ac floribus aspersis veneratus est, consultusque, num et Ptolemaeum inspicere vellet, «regem se voluisse ait videre, non mortuos» » (IT) « Quando il sarcofago di Alessandro fu tratto fuori dal sepolcro, Augusto fissò il corpo, pose sul coperchio di vetro una corona d'oro e vi sparse sopra dei fiori in segno di venerazione. Richiesto se volesse vedere anche la salma di Tolomeo, rispose «Desideravo vedere un re, non dei cadaveri» »
(Traduzione di Guido Paduano, contenuta in Alessandro Magno di Robin Lane Fox, di Gaio Svetonio Tranquillo, Vita di Augusto, 18.1)
Alessandro non era dotato di un fisico particolarmente avvenente: era piuttosto basso, tozzo e di corporatura robusta. Era affetto da eterocromia, aveva cioè gli occhi di colore diverso (uno azzurro e l'altro marrone, o forse nero), e la sua voce ci viene descritta come aspra. Portava sempre il collo leggermente inclinato verso sinistra e soffriva di alcune malformazioni congenite che, alcuni storici affermano, potrebbero in parte aver contribuito alla sua morte. Aveva i capelli ispidi e rossicci, sebbene tendesse spesso a tingerli di biondo utilizzando una mistura di fiori di zafferano e acqua di potassio [senza fonte], trattandoli poi con profumi, incenso e mirra. Aveva l'usanza di radersi il volto anche passata la giovane età (cosa piuttosto inusuale tra i greci del suo tempo), probabilmente a causa del fatto che gliene crescesse molto poca; per non sfigurare in mezzo ai suoi dignitari, indusse anche loro a non portarla.
L'immagine di Alessandro è stata immortalata da molti artisti suoi contemporanei, della cui opera non rimangono, purtroppo, che copie e descrizioni. Il famoso scultore Lisippo fu nominato scultore di corte da Alessandro stesso, e ritrasse il grande conquistatore in numerose statue. Pirgotele fu invece l'unico autorizzato dallo stesso Alessandro a scolpire la propria immagine sui sigilli e sulle pietre dure. Sappiamo anche che il pittore Apelle immortalò su grandi tavole lignee numerose effigi e scene di battaglia che ebbero Alessandro come protagonista.
Secondo Aristosseno di Taranto, apprendista di Aristotele, il corpo di Alessandro emanava un profumo gradevole, che secondo alcune fonti conservò a lungo anche dopo la morte.[senza fonte] Lo scrittore Ateneo di Naucrati sottolineava la sua abitudine al bere e all'ubriacarsi. Sappiamo inoltre da Plutarco che Alessandro, almeno a partire dalla Battaglia di Gaugamela, usava indossare in battaglia la linothorax, la corazza multi-strato di lino in uso alla fanteria leggera e alla cavalleria, invece della classica corazza oplitica di bronzo, molto più pesante ma meno resistente alla penetrazione delle frecce. In alcuni mosaici che ci sono pervenuti, Alessandro è raffigurato proprio mentre indossa questo tipo di abbigliamento.

Personalità

Alcuni dei più evidenti tratti della personalità di Alessandro si erano formati secondo il modello dei suoi genitori. Sua madre, Olimpiade, era enormemente ambiziosa, e lo aveva incoraggiato a credere che fosse il suo destino sconfiggere l'Impero Persiano. L'influenza di Olimpiade instillò la credenza del destino in Alessandro, e Plutarco ci dice che la sua ambizione “mantenne il suo spirito greve e superbo con l'avanzare degli anni”.
Tuttavia, suo padre Filippo fu il più immediato e influente modello di Alessandro, il quale sin da bambino l'aveva visto fare campagne militari praticamente ogni anno, vincendo battaglia dopo battaglia, sopravvivendo a gravi ferite.
Il rapporto di Alessandro con suo padre forgiò la parte competitiva della sua personalità; egli aveva il bisogno di surclassare suo padre, come si può vedere tramite il suo spericolato comportamento in battaglia. Tuttavia, Alessandro era preoccupato che suo padre non gli avrebbe lasciato “nessuna grande o eccezionale impresa da esibire al mondo”; egli infatti sminuiva le imprese di suo padre davanti ai suoi compagni.
Stando a Plutarco, Alessandro aveva tratti di violento e incauto temperamento; aveva una natura impulsiva, che sicuramente ha influito in alcune delle sue decisioni. Sebbene Alessandro fosse ostinato e non rispondesse bene agli ordini impartitigli da suo padre, egli era aperto al dibattito ben motivato. Aveva inoltre un lato più tranquillo - logico, intuitivo e calcolatore.
Aveva un forte desiderio verso la conoscenza, un profondo amore per la filosofia ed era un appassionato lettore; questo era senza dubbio dovuto almeno in parte alla tutela di Aristotele.
Alessandro era intelligente e imparava in fretta. La sua intelligenza e razionalità fu ampiamente dimostrata dalla sua abilità e successo come generale. Aveva una grande autocontrollo per i “piaceri della carne”, in contrasto con la sua difficoltà nel porsi limiti quando invece si trattava di alcolici.
Alessandro era un erudito e padroneggiava sia le arti sia le scienze. Egli aveva poco interesse negli sport o nei giochi Olimpici (a differenza di suo padre), cercando solo di eguagliare gli ideali omerici di onore (τιμή, timè) e gloria (κῦδος, kudos). Aveva molto carisma e una forte personalità, caratteristiche che lo resero un grande leader. Le sue abilità uniche furono ulteriormente dimostrate dall'inabilità dei suoi generali nel mantenere unita la Macedonia e preservare l'impero dopo la sua morte — solo Alessandro ebbe l'abilità necessaria per farlo.
Durante i suoi ultimi anni, e specialmente dopo la morte di Efestione, Alessandro cominciò a mostrare segni di megalomania e paranoia. Le sue straordinarie conquiste, insieme con il suo stesso ineffabile senso del destino e l'adulazione dei suoi compagni, potrebbero aver causato questo effetto. Le sue illusioni di grandezza sono chiaramente visibili nel suo testamento e il suo desiderio di conquistare il mondo, in quanto, egli è secondo varie fonti definito come possessore di un'illimitata ambizione, un epiteto il cui significato è diventato un cliché storico.
Sembra che egli stesso si credesse una divinità, o almeno cercava di farsi trattare come tale. Olimpiade insistette sempre che lui fosse il figlio di Zeus, una teoria a quanto pare confermata ad Alessandro da un oracolo di Amun a Siwa. Egli dunque incominciò a identificarsi come il figlio di Zeus. Alessandro adottò gli elementi tipici del vestiario e dei costumi persiani dell'epoca, pretendendo per esempio l'atto del proskynesis, una pratica che i Macedoni disapprovavano, ed erano riluttanti ad accettare.
Questo comportamento gli costò l'affetto di molti dei suoi compatrioti. In ogni caso, Alessandro era anche un sovrano pragmatico che comprendeva le difficoltà del governare persone culturalmente differenti, molte delle quali vivevano in regni dove il sovrano era considerato una divinità. Perciò, piuttosto che megalomania, il suo comportamento potrebbe essere stato un pratico tentativo di rinforzare il suo governo e mantenere il suo impero compatto.

Biografia

La nascita

Alessandro nacque a Pella, seconda capitale del regno di Macedonia (la prima fu Verghina), attorno al 20 o 21 luglio del 356 a.C. (o forse verso il 6 dello stesso mese). Era figlio del re macedone Filippo II e della principessa epirota Olimpiade. Entrambe le famiglie si consideravano discendenti diretti da due famosi eroi mitici: quella del padre Filippo da Eracle, quella della madre da Achille. Alessandro si mostrò sempre affascinato da questa sua origine mitica e, nel corso della sua vita, ebbe in più occasioni a dimostrare di identificarsi con entrambi questi poderosi eroi dell'antichità, specialmente con quest'ultimo.
Inoltre, secondo una leggenda alimentata da lui stesso e dalla madre Olimpiade dopo l'ascesa al trono, e riferitaci da Plutarco, il suo vero padre sarebbe stato lo stesso dio Zeus, che una notte avrebbe preso le sembianze di un serpente e giaciuto con la madre.

L'educazione

All'epoca della nascita di Alessandro, sia la Macedonia sia l'Epiro erano ritenuti dai greci dei regni semi-barbarici, posti all'estrema periferia settentrionale del mondo ellenico.
La sua nutrice fu Lanice, sorella di quel Clito il Nero che in seguito divenne uno dei suoi più fidati generali. Il padre Filippo volle dare al figlio un'educazione greca e, dopo Leonida (che il suo allievo giudicò avaro) e Lisimaco (con cui Alessandro legò molto rischiando una volta la vita per salvarlo), scelse come suo maestro il filosofo greco Aristotele, che lo educò per 3 anni, dal 343 a.C. al 341 a.C.. Aristotele probabilmente insegnò ad Alessandro le scienze naturali, la medicina, l'arte e la lingua greca, e inoltre sappiamo che preparò per lui un'edizione annotata dell'Iliade, che Alessandro portò con sé per tutta la sua campagna in Persia. I rapporti tra allievo e maestro, anche se con alti e bassi, continuarono grossomodo assidui e amichevoli per diverso tempo, anche dopo la partenza di quest'ultimo; solo verso la fine della sua vita, Alessandro cominciò a diffidare di lui.
Non si sa fino a che punto gli insegnamenti di Aristotele abbiano influito sul pensiero di Alessandro. Sembra molto probabile che non potessero esservi molti punti di incontro tra i due: le teorie politiche di Aristotele erano quelle classiche della grecità, fondate sulla concezione antica e provinciale della città-stato, che ad Alessandro, che come il padre sognava di unificare la grecità intera sotto un'unica guida, dovevano stare ben strette.
Alessandro fu comunque un allievo brillante e capace: la sua abilità nella retorica e nel suonare la lira furono già oggetto di un discorso pubblico di Eschine ad Atene quando Alessandro aveva solo dieci anni. Il principe macedone divenne anche ben presto un buon filosofo; in una lettera inviatagli da Isocrate, l'oratore ateniese si complimenta con lui per la sua competenza e bravura.

La caccia al leone e l'incontro con Bucefalo

Alcune fonti ci dicono che il giovane Alessandro già in tenera età possedesse la tempra straordinaria che dimostrò più compitamente negli anni successivi della sua breve e intensa vita. Molti episodi ci raccontano delle mirabili gesta del principe da ragazzo, come la leggendaria caccia al leone in cui Alessandro uccise la temibile bestia da solo. Estremamente importante per la vita di Alessandro fu il suo incontro con l'indomabile cavallo Bucefalo, che le fonti ci raccontano nei particolari.
Quando il principe aveva circa dodici anni, un amico del padre Filippo, il generale Demarato di Corinto, comprò l'animale per l'impressionante somma di tredici talenti con l'intento di farne dono al re. Questi, spaventato dalla apparente indomabilità dell'animale, stava per rinunciare al regalo, quando Alessandro notò che il cavallo era soltanto spaventato dalla propria ombra. Allora gli si avvicinò, gli volse il muso verso il sole, e quindi gli montò in groppa: da allora si dice che Bucefalo non si lasciò più montare da nessun altro che non fosse il principe.
Bucefalo avrebbe accompagnato Alessandro per quasi vent'anni, attraversando insieme con lui mezzo mondo fino alla sua morte, che sarebbe sopravvenuta nel 326 a.C. durante la battaglia dell'Idaspe. In onore del destriero, Alessandro fonderà una nuova città dal nome Alessandria Bucefala.

Le prime spedizioni

Raggiunti i sedici anni di età, nel 340 a.C., Alessandro terminò la sua formazione con Aristotele. Impegnato in una spedizione contro Bisanzio, Filippo decise che il figlio era pronto a intraprendere la reggenza del regno di Macedonia, che lasciò sotto il suo controllo. Durante l'assenza di Filippo, la tribù tracia dei Maedi decise di ribellarsi al governo di Pella: Alessandro guidò la difesa con velocità e competenza, tanto che in breve tempo disperse i rivoltosi. Nel cuore del loro territorio decise di fondare una nuova città, Alessandropoli, insediandovi coloni greci.
Al suo ritorno, Filippo inviò nuovamente il figlio a sedare alcune rivolte in Tracia. In quei mesi, la città di Amfissa cominciò a coltivare alcune terre che erano sacre al dio Apollo: questa si presentò come l'occasione perfetta per Filippo di intervenire in Grecia, in cui da tempo voleva cominciare a estendere la sua influenza. Egli inviò sul luogo Alessandro a capo di un contingente militare, che raggiunse ben presto nel 338 a.C.; l'esercito macedone, passando dalle Termopili, raggiunse e occupò la città di Elatea, a pochi giorni di marcia da Tebe e Atene. Gli ateniesi, guidati da Demostene, decisero quindi di allearsi con i tebani per fronteggiare il comune nemico macedone.
Gli eserciti si scontrarono nei pressi di Cheronea, in Beozia. La battaglia che ne conseguì prese il nome di Battaglia di Cheronea, in cui la cavalleria macedone, guidata dal giovane Alessandro, ebbe la meglio sui trecento soldati del battaglione sacro tebano, considerato fino a quel momento invincibile. Dopo la vittoria, l'esercito di Filippo discese indisturbato tutta la penisola ellenica fino al Peloponneso, dove solo Sparta si oppose alla sua avanzata. Tuttavia, il re macedone decise di non rischiare una guerra con i Lacedemoni, la cui aurea leggendaria di guerrieri invincibili era ancora ben viva nell'immaginario comune, e si ritirò a Corinto.
Qui, nel 337 a.C., costituì una nuova alleanza panellenica chiamata Lega di Corinto, modellata sulla base della Lega panellenica anti-persiana del 481 a.C. e comprendente tutte le polis greche con l'eccezione di Sparta. Filippo ne fu nominato Hegemón, "comandante", ed è in quest'occasione che per la prima volta si fa ufficialmente menzione dell'intenzione del re macedone di invadere la Persia.

L'esilio e l'assassinio di Filippo

Tornato a Pella, Filippo si innamorò perdutamente della nipote del suo generale Attalo, Cleopatra Euridice, che divenne la sua settima moglie. Questo matrimonio portò all'accendersi di aspri contrasti tra Alessandro e suo padre; il principe era probabilmente preoccupato della sua posizione di erede, poiché il futuro figlio di Cleopatra Euridice sarebbe stato l'unico figlio legittimo di Filippo che fosse interamente di sangue macedone (la madre di Alessandro, Olimpiade, era epirota).
I timori di Alessandro furono in qualche modo confermati al banchetto nuziale, quando Attalo, il padre della sposa, si augurò in un brindisi che gli dei potessero presto concedere alla Macedonia un erede legittimo. Alessandro, comprensibilmente, si infuriò. Plutarco ci riporta la sua risposta ad Attalo: dopo averlo insultato, gli avrebbe domandato «E io cosa sarei, un bastardo?». Filippo si offese molto del trattamento che suo figlio ebbe per il novello suocero e fece per scagliarsi contro Alessandro, ma scivolò su una pozza di vino. «L'uomo che si prepara a passare dall'Europa all'Asia» avrebbe detto allora Alessandro «non riesce neanche a passare da un letto all'altro».
Per fuggire l'ira del padre, Alessandro fuggì con la madre a Dodona, in Epiro, dove regnava il fratello di lei, Alessandro d'Epiro. Qui restò pochi giorni, prima di continuare verso l'Illiria, dove trovò rifugio da un re locale. Filippo, tuttavia, decise di perdonare molto presto il figlio, che richiamò a Pella dopo appena sei mesi.
Nell'estate di quell'anno, il 336 a.C., mentre si trovava a Ege, la capitale ancestrale del regno macedone, per assistere al matrimonio di sua figlia Cleopatra con Alessandro d'Epiro, Filippo fu assassinato da una delle sue guardie, Pausania, che fu subito ucciso dalle guardie macedoni. Non sappiamo quali siano le motivazioni alla base dell'assassinio, e anche le fonti antiche discordano. Alcuni, tra cui Plutarco, accusano Olimpiade o lo stesso Alessandro di essere stati a conoscenza della congiura, se non di avervi addirittura preso parte. Altri pensarono che il mandante dell'assassinio fosse il re di Persia, Dario III, da poco salito sul trono di Persepoli. Secondo Aristotele, infine, Pausania era un amante di Filippo, e avrebbe ucciso il re perché avrebbe ricevuto violenze sessuali da parte dei seguaci di Attalo, il padre della nuova moglie di Filippo. Il fatto, comunque, che si abbiano testimonianze attendibili dell'esistenza di alcuni complici, in attesa di raccogliere Pausania in fuga, tende a escludere quest'ultima ipotesi in favore di un complotto politico.
In ogni caso, alla morte del padre, Alessandro fu immediatamente proclamato re dall'esercito e dai dignitari, all'età di soli vent'anni.

Il consolidamento del potere

Salito al potere nel 336 a.C., Alessandro si occupò subito di consolidare il suo potere, facendo eliminare fisicamente tutti gli altri possibili rivali al suo trono. Per prima cosa fece giustiziare il cugino Aminta IV, figlio di Perdicca III e suo legittimo successore, fino al momento in cui l'allora reggente Filippo II, il padre di Alessandro, decise di spodestare. Quindi con l'aiuto del generale Antipatro, consigliere del padre, fece uccidere due dei tre principi macedoni della Lincestide. Inviò infine un sicario per uccidere lo zio Attalo, che allora si trovava già in Asia minore a guidare l'avanguardia dell'esercito macedone. La madre Olimpiade, nel frattempo, fece bruciare vive Cleopatra Euridice, la giovane vedova di Filippo, e la di lui figlia Europa.
Consolidato così il suo potere in patria, Alessandro poté cominciare a guardare alla penisola ellenica. Qui, infatti, la notizia della morte di Filippo aveva dato vita a una serie di rivolte e insurrezioni a Tebe, Atene e in Tessaglia. Alla guida di un numeroso esercito, scese nuovamente in Grecia: dapprima causò la resa dell'esercito tessalico, quindi continuò la marcia verso sud fino alle Termopili, dove fu riconosciuto comandante della Lega Anfizionica. A questo punto si diresse verso Corinto, dove incontrò il filosofo cinico Diogene. L'incontro è divenuto celebre grazie allo scambio di battute che sarebbe avvenuto tra i due: Alessandro, che ammirava molto la filosofia cinica, avrebbe chiesto a Diogene cosa potesse fare il re di Macedonia per lui, e il filosofo avrebbe risposto di spostarsi più in là, poiché la sua figura gli nascondeva il sole. Sembra che Alessandro fu positivamente colpito dalla risposta, poiché disse: «Veramente, se non fossi Alessandro vorrei essere Diogene».
A Corinto, Alessandro prese il titolo che fu del padre di Hegemón della Lega Ellenica, e fu messo a capo dell'esercito greco nella imminente spedizione contro l'Impero Persiano.

La campagna nei Balcani

Ricevuto l'appoggio dei Greci (con l'eccezione ancora di Sparta), Alessandro decise di rivolgersi a nord, per assicurare i confini del suo regno prima della spedizione in Persia. Nella primavera del 335 a.C. partì alla volta dei Balcani. I primi a essere sconfitti furono i Triballi, una popolazione stanziata in una regione più o meno corrispondente all'odierna Bulgaria settentrionale; dopo una serie di battaglie vittoriose, in cui Alessandro diede prova di grande abilità strategica, i Triballi guidati dal loro re Sirmo furono definitivamente sconfitti sul fiume Ligino ed alla foce del Danubio, (rispettivamente battaglia del fiume Ligino e battaglia dell'isola di Peuce), subendo perdite enormi a fronte della sola cinquantina di morti macedoni. Percorrendo il corso del fiume, Alessandro si ritrovò sulla sponda del Danubio, che seguì per tre giorni fino a che non trovò l'esercito dei Geti, alleati dei Triballi, sulla sponda opposta. Alessandro guadò il fiume di notte, cogliendo di sorpresa l'esercito nemico e costringendolo a battere in ritirata.
Dopo circa 4 mesi di campagna, ad Alessandro giunsero notizie di altre insurrezioni in Illiria, comandate dal re dei Dardani Clito e dal re dei Taulanti Glaucia. Egli decise quindi di marciare verso est, e uno dopo l'altro sconfisse gli eserciti dei rivoltosi, assicurandosi così la pace nel confine settentrionale.

L'insurrezione delle poleis

Dopo le vittorie nei Balcani, si sparse in Grecia la voce che Alessandro fosse rimasto ucciso in battaglia. Questa notizia provocò una nuova ribellione a Tebe e Atene, probabilmente in parte alimentata dai Persiani.
Con una marcia rapidissima (più di 200 chilometri percorsi in soli quattordici giorni), Alessandro raggiunse Tebe e la circondò. L'esercito macedone travolse ogni fortificazione, e rase quasi al suolo l'intera città, risparmiando solamente i templi e la casa del poeta Pindaro. L'intero territorio della polis fu diviso tra le città beote confinanti. Atene fu risparmiata, a patto che la città consegnasse i capi del movimento anti-macedone: alla fine solo il generale Caridemo fu esiliato, e in seguito si alleò con i persiani di Dario.
Era giunto il momento per Alessandro di partire per la tanto desiderata campagna in Asia. Prima della partenza, però, il macedone si volle fermare all'oracolo di Delfi per ascoltare il vaticinio della Pizia. Per il tempo in cui il re arrivò al tempio, però, l'Oracolo non poteva essere consultato. Alessandro, però, non si perse d'animo: costrinse con la forza la sacerdotessa nel tempo e la obbligò a vaticinare, e solo a questo punto ella avrebbe espresso il suo responso: Alessandro sarebbe stato «invincibile».

Conquista dell'Impero persiano

Nella primavera del 334 a.C. Alessandro, dopo aver lasciato al fidato generale Antipatro la reggenza di Macedonia, passò l'Ellesponto alla guida di un grande esercito.
Le fonti discordano fin dall'inizio sul numero esatto delle truppe di Alessandro: probabilmente si trattò di una fanteria di circa 48.000 unità, 6.000 cavalieri e una flotta di 120 triremi. Tolomeo, uno dei generali più fidati del condottiero macedone che tenne un diario sulla spedizione, ci dice invece che le armate erano inizialmente composte da 30.000 fanti e 5.000 cavalieri, Anassimene di Lampsaco descrive 43.000 fanti e 5.500 cavalieri, mentre Callistene, lo storico ufficiale della campagna, contava una fanteria di 40.000 unità e una cavalleria di 4.500.[senza fonte] Sappiamo per certo, in ogni caso, che i soldati provenivano in gran parte dall'esercito del Regno di Macedonia, ma vi erano anche contingenti greci provenienti da tutte le città che facevano parte della Lega di Corinto.
Giunto indisturbato sulle coste dell'Asia minore, Alessandro si recò subito a rendere omaggio alla tomba dell'eroe Protesilao, secondo il mito il primo guerriero acheo a sbarcare sulle spiagge di Troia in occasione del famoso assedio della città. Ivi giunto, compì un sacrificio e rese palese la sua intenzione di conquistare l'intero Impero di Persia con un gesto di sicuro effetto: gettò la propria lancia e la lasciò conficcarsi nel suolo, nella terra d'Asia.

La battaglia del Granico

Il comandante delle truppe del Gran Re di Persia nella regione era un mercenario greco di nome Memnone, nato a Rodi e che aveva sposato una donna persiana. Egli sosteneva che la tecnica migliore per stroncare subito l'avanzata di Alessandro nel continente fosse quella della cosiddetta "terra bruciata": attirare l'esercito macedone verso l'interno, e bruciare e distruggere tutto ciò che c'era nei dintorni, così da rendere per i macedoni impossibile l'approvvigionamento dei rifornimenti. I satrapi persiani, però, non furono d'accordo nell'infliggere al proprio territorio danni così ingenti, e preferirono invece scontrarsi direttamente con le armate di Alessandro il prima possibile.

Lo scontro ebbe luogo presso il fiume Granico, nei pressi del sito dell'antica Troia. La tattica di Alessandro era chiara: aprire dei varchi nella fanteria nemica, lasciando poi spazio alla cavalleria per spezzare l'esercito persiano (che era disposto lungo le ripide rive del fiume) e permettendo così alla falange macedone di caricare con le sarisse e porre fine alla battaglia.
La vittoria fu schiacciante, anche se Alessandro venne ferito, e fu addirittura necessario che Clito il Nero gli salvasse la vita. L'esercito persiano subì perdite tremende, mentre i macedoni contarono appena un centinaio di morti. Alessandro inviò trecento tra le armature nemiche più belle ad Atene per essere esposte sull'acropoli, un ovvio riferimento ai trecento guerrieri spartani di re Leonida che si batterono valorosamente alle Termopili nel 480 a.C..
La resistenza di Mileto e l'accordo con la città di Sardi


L'avanzata di Alessandro trovò solo la città di Mileto a opporgli fiera resistenza: pur avendo anche loro inviato in precedenza ai Macedoni una lettera di resa, cambiarono idea non appena vennero a conoscenza dell'arrivo imminente di una flotta amica in loro sostegno. Alessandro occupò quindi il porto, cercando di impedirne l'entrata alle 400 navi nemiche che stavano per giungere, e assaltò le mura, incominciando l'assedio. Dopo tre giorni giunsero i rinforzi ma non venne permesso loro di attraccare: ciò fu possibile grazie allo sforzo di Nicanore e dei suoi soldati che, stanziando nei pressi dell'isola di Lade, controllavano il porto.
Si dice che a questo punto Parmenione suggerì di attaccare la flotta nemica, avendo notato buoni auspici per la vittoria in mare (un'aquila che si era poggiata sulla spiaggia vicino alle loro imbarcazioni); Alessandro, tuttavia, gli rispose che aveva male interpretato i segni e che la vittoria sarebbe venuta per terra, in quanto il volatile si era poggiato sul suolo; l'evento è probabilmente inventato. I Macedoni sconfissero gli avversari e reclutarono trecento uomini nemici nel loro esercito (questo reclutamento indusse alla resa i combattenti nemici più valorosi).
Contro la città di Sardi bastò un accordo con il suo capo, Mitrine, che accolse Alessandro come fosse un amico; il re macedone permise ai cittadini di continuare a regolarsi con le leggi già in uso e concesse inoltre ulteriori privilegi. Raggiunse Efeso, dove i mercenari nemici impauriti erano precedentemente fuggiti, e la occupò instaurando una democrazia al posto della precedente oligarchia, come era avvenuto nelle altre città conquistate. La città entrò a far parte della Lega di Corinto. Questa sua politica portò ad Alessandro molti consensi e provocò la resa spontanea di altre città. Tutte le πόλεις (pòleis) della costa, che avevano mal sopportato le ingerenze persiane, salutarono il macedone come un compatriota liberatore.
Il controllo delle zone conquistate
Il governo della Caria fu affidato ad Ada, ultima sorella di Mausolo e di Pissodaro (colui che anni prima aveva progettato un matrimonio fra sua figlia e uno dei figli di Filippo). La donna chiese udienza al conquistatore, lasciando Alinda (luogo dove aveva trovato rifugio) per incontrarlo; nel parlargli lo denominò figlio.
Mentre il grosso dell'esercito svernava in Lidia (terra poi concessa ad Asandro) al comando di Parmenione, Alessandro passò in Licia, in Panfilia, in Pisidia e in Frigia; quest'ultima venne concessa al comandante della cavalleria tessalica (Calate) e in sua sostituzione Alessandro nominò nuovo comandante della cavalleria Alessandro Linceste, scelta poi rivelatasi infausta; Linceste, in seguito, fu da lui fatto arrestare con l'accusa di tradimento.
L'assedio ad Alicarnasso
L'intento di Alessandro era quello di conquistare tutte le città costiere impedendo l'attracco alle navi nemiche; nel frattempo si ebbe la notizia della morte di un figlio di Dario, ucciso per ordine dello stesso padre in quanto era in procinto di tradirlo.
Si trovò di fronte ad Alicarnasso, una roccaforte dove si era rifugiato Memnone per aiutare la flotta persiana disposta nelle acque vicine; la città era provvista di un grande fossato e disponeva di scorte sufficienti a resistere a un eventuale lungo assedio. In questa battaglia il macedone utilizzò le macchine che lanciavano pietre per difesa e non per attaccare le mura.
Alessandro attaccò quindi una torre, nella vana speranza che il suo crollo coinvolgesse parte delle mura; ma alla caduta della prima non conseguì la caduta della seconda. Si concentrò allora su un'altra zona, colmando prima il fossato e poi attaccando con le sue macchine, senza grossi esiti. In quell'occasione morì Neottolemo, fratello di Aminta di Arrabeo, insieme con circa 170 soldati, mentre meno di venti (16) furono le vittime fra i macedoni, e 300 i feriti.
I Persiani resistettero ad altri assalti grazie al fuoco che bruciò un'elepoli dei greci.
Furono allora mandati duemila uomini persiani, mille dei quali armati di fiaccole con l'obiettivo di incendiare ogni macchina nemica, mentre gli altri mille dovevano attaccare di sorpresa i Macedoni nel momento in cui sarebbero stati impegnati a spegnere i vari incendi. La loro azione non colse impreparati gli uomini di Alessandro, che fecero strage dei nemici; del secondo contingente si occupò Tolomeo. I soldati persiani rimasti in vita cercarono di tornare nella città, ma, temendo che anche gli invasori entrassero con loro, venne chiuso il cancello e il ponte stesso non resse al peso. Si contarono 1.500 morti per i Persiani e 40 dei Macedoni, fra cui il capo degli arcieri Clearco.
Diodoro differisce totalmente da questa versione (narrata fra gli altri da Arriano-Tolomeo); secondo l'autore, soltanto all'inizio stavano avendo la meglio i Macedoni, guidati fra gli altri probabilmente dai battaglioni di Addeo e Timandro, ma di fronte al secondo assalto molti dei greci si spaventarono e la paura aumentò ancora di più all'ingresso dello stesso Memnone, il cui esercito ammutolì per un attimo lo stesso Alessandro. Soltanto grazie ai veterani, al cui comando si pose Atarrias, che spronò i più giovani e inesperti, riuscirono a sconfiggere l'esercito nemico uccidendo Efialte, uno dei comandanti nemici. L'episodio ritrova conferma in un racconto successivo riguardante Clito il Nero e Alessandro, nel quale il primo ricordò al secondo che senza l'intervento di Atarrias i Greci forse sarebbero ancora ad assediare Alicarnasso. Si riportano anche i nomi dei generali nemici, gli stessi Efialte e Trasibulo, che tempo prima vivevano ad Atene e di cui Alessandro chiese la consegna, ma a cui fu dato la possibilità dell'esilio e quindi di allearsi con Dario. In ogni caso la resistenza non superò i due mesi.
La città venne incendiata dai Persiani, mentre il generale nemico Memnone fuggì rifugiandosi temporaneamente sull'isola di Cos. Il re macedone, entrato nella città, ordinò di uccidere chiunque avesse appiccato il fuoco e quando si rese conto dei danni che aveva subito la fece distruggere completamente; visti, però, i resti ritrovati, sembra che questa sia un'esagerazione.
Alessandro lasciò Orontobate, che si era rifugiato nella roccaforte di Salmacide, dando incarico a due dei suoi uomini più fidati (Tolomeo di Filippo e Asandro) di conquistare le restanti città della regione, lasciando a loro parte dell'esercito (3.000 fanti e 200 cavalieri). Nel frattempo il re macedone avrebbe proseguito la sua conquista dell'Impero Persiano.
I primi tradimenti e il nodo gordiano
A questo punto il re macedone diede il congedo a tutti i militari che si erano sposati poco prima di partire per la spedizione e inviò parte del suo esercito a Perge, mentre lui continuava il suo percorso costiero. Dopo un evento fortuito (il vento cambiò al suo passare rendendo agevole il passaggio in una zona altrimenti impervia) riscosse molti consensi e contributi da parte dei suoi uomini che subito convertì in paghe per i soldati.
Alessandro viaggiò per Termesso, Aspendo e Faselide. Nel frattempo arrivò da Parmenione Sisine, un messaggero persiano inviato da Dario III col proposito di persuadere Alessandro di Lincestide a uccidere il proprio re; se quest'ultimo avesse accettato la proposta avrebbe ricevuto un premio di duemila talenti d'oro (a cui si aggiungeva la corona stessa). Il generale dunque, ritenendo rischioso comunicare la risposta per iscritto, inviò ai persiani un messaggero travestito, evitando così ogni possibile pericolo di intercettazione, per chiedere come avrebbe dovuto agire.
Gli storici non concordano con questo passo per via della presenza di tanti punti oscuri. Anche la sorte di Alessandro di Lincestide viene raccontata in vari modi: Tolomeo dopo la sua cattura non citerà più il suo nome; forse fu ucciso per un tradimento quattro anni dopo le vicende narrate, oppure, come racconta Aristobulo, egli morì addirittura prima della partenza per la conquista dell'Asia, ucciso da una donna a cui chiese del denaro. Dati certi riportano però l'esistenza di un comandante dei Traci con tale nome, sia all'epoca di Tebe sia in Asia.
Altri resoconti identificano Sisine come uomo di fiducia del re macedone, che gli rimase fedele sino a poco prima della battaglia di Isso, quando gli venne commissionato l'omicidio di Alessandro; scoperto, per ordine del re, Sisine venne poi ucciso dagli arcieri.
Dopo aver fatto dono al veterano Antigono Monoftalmo di un ampio territorio, Alessandro giunse nell'antica capitale Gordio, dove si svolse l'episodio del celebre nodo gordiano: pare che esistesse un antico carro il cui giogo era assicurato da un nodo inestricabile e che un oracolo avesse promesso il dominio dell'Asia a chi fosse riuscito a scioglierlo. Il macedone, dopo alcuni tentativi, risolse il problema estraendo la spada e tagliando il nodo con un colpo netto. Diversamente Aristobulo afferma che fu facile per il re sciogliere quel nodo, senza l'utilizzo della propria spada bensì staccando semplicemente la spina che teneva il nodo legato al carro.
A Gordio, nel maggio del 333 a.C., Alessandro aspettò che Parmenione lo raggiungesse insieme con le sue truppe, cui si aggiunsero 4.000 soldati (di cui 3.000 erano Macedoni). Riuscì a far avere ad Antipatro 500 talenti e 600 ne donò ad Anfotero, per rinforzare la flotta greca, rispettando l'alleanza.
In seguito Memnone, dopo aver conquistato Chio e le città di Lesbo (Mitilene non riuscì mai a conquistarla), tentò di preparare trecento navi con cui partire per invadere Eubea e Attica, ma si ammalò e morì. La sua azione di resistenza fu proseguita da un suo parente, Farnabazo, aiutato da Autofradate. I due ottennero piccole vittorie (fra cui la conquista di Mitilene, Mileto e Tenedo) alternate ad altrettante piccole sconfitte, ma il numero dei loro soldati non impensieriva Alessandro.

Battaglia di Isso (333 a.C.)

Preludio
Alessandro nel giugno del 333 a.C. entrò nella Cilicia e scese in una radura descritta tempo prima da Senofonte, arrivando dopo molte miglia a Tarso. Nel frattempo Dario III, a Susa, venuto a conoscenza della morte del suo più celebre generale, convocò il consiglio di guerra; Caridemo chiese di essere posto al comando di un esercito di 100.000 uomini, ma l'imperatore persiano decise di muoversi personalmente a partire da luglio. Verso la fine di agosto o l'inizio di settembre partì. Le cifre dell'esercito persiano non sono riportate correttamente da nessun cronista storico del tempo: erano 600.000 secondo Arriano e Plutarco, 400.000 fanti a cui si sommano 100.000 cavalieri secondo Giustino e Diodoro, mentre Callistene e Curzio Rufo riferiscono solo di 30.000 mercenari greci; altri riportano che il contingente schierato fu di 160.000 unità.
In ogni caso Dario aveva radunato un'armata numerosa, tre o quattro volte superiore a quella macedone. I Persiani si schierarono nella pianura all'uscita dei passi montani delle porte siriache, trovando una buona posizione strategica a Sochi.
Nel frattempo Alessandro fu colpito da una malattia, forse per aver nuotato nel Cidno. Colui che lo curava, Filippo di Acarnania, voleva in realtà ucciderlo, ma il re ne fu informato da Parmenione. Secondo Arriano e Curzio, Parmenione fece pervenire ad Alessandro una lettera dove si riferiva dell'intenzione del medico di ucciderlo. Alessandro lesse la lettera poco prima di bere il rimedio approntato dal medico e, confidando della sua lealtà, subito dopo bevve e gli consegno la lettera. Il re guarì verso la fine di settembre. Successivamente passò per Anchialo, dove una tradizione diceva che questa città e quella di Tarso furono costruite in un giorno e, dopo la conquista di Soli, corse a Mallo, dove era in atto una guerra civile che fece terminare; qui venne a conoscenza che Dario era posizionato a Sochi e decise quindi di affrontarlo. Alessandro lasciò i feriti e i malati delle sue truppe a Isso, poi riprese la marcia e giunse a Miriandro dove si accampò. Qui decise di attendere Dario attraverso le Porte Assire (oggi chiamato Passo Beilan).
La battaglia
Parmenione fu mandato in avanscoperta e a fatica riuscì a controllare il passo di Kara-kapu, Alessandretta e una parte di Isso; Alessandro lo raggiunse successivamente.
A novembre, infine, il re persiano, temendo che l'inverno lo costringesse a ritirarsi nei quartieri invernali senza aver fermato Alessandro, gli venne incontro. Entrambi non sapevano esattamente dove si trovasse l'altro. Arrivato a Isso, Dario trovò solo gli uomini abbandonati dal re avversario, in quanto non erano più utili all'imminente battaglia perché feriti o malati; il suo nemico si trovava a sole quindici miglia circa più a sud.
Fiducioso della superiorità numerica del suo esercito, Dario si spostò alle spalle del nemico, nella pianura costiera di Isso, l'odierna Dorto; la sua idea era quella di spezzare l'esercito macedone, confidando che l'alto numero dei soldati reclutati lo avrebbe portato alla vittoria anche su un terreno meno favorevole, nella ristretta pianura chiusa tra i monti del Tauro, il mare e il fiume Pinar, dove poterono essere schierati non più di 60.000 fanti, 30.000 cavalieri, altri 20.000 uomini e dietro a loro 30.000 mercenari greci. Il tutto equivaleva per capacità alla falange macedone. Ancora più dietro vennero schierati altri soldati, mentre Dario occupava il centro come loro usanza, su un carro con 3.000 uomini posti a guardia. Alla sinistra si posero 6.000 arcieri e 20.000 fanti sotto il comando di Aristomede.
Lo scontro ebbe inizio alle cinque e mezzo del primo novembre. Alessandro guidò direttamente la carica con la cavalleria leggera sull'ala destra: superò gli sbarramenti posti dalle truppe persiane mentre la falange, meno veloce nei movimenti, cedeva lentamente al nemico che l'attaccava da ogni parte. Nel suo slancio, Alessandro raggiunse quasi il sovrano persiano e si dice cercò di colpirlo, non riuscendoci, con una lancia. Dario decise di ritirarsi, costretto a lasciare il suo carro e a darsi alla fuga su un cavallo, mentre suo fratello Ossatre rimase a combattere sino alla morte.
Il dopo battaglia
La battaglia si concluse con una completa disfatta dei Persiani, tra i quali si contarono oltre 110.000 morti fra cui ufficiali quali Savace (satrapo d'Egitto), Arsame, Reomitre e Atize, i quali avevano già combattuto in passato contro l'avanzata macedone uscendone in salvo. Il Grande Re perse le sue migliori truppe, quasi tutti i più validi ufficiali del suo esercito e soprattutto il proprio prestigio di condottiero, distrutto dalla sua precipitosa fuga davanti al nemico.
Fra i Macedoni si contarono 150 perdite, tra cui 32 fanti, mentre i feriti erano oltre 500. Lo stesso Alessandro venne ferito a una coscia. Vennero catturati, oltre a un immenso bottino, anche alcuni familiari di Dario tra cui sua madre Sisigambi, sua moglie Statira I e le sue figlie Statira II e Dripetide.
Il giorno successivo Alessandro andò con Efestione a far visita alle prigioniere. In quell'occasione Sisigambi non seppe riconoscere chi dei due fosse il re, rendendo omaggio alla persona sbagliata. Un servo le fece notare l'errore e il conquistatore macedone per evitarle l'imbarazzo le disse di non preoccuparsi in quanto entrambi erano Alessandro; il condottiero, adeguandosi a come già aveva fatto con Ada tempo addietro, incominciò a rivolgersi alla regina persiana chiamandola madre. Visitò i feriti, pur essendo lui stesso uno di loro, e onorò ogni soldato che si fosse distinto durante la battaglia offrendo ricompense adeguate.
L'ambasciata di pace
Giunto a Marato, il conquistatore macedone ricevette alcuni ambasciatori inviati dal re persiano; questi chiedevano la pace e il riscatto dei prigionieri. Gli ambasciatori erano accompagnati da una lettera con la quale si ricordava ad Alessandro che, ai tempi del padre Filippo, la Macedonia e la Persia erano state alleate e furono i Macedoni a infrangere per primi tale alleanza.
Alessandro rifiutò le proposte di pace di Dario preferendo la via della conquista all'accontentarsi dei numerosi territori fino a quel momento assoggettati. Invece di proseguire immediatamente verso l'Asia preferì entrare in Egitto al fine di coprire le spalle al suo esercito prima della spedizione successiva.

Damasco e Tiro

Parmenione poi fu inviato a Damasco, dove riuscì a racimolare 2.600 talenti e 500 libbre d'argento, con i quali riuscì a pagare ogni debito contratto con l'esercito. Parmenione riportò con sé anche 329 musiciste e quaranta «fabbricanti di profumi», oltre a uno scrigno in cui Alessandro nascose la sua copia dell'Iliade e Barsine, figlia di Artabazo (che discendeva da una figlia di un re) e vedova del generale Memnone, che divenne una delle compagne dello stesso re macedone, da cui ebbe un figlio, Eracle.
Dopo la vittoria lo stesso Alessandro scrisse una lettera a Dario con la quale gli comunicò che avrebbe dovuto chiamarlo «signore di tutta l'Asia» e che avrebbe potuto ottenere il riscatto della moglie e dei figli se fosse venuto di persona a chiederlo. Nel caso in cui il sovrano persiano non l'avesse riconosciuto superiore a lui ci sarebbe stato un nuovo combattimento.
Alessandro si dedicò quindi alle città costiere per eliminare le ultime basi della flotta persiana. Si sottomisero senza opporre resistenza Arado, Biblo e Sidone con le loro flotte navali, mentre Tiro, che per allearsi o meno attendeva di capire chi stesse vincendo fra i due schieramenti, non fu benevola come le precedenti. Il re cercò in un primo momento di convincerli a farli entrare in città con il pretesto di voler rendere omaggio a una loro divinità, Melqart; loro tuttavia non acconsentirono e gli venne suggerito di recarsi nella parte vecchia della città dove vi era un tempio dedicato. In questo modo avrebbero quindi evitato la parte nuova, quella che invece interessava al macedone. Il conquistatore inviò loro dei messaggeri che furono tutti uccisi, violando il codice non scritto. Era il mese di febbraio dell'anno 332 a.C.
La città oppose un'accanita resistenza, forte anche del fatto che Cartagine aveva promesso di inviare presto soccorsi. La parte nuova era ubicata su un'isola vicino alla costa (si parlava di una distanza di 700 metri); Alessandro pensò dunque di utilizzare dei detriti dell'antica città continentale, distrutta anni prima da Nabucodonosor II (dopo un assedio di tredici anni), per unire l'isola alla costa rendendola dunque una penisola, usando anche alberi, legname a cui venivano alternati strati di macigni e detriti. Intanto racimolò, durante un viaggio che lo portò anche a Sidone, una piccola flotta composta da 224 navi, fra cui alcune quinquiremi del re Pnitagora, sovrano dei ciprioti a cui il conquistatore donò una miniera di rame. Oltre a loro riuscì ad aggiungere alle sue fila anche 4.000 mercenari comandati da Cleandro.
L'assedio durò sette mesi (dal febbraio del 332 a.C. sino a luglio-agosto). Fra le varie idee utilizzate vi fu quella di due navi unite a prua che trasportavano degli arieti. La resistenza dei Tiri fu eroica: riparavano ogni breccia creata, gettavano pietre contro le navi che trasportavano gli arieti (anche se tali massi furono raccolti e catapultati lontano dagli assalitori), tagliavano le corde che reggevano le ancore anche con l'uso di palombari (in seguito furono sostituite da catene). Inoltre, dato il gran numero di tecnici e ingegneri presenti nella città, costruirono facilmente tante nuove macchine da guerra per opporsi con più efficacia all'assedio; a loro si contrapponeva, nella costruzione di macchine all'avanguardia, un solo inventore tessalo, Diade.
Giunse un'altra lettera da Dario, una proposta di pace, probabilmente durante l'assedio a Tiro. Questa volta alla proposta erano allegati molti doni fra cui 10.000 talenti, la mano di sua figlia e il possesso di un vasto territorio sino all'Eufrate. Vi fu qui una celebre conversazione fra Parmenione e Alessandro: «Se io fossi Alessandro, accetterei la tregua e concluderei la guerra senza più correre altri rischi». «Lo farei se fossi Parmenione; ma io sono Alessandro e come il cielo non contiene due soli, l'Asia non conterrà due re».
Fu probabilmente la notizia della morte della moglie, avvenuta durante il travaglio di un nuovo nascituro, a far cambiare idea al re. Infatti, saputo del secondo rifiuto, Dario si dedicherà a radunare un esercito ancora più vasto del precedente. Nel frattempo la flotta navale macedone sconfisse molti dei suoi nemici, fra cui Carete, fuggito tempo addietro dalla Grecia stessa.
Gli abitanti di Tiro vennero informati che i rinforzi da Cartagine non sarebbero giunti e di conseguenza escogitarono altre difese ancora più cruente, fra cui quella di gettare dalle mura sabbia e fango bollente che una volta entrate nelle armature degli assedianti avrebbero causato ustioni. Si dice che Alessandro abbia avuto dei dubbi sulla prosecuzione dell'assedio; alla fine scelse di continuare ciò che aveva incominciato, dato che una rinuncia sarebbe stata una testimonianza troppo grande della sua non invincibilità.
Plutarco racconta che, giunti all'ultimo giorno del mese di agosto, l'indovino Aristandro predisse, dopo aver interpretato i segni che il cielo stava dando, la conquista della città entro la fine del mese; Alessandro quindi decise che quel giorno non era più il trenta ma il ventotto del mese. Alla fine di agosto le navi di Alessandro subirono un pesante attacco e quelle di Pnitagora, Androclo e Pasicrate, dopo essere state speronate, affondarono l'una dopo l'altra. Non appena il macedone si accorse di quanto stava accadendo ordinò alle navi più vicine di avvicinarsi al molo nemico impedendo così l'uscita di altri convogli e permettendo di concentrare l'azione su quelli rimasti. I Macedoni utilizzarono a quel punto varie tattiche: l'attacco a entrambi i porti, un diversivo con una piccola unità navale e l'attacco decisivo alle mura. L'offensiva fu inizialmente guidata da Admeto, ammiraglio della nave del re, poi ucciso in quella battaglia. Successivamente l'attaccò fu guidato da Alessandro in persona. Per paura della sconfitta imminente ci fu chi preferì uccidersi. La città infine cadde e le perdite macedoni furono in quell'attacco circa una ventina, che si sommano alle circa quattrocento nel corso di tutto l'assedio.
In quest'occasione si vide la furia del re: fece uccidere 8.000 cittadini (di cui 2.000 vennero crocifissi) e molti di più furono ridotti in schiavitù o venduti; si mostrò tuttavia benevolo con chi aveva trovato riparo nei templi, fra cui il re di Tiro, Azemilco. Alessandro fu dunque di parola e sacrificò, come aveva chiesto di fare in precedenza al dio locale, la catapulta che aveva fatto per prima breccia nella città.
La data della caduta della città è controversa: Arriano cita il mese di luglio, all'epoca in cui si distingueva come magistrato d'Atene Aniceto, che aveva cambiato nome in Nicerato per festeggiare la vittoria di Alessandro.

La conquista di Gaza

Dopo Dor e Ashdod arrivò il turno di Gaza, comandata da Batis (o Bati), che si oppose alla conquista. Alessandro fece trasportare le macchine da guerra utilizzate in precedenza e alle proteste dei suoi uomini replicò, dopo aver osservato le possenti mura della fortezza scoscesa, che più un'impresa appariva impossibile a maggior ragione doveva essere compiuta per stupire alleati e nemici. Incominciò dunque la costruzione di gallerie, impresa facile vista la conformità del terreno.
Nel contempo decise di fare costruire torri più alte delle mura nemiche in modo da poterle colpire dall'alto grazie all'utilizzo di catapulte (le elepoli non riuscivano ad avvicinarsi abbastanza). Per utilizzarle occorreva prima costruire un terrapieno; nonostante i Macedoni avessero a disposizione solo fango e sabbia vi riuscirono in pochi mesi, secondo Diodoro in due. Batis diede l'ordine ai suoi uomini di incendiare le macchine nemiche, ma i soldati che uscirono dalla fortezza furono attaccati. Durante questa azione Alessandro fu raggiunto da un colpo di catapulta. Si riparò con lo scudo ma l'impatto fu così forte da romperlo, trafiggendo l'armatura e ferendolo a una spalla. Questo episodio era stato predetto dall'indovino che aveva visto la vittoria del macedone.
Il re non aspettò che la ferita guarisse, ma ritornò alla battaglia; durante l'assedio la ferita riprese a sanguinare e a gonfiarsi, ma il condottiero abbandonò il campo solo quando stava per svenire. Il terrapieno che venne costruito raggiunse un'altezza di 75 metri, una piccola montagna eretta durante l'estate; da quell'altezza, anche se si cercò di alzare le mura della città, i nemici furono facili bersagli delle macchine nemiche. Inoltre, grazie alle gallerie scavate, le mura vennero fatte cadere. Quasi tutti gli uomini della città morirono mentre i restanti diventarono schiavi. Si racconta che il destino di Batis, che durante i combattimenti venne ferito più volte, ricordasse per similitudine quello di Ettore; infatti, analogamente al condottiero troiano, venne legato al carro di Alessandro e trascinato; molte aggiunte apportate ai resoconti dopo la morte di Batis rendono l'accaduto più tragico. La città venne poi ripopolata.
Gerusalemme aprì le porte e si arrese. Secondo Giuseppe Flavio, ad Alessandro fu mostrato il libro biblico di Daniele, si pensa l'ottavo capitolo, dov'è indicato che un potente re macedone avrebbe assoggettato l'Impero Persiano.

Egitto

Nel novembre del 332 a.C. Alessandro incominciò il viaggio verso l'Egitto; superato dopo tre giorni il deserto e il lago Serbonide, giunse in quelle terre venendo accolto come un liberatore e facendosi consacrare faraone: qui, infatti, il giogo persiano era maggiormente avvertito e poco accettato, poiché solo dodici anni prima il popolo era libero dal potere dei Persiani.
La conquista dell'Egitto non era stata concordata con la lega di Corinto quindi il re macedone non poté unirla con il resto delle sue conquiste. Inoltre si astenne dal nominare un satrapo al quale preferì la collocazione strategica di alcune sue guarnigioni in posti chiave come Menfi e Pelusio. Per la gestione amministrativa del territorio furono scelti due nomarchi, Doloaspi e Petisi, mentre l'amministrazione delle finanze fu affidata a un greco residente in Egitto, Cleomene di Naucrati. Assegnò ai suoi uomini cariche militari ma non civili. Durante la sua marcia apprese delle varie vittorie riportate dagli alleati: Lesbo, Tenedo e Cos erano ora in mano sua.
Dimostrò grande rispetto per gli dei egiziani e una profonda devozione per Ramses II, suo mito e icona, in onore del quale costruì una stele; a Menfi fece un sacrificio al bue Api, ingraziandosi così i sacerdoti egiziani: tempo addietro, durante la riconquista persiana del territorio egiziano, Artaserse III aveva ucciso un toro sacro e ne aveva divorato la carne, mentre il re macedone con questo gesto conquistò la fiducia del popolo.
La costruzione di Alessandria
Alla fine del 332 a.C., sulle rive del Nilo, Alessandro decise di edificare una grande città che testimoniasse la sua grandezza; si racconta però che dopo un sogno, nel quale gli furono recitati alcuni versi dell'Odissea sull'isola di Faro, decise di costruirla nella regione del Delta del Nilo su una stretta lingua di terra tra la palude Mareotide e il mare. Egli stesso disegnò la disposizione di piazze e mura da costruire (le linee del disegno furono tracciate sul suolo utilizzando della farina).
La città venne chiamata Alessandria d'Egitto. Il progetto topografico fu realizzato dal celebre architetto dell'epoca Dinocrate di Rodi con la collaborazione di Cleomene da Naucrati. Le indicazioni fornite dal re macedone vennero rispettate. Fu la prima delle molte città a cui diede il suo nome.
L'oracolo di Amon
In seguito Alessandro (o forse prima, secondo alcuni studiosi) decise di andare a far visita al celebre santuario oracolare di Amon (l'equivalente di Zeus nella mitologia egizia). Per raggiungerlo dovette percorrere 200 miglia fino a quella che in seguito verrà chiamata Marsa Matruh, recandosi dunque all'oasi di Siwa nel deserto libico. Del viaggio si raccontarono gli episodi più incredibili, come i corvi che gracchiavano avvertendo i viaggiatori che avevano intrapreso la strada sbagliata o quello, riferito da Tolomeo, dei serpenti parlanti che gli avrebbero fatto da guida.
Questo viaggio fu forse intrapreso perché Alessandro sapeva che lo avevano compiuto in precedenza Perseo ed Eracle. I resoconti vennero scritti venti mesi dopo l'accaduto, quindi il dialogo intercorso potrebbe essere stato inventato conoscendo i successivi avvenimenti favorevoli al Dio Alessandro.
Le domande che pose furono più di una: inizialmente, chiese se avesse vendicato la morte del padre, ma gli venne risposto che non si trattava di suo padre in quanto lui era una divinità; allora riformulò la domanda chiedendo se degli uccisori di Filippo vi era rimasto qualcuno ancora in vita e se sarebbe diventato signore degli uomini. La risposta fu positiva per entrambe le richieste. Si narra che in quell'occasione l'oracolo compì un piccolo errore di pronuncia dicendo «paidios» (figlio di Zeus) invece di «paidion» (figlio), offrendogli in tal modo un punto di partenza per l'istituzione di un culto divino incentrato sulla sua persona. Davanti ai suoi alleati non volle però vantare questa discendenza.
Arriano differisce da questa narrazione rivelando che il re macedone non pose le domande sopra citate, ma supponeva che avesse chiesto, per via di indizi lasciati quattro anni dopo l'incontro, quali divinità avesse dovuto ingraziarsi per trionfare sui suoi nemici.
Dopo un anno di sosta nel regno egiziano ritornò in Asia. Nel frattempo giunsero rinforzi inviati da Antipatro (circa 900 uomini).

Battaglia di Gaugamela (331 a.C.) e fine di Dario

Nella primavera del 331 a.C. Alessandro riprese la marcia verso oriente dove Dario aveva radunato un esercito nelle pianure dell'Assiria. Qui il sovrano persiano avrebbe potuto sfruttare al meglio la propria superiorità numerica.
L'armata macedone doveva attraversare l'Eufrate e quindi passare per Tapsaco. Al satrapo Mazeo venne affidato il compito di impedire all'esercito di Alessandro di prendere la via per Babilonia e di bloccare i rifornimenti di cibo ai Macedoni. I due eserciti si diedero battaglia fino a che Mazeo si ritirò. Nonostante il ritiro dei soldati persiani l'esercito macedone andò comunque verso nord cercando un clima più favorevole. Alessandro infine decise di attaccare l'esercito avversario temendo che potesse rifugiarsi in terre a lui maggiormente ostili.
Il 20 settembre ci fu un eclissi lunare e il re macedone ne approfittò per opportuni sacrifici. Il Tigri fu guadato dall'esercito di Alessandro senza subire alcun attacco dal nemico. Durante la prosecuzione della marcia più volte si ebbero falsi avvistamenti dell'esercito persiano, come quello del 25 settembre; nello stesso giorno, grazie alla confessione di alcuni prigionieri, i soldati macedoni vennero a sapere che Dario e i suoi uomini erano vicini.
Alessandro si fermò a organizzare i suoi uomini per quattro giorni, fino alla sera del 29 settembre. Il re, nonostante i suoi consiglieri gli avessero suggerito di effettuare le prime mosse di notte, attese l'alba per intraprendere l'attacco, affermando che «non ruba le vittorie», e uccidendo una persona la sera stessa con un rituale misterioso. Successivamente cadde in un sonno talmente profondo che Parmenione si preoccupò a tal punto da chiedere al proprio re come mai dormisse come se avesse già vinto lo scontro imminente. Alessandro rispose che la battaglia era già praticamente vinta in quanto ci si doveva scontrare con un esercito che cercava di evitare ogni contatto.
Il contatto con l'esercito di Dario avvenne all'alba del 1º ottobre, Lo scontro avvenne presso il villaggio di Gaugamela (poi Tell Gomel), nei pressi delle rovine di Ninive e non ad Arbela come qualcuno sosteneva.
Forze in campo
La battaglia fu di vitale importanza per Alessandro. Si racconta che egli avesse solo 30.000 fanti e 3.000 cavalieri contro un milione di Persiani. Il numero di Persiani, imprecisato in realtà, è secondo alcuni storici di numero molto inferiore a quanto si racconta e variava a seconda della fonte riportata:
  • Giustino: 600.000 soldati
  • Diodoro Siculo: 800.000 cavalieri e 200.000 fanti
  • Quinto Curzio Rufo: 600.000 fanti e 45.000 cavalieri
  • Arriano: 1.000.000 di fanti, 40.000 cavalieri, 200 carri e 15 elefanti armati
L'armamentario persiano venne sostituito completamente nel tentativo di adeguarlo a quello macedone. Il punto debole dell'esercito di Dario rimaneva comunque la fanteria che non poteva rivaleggiare in abilità con la controparte. Questa unità militare venne abbandonata dai mercenari greci mentre i cardiaci non si dimostrarono all'altezza. Dario schierò al centro gli elefanti come ultima risorsa di difesa della propria persona. Le forze in campo stavolta erano schierate al meglio grazie anche alla conformità del terreno che il re volle perfetta, arrivando persino a spianare ogni rialzo del terreno Alle sue forze si erano uniti Besso dalla Battriana con 8.000 uomini, Mauace che guidava gli arcieri a cavallo, Barsaente al comando di circa 2.000 uomini, Frataferne con i Parti, Satibarzane, Atropate con i Medi, Orontobate, Ariobarzane e Orxine con la gente proveniente dalle sponde del Mar Rosso, Oxatre con gli Uxii e i Susiani (forse 2.000 uomini), Bupare con i Babilonesi, Ariace con i Cappadoci e infine Mazeo con parte dei Siriani, posizionato alla destra dello schieramento.
A tale esercito Alessandro aveva frapposto gli eteri (circa 10.000) con le sarisse al centro, i portatori di scudo (circa 3.000) che coprivano la loro destra, i cavalieri (fra cui il re) ancora più a destra, poi arcieri (circa 2.000), frombolieri e lanciatori di giavellotto. Il lato sinistro affidato a Parmenione era quasi unito agli eteri. A entrambi i lati, per prevenire un possibile accerchiamento, vi erano due piccole unità nascoste e poste in obliquo rispetto al resto delle forze, pronte ad attaccare; se non fosse bastato avrebbero potuto ritirarsi per lasciare spazio alle riserve. Alessandro cercò solo di utilizzare al meglio le sue risorse, eliminando il superfluo nell'armamento. I suoi uomini più fidati, Clito il Nero, Glaucia, Aristone, Eraclide, Demetrio, Meleagro ed Egeloco, erano tutti ai comandi di Filota, figlio di Parmenione, mentre l'altro suo figlio, Nicanore, si trovava al centro insieme con Ceno, Perdicca, l'altro Meleagro, Poliperconte e Simmia. Nella parte più interna vi erano Cratero, Erigio], Filippo il figlio di Menelao, arrivando infine a Parmenione. Oltre a loro Andromaco guidava la cavalleria dei mercenari.
Per evitare di essere accerchiato da un esercito tanto più numeroso del suo e disteso su un fronte lunghissimo, Alessandro aveva schierato una seconda linea dietro il fronte di battaglia. La vittoria fu decisa dall'attacco della cavalleria all'ala destra, da lui stesso guidata, mentre il generale Parmenione teneva fronte alla cavalleria nemica sul lato opposto.
Alessandro si preparò in grande stile per la battaglia: portava una veste tessuta in Sicilia, il pettorale che faceva parte del bottino di Isso, l'elmo di ferro creato da Teofilo, la spada donatagli da uno dei re di Cipro, e un manto elaborato da Elicone, regalo della città di Rodi.
La battaglia
Dello scontro nessuno storico poté dare un resoconto certo per via dell'enorme confusione creatasi, tanto è vero che si concorda sulla conclusione in una nuvola di polvere: durante lo scontro la visibilità era ridotta di molto in quanto si poteva vedere a una distanza di 4-5 metri ma non di più.
L'attacco persiano degli Sciti e dei Battriani, volto ad aggirare il nemico, venne effettuato ma trovò il secondo sbarramento macedone come aveva previsto Alessandro nella sua tattica. I carri falcati vennero sommersi dai giavellotti, da frecce e altre armi da lancio e molti di essi rallentarono a tal punto da permettere ai macedoni di prenderne possesso balzandoci sopra uccidendo i guidatori. Altri furono bloccati prima che riuscissero a partire. C'è chi racconta della perdita di arti e di alcune teste che rotolavano per terra, e chi si sofferma sui cavalli che rovesciavano spaventati i carri.
Le truppe di Mazeo si scontrarono con quelle di Parmenione arrivando in prossimità del campo dove erano segregati i prigionieri; fra questi spiccava la regina di Persia, madre di Dario, che non venne liberata in quanto i soldati si diedero alla fuga alla notizia della ritirata del loro re.
Ci fu un attacco diretto da parte di Alessandro nei confronti del re nemico: il macedone colpì il cocchiere di Dario con una lancia uccidendolo. Il sovrano persiano, perso il carro, fuggì su di una giovane cavalla. Il conquistatore inseguì il nemico ma fu richiamato da alcuni messaggeri inviati da Parmenione che chiedeva aiuto per affrontare un gruppo nemico. Il re macedone, anche se terribilmente seccato da questa richiesta, fece finta di nulla e acconsentì permettendo all'avversario di salvarsi nuovamente. L'episodio del messaggero è molto discusso fra gli storici in quanto non è certa la sua collocazione temporale e non è chiaro nemmeno come abbia fatto a individuare e raggiungere il proprio re in quella nuvola di polvere; forse era un modo per evidenziare l'incapacità di Parmenione. Altri discutono sull'atteggiamento di Dario: questa sarebbe la sua seconda fuga davanti al nemico e pare un'esagerazione se si pensa al coraggio che ha mostrato all'inizio del suo regno.
Senza il comando reale le truppe rimanenti furono facile preda dei Macedoni. Inizialmente i Persiani pensavano che fosse il re a essere stato trafitto dalla lancia. Successivamente, prima che si potessero riorganizzare, furono attaccati dalle truppe guidate da Arete. Se da un lato dello schieramento si inseguivano e uccidevano i nemici, dall'altro ancora si combatteva e Mazeo stava prevalendo sui Macedoni, a tal punto che solamente la tattica prefissata di Alessandro li salvò da morte certa. Ci fu un pesante scontro di cavalleria dove i Persiani cercarono un varco per fuggire dal campo, combattendo ormai solo per salvarsi. Lo scontro si spostò sul fiume Lico dove molti persiani furono inghiottiti per via dell'armamentario troppo pesante che possedevano e quando si fece buio la lotta terminò. Mazeo si ritirò a Babilonia dove successivamente si arrese agli invasori.
I morti furono molti: se ne contavano circa sessantamila fra le file dei Macedoni. Molti di più i feriti fra cui Parmenione, Perdicca e in seguito anche Efestione. Per Arriano si contarono circa 300.000 morti fra i Persiani e solo un centinaio circa fra gli alleati di Alessandro, mentre Diodoro ne cita 90.000 fra i Persiani e 500 fra la coalizione macedone.

Dopo Gaugamela

Alessandro riprese l'inseguimento del re nemico appena le acque si furono calmate. Da poco superata la mezzanotte, partì alla volta di Arbela dove, giunto sul far del giorno, non trovò Dario (fuggito nei territori montuosi della Media) ma solo parte del suo tesoro. Non poté proseguire oltre poiché i cavalli erano esausti, tanto da doverne uccidere un migliaio. Durante il tragitto di ritorno verso il campo, il conquistatore fu attaccato da alcuni cavalieri e dovette trafiggerne qualcuno con la propria lancia prima di venire aiutato dai suoi uomini. Durante questo scontro Alessandro si espose in prima persona e, secondo Curzio Rufo, fu grazie al suo valore e non alla fortuna che ottenne la vittoria.
Caddero nelle mani del re macedone magazzini, preziosi e decine di migliaia di prigionieri. Decise di informare i Greci che le loro città non erano più soggette alla tirannia e da ora in poi si sarebbero governate con leggi proprie (affermazione vera solo in parte considerando la Grecia del tempo). Divise quindi il bottino inviandone una parte ai Crotoniati, in Italia, per ricompensare il coraggio mostrato da Faullo durante la guerra persiana.
Continuò la marcia, questa volta senza alcuno scontro. Degno di nota durante il tragitto fu l'incontro di una voragine da cui continuamente usciva fuoco e nella quale si poteva osservare una corrente di uno strano liquido (nafta). Si trattava dei fuochi eterni di Baba Gurgur.
Alla fine di ottobre Alessandro entrò in Babilonia dove ottenne la sottomissione del satrapo Mazeo. Quest'ultimo fu lasciato al governo della provincia affiancato da un comandante militare e da un tesoriere greco. Qui riposò circa cinque settimane ed ebbe tempo per osservare i giardini pensili costruiti da Nabucodonosor, cercando di far inserire in quella meraviglia anche piante di origine greca; con l'eccezione dell'edera quest'idea non ebbe fortuna.

Si diresse quindi a Susa, raggiungendola in venti giorni, per impadronirsi dei tesori che vi si conservavano. La città era sprovvista di mura. Qui Alessandro poté anche recuperare diverse opere d'arte sottratte da Serse in Grecia nel 480 a.C., tra cui il famoso gruppo statuario dei Tirannicidi Armodio e Aristogitone, che fece rispedire ad Atene; recuperò anche ingenti somme, come quarantamila talenti e forse altri cinquemila provenienti da altro luogo. A Susa lasciò i familiari di Dario. Il macedone si volle sedere sul trono del re persiano, evento tanto atteso dai sudditi a tal punto che Demarto non riuscì a trattenere le lacrime pensando ai morti lungo il percorso che persero tale spettacolo. Durante questo soggiorno diede molte ricompense ai suoi soldati: a Parmenione diede la casa di Bagoa (ufficiale che avvelenò e fu avvelenato) in cui vi trovò molte ricche vesti. Scrisse a sua madre e ad Antipatro, rimasti lontano, e sapendo che il secondo odiava la prima scrisse all'amico che le lacrime di una madre cancellavano il contenuto di mille lettere. Lasciò Susa verso la metà di dicembre.
Dopo aver superato il fiume che all'epoca si chiamava Pasitigris (in seguito Karun), entrò poi nel territorio degli Uxii, a circa sessanta chilometri da Susa, che in parte non si arresero al nuovo re. Chiesero ad Alessandro un tributo da versare se avesse avuto intenzione di passare per le loro terre. La risposta del macedone fu quasi di sfida, chiedendo loro di farsi trovare pronti al momento del suo passaggio; poi li attaccò di notte, forte degli 8.000 uomini della falange, radendo al suolo ogni loro possedimento. Gli Uxii sopravvissuti attaccarono ancora ma furono sconfitti ogni volta. In una giornata il macedone risolse un problema che affliggeva il regno persiano da quasi due secoli.
Restava ancora Ariobarzane, governatore della Perside, che voleva fuggire con il tesoro rimasto, sapendo che l'intero esercito macedone era più lento del suo. Alessandro divise in due parti i suoi uomini, avanzando con la metà più veloce e raggiungendolo in cinque giorni presso le porte persiane, nelle attuali montagne dello Zagros. Qui la lotta lo vide impegnato contro un congruo numero di nemici (40.000 uomini a cui si aggiungevano 700 cavalieri secondo Arriano, 25.000 soldati secondo Rufo, a cui Diodoro aggiunge 300 cavalieri). Per evitare di incappare in una sconfitta, Ariobarzane fece edificare un muro che ostruiva in parte l'unica strada percorribile dai Macedoni. Alessandro tentò un primo assalto che non diede alcun risultato, anche per via della frana provocata dagli stessi Persiani; si ritirò dunque qualche miglio più a ovest, raggiungendo la radura denominata Mullah Susan. Qui vi era un'altra strada da prendere, a prima vista più ovvia, ma Alessandro la evitò non volendo lasciare i suoi morti «insepolti».
La resa dei conti arrivò, grazie anche a un pastore della zona, il quale rivelò ai macedoni un percorso che potevano intraprendere per aggirare i Persiani. Le truppe di Alessandro incominciarono l'attacco e successivamente vennero in sostegno quelle di Cratero. Ariobarzane riuscì comunque ad arrivare con pochi uomini sino a Persepoli ma i cittadini non gli aprirono le porte, costringendolo a tornare al combattimento trovando la morte.

Persepoli

Nel mese di gennaio dell'anno 330 a.C. Alessandro entrò infine a Persepoli (che poi divenne Takht-i Jamshid), capitale dell'Impero Persiano, dove trovò circa centoventimila talenti di metallo prezioso non coniato. Il re nemico aveva intanto trovato rifugio ad Hamadan (conosciuta all'epoca come Ecbàtana), dove fu raggiunto dai suoi uomini di fiducia (Besso, Barsaente, Satibarzane, Nabarzane, Artabazo) e da 2.000 mercenari greci. Alessandro rimase per un lungo periodo a Persepoli, inviando dei soldati a Pasargade e chiedendo a Susa l'invio di una grande quantità di animali da soma per il trasporto del denaro. Partì con una piccola parte dell'esercito, per circa trenta giorni, alla conquista delle tribù che si trovavano vicino alle colline della regione, sottomettendo i nomadi e il resto della provincia. Quando tornò, continuò a far dono, a chi lo aveva aiutato, di beni proporzionati all'aiuto offerto, come era nel suo stile. Prima di lasciare la città restituì il potere locale al governatore della città e affidò 3.000 macedoni ad un suo uomo di fiducia.
Si dice che verso la fine della primavera Alessandro abbia dato l'ordine (o forse lui stesso fu direttamente l'artefice) di provocare un incendio, che devastò i palazzi, bruciando in parte anche il tesoro. In seguito furono analizzati i resti della sala delle cento colonne di Serse dove si comprese che le travi caddero e il fuoco si alimentò a dismisura. Si dice, secondo il racconto di Tolomeo, che contraddicendo un consiglio di Parmenione vendicò in tal modo l'incendio di Atene e la sorte di Babilonia. Plutarco, citando l'episodio, aggiunge che di questo atto si pentì immediatamente, dando ordine di spegnere l'incendio. Un'altra versione, tardiva rispetto alle precedenti, ritiene che l'incendio stesso possa essere nato per errore, sotto suggerimento di Taide, una donna greca che aveva viaggiato con Alessandro e i suoi uomini. Anche se l'episodio di Taide non trova gli storici concordi, la donna è, come si racconta nei Deipnosofisti, la compagna di Tolomeo, da cui avrà tre figli.
In Grecia intanto Antipatro aveva sconfitto nella battaglia di Megalopoli (autunno del 331 a.C.) il re di Sparta Agide III, eliminando definitivamente l'ultima opposizione delle città greche al dominio macedone.

L'inseguimento di Dario

Nel maggio del 330 a.C. Alessandro marciò verso Ecbàtana, che si trovava a 450 miglia di distanza da Persepoli. Durante il tragitto ricevette alcuni rinforzi, arrivando a un totale di 50.000 uomini. Dario, sapendo della velocità con cui il suo nemico si stava muovendo, cambiò i suoi piani, non dirigendosi più verso Balkh (in Afghanistan) come aveva in precedenza previsto, ma verso le Porte Caspie, anche se fra i suoi uomini incominciarono a manifestarsi i primi dissensi. Durante la marcia l'esercito macedone patì la sete e molti soldati morirono lungo la strada.
Il re macedone venne a conoscenza dei movimenti di Dario quando si trovava a Rei, vicino a Teheran. Raggiunse quindi il passo ma ad attenderlo c'erano due messaggeri che lo informarono di una rivolta incominciata da Besso, Barsaente e Nabarzane contro il loro re. Dario venne arrestato. Alessandro decise di raggiungere Besso, riuscendoci in un giorno e mezzo. Continuò poi la sua corsa essendo a conoscenza del luogo dove Dario era tenuto prigioniero; scelse 500 opliti, che fece montare a cavallo al posto dei cavalieri, e galoppò di notte percorrendo ottanta chilometri, arrivando poi all'alba a Damghan, dove giunsero in 60.
Spaventati, i due satrapi rimasti, Barsaente e Satibarzane (o Nabarzane), pugnalarono il prigioniero e fuggirono. Alessandro non fece in tempo a vedere in vita il suo rivale un'ultima volta. Di diversa opinione, Plutarco riferisce che il re persiano riuscì a parlare con il soldato Polistrato bevendo dell'acqua da lui offerta e ricordando la clemenza verso i familiari catturati ringraziò attraverso lui il suo nemico.
In ogni modo il conquistatore macedone, dopo aver coperto il cadavere con il suo mantello, lo riportò indietro e lo fece seppellire con tutti gli onori nelle tombe reali. A Ecbàtana, Alessandro congedò i contingenti delle città greche, poiché il compito di vendicare l'invasione della Grecia da parte di Serse era ormai concluso. Reclutò il fratello di Dario (Essatre) e strinse amicizia con Bagoa.

Il destino degli assassini di Dario

Besso si proclamò re di tutta l'Asia e con il nome di Artaserse V fu inseguito attraverso le regioni dell'Ircania. Durante il tragitto Bucefalo, che veniva utilizzato da Alessandro solo per le grandi occasioni e quindi normalmente veniva tenuto in custodia da alcuni soldati, venne catturato da alcuni barbari. Il re macedone appena venne a conoscenza del fatto inviò ai barbari un araldo, con cui minacciò di morte ognuno di loro e le rispettive famiglie. Questi ultimi, impauriti, restituirono subito il cavallo arrendendosi e Alessandro li trattò con onori, dando anche una ricompensa a chi gli riportò il fidato compagno.
Durante il viaggio Alessandro arrivò a Zadracarta, capitale del Gurgan, con Cratero (che aveva sostituito sul fronte, per anzianità, Parmenione), e ottenne la sottomissione di Autofradate, di Frataferne e Nabarzane; Artabazo (il padre di Barsine) preferì invece trattare con il re macedone, il quale rimase qui per quindici giorni. In questo lasso di tempo, secondo alcune ricostruzioni, conobbe la regina delle Amazzoni che, in cerca di un erede, decise di giacere con lui per tredici giorni. Da quel periodo in poi ogni udienza con il re era controllata da uscieri e mazzieri al cui comando vi era Carete di Lesbo, riprendendo un'usanza persiana. Altre usanze vennero poi adottate, come quelle delle vesti, diadema compreso. Anche lo stile che utilizzava nella corrispondenza cambiò: a eccezione di alcune persone fidate e stimate, come Focione o Antipatro, incominciò a utilizzare il "noi" regale e le missive che raccontavano dell'Asia venivano sigillate come solevano fare i re persiani.
Alessandro decise allora di concentrarsi su Satibarzane; giunto in Battriana, vicino a Mashhad incontrò il satrapo, che chiese di essere risparmiato. Il macedone acconsentì, restituendogli anche l'antico potere e affiancandogli un contingente macedone comandato da un suo fidato, Anaxippo. Appena allontanatosi, Alessandro seppe della morte di tutti i soldati che aveva lasciato e del tradimento del satrapo, ma non fece in tempo ad attaccarlo in quanto questi fuggì, lasciando l'intera zona (l'Aria) ai Macedoni e dirigendosi con 13.000 uomini verso Besso. Quasi tutti, a eccezione del satrapo e di pochi altri, si erano rifugiati su una collina che sembrava inespugnabile, ma grazie al vento favorevole si decise di appiccare un incendio; il risultato fu disastroso per i nemici. Molti dei soldati fedeli al satrapo bruciarono, altri si gettarono dal dirupo, pochi si arresero scampando per poco alla morte. Onorando la vittoria, venne fondata un'altra città, Alessandria degli Arii, la futura Herat e la zona venne affidata al satrapo Arsame. Quest'ultimo appoggiò, appena ne ebbe l'occasione, gli avversari di Alessandro; venne quindi affrontato e ucciso da un gruppo di soldati comandati da Erigio e il nuovo governo fu affidato al cipriota Stasanore.
Alessandro si diresse verso l'Aracosia, arrivando in Drangiana (l'attuale Afghanistan occidentale). Barsaente, sapendo del suo arrivo, preferì fuggire presso una popolazione indiana del Punjab, che lo tradì consegnandolo al conquistatore macedone; fu quindi condannato a morte per l'omicidio di Dario.
In queste regioni il re macedone fondò una serie di città con il nome di Alessandria, tra cui quella nota con il nome di Alessandria del Caucaso, che non ebbe un lungo futuro: scavi effettuati a Bor-i-Abdullah (a sud della futura Begram) portarono alla luce resti di una città fondata successivamente a quella del re macedone e di un'altra presso l'attuale Kandahar, in Afghanistan. Dopo aver indugiato per alcuni mesi (ripartì probabilmente a maggio o dopo), Alessandro arrivò sino all'Hindu Kush, celebrato da Aristotele, convinto che sopra tali vette si poteva osservare la fine del mondo orientale.
Scendendo l'Hindu Kush, i soldati macedoni dovettero affrontare la fame; il cibo era venduto a prezzi esorbitanti e non trovando foraggio per gli animali, molti di essi vennero uccisi per cibarsi delle loro carni. Se Besso avesse continuato con la sua tecnica di bruciare i campi, o se in quel momento di debolezza avesse attaccato, avrebbe avuto buone probabilità di vittoria; invece cambiò strategia, bruciando solo le barche dopo aver attraversato il fiume Osso (oggi Amudarja). Per tale condotta venne abbandonato da buona parte del suo esercito. Le sue motivazioni sono forse da ricercare nelle azioni compiute da Artabazo, che aveva sconfitto e ucciso Satibarzane in una battaglia non lontano da Herat.
Attraversando Kundz, Alessandro arrivò sino a Balkh. Per continuare l'inseguimento si cercò di evitare la marcia diurna a causa dell'eccessivo caldo. Arrivati vicino a Kilif, decise di congedare feriti, anziani e quei pochi Tessali che avevano preso congedo tempo addietro, pagandoli lautamente.
Rimaneva il problema di come attraversare quel profondo fiume, dove non era affatto facile costruirvi un ponte; si decise quindi di riempire delle pelli di paglia secca e cucirle tutte insieme, costruendo in tal modo delle zattere in grado di galleggiare. L'intero esercito riuscì ad attraversare il fiume in cinque giorni.
Besso, che si trovava in compagnia di un altro generale, Spitamene, fu infine abbandonato dai suoi compagni, tradito e fatto prigioniero. Venne successivamente consegnato nudo a Tolomeo e arrestato nell'anno 329 a.C. Fu poi mutilato e una corte di giustizia persiana lo dichiarò colpevole di alto tradimento; venne infine giustiziato a Ecbàtana.
L'agire di Spitamene non fu inizialmente chiaro a Alessandro che pensava volesse arrendersi, mentre voleva invece solo disfarsi di un alleato poco affidabile.

La sorte di Parmenione e dei suoi figli

(EN) « What I like in Alexander the Great is not this campaigns...but his political methods...He was right in ordering the murder of Parmenion, who like a fool objected to Alexander's giving up Greek customs » (IT) « Cosa mi piace in Alessandro il grande non è la sua campagna militare ma la sua politica. Fece bene a far uccidere Parmenione che era uno stupido che considerava sbagliato abbandonare le usanze greche »
(Napoleone Bonaparte, durante l'esilio sull'isola di Sant'Elena. Traduzione in parte di Guido Paduano, contenuta nel testo Alessandro Magno di Robin Lane Fox, pag. 295.)
Quando le truppe di Alessandro trovarono riposo a Farah, si notò lo strano comportamento di Parmenione che non ubbidiva più agli ordini; l'ultimo datogli, quello di raggiungere il re con i suoi 25.000 uomini, venne ignorato (a quel tempo il re poteva contare su una forza di poco maggiore). I figli di Parmenione ricoprivano ruoli di prestigio all'interno dell'esercito macedone, ma Nicanore morì di malattia nel mese di ottobre del 330 a.C. mentre Filota, comandante della cavalleria, fu testimone di un complotto contro il re; alcuni resoconti riportano il macedone Dimno (o Dymno) che, venuto a conoscenza dei preparativi dell'attentato contro Alessandro, raccontò il tutto al suo amante Nicomaco. Quest'ultimo rivelò, a sua volta, l'esistenza del complotto al fratello Cebalino, il quale lo riferì, tre giorni prima dell'attentato, a Filota. Passarono i primi due giorni senza che l'ufficiale avesse raccontato nulla al suo re, anche se più volte al giorno ne aveva avuto la possibilità. Cebalino, preoccupato, raccontò dell'attentato a un'altra persona, la quale corse subito da Alessandro.
Il re macedone fece convocare Dimno, il quale preferì uccidersi; l'unico dato certo allora era che Filota sapeva dell'intrigo e non ne aveva parlato con lui. Seguendo il consiglio di Cratero, durante la notte il colpevole fu sorpreso nella sua tenda, catturato e messo in catene. Differisce da questo, solo inizialmente, il racconto di Plutarco: secondo l'autore era Limno di Calestra colui che disse al suo amato Nicomaco (e fratello di Cebalino) del complotto, ma solo perché sperava che anche lui ne facesse parte come Limno stesso; inoltre Filota era da tempo controllato da una donna, Antigone. Dimno è citato da Curzio Rufo e Diodoro Siculo.
Alessandro, in Egitto, non aveva dato retta alle insinuazioni di un coinvolgimento dello stesso Filota in un complotto ordito contro di lui, ma questa volta fu condannato per alto tradimento dal tribunale dell'esercito e ucciso con i complici a colpi di lancia; secondo altri venne prima torturato e solo al momento della confessione venne ucciso. Qualcuno riferisce anche che avesse fatto il nome del vero cospiratore, un certo Egeloco, morto poco prima.
Il re macedone non si riteneva ancora soddisfatto e cercò altri possibili traditori fra gli amici di Filota; uno di essi fuggì rapidamente e i suoi fratelli vennero arrestati (ma seppero difendersi a parole fino a scagionarsi), mentre il prigioniero Alessandro di Lincestide venne condannato a morte. Alla condanna scampò invece Demetrio, una sua guardia del corpo.
Alessandro, venuto forse a conoscenza di una lettera scritta da Parmenione ai suoi figli, dove riferiva di oscuri piani, lo fece uccidere da alcuni suoi stessi ufficiali. La stessa sorte toccò al terzo figlio di Parmenione, per prevenirne una possibile ribellione; Alessandro era infatti preoccupato da una probabile unione tra i soldati di Clito e quelli fedeli a Parmenione, la quale avrebbe portato alla formazione di un esercito numericamente superiore al suo. Vi erano ancora dei simpatizzanti del generale: questi vennero radunati in una piccola unità che combatté con coraggio, mentre gli eteri, comandati in precedenza da Filota, vennero affidati a Efestione e a Clito. Prima di lasciare la città di Farah, Alessandro decise di cambiarle nome, chiamandola Proftasia (Anticipo).

Guerriglie in Sogdiana

Alessandro era intento a combattere il suo ultimo avversario persiano degno di nota, Spitamene, ma non fu facile, in quanto questi riuscì a mettere contro i macedoni buona parte della nobiltà della Sogdiana. Il re macedone, all'altezza del fiume Syr Darya, aveva lasciato alcuni contingenti nelle varie fortezze (sette in tutto) che dovevano proteggere i confini al nord. Trascorse un breve periodo prima che tutte le truppe venissero massacrate e gli avamposti conquistati.
In pochi giorni Alessandro riuscì a riconquistare tutte le fortezze, rendendo schiavi i sopravvissuti nemici. Solo contro Ciropoli, la più imponente, ebbe difficoltà; inizialmente venne soltanto isolata e messa sotto assedio da Crate per impedire il sopraggiungere di eventuali rinforzi nemici, ma quando cominciò l'attacco venne notato un passaggio fortuito: un corso d'acqua prosciugato che passava sotto le mura. I Macedoni riuscirono così a penetrare nella fortezza e aprirono le porte agli assalitori. Alcuni resoconti riportano che durante questa azione Alessandro fu colpito in testa e al collo da un lancio di una pietra.
Successivamente la tattica di Spitamene apparve chiara: attaccare la parte dell'impero rimasta scoperta dall'assenza di Alessandro. Attaccò così Samarcanda e il re macedone inviò circa 2.300 mercenari con a capo Farnuce, restando con circa 25.000 uomini. I Macedoni dovettero affrontare gli Sciti che si trovavano sul lato opposto del fiume, dapprima con l'uso di catapulte (armi mai viste da questo popolo); impauriti dalla morte di un loro generale, gli Sciti cominciarono a eseguire una ritirata ma i soldati di Alessandro attraversarono il fiume. Parte degli uomini nemici, cavalieri senza armatura o quasi, incominciarono un accerchiamento ai danni dei Macedoni, colpendoli ripetutamente con le frecce, ma furono vittime di un inganno di Alessandro, il quale aveva inviato contro di loro un'avanguardia debole, e quando essi furono circondati li assalì con un contingente più forte. I nemici fuggirono ma i macedoni, forse per avere ingerito dell'acqua malsana, non riuscirono a inseguirli.
Nel frattempo tutti i soldati inviati in precedenza da Alessandro vennero attaccati su un'isola del fiume Zeravshan e uccisi sino all'ultimo uomo in un'azione guidata direttamente da Spitamene. Alessandro, venuto a conoscenza dell'accaduto, in tre giorni con 7.000 uomini al seguito cercò di raggiungere il nemico senza riuscirci; ormai il numero dei soldati era sceso a circa 25.000. Gli vennero in aiuto altri 21.600 uomini provenienti dalla Grecia, guidati da Asandro e Nearco.
Alessandro lasciò una parte dei soldati a Cratero ma le incursioni di Spitamene continuarono, fino a quando quest'ultimo non subì una prima sconfitta a Ceno. Tradito subito dopo dai suoi alleati, fu offerta al re macedone la sua testa; Alessandro gli rese gli onori facendo in modo che il generale Seleuco sposasse sua figlia.

La sorte di Clito

Il proposito di Alessandro di unificare in un solo popolo Greci e Persiani e soprattutto la sua idea di dare un carattere divino alla monarchia, cominciarono ad alienargli le simpatie del suo seguito. L'opposizione si manifestò soprattutto quando decise di imporre il cerimoniale della proskýnesis, tipico della corte persiana, ai suoi sudditi occidentali; la cerimonia prevedeva che chiunque comparisse davanti al re si prosternasse davanti a lui per poi rialzarsi e ricevere il bacio e ciò andava contro l'idea greca di omaggio accettabile da parte di un uomo libero a un altro uomo. Alessandro dovette comunque abbandonare il tentativo di introdurre tale pratica (che comunque non aveva reso obbligatoria), dato che quasi tutti i Greci e i Macedoni si rifiutavano di eseguirla.
A Samarcanda nel 328 a.C., Alessandro, durante una serata di festeggiamento con i suoi generali e ufficiali, accolse alcuni uomini giunti dalla costa, venuti a offrire della frutta al loro signore. Il re incaricò Clito il Nero di portarli dinnanzi al suo cospetto e per incontrarli dovette sospendere un sacrificio in atto, cosa mal vista dagli indovini. In seguito, durante il banchetto si ascoltarono i versi di un poeta di corte, un certo Pranico, che schernì i generali. Clito, in stato di ebbrezza, si offese più degli altri, ricordando al re di avergli salvato la vita tempo addietro (nella battaglia del Granico). Seguirono parole dure da entrambe le parti; il generale criticava aspramente la politica di integrazione fra Macedoni e Persiani perseguita da Alessandro e lo definì non all'altezza di suo padre Filippo, il vero Macedone. Il re dopo aver parlato con Artemio di Colofone e Senodo di Cardia gli lanciò contro una mela cercando subito dopo una lama, arma subito sottratta da Aristofane. Alessandro prese poi a pugni colui che aveva rifiutato di suonare la tromba mentre gli amici di Clito cercavano di allontanarlo. Il peggio avvenne quando Clito ritornò citando dei versi di Euripide, dove ricordava che il merito delle vittorie in battaglia era dei soldati, cosa che i capi dimenticavano. Al sentire quelle parole, Alessandro prese una lancia e lo trafisse, uccidendolo.
Nel 327 a.C. fu scoperta una congiura tra i paggi del re, che furono tutti condannati a morte e giustiziati. Ne fece le spese anche Callistene, nipote di Aristotele e storiografo di corte, strenuo oppositore della cerimonia della proskýnesis e maestro dei paggi, che venne tenuto prigioniero e poi giustiziato, alienando a Alessandro molte simpatie del mondo intellettuale e filosofico greco.

Spedizione in India

Alessandro, dopo aver assoggettato la regione della Sogdiana, giunse ai confini dell'odierno Turkestan cinese, dove fondò un'altra Alessandria, che chiamò Eschate (Ultima), l'odierna Chodjend. Soggiornò ancora a Samarcanda e nella Bactriana. Sposò Rossane, figlia di un comandante della regione, per rafforzare il suo potere in quei territori.

Invasione dell'India

« Quali Alessandro in quelle parti calde
d'Indïa vide sopra 'l süo stuolo
fiamme cadere infino a terra salde »
(Dante Alighieri, Inferno, Canto XIV, 31-33; riferimento di Dante sulla pioggia di fuoco, che tormenta le anime dannate del terzo girone del settimo cerchio dell'Inferno, paragonabile alla fitta nevicata che Alessandro Magno incontrò durante la spedizione in India, la quale in seguito si trasformò in una prodigiosa pioggia infuocata e che i suoi soldati dovettero soffocare con le proprie vesti.)
Come continuatore dell'impero achemenide, Alessandro vagheggiava un impero universale e si proponeva forse di arrivare con le sue conquiste fino al limite orientale delle terre emerse. Gran parte dell'India nord-occidentale era stata sottomessa dai persiani al tempo di Dario I, il quale fece esplorare l'intera valle dell'Indo, ma in questo periodo la regione era suddivisa in vari regni in lotta tra loro.
Dopo aver preparato un nuovo esercito, con truppe in gran parte asiatiche (solo gli ufficiali e i comandanti erano tutti greci o macedoni), nella primavera del 326 a.C. Alessandro marciò verso l'odierna Kabul, dove venne accolto come alleato dal re di Taxila e, attraversata l'Uḍḍiyana da Ora a Bazira (attuali Udegram e Barikot), giunse all'Indo nell'estate del 326 a.C. Sconfisse nella battaglia dell'Idaspe il re indiano Poro (Purushotthama o Paurava), in una battaglia dura e sanguinosa, e fondò due città, Nicaea (odierna Mong o Mung) e Bucefala (oggi Jehlum), quest'ultima in onore del suo cavallo Bucefalo, morto durante la battaglia.
Alessandro aveva forse intenzione di arrivare fino alla vallata del Gange, ma l'armata macedone giunta sul fiume Ifasi (oggi Beas), stanca dell'idea di proseguire una lunga campagna contro i potenti indiani (il Regno Magadha stava attrezzando un potente esercito di centinaia di migliaia di soldati e migliaia di elefanti che spaventava i macedoni) fra giungle monsoniche, febbri malariche ed elefanti da guerra, si rifiutò di seguirlo oltre verso est.

Ritorno

Alessandro seguì quindi la valle dell'Indo fino alla sua foce, dove sorgeva la città di Pattala. Da qui spedì una parte dell'esercito, al comando di Cratero, verso l'Afghanistan meridionale, mentre egli seguì la costa attraversando la regione desertica della Gedrosia (attuale Makran nel Pakistan e nell'Iran meridionale). La discesa del corso dell'Indo fu accompagnata da una dura lotta, combattuta con inaudita ferocia, contro la guerriglia che ostacolava la marcia dell'esercito macedone. Nell'assalto alla rocca di Aorno (odierna Pir Sar, Pakistan) una freccia colpì Alessandro, trapassando la corazza della sua armatura (e con essa anche la pleura e un polmone); il condottiero scampò di poco alla morte.
Inviò inoltre una flotta, al comando del cretese Nearco, a esplorare le coste del Golfo Persico sino alle foci del Tigri. La descrizione dei luoghi e dei popoli incontrati (tra cui gli Ittiofagi) fatta da Nearco ci è nota grazie soprattutto all'inserimento del suo diario negli Indikà ("Resoconti dell'India") di Arriano.

Ultimo periodo di regno e morte

Nel 324 a.C. Alessandro giunse nuovamente a Susa, dove venne a conoscenza della cattiva amministrazione messa in atto dai satrapi da lui un tempo graziati; fece procedere immediatamente ed energicamente contro i colpevoli, sostituendone molti con governatori macedoni.
Per perseguire il suo progetto di unione tra Greci e Persiani, il re spinse ottanta alti ufficiali del suo esercito alle nozze con nobili persiane e altri diecimila veterani macedoni si sposarono con donne della regione. Egli stesso sposò Statira II, figlia di Dario III, mentre un'altra figlia del re persiano, Dripetide, andò in sposa al suo amico Efestione.
Passò per la prima volta in rassegna il nuovo corpo militare di 30.000 giovani Persiani, accuratamente scelti e addestrati per formare una falange macedone. Diecimila veterani furono congedati e rimandati in Macedonia con Cratero, quest'ultimo incaricato di sostituire Antipatro, che era venuto in contrasto con la madre di Alessandro, Olimpiade; Antipatro dovette recarsi in Asia con nuove reclute.
Durante l'inverno il re si ritirò a Ecbàtana seguendo l'usanza della corte persiana. Qui morì Efestione, per il quale Alessandro soffrì terribilmente: rase al suolo un vicino villaggio, passando alla spada tutti i suoi abitanti come "sacrificio" nei confronti dell'amico e rimase a lutto per sei mesi; inoltre progettò un grandioso monumento funerario mai finito.
Nella primavera del 323 a.C. Alessandro condusse una spedizione contro il popolo montanaro dei Cossei e inviò una spedizione per esplorare le coste del Mar Caspio.
Durante i preparativi di invasione dell'Arabia e la costruzione di una flotta con cui intendeva attaccare i domini cartaginesi, venne colpito da una malattia che lo portò alla morte il 10 giugno del 323 a.C., al tramonto, a soli 32 anni. Nel suo testamento commissionava la costruzione di magnifici templi in diverse città, la costruzione di un mausoleo intitolato a suo padre (che avrebbe dovuto rivaleggiare in imponenza con le piramidi egizie), la prosecuzione dell'unione fra Persiani e Greci, la conquista dei territori cartaginesi (Nord Africa, Sicilia e Spagna), l'espansione verso occidente e la costruzione di una strada in Africa lungo tutta la costa; i suoi successori ignorarono gran parte del testamento ritenendolo eccessivamente megalomane e inattuabile. Sulle cause della sua morte sono state proposte varie teorie: l'avvelenamento da parte dei figli di Antipatro o da parte della moglie Rossane, una ricaduta della malaria che aveva contratto nel 336 a.C., un eccessivo abuso di alcool durante una cena o anche, secondo le caratteristiche della febbre, tifo addominale.
Il luogo di sepoltura di Alessandro è stato oggetto di disputa: oggi si ritiene che il corpo mummificato di Alessandro possa essere stato portato in Egitto da Tolomeo I, e sepolto inizialmente nella necropoli di Saqqara; in seguito fu trasferito in un grandioso mausoleo, nella città da lui fondata, Alessandria d'Egitto (dopo lo spostamento della capitale da Menfi). Esso sorgeva in un grande complesso oggi andato distrutto e fondeva elementi ellenistici ed egizi. Sono state ipotizzate diverse ubicazioni sotto l'attuale città, seguendo le descrizioni della posizione del mausoleo date da diversi storici antichi, come Strabone. Alcuni archeologi, come Zahi Hawass, ritengono che la mummia del re macedone sia stata messa in salvo durante un'invasione o per sottrarla ad alcuni cristiani che volevano distruggerla (in quanto il rendere omaggio a Alessandro era considerato rito pagano), e si trovi quindi tra i numerosi corpi nella "valle delle mummie dorate", presso l'oasi di Bahariya (dove si trovano anche i resti di un tempio a lui dedicato).
Di recente una tomba a Anfipoli in Macedonia (nell'attuale Grecia) è stata da alcuni identificata nella definitiva sepoltura di Alessandro, forse luogo di traslazione dei resti del condottiero da parte dell'imperatore romano Caracalla (III secolo d.C.), ma si tratta di un'ipotesi controversa.

Successione

Alessandro ebbe due figli: Eracle di Macedonia, nato nel 327 a.C. da Barsine (figlia del satrapo Artabazus di Frigia) e Alessandro IV di Macedonia, nato nel 323 a.C. da Rossane (figlia del satrapo Ossiarte di Battriana). Alcuni storici gli attribuirono anche numerosi amanti, tra i quali l'amico Efestione e Bagoas.
Al morente Alessandro fu chiesto il nome di colui che aveva scelto come suo successore. Egli diede un'indistinta risposta nella quale qualcuno comprese Eracle (il figlio avuto da Barsine) e altri Kratisto (termine che tradotto significa "il migliore").
Subito dopo il suo decesso, ci fu la cosiddetta Spartizione di Babilonia, che vide contrapporsi due linee di successione: il figlio di Alessandro avuto dalla moglie Rossane, Alessandro IV, e il suo fratellastro Filippo Arrideo. Poiché il primo era ancora in fasce e il secondo era infermo di mente, i generali dell'esercito macedone (Diadochi) elessero un reggente, Perdicca, successivamente accettato in modo formale dall'assemblea dei soldati.
Nel 322 a.C. Perdicca si scontrò con Tolomeo (uno dei Diadochi e satrapo d'Egitto), contro il quale mosse guerra e rimase ucciso.
Successivamente i Diadochi elessero come reggente Antipatro, anche se questi non fu accettato da tutti. Ne nacque una guerra civile nel corso della quale trovarono la morte i familiari ancora in vita di Alessandro, tra cui i due figli, la moglie Rossane, la madre Olimpiade, la sorella Cleopatra, la sorellastra Euridice e il fratellastro Filippo.

Fonti storiche e leggenda

Le fonti storiche su Alessandro sono piuttosto numerose. Conosciamo l'esistenza di resoconti provenienti dallo storico di corte Callistene, dal generale Tolomeo, dall'architetto militare Aristobulo e da Clitarco di Alessandria; queste opere sono tuttavia andate perdute.
I principali storici che successivamente trattarono delle sue vicende sono:
  • Flavio Arriano, storico di Nicomedia (Anabasis Alexandri, ovvero Le campagne di Alessandro, scritto in greco e di carattere prevalentemente militare);
  • Quinto Curzio Rufo, storico romano (Historiae Alexandri Magni Macedonis, biografia di Alessandro in dieci libri, mutila dei primi due, in cui l'autore traccia un ritratto non privo di ombre del re macedone assieme alla successiva vicenda dei Diadochi);
  • Plutarco di Cheronea, storico greco (Vita Alexandri e due orazioni De Alexandri fortuna e De Alexandri virtute);
  • Diodoro Siculo, storico greco (i libri dal XVII al XXI della sua Bibliothekè Historikè coprono le conquiste di Alessandro e la successiva storia dei Diadochi); per lui il passaggio di Alessandro in Asia costituiva un evento di fondamentale importanza storica;
  • Giustino, storico romano, ci ha invece lasciato un'epitome (un riassunto) della storia universale di Pompeo Trogo (Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi Libri XLIV);
  • Paolo Orosio, storico latino cristiano (Historiarum adversos paganos Libri VII), tratta ampiamente di Alessandro nel libro III, tracciandone un ritratto complessivamente negativo.
    Ognuno offre una differente immagine del re macedone e, come dice Strabone, "tutti coloro che scrissero di Alessandro preferirono il meraviglioso al vero".
    Alessandro divenne una leggenda mentre era ancora in vita ed episodi meravigliosi furono narrati già dai suoi contemporanei che avevano assistito alle sue imprese. Oggi il suo nome viene equiparato ai più grandi condottieri di ogni tempo, come Giulio Cesare e Gengis Khan.
    Nel secolo successivo alla sua morte, i racconti leggendari sulla sua vita furono raccolti a Alessandria d'Egitto nel Romanzo di Alessandro, falsamente attribuito a Callistene (l'autore è a volte citato come pseudo Callistene). Questo testo ebbe grande diffusione per tutta l'antichità e il Medioevo, con numerose versioni e revisioni. In epoca tardo-antica venne tradotto in lingua latina e in siriaco, da qui poi divulgato in moltissime lingue, compreso l'arabo, il persiano e le lingue slave. Questo documento costituisce probabilmente la fonte della citazione di Alessandro nel Corano.
    È invece andata quasi completamente perduta la Alessandriade (Αλεξανδριάς), un poema epico scritto dal poeta Adriano e del quale è pervenuta una sola linea.

    Alessandro nella cultura di massa

    Alessandro nel cinema

    Sono state prodotte numerose serie televisive e diversi film che hanno come argomento la vita di Alessandro.
    • Alessandro il Grande, 1956 di Robert Rossen (titolo originale Alexander the Great), nel quale Alessandro era interpretato da Richard Burton, Fredric March e Claire Bloom;
    • Alessandro il Grande, 1980 di Theodoros Angelopoulos (titolo originale O Megalexandros).
    • Alexander (2004), diretto dal regista Oliver Stone e interpretato dall'attore Colin Farrell, girato con la consulenza storica di Robin Lane Fox;
    • Dal 1969 al 1981 la scrittrice inglese Mary Renault scrisse una sceneggiatura su basi storiche per una trilogia, avente come argomento la vita di Alessandro: Fuoco dal cielo (adolescenza), Il ragazzo persiano (conquista della Persia, spedizione in India e morte, il tutto osservato dal punto di vista di un persiano eunuco di nome Bagoa), e Giochi funerari (eventi successivi la morte);
    • Baz Luhrmann aveva pianificato un film inconsueto su Alessandro Magno, con Leonardo DiCaprio, ma la realizzazione di Oliver Stone lo ha costretto a posticipare l'evento a data da destinarsi (il film avrebbe dovuto basarsi sulla trilogia di romanzi di Valerio Massimo Manfredi Aléxandros).

    Alessandro nell'animazione

    • Nel 1999 la giapponese Madhouse ha prodotto la serie anime Alexander Senki (Cronache di Alessandro), intitolata in Italia
      The battle between Nowzar and Afrasiab from a manuscript of the Persian epic Shāh-nāmeh
      Unknown, con il character design di Peter Chung (autore di Æon Flux);
    • Nel 2003 il noto mangaka giapponese Yoshikazu Yasuhiko ha dedicato al personaggio di Alessandro il volume Alexandros;
    • Nell'anime e manga Fate/Zero, Alessandro Magno è uno dei Servant che partecipano alla guerra del Sacro Graal, con il nome di Iskandar, Re dei Conquistatori.

    Alessandro nella musica

  • Il gruppo metal britannico Iron Maiden ha inserito una canzone intitolata Alexander The Great nel proprio album Somewhere in Time del 1986. La canzone, composta completamente dal bassista Steve Harris, incomincia con una citazione di re Filippo II e descrive la vita di Alessandro Magno attraversandone i punti principali: la nascita, le sconfitte inflitte a Persiani, Sciti e Egizi, le conquiste di Persepoli, Babilonia e Susa, la leggenda del "nodo gordiano", la diffusione dell'Ellenismo e la mancata marcia sull'India, che sembrerebbe un'incongruenza: nel testo è scritto che l'esercito non lo seguì in India e la cosa è vera se si considera che Alessandro non varcò mai i confini pachistani. Quindi probabilmente la canzone voleva intendere il fatto che il suo esercitò si rifiutò di proseguire oltre i confini del Pakistan. L'ultimo ritornello della canzone, inoltre, dice che Alessandro "morì di febbre a Babilonia", anche se si tratta si una semplificazione, in quanto l'effettiva malattia che causò la morte del grande condottiero è poco chiara;
  • l musicista brasiliano Caetano Veloso ha incluso nel 1998 nel suo album Livro una canzone epica su Alessandro Magno intitolata Alexandre;
  • Roberto Vecchioni ha dedicato a Alessandro Magno la canzone Alessandro e il mare, inclusa nell'album Milady del 1989.
  • Nell'album Kokler (Roots) del gruppo turco dei Baba Zula, è presente una canzone dal titolo Iskender, dedicata a Alessandro. Oltre alla versione lunga, è stata inserita anche una versione dub, più corta;
  • L'album The forth legacy, del gruppo metal Kamelot, comprende la canzone Alexandria, che si riferisce alla città omonima del macedone, intendendola come una rappresentazione concreta della mentalità e dei sogni del sovrano.

Alessandro nei videogiochi

  • Il 23 novembre 2004 è uscito Alexander della Ubisoft, basato sul film diretto da Oliver Stone;
  • Nel 2009 la FX Interactive ha prodotto il suo videogioco su Alessandro, Sparta II - Le conquiste di Alessandro Magno;
  • Altro videogioco prodotto dalla Deep Silver è Alexander: Il Tempo degli Eroi, anch'esso ispirato dal film di Oliver Stone.

Curiosità

  • Secondo le notizie di Flavio Arriano, noto anche come Arriano di Nicomedia, Alessandro Magno si ammalò per essersi bagnato nelle acque gelide del fiume Cidno. Quinto Curzio Rufo descrive come ciò avvenne:
« Il fiume Cidno scorre attraverso la città. Era allora estate, il calore della quale brucia con la vampa del sole nessun altra costa più di quella della Cilicia, ed era incominciato il momento più caldo del giorno. L'acqua limpida del fiume invitò il re coperto di polvere e sudore, a lavarsi il corpo ancora accalorato; così, dopo essersi tolto la veste, di fronte all'esercito, - pensando che sarebbe stata anche una bella cosa, se avesse mostrato ai suoi di accontentarsi di un abbigliamento semplice e poco costoso - si immerse nel fiume. Non appena entrate le membra iniziarono ad irrigidirsi con un improvviso brivido, poi il pallore si diffuse, e il calore vitale abbandonò quasi tutto il corpo. I servitori accolgono fra le braccia Alessandro simile ad uno morente, e lo portano privo di conoscenza nella tenda. Grande preoccupazione e quasi lutto c'era già nell'accampamento. Tutti, piangendo, si lamentavano che dopo tante peripezie e pericoli il re più famoso di ogni tempo e di ogni ricordo potesse esser loro portato via non già in combattimento, ucciso dal nemico, ma mentre rinfrescava il suo corpo in acqua. »
(Storie di Alessandro Magno il Macedone.)
Alexander and Bucephalus - Battle of Issus mosaic - Museo Archeologico Nazionale - Naples 

Alexander III of Macedon (20/21 July 356 BC – 10/11 June 323 BC), commonly known as Alexander the Great (Ancient Greek: Ἀλέξανδρος ὁ Μέγας, translit. Aléxandros ho Mégas, Koine Greek: [a.lék.san.dros ho mé.gas]), was a king (basileus) of the ancient Greek kingdom of Macedon and a member of the Argead dynasty. He was born in Pella in 356 BC and succeeded his father Philip II to the throne at the age of twenty. He spent most of his ruling years on an unprecedented military campaign through Asia and northeast Africa, and he created one of the largest empires of the ancient world by the age of thirty, stretching from Greece to northwestern India. He was undefeated in battle and is widely considered one of history's most successful military commanders.
During his youth, Alexander was tutored by Aristotle until age 16. After Philip's assassination in 336 BC, he succeeded his father to the throne and inherited a strong kingdom and an experienced army. Alexander was awarded the generalship of Greece and used this authority to launch his father's pan-Hellenic project to lead the Greeks in the conquest of Persia. In 334 BC, he invaded the Achaemenid Empire (Persian Empire) and began a series of campaigns that lasted ten years. Following the conquest of Anatolia, Alexander broke the power of Persia in a series of decisive battles, most notably the battles of Issus and Gaugamela. He subsequently overthrew Persian King Darius III and conquered the Achaemenid Empire in its entirety. At that point, his empire stretched from the Adriatic Sea to the Indus River.
He endeavored to reach the "ends of the world and the Great Outer Sea" and invaded India in 326 BC, winning an important victory over the Pauravas at the Battle of the Hydaspes. He eventually turned back at the demand of his homesick troops. Alexander died in Babylon in 323 BC, the city that he planned to establish as his capital, without executing a series of planned campaigns that would have begun with an invasion of Arabia. In the years following his death, a series of civil wars tore his empire apart, resulting in the establishment of several states ruled by the Diadochi, Alexander's surviving generals and heirs.
Alexander's legacy includes the cultural diffusion and syncretism which his conquests engendered, such as Greco-Buddhism. He founded some twenty cities that bore his name, most notably Alexandria in Egypt. Alexander's settlement of Greek colonists and the resulting spread of Greek culture in the east resulted in a new Hellenistic civilization, aspects of which were still evident in the traditions of the Byzantine Empire in the mid-15th century AD and the presence of Greek speakers in central and far eastern Anatolia until the 1920s. Alexander became legendary as a classical hero in the mold of Achilles, and he features prominently in the history and mythic traditions of both Greek and non-Greek cultures. He became the measure against which military leaders compared themselves, and military academies throughout the world still teach his tactics. He is often ranked among the most influential people in history.

Early life

Lineage and childhood

Alexander was born on the sixth day of the ancient Greek month of Hekatombaion, which probably corresponds to 20 July 356 BC, although the exact date is disputed, in Pella, the capital of the Kingdom of Macedon. He was the son of the king of Macedon, Philip II, and his fourth wife, Olympias, the daughter of Neoptolemus I, king of Epirus. Although Philip had seven or eight wives, Olympias was his principal wife for some time, likely because she gave birth to Alexander.
Several legends surround Alexander's birth and childhood. According to the ancient Greek biographer Plutarch, on the eve of the consummation of her marriage to Philip, Olympias dreamed that her womb was struck by a thunder bolt that caused a flame to spread "far and wide" before dying away. Sometime after the wedding, Philip is said to have seen himself, in a dream, securing his wife's womb with a seal engraved with a lion's image. Plutarch offered a variety of interpretations of these dreams: that Olympias was pregnant before her marriage, indicated by the sealing of her womb; or that Alexander's father was Zeus. Ancient commentators were divided about whether the ambitious Olympias promulgated the story of Alexander's divine parentage, variously claiming that she had told Alexander, or that she dismissed the suggestion as impious.
On the day Alexander was born, Philip was preparing a siege on the city of Potidea on the peninsula of Chalcidice. That same day, Philip received news that his general Parmenion had defeated the combined Illyrian and Paeonian armies, and that his horses had won at the Olympic Games. It was also said that on this day, the Temple of Artemis in Ephesus, one of the Seven Wonders of the World, burnt down. This led Hegesias of Magnesia to say that it had burnt down because Artemis was away, attending the birth of Alexander. Such legends may have emerged when Alexander was king, and possibly at his own instigation, to show that he was superhuman and destined for greatness from conception.
In his early years, Alexander was raised by a nurse, Lanike, sister of Alexander's future general Cleitus the Black. Later in his childhood, Alexander was tutored by the strict Leonidas, a relative of his mother, and by Lysimachus of Acarnania. Alexander was raised in the manner of noble Macedonian youths, learning to read, play the lyre, ride, fight, and hunt.
When Alexander was ten years old, a trader from Thessaly brought Philip a horse, which he offered to sell for thirteen talents. The horse refused to be mounted, and Philip ordered it away. Alexander however, detecting the horse's fear of its own shadow, asked to tame the horse, which he eventually managed. Plutarch stated that Philip, overjoyed at this display of courage and ambition, kissed his son tearfully, declaring: "My boy, you must find a kingdom big enough for your ambitions. Macedon is too small for you", and bought the horse for him. Alexander named it Bucephalas, meaning "ox-head". Bucephalas carried Alexander as far as India. When the animal died (because of old age, according to Plutarch, at age thirty), Alexander named a city after him, Bucephala.

Education

When Alexander was 13, Philip began to search for a tutor, and considered such academics as Isocrates and Speusippus, the latter offering to resign from his stewardship of the Academy to take up the post. In the end, Philip chose Aristotle and provided the Temple of the Nymphs at Mieza as a classroom. In return for teaching Alexander, Philip agreed to rebuild Aristotle's hometown of Stageira, which Philip had razed, and to repopulate it by buying and freeing the ex-citizens who were slaves, or pardoning those who were in exile.
Mieza was like a boarding school for Alexander and the children of Macedonian nobles, such as Ptolemy, Hephaistion, and Cassander. Many of these students would become his friends and future generals, and are often known as the 'Companions'. Aristotle taught Alexander and his companions about medicine, philosophy, morals, religion, logic, and art. Under Aristotle's tutelage, Alexander developed a passion for the works of Homer, and in particular the Iliad; Aristotle gave him an annotated copy, which Alexander later carried on his campaigns.

Philip's heir

Regency and ascent of Macedon

At age 16, Alexander's education under Aristotle ended. Philip waged war against Byzantion, leaving Alexander in charge as regent and heir apparent. During Philip's absence, the Thracian Maedi revolted against Macedonia. Alexander responded quickly, driving them from their territory. He colonized it with Greeks, and founded a city named Alexandropolis.
Upon Philip's return, he dispatched Alexander with a small force to subdue revolts in southern Thrace. Campaigning against the Greek city of Perinthus, Alexander is reported to have saved his father's life. Meanwhile, the city of Amphissa began to work lands that were sacred to Apollo near Delphi, a sacrilege that gave Philip the opportunity to further intervene in Greek affairs. Still occupied in Thrace, he ordered Alexander to muster an army for a campaign in southern Greece. Concerned that other Greek states might intervene, Alexander made it look as though he was preparing to attack Illyria instead. During this turmoil, the Illyrians invaded Macedonia, only to be repelled by Alexander.
Philip and his army joined his son in 338 BC, and they marched south through Thermopylae, taking it after stubborn resistance from its Theban garrison. They went on to occupy the city of Elatea, only a few days' march from both Athens and Thebes. The Athenians, led by Demosthenes, voted to seek alliance with Thebes against Macedonia. Both Athens and Philip sent embassies to win Thebes' favour, but Athens won the contest. Philip marched on Amphissa (ostensibly acting on the request of the Amphictyonic League), capturing the mercenaries sent there by Demosthenes and accepting the city's surrender. Philip then returned to Elatea, sending a final offer of peace to Athens and Thebes, who both rejected it.

As Philip marched south, his opponents blocked him near Chaeronea, Boeotia. During the ensuing Battle of Chaeronea, Philip commanded the right wing and Alexander the left, accompanied by a group of Philip's trusted generals. According to the ancient sources, the two sides fought bitterly for some time. Philip deliberately commanded his troops to retreat, counting on the untested Athenian hoplites to follow, thus breaking their line. Alexander was the first to break the Theban lines, followed by Philip's generals. Having damaged the enemy's cohesion, Philip ordered his troops to press forward and quickly routed them. With the Athenians lost, the Thebans were surrounded. Left to fight alone, they were defeated.
After the victory at Chaeronea, Philip and Alexander marched unopposed into the Peloponnese, welcomed by all cities; however, when they reached Sparta, they were refused, but did not resort to war. At Corinth, Philip established a "Hellenic Alliance" (modelled on the old anti-Persian alliance of the Greco-Persian Wars), which included most Greek city-states except Sparta. Philip was then named Hegemon (often translated as "Supreme Commander") of this league (known by modern scholars as the League of Corinth), and announced his plans to attack the Persian Empire.

Exile and return

When Philip returned to Pella, he fell in love with and married Cleopatra Eurydice, the niece of his general Attalus. The marriage made Alexander's position as heir less secure, since any son of Cleopatra Eurydice would be a fully Macedonian heir, while Alexander was only half-Macedonian. During the wedding banquet, a drunken Attalus publicly prayed to the gods that the union would produce a legitimate heir.
At the wedding of Cleopatra, whom Philip fell in love with and married, she being much too young for him, her uncle Attalus in his drink desired the Macedonians would implore the gods to give them a lawful successor to the kingdom by his niece. This so irritated Alexander, that throwing one of the cups at his head, "You villain," said he, "what, am I then a bastard?" Then Philip, taking Attalus's part, rose up and would have run his son through; but by good fortune for them both, either his over-hasty rage, or the wine he had drunk, made his foot slip, so that he fell down on the floor. At which Alexander reproachfully insulted over him: "See there," said he, "the man who makes preparations to pass out of Europe into Asia, overturned in passing from one seat to another."
— Plutarch, describing the feud at Philip's wedding.
Alexander fled Macedon with his mother, dropping her off with her brother, King Alexander I of Epirus in Dodona, capital of the Molossians. He continued to Illyria, where he sought refuge with the Illyrian king and was treated as a guest, despite having defeated them in battle a few years before. However, it appears Philip never intended to disown his politically and militarily trained son. Accordingly, Alexander returned to Macedon after six months due to the efforts of a family friend, Demaratus, who mediated between the two parties.
In the following year, the Persian satrap (governor) of Caria, Pixodarus, offered his eldest daughter to Alexander's half-brother, Philip Arrhidaeus. Olympias and several of Alexander's friends suggested this showed Philip intended to make Arrhidaeus his heir. Alexander reacted by sending an actor, Thessalus of Corinth, to tell Pixodarus that he should not offer his daughter's hand to an illegitimate son, but instead to Alexander. When Philip heard of this, he stopped the negotiations and scolded Alexander for wishing to marry the daughter of a Carian, explaining that he wanted a better bride for him. Philip exiled four of Alexander's friends, Harpalus, Nearchus, Ptolemy and Erigyius, and had the Corinthians bring Thessalus to him in chains.

King of Macedon

Accession

In summer 336 BC, while at Aegae attending the wedding of his daughter Cleopatra to Olympias's brother, Alexander I of Epirus, Philip was assassinated by the captain of his bodyguards, Pausanias. As Pausanias tried to escape, he tripped over a vine and was killed by his pursuers, including two of Alexander's companions, Perdiccas and Leonnatus. Alexander was proclaimed king on the spot by the nobles and army at the age of 20.

Consolidation of power

Alexander began his reign by eliminating potential rivals to the throne. He had his cousin, the former Amyntas IV, executed. He also had two Macedonian princes from the region of Lyncestis killed, but spared a third, Alexander Lyncestes. Olympias had Cleopatra Eurydice and Europa, her daughter by Philip, burned alive. When Alexander learned about this, he was furious. Alexander also ordered the murder of Attalus, who was in command of the advance guard of the army in Asia Minor and Cleopatra's uncle.
Attalus was at that time corresponding with Demosthenes, regarding the possibility of defecting to Athens. Attalus also had severely insulted Alexander, and following Cleopatra's murder, Alexander may have considered him too dangerous to leave alive. Alexander spared Arrhidaeus, who was by all accounts mentally disabled, possibly as a result of poisoning by Olympias.
News of Philip's death roused many states into revolt, including Thebes, Athens, Thessaly, and the Thracian tribes north of Macedon. When news of the revolts reached Alexander, he responded quickly. Though advised to use diplomacy, Alexander mustered 3,000 Macedonian cavalry and rode south towards Thessaly. He found the Thessalian army occupying the pass between Mount Olympus and Mount Ossa, and ordered his men to ride over Mount Ossa. When the Thessalians awoke the next day, they found Alexander in their rear and promptly surrendered, adding their cavalry to Alexander's force. He then continued south towards the Peloponnese.
Alexander stopped at Thermopylae, where he was recognized as the leader of the Amphictyonic League before heading south to Corinth. Athens sued for peace and Alexander pardoned the rebels. The famous encounter between Alexander and Diogenes the Cynic occurred during Alexander's stay in Corinth. When Alexander asked Diogenes what he could do for him, the philosopher disdainfully asked Alexander to stand a little to the side, as he was blocking the sunlight. This reply apparently delighted Alexander, who is reported to have said "But verily, if I were not Alexander, I would like to be Diogenes." At Corinth, Alexander took the title of Hegemon ("leader") and, like Philip, was appointed commander for the coming war against Persia. He also received news of a Thracian uprising.

Balkan campaign

Before crossing to Asia, Alexander wanted to safeguard his northern borders. In the spring of 335 BC, he advanced to suppress several revolts. Starting from Amphipolis, he travelled east into the country of the "Independent Thracians"; and at Mount Haemus, the Macedonian army attacked and defeated the Thracian forces manning the heights. The Macedonians marched into the country of the Triballi, and defeated their army near the Lyginus river (a tributary of the Danube). Alexander then marched for three days to the Danube, encountering the Getae tribe on the opposite shore. Crossing the river at night, he surprised them and forced their army to retreat after the first cavalry skirmish.
News then reached Alexander that Cleitus, King of Illyria, and King Glaukias of the Taulantii were in open revolt against his authority. Marching west into Illyria, Alexander defeated each in turn, forcing the two rulers to flee with their troops. With these victories, he secured his northern frontier.
While Alexander campaigned north, the Thebans and Athenians rebelled once again. Alexander immediately headed south. While the other cities again hesitated, Thebes decided to fight. The Theban resistance was ineffective, and Alexander razed the city and divided its territory between the other Boeotian cities. The end of Thebes cowed Athens, leaving all of Greece temporarily at peace. Alexander then set out on his Asian campaign, leaving Antipater as regent.

Conquest of the Persian Empire




Asia Minor

Alexander's army crossed the Hellespont in 334 BC with approximately 48,100 soldiers, 6,100 cavalry and a fleet of 120 ships with crews numbering 38,000, drawn from Macedon and various Greek city-states, mercenaries, and feudally raised soldiers from Thrace, Paionia, and Illyria. He showed his intent to conquer the entirety of the Persian Empire by throwing a spear into Asian soil and saying he accepted Asia as a gift from the gods. This also showed Alexander's eagerness to fight, in contrast to his father's preference for diplomacy.
After an initial victory against Persian forces at the Battle of the Granicus, Alexander accepted the surrender of the Persian provincial capital and treasury of Sardis; he then proceeded along the Ionian coast, granting autonomy and democracy to the cities. Miletus, held by Achaemenid forces, required a delicate siege operation, with Persian naval forces nearby. Further south, at Halicarnassus, in Caria, Alexander successfully waged his first large-scale siege, eventually forcing his opponents, the mercenary captain Memnon of Rhodes and the Persian satrap of Caria, Orontobates, to withdraw by sea. Alexander left the government of Caria to a member of the Hecatomnid dynasty, Ada, who adopted Alexander.
From Halicarnassus, Alexander proceeded into mountainous Lycia and the Pamphylian plain, asserting control over all coastal cities to deny the Persians naval bases. From Pamphylia onwards the coast held no major ports and Alexander moved inland. At Termessos, Alexander humbled but did not storm the Pisidian city. At the ancient Phrygian capital of Gordium, Alexander "undid" the hitherto unsolvable Gordian Knot, a feat said to await the future "king of Asia". According to the story, Alexander proclaimed that it did not matter how the knot was undone and hacked it apart with his sword.

The Levant and Syria

In spring 333 BC, Alexander crossed the Taurus into Cilicia. After a long pause due to an illness, he marched on towards Syria. Though outmanoeuvered by Darius' significantly larger army, he marched back to Cilicia, where he defeated Darius at Issus. Darius fled the battle, causing his army to collapse, and left behind his wife, his two daughters, his mother Sisygambis, and a fabulous treasure. He offered a peace treaty that included the lands he had already lost, and a ransom of 10,000 talents for his family. Alexander replied that since he was now king of Asia, it was he alone who decided territorial divisions. Alexander proceeded to take possession of Syria, and most of the coast of the Levant. In the following year, 332 BC, he was forced to attack Tyre, which he captured after a long and difficult siege. The men of military age were massacred and the women and children sold into slavery.

Egypt

When Alexander destroyed Tyre, most of the towns on the route to Egypt quickly capitulated. However, Alexander met with resistance at Gaza. The stronghold was heavily fortified and built on a hill, requiring a siege. When "his engineers pointed out to him that because of the height of the mound it would be impossible… this encouraged Alexander all the more to make the attempt". After three unsuccessful assaults, the stronghold fell, but not before Alexander had received a serious shoulder wound. As in Tyre, men of military age were put to the sword and the women and children were sold into slavery.
Alexander advanced on Egypt in later 332 BC, where he was regarded as a liberator. He was pronounced son of the deity Amun at the Oracle of Siwa Oasis in the Libyan desert. Henceforth, Alexander often referred to Zeus-Ammon as his true father, and after his death, currency depicted him adorned with the horns of a ram as a symbol of his divinity. During his stay in Egypt, he founded Alexandria-by-Egypt, which would become the prosperous capital of the Ptolemaic Kingdom after his death.

Assyria and Babylonia

Leaving Egypt in 331 BC, Alexander marched eastward into Mesopotamia (now northern Iraq) and again defeated Darius, at the Battle of Gaugamela. Darius once more fled the field, and Alexander chased him as far as Arbela. Gaugamela would be the final and decisive encounter between the two. Darius fled over the mountains to Ecbatana (modern Hamedan), while Alexander captured Babylon.

Persia

From Babylon, Alexander went to Susa, one of the Achaemenid capitals, and captured its treasury. He sent the bulk of his army to the Persian ceremonial capital of Persepolis via the Persian Royal Road. Alexander himself took selected troops on the direct route to the city. He then stormed the pass of the Persian Gates (in the modern Zagros Mountains) which had been blocked by a Persian army under Ariobarzanes and then hurried to Persepolis before its garrison could loot the treasury.
On entering Persepolis, Alexander allowed his troops to loot the city for several days. Alexander stayed in Persepolis for five months. During his stay a fire broke out in the eastern palace of Xerxes I and spread to the rest of the city. Possible causes include a drunken accident or deliberate revenge for the burning of the Acropolis of Athens during the Second Persian War by Xerxes. Even as he watched the city burn, Alexander immediately began to regret his decision. Plutarch claims that he ordered his men to put out the fires,but that the flames had already spread to most of the city.] Curtius claims that Alexander did not regret his decision until the next morning. Plutarch recounts an anecdote in which Alexander pauses and talks to a fallen statue of Xerxes as if it were a live person:
Shall I pass by and leave you lying there because of the expeditions you led against Greece, or shall I set you up again because of your magnanimity and your virtues in other respects?

Fall of the Empire and the East

Alexander then chased Darius, first into Media, and then Parthia. The Persian king no longer controlled his own destiny, and was taken prisoner by Bessus, his Bactrian satrap and kinsman. As Alexander approached, Bessus had his men fatally stab the Great King and then declared himself Darius' successor as Artaxerxes V, before retreating into Central Asia to launch a guerrilla campaign against Alexander. Alexander buried Darius' remains next to his Achaemenid predecessors in a regal funeral. He claimed that, while dying, Darius had named him as his successor to the Achaemenid throne. The Achaemenid Empire is normally considered to have fallen with Darius.
Alexander viewed Bessus as a usurper and set out to defeat him. This campaign, initially against Bessus, turned into a grand tour of central Asia. Alexander founded a series of new cities, all called Alexandria, including modern Kandahar in Afghanistan, and Alexandria Eschate ("The Furthest") in modern Tajikistan. The campaign took Alexander through Media, Parthia, Aria (West Afghanistan), Drangiana, Arachosia (South and Central Afghanistan), Bactria (North and Central Afghanistan), and Scythia.
Spitamenes, who held an undefined position in the satrapy of Sogdiana, in 329 BC betrayed Bessus to Ptolemy, one of Alexander's trusted companions, and Bessus was executed. However, when, at some point later, Alexander was on the Jaxartes dealing with an incursion by a horse nomad army, Spitamenes raised Sogdiana in revolt. Alexander personally defeated the Scythians at the Battle of Jaxartes and immediately launched a campaign against Spitamenes, defeating him in the Battle of Gabai. After the defeat, Spitamenes was killed by his own men, who then sued for peace.

Problems and plots

During this time, Alexander adopted some elements of Persian dress and customs at his court, notably the custom of proskynesis, either a symbolic kissing of the hand, or prostration on the ground, that Persians showed to their social superiors. The Greeks regarded the gesture as the province of deities and believed that Alexander meant to deify himself by requiring it. This cost him the sympathies of many of his countrymen, and he eventually abandoned it.
A plot against his life was revealed, and one of his officers, Philotas, was executed for failing to alert Alexander. The death of the son necessitated the death of the father, and thus Parmenion, who had been charged with guarding the treasury at Ecbatana, was assassinated at Alexander's command, to prevent attempts at vengeance. Most infamously, Alexander personally killed the man who had saved his life at Granicus, Cleitus the Black, during a violent drunken altercation at Maracanda (modern day Samarkand in Uzbekistan), in which Cleitus accused Alexander of several judgmental mistakes and most especially, of having forgotten the Macedonian ways in favour of a corrupt oriental lifestyle.
Later, in the Central Asian campaign, a second plot against his life was revealed, this one instigated by his own royal pages. His official historian, Callisthenes of Olynthus, was implicated in the plot, and in the Anabasis of Alexander, Arrian states that Callisthenes and the pages were then tortured on the rack as punishment, and likely died soon after. It remains unclear if Callisthenes was actually involved in the plot, for prior to his accusation he had fallen out of favour by leading the opposition to the attempt to introduce proskynesis.

Macedon in Alexander's absence

When Alexander set out for Asia, he left his general Antipater, an experienced military and political leader and part of Philip II's "Old Guard", in charge of Macedon. Alexander's sacking of Thebes ensured that Greece remained quiet during his absence. The one exception was a call to arms by Spartan king Agis III in 331 BC, whom Antipater defeated and killed in the battle of Megalopolis. Antipater referred the Spartans' punishment to the League of Corinth, which then deferred to Alexander, who chose to pardon them. There was also considerable friction between Antipater and Olympias, and each complained to Alexander about the other.
In general, Greece enjoyed a period of peace and prosperity during Alexander's campaign in Asia. Alexander sent back vast sums from his conquest, which stimulated the economy and increased trade across his empire. However, Alexander's constant demands for troops and the migration of Macedonians throughout his empire depleted Macedon's strength, greatly weakening it in the years after Alexander, and ultimately led to its subjugation by Rome after the Third Macedonian War (171–168 BC).

Indian campaign

Forays into the Indian subcontinent

After the death of Spitamenes and his marriage to Roxana (Raoxshna in Old Iranian) to cement relations with his new satrapies, Alexander turned to the Indian subcontinent. He invited the chieftains of the former satrapy of Gandhara (a region presently straddling eastern Afghanistan and northern Pakistan), to come to him and submit to his authority. Omphis (Indian name Ambhi), the ruler of Taxila, whose kingdom extended from the Indus to the Hydaspes (Jhelum), complied, but the chieftains of some hill clans, including the Aspasioi and Assakenoi sections of the Kambojas (known in Indian texts also as Ashvayanas and Ashvakayanas), refused to submit. Ambhi hastened to relieve Alexander of his apprehension and met him with valuable presents, placing himself and all his forces at his disposal. Alexander not only returned Ambhi his title and the gifts but he also presented him with a wardrobe of "Persian robes, gold and silver ornaments, 30 horses and 1,000 talents in gold". Alexander was emboldened to divide his forces, and Ambhi assisted Hephaestion and Perdiccas in constructing a bridge over the Indus where it bends at Hund (Fox 1973), supplied their troops with provisions, and received Alexander himself, and his whole army, in his capital city of Taxila, with every demonstration of friendship and the most liberal hospitality.
On the subsequent advance of the Macedonian king, Taxiles accompanied him with a force of 5,000 men and took part in the battle of the Hydaspes River. After that victory he was sent by Alexander in pursuit of Porus, to whom he was charged to offer favourable terms, but narrowly escaped losing his life at the hands of his old enemy. Subsequently, however, the two rivals were reconciled by the personal mediation of Alexander; and Taxiles, after having contributed zealously to the equipment of the fleet on the Hydaspes, was entrusted by the king with the government of the whole territory between that river and the Indus. A considerable accession of power was granted him after the death of Philip, son of Machatas; and he was allowed to retain his authority at the death of Alexander himself (323 BC), as well as in the subsequent partition of the provinces at Triparadisus, 321 BC.
In the winter of 327/326 BC, Alexander personally led a campaign against these clans; the Aspasioi of Kunar valleys, the Guraeans of the Guraeus valley, and the Assakenoi of the Swat and Buner valleys. A fierce contest ensued with the Aspasioi in which Alexander was wounded in the shoulder by a dart, but eventually the Aspasioi lost. Alexander then faced the Assakenoi, who fought in the strongholds of Massaga, Ora and Aornos.
The fort of Massaga was reduced only after days of bloody fighting, in which Alexander was wounded seriously in the ankle. According to Curtius, "Not only did Alexander slaughter the entire population of Massaga, but also did he reduce its buildings to rubble." A similar slaughter followed at Ora. In the aftermath of Massaga and Ora, numerous Assakenians fled to the fortress of Aornos. Alexander followed close behind and captured the strategic hill-fort after four bloody days.
After Aornos, Alexander crossed the Indus and fought and won an epic battle against King Porus, who ruled a region lying between the Hydaspes and the Acesines (Chenab), in what is now the Punjab, in the Battle of the Hydaspes in 326 BC. Alexander was impressed by Porus' bravery, and made him an ally. He appointed Porus as satrap, and added to Porus' territory land that he did not previously own, towards the south-east, up to the Hyphasis (Beas). Choosing a local helped him control these lands so distant from Greece. Alexander founded two cities on opposite sides of the Hydaspes river, naming one Bucephala, in honour of his horse, who died around this time. The other was Nicaea (Victory), thought to be located at the site of modern-day Mong, Punjab.

Revolt of the army

East of Porus' kingdom, near the Ganges River, was the Nanda Empire of Magadha, and further east, the Gangaridai Empire of Bengal region of the Indian subcontinent. Fearing the prospect of facing other large armies and exhausted by years of campaigning, Alexander's army mutinied at the Hyphasis River (Beas), refusing to march farther east. This river thus marks the easternmost extent of Alexander's conquests.
As for the Macedonians, however, their struggle with Porus blunted their courage and stayed their further advance into India. For having had all they could do to repulse an enemy who mustered only twenty thousand infantry and two thousand horse, they violently opposed Alexander when he insisted on crossing the river Ganges also, the width of which, as they learned, was thirty-two furlongs, its depth a hundred fathoms, while its banks on the further side were covered with multitudes of men-at-arms and horsemen and elephants. For they were told that the kings of the Ganderites and Praesii were awaiting them with eighty thousand horsemen, two hundred thousand footmen, eight thousand chariots, and six thousand war elephants.
Alexander tried to persuade his soldiers to march farther, but his general Coenus pleaded with him to change his opinion and return; the men, he said, "longed to again see their parents, their wives and children, their homeland". Alexander eventually agreed and turned south, marching along the Indus. Along the way his army conquered the Malhi (in modern-day Multan) and other Indian tribes and Alexander sustained an injury during the siege.
Alexander sent much of his army to Carmania (modern southern Iran) with general Craterus, and commissioned a fleet to explore the Persian Gulf shore under his admiral Nearchus, while he led the rest back to Persia through the more difficult southern route along the Gedrosian Desert and Makran. Alexander reached Susa in 324 BC, but not before losing many men to the harsh desert.

Last years in Persia


Discovering that many of his satraps and military governors had misbehaved in his absence, Alexander executed several of them as examples on his way to Susa. As a gesture of thanks, he paid off the debts of his soldiers, and announced that he would send over-aged and disabled veterans back to Macedon, led by Craterus. His troops misunderstood his intention and mutinied at the town of Opis. They refused to be sent away and criticized his adoption of Persian customs and dress and the introduction of Persian officers and soldiers into Macedonian units.

After three days, unable to persuade his men to back down, Alexander gave Persians command posts in the army and conferred Macedonian military titles upon Persian units. The Macedonians quickly begged forgiveness, which Alexander accepted, and held a great banquet for several thousand of his men at which he and they ate together. In an attempt to craft a lasting harmony between his Macedonian and Persian subjects, Alexander held a mass marriage of his senior officers to Persian and other noblewomen at Susa, but few of those marriages seem to have lasted much beyond a year. Meanwhile, upon his return to Persia, Alexander learned that guards of the tomb of Cyrus the Great in Pasargadae had desecrated it, and swiftly executed them. Alexander admired Cyrus the Great, from an early age reading Xenophon's Cyropaedia, which described Cyrus's heroism in battle and governance as a king and legislator. During his visit to Pasargadae Alexander ordered his architect Aristobulus to decorate the interior of the sepulchral chamber of Cyrus' tomb.
Afterwards, Alexander travelled to Ecbatana to retrieve the bulk of the Persian treasure. There, his closest friend and possible lover, Hephaestion, died of illness or poisoning. Hephaestion's death devastated Alexander, and he ordered the preparation of an expensive funeral pyre in Babylon, as well as a decree for public mourning. Back in Babylon, Alexander planned a series of new campaigns, beginning with an invasion of Arabia, but he would not have a chance to realize them, as he died shortly thereafter.

Death and succession

On either 10 or 11 June 323 BC, Alexander died in the palace of Nebuchadnezzar II, in Babylon, at age 32. There are two different versions of Alexander's death and details of the death differ slightly in each. Plutarch's account is that roughly 14 days before his death, Alexander entertained admiral Nearchus, and spent the night and next day drinking with Medius of Larissa. He developed a fever, which worsened until he was unable to speak. The common soldiers, anxious about his health, were granted the right to file past him as he silently waved at them. In the second account, Diodorus recounts that Alexander was struck with pain after downing a large bowl of unmixed wine in honour of Heracles, followed by 11 days of weakness; he did not develop a fever and died after some agony. Arrian also mentioned this as an alternative, but Plutarch specifically denied this claim.
Given the propensity of the Macedonian aristocracy to assassination, foul play featured in multiple accounts of his death. Diodorus, Plutarch, Arrian and Justin all mentioned the theory that Alexander was poisoned. Justin stated that Alexander was the victim of a poisoning conspiracy, Plutarch dismissed it as a fabrication, while both Diodorus and Arrian noted that they mentioned it only for the sake of completeness. The accounts were nevertheless fairly consistent in designating Antipater, recently removed as Macedonian viceroy, and at odds with Olympias, as the head of the alleged plot. Perhaps taking his summons to Babylon as a death sentence, and having seen the fate of Parmenion and Philotas, Antipater purportedly arranged for Alexander to be poisoned by his son Iollas, who was Alexander's wine-pourer. There was even a suggestion that Aristotle may have participated.
The strongest argument against the poison theory is the fact that twelve days passed between the start of his illness and his death; such long-acting poisons were probably not available. However, in a 2003 BBC documentary investigating the death of Alexander, Leo Schep from the New Zealand National Poisons Centre proposed that the plant white hellebore (Veratrum album), which was known in antiquity, may have been used to poison Alexander. In a 2014 manuscript in the journal Clinical Toxicology, Schep suggested Alexander's wine was spiked with Veratrum album, and that this would produce poisoning symptoms that match the course of events described in the Alexander Romance. Veratrum album poisoning can have a prolonged course and it was suggested that if Alexander was poisoned, Veratrum album offers the most plausible cause. Another poisoning explanation put forward in 2010 proposed that the circumstances of his death were compatible with poisoning by water of the river Styx (modern-day Mavroneri in Arcadia, Greece) that contained calicheamicin, a dangerous compound produced by bacteria.
Several natural causes (diseases) have been suggested, including malaria and typhoid fever. A 1998 article in the New England Journal of Medicine attributed his death to typhoid fever complicated by bowel perforation and ascending paralysis. Another recent analysis suggested pyogenic (infectious) spondylitis or meningitis. Other illnesses fit the symptoms, including acute pancreatitis and West Nile virus. Natural-cause theories also tend to emphasize that Alexander's health may have been in general decline after years of heavy drinking and severe wounds. The anguish that Alexander felt after Hephaestion's death may also have contributed to his declining health.

After death

Alexander's body was laid in a gold anthropoid sarcophagus that was filled with honey, which was in turn placed in a gold casket. According to Aelian, a seer called Aristander foretold that the land where Alexander was laid to rest "would be happy and unvanquishable forever". Perhaps more likely, the successors may have seen possession of the body as a symbol of legitimacy, since burying the prior king was a royal prerogative.
While Alexander's funeral cortege was on its way to Macedon, Ptolemy seized it and took it temporarily to Memphis. His successor, Ptolemy II Philadelphus, transferred the sarcophagus to Alexandria, where it remained until at least late Antiquity. Ptolemy IX Lathyros, one of Ptolemy's final successors, replaced Alexander's sarcophagus with a glass one so he could convert the original to coinage. The recent discovery of an enormous tomb in northern Greece, at Amphipolis, dating from the time of Alexander the Great has given rise to speculation that its original intent was to be the burial place of Alexander. This would fit with the intended destination of Alexander's funeral cortege.
Pompey, Julius Caesar and Augustus all visited the tomb in Alexandria, where Augustus, allegedly, accidentally knocked the nose off. Caligula was said to have taken Alexander's breastplate from the tomb for his own use. Around AD 200, Emperor Septimius Severus closed Alexander's tomb to the public. His son and successor, Caracalla, a great admirer, visited the tomb during his own reign. After this, details on the fate of the tomb are hazy.
The so-called "Alexander Sarcophagus", discovered near Sidon and now in the Istanbul Archaeology Museum, is so named not because it was thought to have contained Alexander's remains, but because its bas-reliefs depict Alexander and his companions fighting the Persians and hunting. It was originally thought to have been the sarcophagus of Abdalonymus (died 311 BC), the king of Sidon appointed by Alexander immediately following the battle of Issus in 331. However, more recently, it has been suggested that it may date from earlier than Abdalonymus' death.

Division of the empire

Alexander's death was so sudden that when reports of his death reached Greece, they were not immediately believed. Alexander had no obvious or legitimate heir, his son Alexander IV by Roxane being born after Alexander's death. According to Diodorus, Alexander's companions asked him on his deathbed to whom he bequeathed his kingdom; his laconic reply was "tôi kratistôi"—"to the strongest". Another theory is that his successors willfully or erroneously misheard “tôi Kraterôi” — “to Craterus”, the general leading his Macedonian troops home and newly entrusted with the regency of Macedonia.
Arrian and Plutarch claimed that Alexander was speechless by this point, implying that this was an apocryphal story. Diodorus, Curtius and Justin offered the more plausible story that Alexander passed his signet ring to Perdiccas, a bodyguard and leader of the companion cavalry, in front of witnesses, thereby nominating him.
Perdiccas initially did not claim power, instead suggesting that Roxane's baby would be king, if male; with himself, Craterus, Leonnatus, and Antipater as guardians. However, the infantry, under the command of Meleager, rejected this arrangement since they had been excluded from the discussion. Instead, they supported Alexander's half-brother Philip Arrhidaeus. Eventually, the two sides reconciled, and after the birth of Alexander IV, he and Philip III were appointed joint kings, albeit in name only.
Dissension and rivalry soon afflicted the Macedonians, however. The satrapies handed out by Perdiccas at the Partition of Babylon became power bases each general used to bid for power. After the assassination of Perdiccas in 321 BC, Macedonian unity collapsed, and 40 years of war between "The Successors" (Diadochi) ensued before the Hellenistic world settled into four stable power blocks: Ptolemaic Egypt, Seleucid Mesopotamia and Central Asia, Attalid Anatolia, and Antigonid Macedon. In the process, both Alexander IV and Philip III were murdered.

Will

Diodorus stated that Alexander had given detailed written instructions to Craterus some time before his death. Craterus started to carry out Alexander's commands, but the successors chose not to further implement them, on the grounds they were impractical and extravagant. Nevertheless, Perdiccas read Alexander's will to his troops.
Alexander's will called for military expansion into the southern and western Mediterranean, monumental constructions, and the intermixing of Eastern and Western populations. It included:
  • Construction of a monumental tomb for his father Philip, “to match the greatest of the pyramids of Egypt”
  • Erection of great temples in Delos, Delphi, Dodona, Dium, Amphipolis, and a monumental temple to Athena at Troy
  • Conquest of Arabia and the entire Mediterranean Basin
  • Circumnavigation of Africa
  • Development of cities and the “transplant of populations from Asia to Europe and in the opposite direction from Europe to Asia, in order to bring the largest continent to common unity and to friendship by means of intermarriage and family ties.”

Character

Generalship

Alexander earned the epithet "the Great" due to his unparalleled success as a military commander. He never lost a battle, despite typically being outnumbered. This was due to use of terrain, phalanx and cavalry tactics, bold strategy, and the fierce loyalty of his troops. The Macedonian phalanx, armed with the sarissa, a spear 6 metres (20 ft) long, had been developed and perfected by Philip II through rigorous training, and Alexander used its speed and maneuverability to great effect against larger but more disparate[clarification needed] Persian forces. Alexander also recognized the potential for disunity among his diverse army, which employed various languages and weapons. He overcame this by being personally involved in battle, in the manner of a Macedonian king.
In his first battle in Asia, at Granicus, Alexander used only a small part of his forces[citation needed], perhaps 13,000 infantry with 5,000 cavalry, against a much larger Persian force of 40,000. Alexander placed the phalanx at the center and cavalry and archers on the wings, so that his line matched the length of the Persian cavalry line, about 3 km (1.86 mi). By contrast, the Persian infantry was stationed behind its cavalry. This ensured that Alexander would not be outflanked, while his phalanx, armed with long pikes, had a considerable advantage over the Persian's scimitars and javelins. Macedonian losses were negligible compared to those of the Persians.
At Issus in 333 BC, his first confrontation with Darius, he used the same deployment, and again the central phalanx pushed through. Alexander personally led the charge in the center, routing the opposing army. At the decisive encounter with Darius at Gaugamela, Darius equipped his chariots with scythes on the wheels to break up the phalanx and equipped his cavalry with pikes. Alexander arranged a double phalanx, with the center advancing at an angle, parting when the chariots bore down and then reforming. The advance was successful and broke Darius' center, causing the latter to flee once again.
When faced with opponents who used unfamiliar fighting techniques, such as in Central Asia and India, Alexander adapted his forces to his opponents' style. Thus, in Bactria and Sogdiana, Alexander successfully used his javelin throwers and archers to prevent outflanking movements, while massing his cavalry at the center. In India, confronted by Porus' elephant corps, the Macedonians opened their ranks to envelop the elephants and used their sarissas to strike upwards and dislodge the elephants' handlers.

Physical appearance

¹ The outward appearance of Alexander is best represented by the statues of him which Lysippus made, and it was by this artist alone that Alexander himself thought it fit that he should be modelled. ² For those peculiarities which many of his successors and friends afterwards tried to imitate, namely, the poise of the neck, which was bent slightly to the left, and the melting glance of his eyes, this artist has accurately observed. ³ Apelles, however, in painting him as wielder of the thunder-bolt, did not reproduce his complexion, but made it too dark and swarthy. Whereas he was of a fair colour, as they say, and his fairness passed into ruddiness on his breast particularly, and in his face. 4 Moreover, that a very pleasant odour exhaled from his skin and that there was a fragrance about his mouth and all his flesh, so that his garments were filled with it, this we have read in the Memoirs of Aristoxenus.
Greek historian Arrian (Lucius Flavius Arrianus 'Xenophon' c. 86 – c. 160 AD) described Alexander as:
[T]he strong, handsome commander with one eye dark as the night and one blue as the sky.
The semi-legendary Alexander Romance also suggests that Alexander exhibited heterochromia iridum: that one eye was dark and the other light.
British historian Peter Green provided a description of Alexander's appearance, based on his review of statues and some ancient documents:
Physically, Alexander was not prepossessing. Even by Macedonian standards he was very short, though stocky and tough. His beard was scanty, and he stood out against his hirsute Macedonian barons by going clean-shaven. His neck was in some way twisted, so that he appeared to be gazing upward at an angle. His eyes (one blue, one brown) revealed a dewy, feminine quality. He had a high complexion and a harsh voice.
Ancient authors recorded that Alexander was so pleased with portraits of himself created by Lysippos that he forbade other sculptors from crafting his image. Lysippos had often used the contrapposto sculptural scheme to portray Alexander and other characters such as Apoxyomenos, Hermes and Eros. Lysippos' sculpture, famous for its naturalism, as opposed to a stiffer, more static pose, is thought to be the most faithful depiction.

Personality

Some of Alexander's strongest personality traits formed in response to his parents. His mother had huge ambitions, and encouraged him to believe it was his destiny to conquer the Persian Empire. Olympias' influence instilled a sense of destiny in him, and Plutarch tells how his ambition "kept his spirit serious and lofty in advance of his years". However, his father Philip was Alexander's most immediate and influential role model, as the young Alexander watched him campaign practically every year, winning victory after victory while ignoring severe wounds. Alexander's relationship with his father forged the competitive side of his personality; he had a need to out-do his father, illustrated by his reckless behaviour in battle. While Alexander worried that his father would leave him "no great or brilliant achievement to be displayed to the world", he also downplayed his father's achievements to his companions.According to Plutarch, among Alexander's traits were a violent temper and rash, impulsive nature, which undoubtedly contributed to some of his decisions. Although Alexander was stubborn and did not respond well to orders from his father, he was open to reasoned debate. He had a calmer side—perceptive, logical, and calculating. He had a great desire for knowledge, a love for philosophy, and was an avid reader. This was no doubt in part due to Aristotle's tutelage; Alexander was intelligent and quick to learn. His intelligent and rational side was amply demonstrated by his ability and success as a general. He had great self-restraint in "pleasures of the body", in contrast with his lack of self-control with alcohol.
Alexander was erudite and patronized both arts and sciences. However, he had little interest in sports or the Olympic games (unlike his father), seeking only the Homeric ideals of honour (timê) and glory (kudos). He had great charisma and force of personality, characteristics which made him a great leader. His unique abilities were further demonstrated by the inability of any of his generals to unite Macedonia and retain the Empire after his death—only Alexander had the ability to do so.
During his final years, and especially after the death of Hephaestion, Alexander began to exhibit signs of megalomania and paranoia. His extraordinary achievements, coupled with his own ineffable sense of destiny and the flattery of his companions, may have combined to produce this effect.His delusions of grandeur are readily visible in his will and in his desire to conquer the world, in as much as he is by various sources described as having boundless ambition, an epithet, the meaning of which has descended into an historical cliché.
He appears to have believed himself a deity, or at least sought to deify himself. Olympias always insisted to him that he was the son of Zeus, a theory apparently confirmed to him by the oracle of Amun at Siwa. He began to identify himself as the son of Zeus-Ammon. Alexander adopted elements of Persian dress and customs at court, notably proskynesis, a practice of which Macedonians disapproved, and were loath to perform. This behaviour cost him the sympathies of many of his countrymen. However, Alexander also was a pragmatic ruler who understood the difficulties of ruling culturally disparate peoples, many of whom lived in kingdoms where the king was divine. Thus, rather than megalomania, his behaviour may simply have been a practical attempt at strengthening his rule and keeping his empire together.

Personal relationships

Alexander married three times: Roxana, daughter of the Sogdian nobleman Oxyartes of Bactria, out of love; and the Persian princesses Stateira II and Parysatis II, the former a daughter of Darius III and latter a daughter of Artaxerxes III, for political reasons. He apparently had two sons, Alexander IV of Macedon by Roxana and, possibly, Heracles of Macedon from his mistress Barsine. He lost another child when Roxana miscarried at Babylon.
Alexander also had a close relationship with his friend, general, and bodyguard Hephaestion, the son of a Macedonian noble. Hephaestion's death devastated Alexander. This event may have contributed to Alexander's failing health and detached mental state during his final months.
Alexander's sexuality has been the subject of speculation and controversy. No ancient sources stated that Alexander had homosexual relationships, or that Alexander's relationship with Hephaestion was sexual. Aelian, however, writes of Alexander's visit to Troy where "Alexander garlanded the tomb of Achilles and Hephaestion that of Patroclus, the latter riddling that he was a beloved of Alexander, in just the same way as Patroclus was of Achilles." Noting that the word eromenos (ancient Greek for beloved) does not necessarily bear sexual meaning, Alexander may have been bisexual, which in his time was not controversial.
Green argues that there is little evidence in ancient sources that Alexander had much carnal interest in women; he did not produce an heir until the very end of his life. However, he was relatively young when he died, and Ogden suggests that Alexander's matrimonial record is more impressive than his father's at the same age. Apart from wives, Alexander had many more female companions. Alexander accumulated a harem in the style of Persian kings, but he used it rather sparingly, showing great self-control in "pleasures of the body". Nevertheless, Plutarch described how Alexander was infatuated by Roxana while complimenting him on not forcing himself on her. Green suggested that, in the context of the period, Alexander formed quite strong friendships with women, including Ada of Caria, who adopted him, and even Darius' mother Sisygambis, who supposedly died from grief upon hearing of Alexander's death.

Battle record

Date War Action Opponent/s Type Country Rank Outcome
2 August 338 BC Rise of Macedon Battle of Chaeronea Thebans, Athenians Battle Greece Prince Victory
335 BC Balkan Campaign Battle of Mount Haemus Getae, Thracians Battle present-day Bulgaria King Victory
December 335 BC Balkan Campaign Siege of Pelium Illyrians Siege Greece King Victory
December 335 BC Balkan Campaign Battle of Thebes Thebans Battle Greece King Victory
May 334 BC Persian Campaign Battle of the Granicus Achaemenid Empire Battle present-day Turkey King Victory
334 BC Persian Campaign Siege of Miletus Achaemenid Empire, Milesians Siege present-day Turkey King Victory
334 BC Persian Campaign Siege of Halicarnassus Achaemenid Empire Siege present-day Turkey King Victory
5 November 333 BC Persian Campaign Battle of Issus Achaemenid Empire Battle present-day Turkey King Victory
January–July 332 BC Persian Campaign Siege of Tyre Achaemenid Empire, Tyrians Siege present-day Lebanon King Victory
October 332 BC Persian Campaign Siege of Gaza Achaemenid Empire Siege present-day Palestine King Victory
1 October 331 BC Persian Campaign Battle of Gaugamela Achaemenid Empire Battle present-day Iraq King Victory
December 331 BC Persian Campaign Battle of the Uxian Defile Uxians Battle present-day Iran King Victory
20 January 330 BC Persian Campaign Battle of the Persian Gate Achaemenid Empire Battle present-day Iran King Victory
329 BC Persian Campaign Siege of Cyropolis Sogdians Siege present-day Turkmenistan King Victory
October 329 BC Persian Campaign Battle of Jaxartes Scythians Battle present-day Uzbekistan King Victory
327 BC Persian Campaign Siege of the Sogdian Rock Sogdians Siege present-day Uzbekistan King Victory
May 327 – March 326 BC Indian Campaign Cophen Campaign Aspasians Expedition present-day Afghanistan and Pakistan King Victory
April 326 BC Indian Campaign Siege of Aornos Aśvaka Siege present-day Pakistan King Victory
May 326 BC Indian Campaign Battle of the Hydaspes Paurava Battle present-day Pakistan King Victory
November 326 – February 325 BC Indian Campaign Siege of Multan Malli Siege present-day Pakistan King Victory

Legacy

Alexander's legacy extended beyond his military conquests. His campaigns greatly increased contacts and trade between East and West, and vast areas to the east were significantly exposed to Greek civilization and influence. Some of the cities he founded became major cultural centers, many surviving into the 21st century. His chroniclers recorded valuable information about the areas through which he marched, while the Greeks themselves got a sense of belonging to a world beyond the Mediterranean.

Hellenistic kingdoms

Alexander's most immediate legacy was the introduction of Macedonian rule to huge new swathes of Asia. At the time of his death, Alexander's empire covered some 5,200,000 km2 (2,000,000 sq mi), and was the largest state of its time. Many of these areas remained in Macedonian hands or under Greek influence for the next 200–300 years. The successor states that emerged were, at least initially, dominant forces, and these 300 years are often referred to as the Hellenistic period.
The eastern borders of Alexander's empire began to collapse even during his lifetime. However, the power vacuum he left in the northwest of the Indian subcontinent directly gave rise to one of the most powerful Indian dynasties in history, the Maurya Empire. Taking advantage of this power vacuum, Chandragupta Maurya (referred to in Greek sources as "Sandrokottos"), of relatively humble origin, took control of the Punjab, and with that power base proceeded to conquer the Nanda Empire.

Founding of cities

In 334 BC, Alexander the Great donated funds for the completion of the new temple of Athena Polias in Priene. An inscription from the temple, now housed in the British Museum, declares: "King Alexander dedicated [this temple] to Athena Polias." This inscription is one of the few independent archaeological discoveries confirming an episode from Alexander's life. The temple was designed by Pytheos, one of the architects of the Mausoleum at Halicarnassus.

Hellenization

Hellenization was coined by the German historian Johann Gustav Droysen to denote the spread of Greek language, culture, and population into the former Persian empire after Alexander's conquest. That this export took place is undoubted, and can be seen in the great Hellenistic cities of, for instance, Alexandria, Antioch and Seleucia (south of modern Baghdad). Alexander sought to insert Greek elements into Persian culture and attempted to hybridize Greek and Persian culture. This culminated in his aspiration to homogenize the populations of Asia and Europe. However, his successors explicitly rejected such policies. Nevertheless, Hellenization occurred throughout the region, accompanied by a distinct and opposite 'Orientalization' of the successor states.
The core of the Hellenistic culture promulgated by the conquests was essentially Athenian. The close association of men from across Greece in Alexander's army directly led to the emergence of the largely Attic-based "koine", or "common" Greek dialect. Koine spread throughout the Hellenistic world, becoming the lingua franca of Hellenistic lands and eventually the ancestor of modern Greek. Furthermore, town planning, education, local government, and art current in the Hellenistic period were all based on Classical Greek ideals, evolving into distinct new forms commonly grouped as Hellenistic. Aspects of Hellenistic culture were still evident in the traditions of the Byzantine Empire in the mid-15th century.Some of the most pronounced effects of Hellenization can be seen in Afghanistan and India, in the region of the relatively late-rising Greco-Bactrian Kingdom (250–125 BC) (in modern Afghanistan, Pakistan, and Tajikistan) and the Indo-Greek Kingdom (180 BC – 10 AD) in modern Afghanistan and India. There on the newly formed Silk Road Greek culture apparently hybridized with Indian, and especially Buddhist culture. The resulting syncretism known as Greco-Buddhism heavily influenced the development of Buddhism[citation needed] and created a culture of Greco-Buddhist art. These Greco-Buddhist kingdoms sent some of the first Buddhist missionaries to China, Sri Lanka, and the Mediterranean (Greco-Buddhist monasticism). Some of the first and most influential figurative portrayals of the Buddha appeared at this time, perhaps modeled on Greek statues of Apollo in the Greco-Buddhist style. Several Buddhist traditions may have been influenced by the ancient Greek religion: the concept of Boddhisatvas is reminiscent of Greek divine heroes, and some Mahayana ceremonial practices (burning incense, gifts of flowers, and food placed on altars) are similar to those practiced by the ancient Greeks; however, similar practices were also observed amongst the native Indic culture. One Greek king, Menander I, probably became Buddhist, and was immortalized in Buddhist literature as 'Milinda'. The process of Hellenization also spurred trade between the east and west. For example, Greek astronomical instruments dating to the 3rd century BC were found in the Greco-Bactrian city of Ai Khanoum in modern-day Afghanistan, while the Greek concept of a spherical earth surrounded by the spheres of planets eventually supplanted the long-standing Indian cosmological belief of a disc consisting of four continents grouped around a central mountain (Mount Meru) like the petals of a flower. The Yavanajataka (lit. Greek astronomical treatise) and Paulisa Siddhanta texts depict the influence of Greek astronomical ideas on Indian astronomy.
Following the conquests of Alexander the Great in the east, Hellenistic influence on Indian art was far-ranging. In the area of architecture, a few examples of the Ionic order can be found as far as Pakistan with the Jandial temple near Taxila. Several examples of capitals displaying Ionic influences can be seen as far as Patna, especially with the Pataliputra capital, dated to the 3rd century BC. The Corinthian order is also heavily represented in the art of Gandhara, especially through Indo-Corinthian capitals.

Influence on Rome


Alexander and his exploits were admired by many Romans, especially generals, who wanted to associate themselves with his achievements. Polybius began his Histories by reminding Romans of Alexander's achievements, and thereafter Roman leaders saw him as a role model. Pompey the Great adopted the epithet "Magnus" and even Alexander's anastole-type haircut, and searched the conquered lands of the east for Alexander's 260-year-old cloak, which he then wore as a sign of greatness. Julius Caesar dedicated a Lysippean equestrian bronze statue but replaced Alexander's head with his own, while Octavian visited Alexander's tomb in Alexandria and temporarily changed his seal from a sphinx to Alexander's profile. The emperor Trajan also admired Alexander, as did Nero and Caracalla. The Macriani, a Roman family that in the person of Macrinus briefly ascended to the imperial throne, kept images of Alexander on their persons, either on jewelry, or embroidered into their clothes.

On the other hand, some Roman writers, particularly Republican figures, used Alexander as a cautionary tale of how autocratic tendencies can be kept in check by republican values. Alexander was used by these writers as an example of ruler values such as amicita (friendship) and clementia (clemency), but also iracundia (anger) and cupiditas gloriae (over-desire for glory).

Legend

Legendary accounts surround the life of Alexander the Great, many deriving from his own lifetime, probably encouraged by Alexander himself. His court historian Callisthenes portrayed the sea in Cilicia as drawing back from him in proskynesis. Writing shortly after Alexander's death, another participant, Onesicritus, invented a tryst between Alexander and Thalestris, queen of the mythical Amazons. When Onesicritus read this passage to his patron, Alexander's general and later King Lysimachus reportedly quipped, "I wonder where I was at the time."
In the first centuries after Alexander's death, probably in Alexandria, a quantity of the legendary material coalesced into a text known as the Alexander Romance, later falsely ascribed to Callisthenes and therefore known as Pseudo-Callisthenes. This text underwent numerous expansions and revisions throughout Antiquity and the Middle Ages, containing many dubious stories, and was translated into numerous languages.

In ancient and modern culture

Alexander the Great's accomplishments and legacy have been depicted in many cultures. Alexander has figured in both high and popular culture beginning in his own era to the present day. The Alexander Romance, in particular, has had a significant impact on portrayals of Alexander in later cultures, from Persian to medieval European to modern Greek.
Alexander features prominently in modern Greek folklore, more so than any other ancient figure. The colloquial form of his name in modern Greek ("O Megalexandros") is a household name, and he is the only ancient hero to appear in the Karagiozis shadow play. One well-known fable among Greek seamen involves a solitary mermaid who would grasp a ship's prow during a storm and ask the captain "Is King Alexander alive?" The correct answer is "He is alive and well and rules the world!" causing the mermaid to vanish and the sea to calm. Any other answer would cause the mermaid to turn into a raging Gorgon who would drag the ship to the bottom of the sea, all hands aboard.
In pre-Islamic Middle Persian (Zoroastrian) literature, Alexander is referred to by the epithet gujastak, meaning "accursed", and is accused of destroying temples and burning the sacred texts of Zoroastrianism. In Sunni Islamic Persia, under the influence of the Alexander Romance (in Persian: اسکندرنامهIskandarnamah), a more positive portrayal of Alexander emerges. Firdausi's Shahnameh ("The Book of Kings") includes Alexander in a line of legitimate Persian shahs, a mythical figure who explored the far reaches of the world in search of the Fountain of Youth. Later Persian writers associate him with philosophy, portraying him at a symposium with figures such as Socrates, Plato and Aristotle, in search of immortality. The figure of Dhul-Qarnayn (literally "the Two-Horned One") mentioned in the Quran is believed by some scholars to represent Alexander, due to parallels with the Alexander Romance. In this tradition, he was a heroic figure who built a wall to defend against the nations of Gog and Magog. He then travelled the known world in search of the Water of Life and Immortality, eventually becoming a prophet.
The Syriac version of the Alexander Romance portrays him as an ideal Christian world conqueror who prayed to "the one true God". In Egypt, Alexander was portrayed as the son of Nectanebo II, the last pharaoh before the Persian conquest. His defeat of Darius was depicted as Egypt's salvation, "proving" Egypt was still ruled by an Egyptian.
According to Josephus, Alexander was shown the Book of Daniel when he entered Jerusalem, which described a mighty Greek king who would conquer the Persian Empire. This is cited as a reason for sparing Jerusalem.
In Hindi and Urdu, the name "Sikandar", derived from Persian, denotes a rising young talent. In medieval Europe, Alexander the Great was revered as a member of the Nine Worthies, a group of heroes whose lives were believed to encapsulate all the ideal qualities of chivalry.
Irish playwright Aubrey Thomas de Vere wrote Alexander the Great, a Dramatic Poem.

Historiography

Apart from a few inscriptions and fragments, texts written by people who actually knew Alexander or who gathered information from men who served with Alexander were all lost. Contemporaries who wrote accounts of his life included Alexander's campaign historian Callisthenes; Alexander's generals Ptolemy and Nearchus; Aristobulus, a junior officer on the campaigns; and Onesicritus, Alexander's chief helmsman. Their works are lost, but later works based on these original sources have survived. The earliest of these is Diodorus Siculus (1st century BC), followed by Quintus Curtius Rufus (mid-to-late 1st century AD), Arrian (1st to 2nd century AD), the biographer Plutarch (1st to 2nd century AD), and finally Justin, whose work dated as late as the 4th century. Of these, Arrian is generally considered the most reliable, given that he used Ptolemy and Aristobulus as his sources, closely followed by Diodorus.

Hermes-type bust (pillar with the top as a sculpted head) of Alexander the Great called Hermes Azara. Bears the inscription: "Alexander [the Great], son of Philip, [king of] Macedonia." Copy of the Imperial Roman Era (1st or 2nd century CE) of a bronze sculpture made by Lysippos. Found in Tivoli, East of Rome, Italy. Pentelic marble, region of Athens.

Citazioni di Alessandro Magno

  • Mio padre vuol fare tutto lui, e a noi altri non lascerà nulla d'importante da compiere!
  • Guardate! Non riesce a reggersi in piedi e vuole raggiungere il cuore dell'Asia! [Poco dopo che il padre, ubriaco, nel tentativo di avventarsi su di lui, perde l'equilibrio e cade al suolo.]
  • Lo farei se fossi Parmenione; ma io sono Alessandro, e come il cielo non contiene due soli l'Asia non conterrà due re. [In risposta al generale Parmenione che gli chiedeva di accettare l'offerta di pace di Dario III.]
  • Tutto quello che ho udito di Marakanda (Samarcanda) è vero, tranne il fatto che è più bella di quanto immaginassi.
  • Vedete? È sangue umano! Umano! Non divino! [poco dopo essere stato colpito da una freccia]

Citazioni su Alessandro Magno

  • Alessandro e Cesare combattevano per i propri fini, ma così facendo strinsero una cintura di civiltà intorno alla Terra. (Jerome K. Jerome)
  • Alessandro sconciò la fama delle sue prodezze con la volgarità dei suoi furori, e smentì i trionfi tante volte acquistati con l'avvilirsi dinanzi alle più basse passioni. Gli servì a poco aver conquistato un mondo, se perdette il patrimonio di un principe, che è la reputazione. (Baltasar Gracián)
  • Di questo principe greco e barbaro, occidentale e orientale, chiaro e misterioso, benigno e crudele; sicuramente per metà pazzo e non soltanto agli occhi del suo maestro Aristotele; prodigo di umanità e creatore di popoli, capace di trascinare le sue truppe per modo di un'orgia militare senza oggetto né termine definito, come per il gusto delle emozioni meravigliose, attraverso insospettate regioni; che inventò con le sue catapulte da assedio la spaventosa tecnica delle preparazioni di artiglieria e che piangeva poi di orrore di fronte ai suoi massacri, si è potuto dire con ragione che apparteneva alla famiglia di Napoleone e a quella di Amleto. (Alfonso Reyes)
  • E quando Alessandro vide l'ampiezza dei suoi domini pianse, perché non c'erano più mondi da conquistare. (Trappola di cristallo)
  • Intraprese molte guerre, si impadronì di fortezze e uccise i re della terra; arrivò sino ai confini della terra e raccolse le spoglie di molti popoli. La terra si ridusse al silenzio davanti a lui; il suo cuore si esaltò e si gonfiò di orgoglio. (Libri dei Maccabei)
  • L'Iliade fu sempre il poema de' valorosi. Sono ancor celebri le generose lagrime d'Alessandro sulla tomba di Achille; ed è pure fra gli uomini divulgato che quel grande conquistatore solea chiamare l'Iliade il viatico delle sue spedizioni. (Vincenzo Monti)
  • Molti storici occidentali hanno cercato di attribuire a questo generale macedone un piano per la creazione di uno stato ed una civiltà mondiali, ma si tratta di un'opinione che più di costituire un fatto storicamente provato, rappresenta l'ennesimo tentativo di glorificare il ruolo storico della cultura greca di cui l'occhio si considera l'erede naturale. Una conseguenza di questo settarismo prevenuto e tendenzioso è data dalla falsa interpretazione dell'incontro fra Grecia ed Iran. Si tratta di un tipico caso di colonialismo culturale. (Mohammad Reza Pahlavi)

Diogene Laerzio

  • A chi riteneva beato Callistene perché godeva della sontuosa magnificenza di Alessandro, [Diogene di Sinope] replicò: «È certo infelice, perché fa la colazione e il pranzo quando fa comodo ad Alessandro».
  • Alessandro incontratosi con lui gli domandò: «Non hai paura di me?» E Diogene a sua volta: «Che cosa sei? Un bene o un male?» Alessandro: «Un bene». Diogene: «Chi mai dunque ha paura del bene?»
  • Mentre una volta prendeva il sole nel Craneo, Alessandro sopraggiunto disse: «Chiedimi quel che vuoi». E Diogene, di rimando: «Lasciami il mio sole».
  • Si narra anche che Alessandro abbia detto che se non fosse nato Alessandro, avrebbe voluto nascere Diogene.

Valerio Massimo Manfredi

  • Il figlio al quale darai la luce risplenderà di un'energia meravigliosa, ma come le fiamme che ardono di luce più intensa e consumano più in fretta l'olio che le alimenta, la sua anima potrebbe bruciare il petto che la racchiude. (Sacerdote dell'oracolo di Delfi a Olympias)
  • Conserva questo segreto nel cuore finché non verrà il momento in cui la natura di tuo figlio si manifesterà appieno. Allora sii pronta a tutto, anche a perderlo, perché qualunque cosa tu faccia non riuscirai a impedire che si compia il suo destino, che la sua fama si estenda fino ai confini del mondo. (Sacerdote dell'oracolo di Delfi a Olympias)
  • Essere greco, Alessandro, è l'unico modo di vivere degno di un essere umano. (Aristotele)
  • Non è lui. Non è Alessandro. Lisippo sta modellando il giovane dio che ha gli occhi, le labbra, il naso, i capelli di Alessandro, ma che è altro, è di più e di meno allo stesso tempo. (Aristotele)
  • Tu non sarai mai né greco né macedone. Sarai soltanto Alessandro. (Aristotele)
  • È destino dell'uomo sopportare ferite e malattie e dolori e morte prima di sprofondare nel nulla. Ma agire con onore ed essere clemente ogni volta che è possibile è nella sua facoltà e nella sua scelta. Questa è l'unica dignità che gli è concessa da quando è messo al mondo, l'unica luce prima delle tenebre di una notte senza fine. (Alessandro)
Aristotele insegna ad Alessandro.
Engraving by Charles Laplante, a french engraver and illustrator. This engraving was first inserted as illustration in the book of Louis Figuier, Vie des savants illustres - Savants de l'antiquité (tome 1), Paris, 1866. The subtitle of the illustration is "Education d'Alexandre par Aristote", and is inserted between the pages 134-135 (Chap. Aristote). The signature "C. LAPLANTE" is at the bottom-right. Charles Laplante is dead in 1903 and Louis Figuier in 1894.
Aristotle teaching Alexander the Great

Quotes

  • What an excellent horse do they lose, for want of address and boldness to manage him! … I could manage this horse better than others do.
    • Statement upon seeing Bucephalas being led away as useless and beyond training, as quoted in Lives by Plutarch, as translated by Arthur Hugh Clough
  • Know ye not that the end and object of conquest is to avoid doing the same thing as the conquered?
    • As quoted in Lives by Plutarch, VII, "Demosthenes and Cicero. Alexander and Caesar" (40.2), as translated by Bernadotte Perrin
  • Holy shadows of the dead, I’m not to blame for your cruel and bitter fate, but the accursed rivalry which brought sister nations and brother people, to fight one another. I do not feel happy for this victory of mine. On the contrary, I would be glad, brothers, if I had all of you standing here next to me, since we are united by the same language, the same blood and the same visions.
    • Addressing the dead Hellenes (the Athenean and Thebean Greeks) of the Battle of Chaeronea, as quoted in Historiae Alexandri Magni by Quintus Curtius Rufus
  • If I were not Alexander, I should wish to be Diogenes.
    • After Diogenes of Sinope who was lying in the sun, responded to a query by Alexander asking if he could do anything for him with a reply requesting that he stop blocking his sunlight. As quoted in "On the Fortune of Alexander" by Plutarch, 332 a-b
  • I do not steal victory.
    • Reply to the suggestion by Parmenion, before the Battle of Gaugamela, that he attack the Persian camp during the night, reported in Life of Alexander by Plutarch, as quoted in A History of Greece to the Death of Alexander the Great (1900) by John Bagnell Bury
  • If it were not my purpose to combine barbarian things with things Hellenic, to traverse and civilize every continent, to search out the uttermost parts of land and sea, to push the bounds of Macedonia to the farthest Ocean, and to disseminate and shower the blessings of the Hellenic justice and peace over every nation, I should not be content to sit quietly in the luxury of idle power, but I should emulate the frugality of Diogenes. But as things are, forgive me Diogenes, that I imitate Herakles, and emulate Perseus, and follow in the footsteps of Dionysos, the divine author and progenitor of my family, and desire that victorious Hellenes should dance again in India and revive the memory of the Bacchic revels among the savage mountain tribes beyond the Kaukasos…
    • As quoted in "On the Fortune of Alexander" by Plutarch, 332 a-b
  • Our enemies are Medes and Persians, men who for centuries have lived soft and luxurious lives; we of Macedon for generations past have been trained in the hard school of danger and war. Above all, we are free men, and they are slaves. There are Greek troops, to be sure, in Persian service — but how different is their cause from ours! They will be fighting for pay — and not much of at that; we, on the contrary, shall fight for Greece, and our hearts will be in it. As for our foreign troops — Thracians, Paeonians, Illyrians, Agrianes — they are the best and stoutest soldiers in Europe, and they will find as their opponents the slackest and softest of the tribes of Asia. And what, finally, of the two men in supreme command? You have Alexander, they — Darius!
    • Addressing his troops prior to the Battle of Issus, as quoted in Anabasis Alexandri by Arrian Book II, 7
  • Your ancestors came to Macedonia and the rest of Hellas [Greece] and did us great harm, though we had done them no prior injury. I have been appointed leader of the Greeks, and wanting to punish the Persians I have come to Asia, which I took from you.
    • Alexander's letter to Persian king Darius III of Persia in response to a truce plea, as quoted in Anabasis Alexandri by Arrian; translated as Anabasis of Alexander by P. A. Brunt, for the "Loeb Edition" Book II 14, 4
  • So would I, if I were Parmenion.
    • As quoted in Lives by Plutarch, after Parmenion suggested to him after the Battle of Issus that he should accept Darius III of Persia's offer of an alliance, the hand of his daughter in marriage, and all Minor Asia, saying "If I were Alexander, I would accept the terms" (Variant translation: I would accept it if I were Alexander).
    • Variants: I too, if I were Parmenion. But I am Alexander.
      So would I, if I were Parmenion.
      So should I, if I were Parmenion.
      So should I, if I were Parmenion: but as I am Alexander, I cannot.
      I would do it if I was Parmenion, but I am Alexander.
      If I were Parmenion, that is what I would do. But I am Alexander and so will answer in another way.
      So would I, if I were Parmenion, but I am Alexander, so I will send Darius a different answer.
      If I were Perdicas, I shall not fail to tell you, I would have endorsed this arrangement at once, but I am Alexander, and I shall not do it. (as quoted from medieval French romances in The Medieval French Alexander (2002) by Donald Maddox and Sara Sturm-Maddox, p. 81)
  • Youths of the Pellaians and of the Macedonians and of the Hellenic Amphictiony and of the Lakedaimonians and of the Corinthians… and of all the Hellenic peoples, join your fellow-soldiers and entrust yourselves to me, so that we can move against the barbarians and liberate ourselves from the Persian bondage, for as Greeks we should not be slaves to barbarians.
    • As quoted in the Historia Alexandri Magni of Pseudo-Kallisthenes, 1.15.1-4
  • Now you fear punishment and beg for your lives, so I will let you free, if not for any other reason so that you can see the difference between a Greek king and a barbarian tyrant, so do not expect to suffer any harm from me. A king does not kill messengers.
    • As quoted in the Historia Alexandri Magni of Pseudo-Kallisthenes, 1.37.9-13
  • Are you still to learn that the end and perfection of our victories is to avoid the vices and infirmities of those whom we subdue?
    • As quoted in Lives by Plutarch, as translated by Arthur Hugh Clough
  • To the strongest!
    • After being asked, by his generals on his deathbed, who was to succeed him. It has been speculated that his voice may have been indistinct and that he may have said "Krateros" (the name of one of his generals), but Krateros was not around, and the others may have chosen to hear "Kratistos" — the strongest. As quoted in The Mask of Jove: a history of Graeco-Roman civilization from the death of Alexander to the death of Constantine (1966) by Stringfellow Barr, p. 6
  • There is nothing impossible to him who will try.
    • On taking charge of an attack on a fortress, in Pushing to the Front, or, Success under Difficulties : A Book of Inspiration (1896) by Orison Swett Marden, p. 55
  • I consider not what Parmenion should receive, but what Alexander should give.
    • On his gifts for the services of others, as quoted in Dictionary of Phrase and Fable: Giving the Derivation, Source, or Origin of Common Phrases, Allusions, and Words That Have A Tale To Tell (1905) by Ebenezer Cobham Brewer, p. 30
    • Variant: It is not what Parmenio should receive, but what Alexander should give.
    • quoted in Alexander : A History of the Origin and Growth of the Art of War from Earliest Times to the Battle Of Ipsus, B. C. 301 (1899) by Theodore Ayrault Dodge
  • Sex and sleep alone make me conscious that I am mortal.
    • As quoted in Alexander the Great (1973) by Robin Lane Fox
    • Unsourced variant : Only sex and sleep make me conscious that I am mortal.
  • Shall I pass by and leave you lying there because of the expedition you led against Greece, or shall I set you up again because of your magnanimity and your virtues in other respects?
    • Pausing and addressing to a fallen statue of Xerxes the Great
    • Plutarch. The age of Alexander: nine Greek lives. Penguin, 1977. p. 294
  • Dinocrates, I appreciate your design as excellent in composition, and I am delighted with it, but I apprehend that anybody who should found a city in that spot would be censured for bad judgement. For as a newborn babe cannot be nourished without the nurse's milk, nor conducted to the approaches that lead to growth in life, so a city cannot thrive without fields and the fruits thereof pouring into its walls.
    • Vitruvius, De Architectura Bk. 2, Introduction, Sec. 3
  • For my part, I assure you, I had rather excel others in the knowledge of what is excellent, than in the extent of my power and dominion.
    • Quoted by Plutarch in Life of Alexander from Plutarch's Lives as translated by John Dryden (1683)

 
Alessandro combatte contro un leone (mosaico del III secolo a.C.). 
sconosciuto - Opera propria 
Alexander fighting a lion. 3rd century BC mosaic. Pella Museum, Greece. Source: "Alexandre le Grand, de la Grece a l'Inde". In the complete image Craterus is depicted as rescuing Alexander from the lion during their hunt at Sidon in 333.

 Impero di Alessandro Magno. È riportato il tragitto compiuto dal conquistatore e le principali battaglie. 
Generic Mapping Tools - Opera propria 
Extent of the empire of Alexander the Great

Alessandro Magno ritratto come il dio Elio
Alessandro Magno come Helios. Marmo, copia romana da un originale ellenistico del III-II sec. a.C.
Musei Capitolini 

Mosaico della battaglia di Isso (Casa del Fauno) 

La famiglia di Dario davanti ad Alessandro, Justus Sustermans.  The Family of Darius III in front of Alexander the Great

Moneta d'oro di Alessandro. 
Coin of Alexander the Great, with a depiction of Athena and Nike.
PHGCOM - self-made, photographed at the Metropolitan Museum of Art

Moneta d'argento di Alessandro.
I, PHGCOM
Coin of Alexander the Great, III

Testa di Alessandro conservata presso Copenaghen.
Gunnar Bach Pedersen - Fotografia autoprodotta
Bust of Alexander the Great, Ny Carlsberg Glyptotek

La battaglia di Gaugamela in un dipinto di Jan Brueghel il Vecchio.
Jan Brueghel the Elder
The Battle of Gaugamela on October 1, 1602

 Riproduzione (probabilmente ottocentesca) dei Giardini pensili di Babilonia.
'Hanging Gardens of Babylon' probably 19th century after the first excavations in the Assyrian capitals. ::The Hanging Gardens of Babylon This hand-coloured engraving probably made in 19th century after the first excavations in the Assyrian capitals, depicts the fabled Hanging Gardens of Babylon, one of the Seven Wonders of the World. According to the tradition, the gardens did not hang, but grew on the roofs and terraces of the royal palace in Babylon. Nebuchadnezzar II, the Chaldean king, is supposed to have had the gardens built in about 600 BC as a consolation to his Median wife, who missed the natural surroundings of her homeland.

Alessandro dà sepoltura al corpo di Dario
Alexander Covers the Body of Darius with His Cloak, engraving by Bernhard Rode 1769-70. "Darius on a wagon, in golden shackles and killed by an arrow. His tiara has fallen from his head. Alexander spills tears over him and covers him with his purple cloak. The Greek soldier who succored him with a drink of water shortly before his death and led Alexander to him, sees with a look of pity that he has already died." (Catalog of the Exhibition of the Berlin Academy, 1794, 3, in Die Kataloge der Berliner Akademie-Ausstellungen 1786-1850, ed. by H. Börsch-Supan, vol. 1 [Berlin 1971].) Literary source: Quintus Rufus Curtius, The Life of Alexander the Great, Book 5, 13.

 Battaglia dell'Idaspe (Charles Le Brun, 1673)
Alexander and Porus by Charles Le Brun, painted 1673. Le Brun also spelled LEBRUN (b. Feb. 24, 1619, Paris, France--d. Feb. 12, 1690, Paris), painter and designer who became the arbiter of artistic production in France during the last half of the 17th century. Possessing both technical facility and the capacity to organize and carry out many vast projects, Le Brun personally created or supervised the production of most of the paintings, sculptures, and decorative objects commissioned by the French government for three decades during the reign of Louis XIV. Under his direction French artists created a homogeneous style that came to be accepted throughout Europe as the paragon of academic and propagandistic art. [Encyclopaedia Britannica, 1994] Lebrun, Charles (1619-90). French painter and art theorist, the dominant artist of Louis XIV's reign. After training with Vouet he went to Rome in 1642 and worked under Poussin, becoming a convert to the latter's theories of art. He returned to Paris in 1646. From 1661 he became established in the employ of Louis XIV, in 1662 he was raised to the nobility and named Premier Paintre du roi, and in 1663 he was made director of the reorganized Academie, which he turned into a channel for imposing a codified system of orthodoxy in matters of art. His lectures came to be accepted as providing the official standards of artistic correctness and, formulated on the basis of the Classicism of Poussin, gave authority to the view that every aspect of artistic creation can be reduced to teachable rule and precept. In 1698 his small illustrated treatise Methode pour apprendre a dessiner les passions... was posthumously published; in this, again following theories of Poussin, he purported to codify the visual expression of the emotions in painting. Despite the Classicism of his theories, Lebrun's own talents lay rather in the direction of flamboyant and grandiose decorative effects. Among the most outstanding of his works for the king were the Galerie d'Apollon at the Louvre (1663), and the famous Galerie des Glaces (1679-84) and the Great Staircase (1671-78, destroyed in 1752) at Versailles. His importance in the history of French art is twofold: his contributions to the magnificence of the Grand Manner of Louis XIV and his influence in laying the basis of academicism. Many of the leading French artists of the next generation trained in his studio. Lebrun was a fine portraitist and an extremely prolific draughtsman.

 Cameo rappresentante Alessandro (325 a.C.).

Sarcofago di Alessandro (Musei archeologici di Istanbul).

Una rara moneta di Tolomeo I; sul rovescio è raffigurato Alessandro trionfante su un carro trainato da elefanti, a ricordare il successo della campagna in India. 
A rare coin of Ptolemy I, showing himself riding a chariot drawn by elephants, a reminder of his successful campaigns with Alexander in India. Displayed at the Grand Palais. Personal photograph 2006. 
La leggenda del Volo di Alessandro, decorazione della torre del Duomo di Fidenza
I, Sailko
Duomo di fidenza, sculture sulla torre dx, volo di alessandro magno

 Alessandro Magno nel fiume Cidno salvato dai suoi soldati, Metropolitan Museum of Art, New York
https://www.metmuseum.org/collection/the-collection-online/search/437784
Pietro Testa - Alessandro Magno salvato dai suoi soldati nel fiume Cidno 1650 circa olio su tela 96.5 x 137.2 cm Metropolitan Museum of Art - New York

 Statue of Alexander the Great in Thessaloniki, Macedonia, Greece
Nikolai Karaneschev
Θεσσαλονίκη 2014 (The Statue of Alexander the Great)

Statue of Alexander in Istanbul Archaeology Museum
Tkbwikmed - Own work
3rd century BC statue of Alexander the Great, signed "Menas". Istanbul Archaeology Museum. Minor photoshop work to remove or reduce blemishes, a crack, etc.

 The emblema of the Stag Hunt Mosaic, c. 300 BC, from Pella; the figure on the right is possibly Alexander the Great due to the date of the mosaic along with the depicted upsweep of his centrally-parted hair (anastole); the figure on the left wielding a double-edged axe (associated with Hephaistos) is perhaps Hephaestion, one of Alexander's loyal companions.
Gnosis, whose signature is found on the work, or simply an anonymous ancient Macedonian artist - www.macedonian-heritage.gr/HellenicMacedonia/en/img_B1233a.html

A deer hunt, detail from the mosaic floor signed Gnosis in the 'House of the Abduction of Helen' at Pella, Greece (ancient Macedonia), late 4th century BC, Pella Archaeological Museum. Signed "Gnosis made it". The figure on the right is possibly Alexander the Great due to the date of the mosaic along with the depicted upsweep of his centrally-parted hair (anastole); the figure on the left wielding a double-edged axe (associated with Hephaistos) is perhaps Hephaestion, one of Alexander's loyal companions. For further infromation, see Chugg, Andrew (2006). Alexander's Lovers. Raleigh, N.C.: Lulu. ISBN 978-1-4116-9960-1, pp 78-79.

 Alexander Cuts the Gordian Knot (1767) by Jean-Simon Berthélemy

 Name of Alexander the Great in Egyptian hieroglyphs (written from right to left), c. 330 BC, Egypt. Louvre Museum

 Site of the Persian Gate; the road was built in the 1990s

 The Killing of Cleitus, by André Castaigne (1898–1899)
Andre Castaigne (1861-1929)
The killing of Cleitus by Alexander the Great.

 The Phalanx Attacking the Centre in the Battle of the Hydaspes by André Castaigne (1898–1899).
André Castaigne - Public Domain
Alexander old drawings

Alexander's troops beg to return home from India in plate 3 of 11 by Antonio Tempesta of Florence, 1608.
Alexander, left, and Hephaestion, right
at the Getty Villa Museum in Malibu, California.
Alexander at the Tomb of Cyrus the Great, by Pierre-Henri de Valenciennes (1796) 
19th century depiction of Alexander's funeral procession based on the description of Diodorus
A mural in Pompeii, depicting the marriage of Alexander to Barsine (Stateira) in 324 BC; the couple are apparently dressed as Ares and Aphrodite.  
 This medallion was produced in Imperial Rome, demonstrating the influence of Alexander's memory. Walters Art Museum, Baltimore.
  between circa 215 and circa 243 (Imperial Roman)
 The coronation of Alexander depicted in medieval European style in the 15th century romance The History of Alexander's Battles
 Unknown Flemish artist
 Alexander the Great depicted in a 14th-century Byzantine manuscript
 Unknown
A cropped fourteenth-century miniature Greek manuscript depicting scenes from the life of Alexander the Great. In this illustration the infantry of Alexander the Great invades Athens. The battle is taking place and the soldiers of the enemy fall off the wall. The horses of Alexander and one of his adjutants are represented as a Cataphract (Armored cavalry). The entire scene is depicted entirely in Byzantine fashion of the late Byzantine period (1204-1453). “Alexander Romance” in S. Giorgio dei Greci in Venice
Alexander the Great depicted in a 15th-century Persian miniature painting
Unknown 

The battle between Nowzar and Afrasiab from a manuscript of the Persian epic Shāh-nāmeh
Unknown

Alexander

 arazzo-alessandro-magno-imprese-d'oriente

Antonio Balestra
(Verona, 1666-1740)
Alessandro Magno davanti al cadavere di Dario, 1725 circa
Olio su tela, 141 x 176,5 cm.
Inedito.
COLLEZIONE PRIVATA

Arazzo con le storie di Alessandro Magno

Le imprese di Alessandro Magno


La statua di Alessandro Magno a Skopje


 alexander the great wife



Artista: Kris & Jen "Adolescence of Alexander"


 

 

 

 



 

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