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giovedì 1 ottobre 2020

Michele Pezza detto Fra Diavolo

 Fra Diavolo, pseudonimo di Michele Arcangelo Pezza (Itri, 7 aprile 1771 – Napoli, 11 novembre 1806), è stato un brigante e militare italiano, noto per aver preso parte alle insorgenze dei movimenti legittimisti sanfedisti.

Biografia

Giovinezza

Michele Arcangelo Pezza nacque a Itri, un piccolo centro sulla via Appia, tra Fondi e Formia, nella Terra di Lavoro, all'epoca parte del Regno di Napoli (attualmente in provincia di Latina), quintogenito degli otto figli di Francesco Pezza, appartenente a una delle famiglie più in vista del paese, la famiglia Pezza, e di Arcangela Matrullo. Michele doveva il suo doppio nome al fatto di essere stato battezzato nella chiesa di San Michele Arcangelo. I suoi fratelli erano: i gemelli Giuseppe Antonio e Vincenzo Luca, nati nel 1762, Maria Saveria Giuseppa, nata nel 1766, Francesca Erasma Marianna, nata nel 1768, Giovanni Nicola, nato nel 1774, Regina Maria Civita, nata nel 1778, Maria Anna Zaccaria, nata nel 1776, e Angelo Antonio, nato nel 1782.

All'età di cinque anni, una grave malattia mise a serio rischio la sua vita. Visto che le cure erano inefficaci, la madre fece un voto a san Francesco di Paola: lo promise frate se si fosse salvato. In realtà, il voto non era gravoso: consisteva nel vestire il bambino con un saio da frate sia d'estate sia d'inverno. Quando il vestito si fosse consumato, l'avrebbe riportato al santo e così il voto si sarebbe sciolto. Per adempiere al voto materno, Michele trascorse tutta l'infanzia vestito con il saio, guadagnandosi il soprannome di «Fra Michele». Quando sciolse il voto, era già entrato nell'adolescenza.

Ricevette la prima istruzione in parrocchia, ma non si rivelò adatto agli studi. Durante una lezione, il canonico Nicola De Fabritiis, suo insegnante, davanti alla sua poca voglia di studiare e alla sua pigrizia, lo apostrofò con la frase: "Tu non sei Fra Michele Arcangelo; tu, tu sei Fra Diavolo!". Una volta cresciuto, Michele aiutava il padre nel lavoro nei campi, ma questi, vedendolo interessato più ai cavalli che alle olive, lo mandò a lavorare presso la bottega di un amico bastaio, Eleuterio Agresti, il sellaio del paese. Rimase per alcuni anni nella sua bottega.

Un giorno, durante un'accesa discussione, Eleuterio mise le mani addosso al ragazzo, il quale per tutta risposta uccise il mastro sellaio con un grosso ago usato per imbastire le selle, poi ne assassinò il fratello, Francesco Agresti (detto "Faccia d'Argento"), che gli aveva giurato vendetta. Iniziò quindi un periodo di vagabondaggio sui monti Aurunci, dove si mise al servizio del barone Felice di Roccaguglielma, nel feudo di Campello. Successivamente si trasferì a Sonnino, nello Stato Pontificio, appoggiandosi a una famiglia itrana che vi si era trasferita. Non sappiamo se servì come sbirro delle guardie pontificie, ma sta di fatto che, da latitante, entrò in contatto con numerosi briganti, con i quali instaurò buoni rapporti, ricevendo in breve tempo una considerazione degna di un capo.

Un anno nell'esercito borbonico (1798)

Nel 1796 il Regno di Napoli inviò quattro battaglioni del suo esercito a combattere in Lombardia, al fianco degli alleati austriaci, contro l'esercito di Napoleone Bonaparte, che in quell'anno aveva invaso l'Italia del nord. La Terra di Lavoro diventò un crocevia di truppe e la famiglia di Michele pensò di trarre vantaggio dalla situazione. Nel 1797 presentò domanda affinché la pena per il duplice omicidio fosse commutata in servizio militare. La domanda fu accolta e Michele fu arruolato in uno dei reggimenti del Regno di Sicilia. Il comando di polizia stabilì che il servizio militare sarebbe durato tredici anni. Ai primi del 1798, dunque, Michele partì soldato in un corpo di fucilieri della fanteria borbonica. Fedelissimo suddito del Regno di Napoli, disprezzava il denaro ed era attaccato profondamente al trono ed alla religione.

In novembre, dopo molti mesi d'inazione, il re di Napoli diede l'ordine di attaccare Roma. L'esercito, di cui faceva parte anche Michele, conquistò la capitale il 27 novembre e, due giorni dopo, il sovrano fece il suo ingresso trionfale in città. Michele vide per la prima volta in vita sua quali fossero i vantaggi del conquistare una città: appropriazioni indebite e soprusi che rimanevano impuniti. In breve tempo l'esercito napoletano, guidato dall'austriaco Mack, si sfaldò e rimase senza ordini, e Michele decise quindi di ritornare da solo al paese natale, Itri. Nel frattempo, l'esercito napoleonico si riorganizzò e si preparò a invadere il Regno di Napoli.

Non passò molto tempo prima che i francesi del generale Championnet invadessero il Regno, sbaragliando l'esercito borbonico. Il 15 febbraio, Napoli cadde dopo alcuni giorni di disperata ed eroica resistenza da parte dei Lazzari. Re Ferdinando IV di Borbone riparò a Palermo, mentre venne costituita la repubblica. La conquista di Napoli non garantiva però all'esercito francese, né alla Repubblica Napoletana, la sovranità su tutto il territorio del Regno che, specie nelle zone più periferiche, era saldamente nelle mani della guerriglia legittimista. Ferdinando IV, deciso a riprendere il trono, strinse un'alleanza con Austria e Inghilterra per muovere guerra ai francesi.

Da brigante a capomassa (1798-99)

Le armate francesi avrebbero senz'altro dovuto percorrere la via Appia nella loro marcia verso Napoli, e Itri si trovava sulla rotta. Michele pensò che attaccare i francesi sarebbe stato facile per lui, che conosceva a menadito la zona: avrebbe inferto molti danni alle forze nemiche. La sua "zona d'azione" fu la via Appia Antica, più precisamente le zone che attraversano le montagne comprese fra la pianura di Fondi e la strada verso Formia (Monti Ausoni e Monti Aurunci). I primi a unirsi a lui furono i suoi fratelli, poi vennero molti altri abitanti del paese. Michele riacquistò il suo soprannome, "Fra Diavolo", e si mise a capo dei rivoltosi, che scelsero come luogo dove aspettare il nemico il fortino di Sant'Andrea, edificio costruito nel XVI secolo sui resti di antichi templi dedicati ad Apollo e Mercurio.

Sarà proprio questo fortino a diventare la prima roccaforte della massa, il luogo da cui far partire le scorrerie contro i soldati francesi e contro le carrozze di passaggio. La colonna dell'esercito francese entrò nel territorio di Itri a metà dicembre. Nei giorni successivi si verificarono gli scontri con la banda di Fra Diavolo. Gli attacchi furono inaspettati e provocarono un arresto della marcia, tanto che i francesi chiamarono rinforzi. Il 29 dicembre, tre battaglioni polacchi occuparono il fortino, poi entrarono a Itri. Il paese fu saccheggiato e molti abitanti furono passati per le armi: tra questi, anche il padre di Fra Diavolo. Michele, mentre guardava per l'ultima volta il padre, giurò vendetta. Nascostosi sulle montagne, tornò di notte per dare al padre sepoltura in chiesa.

Tornò sui monti, raccolse 600 uomini ed elaborò un nuovo piano. Vicino a Itri, a Gaeta, si trovava la fortezza più potente del regno. Fra Diavolo pensò di farne la sua base, per coprirsi le spalle prima e dopo gli attacchi. Ma, quando giunse alla fortezza, il 31 dicembre, scoprì che il comandante, il colonnello svizzero Tschudy si era arreso ai francesi. Fra Diavolo si sentì tradito dalla viltà dei generali stranieri al soldo del Regno. Riorganizzò le sue truppe e, visto che l'esercito francese aveva già attraversato il Garigliano, decise di sollevargli contro tutta la Terra di Lavoro. Passò uno per uno in tutti i paesi, reclutò uomini e raccolse denari, ma dodici giorni dopo venne a sapere del trattato di Sparanise. Anche il generale Mack si era arreso al nemico senza combattere.

Da capomassa a capitano di fanteria (1799-1800)

 

A Fra Diavolo non rimase che ritornare a Itri, partecipando nei mesi successivi a tutti i tentativi di rivolta antifrancese. In seguito, si posizionò con la sua banda lungo la via Appia, ad ovest di Itri, e intercettò tutti i corrieri che la percorrevano; così le comunicazioni tra Roma e Napoli furono azzerate. Oltre a ottenere il controllo assoluto delle vie di comunicazione, Fra Diavolo dominò il territorio da Gaeta a Capua, che amministrò direttamente: dai suoi monti, teneva d'occhio la fortezza di Gaeta in mano ai francesi.

Nel 1799 si formò una Seconda coalizione contro Napoleone e Fra Diavolo si presentò agli inglesi, nella loro base nell'isola di Procida, come soldato del Regno di Napoli, chiedendo e ottenendo due cannoni e una barca. Fissò la sua base a Maranola, vicino al golfo di Gaeta, e continuò la sua attività di taglieggiamento delle comunicazioni. La sua azione fu così efficace che gli inglesi pronunciarono su di lui parole di elogio, che giunsero fino a Ferdinando IV, riparato a Palermo: vi si era trasferito con la corte prima ancora della caduta di Napoli.

In maggio, quando la Seconda coalizione decise di muovere l'assedio alla fortezza di Gaeta, Fra Diavolo fu scelto come comandante delle operazioni. La sua massa, oltre mille uomini, fu riconosciuta come parte dell'esercito regolare. Re Ferdinando lo nominò capitano, mentre la regina consorte Maria Carolina d'Austria, per mostrargli la propria ammirazione, gli donò una spilla di diamanti. Il 15 maggio Fra Diavolo passò in rivista la truppa e guidò l'assedio via terra, mentre la flotta inglese bloccò la fortezza per parte di mare. Alla fine di luglio, dopo tre mesi d'assedio, il generale francese Girardon avviò i colloqui per la resa, ma volle trattare solamente con gli inglesi, reputando Fra Diavolo niente più che un brigante. Il capitano, per tutta risposta, si preparò all'attacco della fortezza, ma un ordine del cardinale Fabrizio Ruffo, Vicario generale del Regno, gli intimò di non muoversi. La resa fu firmata dal generale Acton per i borbonici e dall’ammiraglio Nelson per conto degli inglesi.

Nel frattempo, alla fine di giugno, Napoli era stata liberata e il re aveva fatto ritorno nella capitale. Subito vennero elaborati dei piani per conquistare Roma, che rimaneva in mano ai francesi. Fra Diavolo si recò nel capoluogo partenopeo per partecipare all'organizzazione della campagna militare. Nella capitale soggiornò nel palazzo dell'inglese Sir John Acton, primo ministro del governo borbonico e favorito della regina. Il 14 agosto si sposò con Fortunata Rachele De Franco, ragazza napoletana conosciuta durante l'occupazione francese, nella chiesa della parrocchia di Sant'Arcangelo all'Arena. I testimoni di nozze furono due suoi compagni, entrambi di Itri.

Il 20 agosto partì da Napoli con la sua truppa. Il 9 settembre giunse a Velletri, poi si acquartierò ad Albano. Prima di sferrare un attacco alla Città Eterna attese l'arrivo delle forze regolari napoletane e la massa rimase in quella posizione fino a metà settembre. Per garantire rifornimenti di viveri alla truppa, non esitò a calare sui villaggi vicini e a saccheggiarli. Roma fu liberata dalle truppe napoletane il 30 settembre, ma il nuovo governo mostrò un'inaspettata diffidenza nei confronti degli insorgenti: alle masse non venne concesso di entrare in città. Anche le truppe di Fra Diavolo furono colpite dal provvedimento. Inoltre, vennero disarmate e la loro paga fu tagliata. Gli uomini non poterono fare altro che tornare ai loro villaggi.

Fra Diavolo subì una sorte peggiore. Ad Albano venne arrestato (fu preso mentre dormiva) e venne incarcerato a Castel Sant'Angelo. Il capomassa non attese l'inizio del processo: fuggì nella notte tra il 3 e il 4 dicembre. L'arresto era stato ordinato da Diego Naselli[Per quale motivo?], generale dell'esercito napoletano. Egli non sapeva però che il 24 ottobre, da Napoli, il sovrano aveva nominato Michele Pezza colonnello di fanteria. Dopo 200 km di fuga, Fra Diavolo giunse a Napoli, dove ottenne di essere ricevuto dal re. Ferdinando IV credette al suo racconto e lo ricompensò, cancellando i debiti che la sua armata aveva contratto per le battaglie sostenute.

Gli anni a Napoli (1800-1806)

Ai primi del 1800, Pezza ritornò nel paese natìo, in qualità di Comandante Generale del dipartimento di Itri. Sua moglie era incinta: nacque Carlo e successivamente arrivò Clementina. Avviato alla vita tranquilla di militare di carriera, non riuscì però a essere in pace con sé stesso per via dei debiti che aveva contratto e che gli erano stati condonati. Prese l'impegno di pagare tutti i finanziatori delle imprese di Gaeta e di Roma. Per farlo doveva però far annullare il decreto reale che aveva «imposto oblio ai risarcimenti chiesti da' particolari». Si recò quindi a Napoli con tutta la famiglia, abbandonando l'incarico di Comandante Generale e prendendo un appartamento in affitto in via Marinella. La sua istanza si perse negli uffici dell'amministrazione reale e, dopo molti mesi, scrisse alla persona del re, chiedendo di poter vendere la propria pensione per rimborsare i suoi finanziatori, «preferendo meglio di patir lui e la sua famiglia, che comparire impuntuale e sentirsi rimproverare di esser divenuto colonnello con gli aiuti e co' soccorsi esatti da essi creditori». La richiesta, tuttavia, fu respinta.

Da colonnello a ricercato numero uno (1806)

Nel 1806 Napoleone riportò una vittoria decisiva sulla Quarta coalizione. Una delle sue prime decisioni fu quella di dichiarare guerra al Regno di Napoli. Il Consiglio di guerra di Ferdinando IV decise di richiamare all'azione i capimassa. Il colonnello Pezza si volse subito all'azione: lasciò Napoli e tornò nelle province a reclutare uomini abili alle armi tra la popolazione. Ma, mentre si preparava alla guerra, gli giunse la notizia che il re aveva abbandonato Napoli per riparare, come fatto nel 1799, a Palermo. Pochi giorni dopo ricevette un'ordinanza con la quale veniva ordinato ai comandanti militari di non aggredire l'armata napoleonica. «In conseguenza, S. M. comanda che il colonnello Pezza (Fra Diavolo) e gli altri incaricati di battaglioni volanti non facciano alcun movimento, né resistenza contro la detta armata». Giuseppe Bonaparte fu incoronato re di Napoli per volere di Napoleone stesso.

Fra Diavolo fu uno dei due soli comandanti militari che disobbedirono all'ordine: il secondo fu il generale principe Luigi d'Assia-Philippsthal, comandante della fortezza di Gaeta. Fra Diavolo, che aveva sempre desiderato che la fortezza fosse la base delle sue operazioni, vi si recò senza indugio. Pochi giorni dopo, i francesi giunsero davanti alla fortezza e la cinsero d'assedio. Tentato con denaro dai francesi, rifiutò di tradire il suo re. Nelle settimane seguenti, Fra Diavolo si lanciò in spericolate operazioni di disturbo delle postazioni francesi. Poi li sfidò in campo aperto con pochi uomini. Rischiò di essere preso, insieme al fratello Nicola, a Sant'Oliva, ma riuscì a riparare fortunosamente a Maranola, poi a Scauri s'imbarcò per Gaeta.

Negli ultimi giorni di aprile, Fra Diavolo fu chiamato dal monarca a Palermo. L'inglese Sidney Smith, ammiraglio della flotta reale, gli prospettò un progetto che ricalcava l'impresa dell'Esercito della Santa Fede di sette anni prima: la sollevazione delle Calabrie e l'avanzata dell'esercito fino a Napoli. Il 28 giugno Smith fu nominato comandante in capo della spedizione e Fra Diavolo fu il suo luogotenente. L'operazione cominciò il giorno dopo e Fra Diavolo, alla testa della sua «Legione della Vendetta», sbarcò da navi inglesi ad Amantea e conseguì ripetute vittorie sui francesi.

Il generale francese Verdier riparò verso Cassano, ma fu respinto dagli abitanti, che si erano sollevati in massa. Proprio quando la sollevazione stava diventando generale, la flotta inglese lo richiamò e lo ricondusse a Palermo, con i calabresi che furono lasciati alla mercé dei nemici. Giunto alla corte del re, Fra Diavolo fu ricompensato con il titolo di duca di Cassano, dal nome dell'eroica città. Nei giorni successivi, i francesi repressero i moti di ribellione in Calabria: erano diventati i padroni del Regno, avendo anche conquistato la fortezza di Gaeta. Fra Diavolo tentò un'impresa disperata: sollevare alle spalle dei francesi la Campania. Il 2 settembre sbarcò a Sperlonga e poi si diresse a Itri.

Decise cosa fare in base al numero di uomini che sarebbe riuscito a raccogliere. In 500 risposero al suo appello, troppo pochi per affrontare i francesi in campo aperto. Sottrasse ai nemici due cannoni e si trincerò a Sora, al confine con l'Abruzzo. Sora fu attaccata da tre lati: le truppe francesi erano soverchianti. Dopo tre giorni, i due cannoni smisero di funzionare e Fra Diavolo si gettò allora nella valle del fiume Roveto (29 settembre). I francesi, presi di sorpresa, non ebbero il tempo di reagire. Si rifugiò sulle montagne di Miranda e divenne il ricercato numero uno del Regno di Napoli.

Ridotta la massa a 300 uomini, Fra Diavolo si mosse di paese in paese, cercando inutilmente di sollevare la popolazione contro il nemico. Attraversò Esperia, Pignataro, Bauco (oggi Boville Ernica), Isernia. Intanto i francesi avevano bloccato tutti gli accessi alle valli. Fra Diavolo si era rintanato, ma non poteva uscire più dal suo nascondiglio. Fu posta sulla sua testa una taglia di 17 000 ducati e maestro di caccia fu nominato il colonnello Hugo, padre dello scrittore Victor Hugo. L'inseguimento durò quindici giorni, al termine del quale la massa di Fra Diavolo fu stretta nella valle di Boiano.

Qui Fra Diavolo dovette accettare il combattimento, che avvenne in ottobre. La battaglia durò sei ore, anche perché la pioggia che cadeva da giorni aveva reso inservibili i fucili. Si combatté all'arma bianca, l'attacco francese fu respinto (nella battaglia morirono 400 francesi e 40 insorti) e Fra Diavolo sfuggì alla cattura ancora una volta. Si diresse verso Benevento con 150 uomini, rifugiandosi nelle Forche caudine, dove pensava di essere al sicuro. Invece Hugo lo trovò e lo affrontò. Questa volta il numero delle vittime fu a favore dei francesi e Fra Diavolo rimase con circa 50 uomini.

L'ultima battaglia e la morte

Giunto sulla spiaggia di Cava de' Tirreni, passò l'ultima rivista dei suoi uomini, stabilendo che il gruppo si sarebbe separato e che ognuno avrebbe preso la sua strada. Vagò per giorni e giorni da un paese all'altro, finché il 1º novembre, esausto, fu riconosciuto dal titolare di una spezieria e catturato a Baronissi. Condotto a Salerno e identificato, il 3 novembre fu condotto in prigione a Napoli su una vettura circondata da lancieri polacchi. Il 10 novembre fu condannato a morte dal Tribunale straordinario riunito a Castel Capuano. Alla richiesta di declinare le generalità, dichiarò di essere colonnello dell'esercito borbonico. Fu giustiziato per impiccagione in piazza del Mercato l'11 novembre, vestito con l'uniforme di brigadiere dell'esercito borbonico, e il suo corpo venne lasciato molte ore fino a sera bene in vista, come monito alla popolazione. Non appena la Real Famiglia apprese dell'impiccagione di Pezza, celebrò il suo funerale nella cattedrale di Palermo. Fu sepolto nella chiesa degli Incurabili.

Letteratura, opera e cinema

Victor Hugo scrisse di lui: «Fra Diavolo personificava quel personaggio tipico, che si incontra in tutti i paesi invasi dallo straniero, il brigante-patriota, l'insorto legittimo in lotta contro l'invasore. Egli era in Italia, ciò che sono stati, in seguito, l'Empecinado in Spagna, Canaris in Grecia e Abd-el-Kader in Africa!»

La figura di Fra Diavolo compare inoltre nel romanzo di Alexandre Dumas, La Sanfelice, che tratta gli eventi che portarono alla costituzione della Repubblica Partenopea.

Nel 1830 il compositore francese Daniel Auber usò la storia del brigante per comporre l'opéra-comique Fra Diavolo, ou L'hôtellerie de Terracine, su libretto di Eugène Scribe e Casimir Delavigne (i quali, a onor del vero, si presero molte licenze sulla storia originale). L'opera venne rappresentata per la prima volta il 28 gennaio 1830, all'Opéra Comique di Parigi. Il libretto della versione italiana è stato tradotto e adattato da Manfredo Maggioni.

Con gli inizi del XX secolo, anche il cinema si è interessato alla storia del bandito di Itri. Ecco un elenco dei film a lui dedicati:

  • Fra Diavolo en la Alameda (1906), di Salvador Toscano (Messico)
  • Fra Diavolo (1912), di Alice Guy (USA)
  • Fra Diavolo (1924), di Emilio Zeppieri (Italia)
  • Fra Diavolo (1925), di Mario Gargiulo e Roberto Roberti (Italia)
  • Fra Diavolo (1931), di Mario Bonnard (Francia)
  • Fra Diavolo (The Devil's Brother) (1933), di Hal Roach e Charley Rogers con Stanlio e Ollio (USA).
  • Fra Diavolo (1942), di Luigi Zampa (Italia)
  • Donne e briganti (1950), di Mario Soldati (Italia)
  • La leggenda di Fra Diavolo (1962), di Leopoldo Savona (Italia)
  • I tromboni di Fra Diavolo (1962), di Giorgio Simonelli (Italia)
  • Il fiocco rosso (2008), di Antonio Colaruotolo, Luca Di Cangio, Gianfranco Ortenzi e Valeria Martone (Italia)

Fra Diavolo in un'illustrazione di Paolo Giudici, in Storia d'Italia (Nerbini, 1929-32)
Fra Diavolo (lit. Brother Devil; 7 April 1771–11 November 1806), is the popular name given to Michele Pezza, a famous guerrilla leader who resisted the French occupation of Naples, proving an "inspirational practitioner of popular insurrection". Pezza figures prominently in folk lore and fiction. He appears in several works of Alexandre Dumas, including The Last Cavalier: Being the Adventures of Count Sainte-hermine in the Age of Napoleon, not published until 2007 and in Washington Irving's short story "The Inn at Terracina".

Biography

The nickname "Fra Diavolo" came about due to an old Itrano custom: Until early in the twentieth century Itrani boys and girls who had recently recovered from serious illnesses were dressed as monks on the second Sunday after Easter, for a procession in honor of St. Francis of Paola, the patron of sick children. On one of these solemn occasions little Michele, who was apparently a handful to begin with, proved so naughty that someone called him "Fra Diavolo" which stuck.

Early life

The notion that Pezza "was born of low parentage" has received wide circulation but is hardly accurate; it forms part of a hostile tradition derived from French propaganda. The Pezzas had some land in olives and were also engaged in the wool trade. The family home has some interesting architectural details, which also suggests some wealth, and they were related to several of the most prominent families in Itri, such as the Ialongo and the Pennachia.

Although little is known with certainty of his early life, Pezza learned to read and write, hardly a common accomplishment at the time, and further indication of some wealth in the family. As a young man he secured employment as a courier for the Neapolitan Royal Mail, making the 240 km (149 mi) round trip between Terracina and Naples twice a week for 50 ducats a year, a considerable sum, while becoming intimately familiar with the local terrain, which had a reputation for brigandage, knowledge that would later serve him in good stead. In 1797, while so employed, he vied for the affections of a young woman with another young man. One night his rival and another man ambushed Pezza, intending to do him some harm. Pezza, who reportedly had a "fiery temper," managed to kill both of his attackers. He took to the hills, but was soon caught. Tried, he was convicted of manslaughter, since the slaying had been committed in self-defense, and on 25 October 1797 he was sentenced to a tour in the army in lieu of prison.

On 20 January 1798 Pezza was enrolled in the Reggimento di Messapi, stationed at Fondi, about a dozen miles north of Itri and perhaps a dozen south of the frontier with the Papal States. Pezza rose quickly, becoming a sergeant, probably because he was literate and, as a member of the middle class and a former Royal courier, already familiar with firearms. In November of late 1798 Pezza took part in the disastrous attempt of the Neapolitan Army to oust the French from the Papal States.

The French responded quickly to the Neapolitan incursion, forcing them to retreat, and then undertook an invasion of the Kingdom of Naples. Plagued by cold and heavy rains, the Neapolitans fell back along the Appian Way. Thousands of troops deserted and many more were captured. Pezza, who was with the rear guard, was almost captured by the French, but escaped by donning peasant dress, and took to the hills above Itri. During the retreat, the Neapolitan Reggimento di Lucania fortified an old Roman villa, the Fortino di San Andrea, located about a mile north of Itri, where a pass carries the Appian Way over the Aurunci Mountains. On 26 December, reinforced by some irregulars hastily recruited by Pezza, the regiment ambushed elements of the French "Polish Legion", touching off a three-day skirmish. Unable to get through the easily defended defile, some French troops passed down the coast road, along the ancient Via Flacca, from Terracina to capture Sperlonga. The weather was foul, very cold with incessant rains that turned to ice. From Sperlonga, the French began working their way overland across the mountains, to outflank the Neapolitans at the old villa, and by dawn on the 29th were in position to attack. But the French movement had been detected by Pezza's irregulars, who were patrolling the hills, and they guided the Neapolitan troops safely out of the encirclement, so that they could fall back on the great fortress of Gaeta, about 15 miles down the coast. The French pressed on, and over the next few weeks, despite unusually cold and icy weather, overran the rest of Naples, capturing the city itself on 22 January 1799 and proclaiming the Parthenopaean Republic. For Pezza, the most critical event of this period occurred on 30 December, when French and Polish troops captured Itri. A band of peasants from the vicinity attempted to resist, but were rapidly overcome. The invaders then shot their prisoners, plundered the town a bit, proclaimed a new age of freedom, erected a "Liberty Tree," and held a ball.

Resistance to French rule 1798–1799

Though many reform-minded nobles and some intellectuals backed it, the French puppet regime in Naples, the Parthenopaean Republic, had little popular support. In addition, French and Polish troops acted abominably; looting and rape were common. French atrocities were so blatant that their commander in Naples, General Jean Étienne Championnet, was sacked by Guillaume-Charles Faipoult, one of the government representatives on mission, and subsequently imprisoned.

Irregular resistance had begun almost as soon as the invaders entered the country, and French atrocities only served to send more young men into the hills to join the insurgency. Attacks on French soldiers became common. The French retaliated swiftly and brutally, which only made matters worse. The experience of Itri was typical. On 15 January two French soldiers were killed while patrolling the Appian Way near the town. The next day a mixed force of French and Polish troops inflicted severe reprisals on the town, looting, raping, and murdering, leaving 60 men, women, and children lying dead in the streets; Michele Pezza's 67-year-old father was among the dead.

Meanwhile, although in exile in Sicily, the Neapolitan government, effectively controlled by Queen Maria Carolina, wife of King Ferdinand IV of Naples, appointed Fabrizio Ruffo, a progressive government minister and one of the last laymen to hold the dignity of cardinal in the Roman Catholic Church, to organize a resistance movement. On 8 February 1799, British and Neapolitan ships landed 5,000 troops and volunteers under Ruffo's command in Calabria. This force soon expanded into an unruly army of laymen and clerics, nobles and peasants, rich and poor, men, women, and children. Dubbed la Armata cristiana della Santa Fede ("the Christian Army of the Holy Faith"), this horde made up for its lack of training and equipment with enthusiasm, ferocity, and suicidal courage.

Pezza had already organized a small band of irregulars in the northern part of the Terra di Lavoro, and soon became one of Ruffo's principal subordinate commanders. His massa ("band") quickly grew to some 4,000 men, including his three brothers and the scions of a number of the leading families of Itri, such as Pasquale-Maria Nofi, who served as his adjutant with the rank of lieutenant. With these men, he raided French outposts far and wide. On one occasion he slipped into heavily occupied Fondi in the guise of a priest — thus becoming once again "Fra Diavolo" — to cut down the "Liberty Tree" which the French had planted there, replacing it with a cross that still stands. He even harassed French forces holding Gaeta, the great fortress dominating the northwestern route into the Kingdom of Naples, ambushing supply trains (once making off with 1,400 sheep) and couriers. Pezza made the Fortino di San Andrea his base of operations, and spread terror against French supporters over a wide area. He soon had a substantial price on his head.

The city of Naples was liberated from the French in June, Gaeta was recaptured at the end of July by royal troops and Pezza's men, aided by the British fleet. By late September the French had largely been driven out of the kingdom, and a Neapolitan army had gone on to liberate Rome. The Neapolitan insurrection had probably cost the lives of 50,000 or 60,000 people in the kingdom.

A hard, tough leader, Pezza gave no quarter. His men committed "most monstrous misdeeds," torturing and murdering hundreds of prisoners of war, including a French general. He was so ferocious that for a time Cardinal Ruffo placed him under arrest for his many atrocities. Nevertheless, for his services, Pezza was made a colonel in the army, ennobled as the Duke of Cassero, granted an annual pension of 2,500 ducats — making him one of the richest men in the district — and even given a lock of the queen's hair. He settled down near Itri with his wife, Fortunata Rachele Di Franco, a local beauty whom he had married in July 1799, when she was just 18, and he was en route to the liberation of Rome. For the next few years they lived quietly, while producing two sons.

Resistance to French rule 1806

In 1806 Napoleon, Emperor of the French, decided to place his brother Joseph Bonaparte on the Neapolitan throne. Some 32,000 French troops invaded Naples in January, in three columns under General Laurent de Gouvion-Saint-Cyr, later a Marshal of France; about 12,000 men marched down the Adriatic coast, 15,000 more attacked down the Apennines, which form the spine of Italy, and General Jean Louis Reynier led about 10,000 troops down the Appian Way. The Neapolitan Army, with barely 13,000 men available for mobile operations, fell back on Calabria as the French quickly occupied frontier areas and pressed on. By February Reynier's column had captured Fondi and continued on towards Itri. Some Neapolitan troops were garrisoned at Pezza's old base, the Fortino di San Andrea, but they fled south to Itri when the French turned up. The French pursued. There was a short skirmish at Itri, which hardly impeded the French advance. Reynier sent a regiment ahead to seize Gaeta by a coup de main, but the fortress, commanded by Louis, Landgrave of Hesse-Philippsthal, resisted stoutly. The Siege of Gaeta lasted until 18 July. The French found the rest of Naples easier prey. The capital fell on 14 February as the king and queen once more fled to Sicily, and the French soon overran most of the rest of the kingdom.

When the French invaded, Pezza was recalled to active duty, and ordered to organize a guerrilla column to resist the attackers. But the French moved so fast he was barely able to escape, and fled with his brothers to Sicily. He soon returned, however, and, on 23 March 1806, clashed with the French near Itri. Shortly afterwards, Pezza was recalled to Sicily to gather more forces, and in April joined an expedition to reinforce Gaeta that was led by the British admiral Sir Sydney Smith, one of Napoleon's most inveterate foes.

Hesse-Philippsthal gave Pezza command of a band of irregulars who were landed along the coast near the mouth of the Garigliano River, about 20 miles southeast of Gaeta, with instructions to stir up guerrilla resistance in the French rear. Pezza conducted several raids against French outposts, but then undertook an ill-advised attack against a substantial French force. Defeated, he fled back to Gaeta, assuming a disguise so as to trick a French officer into giving him a pass through the siege lines. To Hesse-Philippsthal this smacked of treachery, and he decided that Pezza was secretly in league with the French. Pezza was arrested and sent in chains to Palermo in May 1806. Sir Sidney quickly cleared Pezza's name, however, and for a few weeks he conducted seaborne raids against French outposts along the coast from Ponza and the other islands in the Gulf of Gaeta.

On 4 June a small British army inflicted a stunning defeat on the French in the Battle of Maida, in Calabria. Hoping to follow up this victory, Pezza and a band of followers landed at Amante, in Calabria, on the 26th. Pezza proved to be the most effective of the many guerrilla leaders who had sprung up in the aftermath of the invasion, and soon attracted considerable local support. The French were soon closely invested at Cosenza. Given time the guerrillas might have taken the city. But Gaeta had fallen to the French on 18 July, after twelve days of heavy bombardment, during which Hesse-Phillipsthal had been gravely wounded. This released some 10,000 French troops, most of whom were promptly sent into Calabria. The various guerrilla leaders unwisely attempted to make a stand at Lauria. There, on 8 August, Marshal André Masséna defeated them, virtually annihilating their forces in a no quarter fight. Although on 14 August, with the support of Sir Sydney's ships, Pezza managed to capture Fort Licosa from the enemy, that very same day the French relieved Cosenza. As by this time enormously superior French forces were on the march, the British decided to withdraw their expedition; this withdrawal arguably prevented the Neapolitan insurgency from developing into an "ulcer" such as the Peninsular War in Spain beginning in 1808.

Despite the withdrawal of the British, for a time the guerrilla fighting in Calabria intensified. It was a horribly bloody affair, with the French often slaughtering whole villages, and the people massacring French prisoners. Surprisingly, Pezza proved far less ferocious than he had been in 1799. He even turned French prisoners over to the British in return for money and supplies, and once proved enormously courteous to the some French officers' wives whom he had captured. Nevertheless, the French posted a 50,000 ducat reward for anyone who killed or captured him, a sum equivalent to millions of dollars today.

Capture and death

Late in August 1806, Sir Sidney transferred Pezza and about 300 of his guerrillas by sea to the coast near Sperlonga, north of Gaeta. For a couple of weeks Pezza caused considerable trouble for the French, raiding local garrisons and ambushing convoys. On 5 September he ambushed and massacred a considerable French force near Itri. As a result, the French organized a "flying column," which pinned him down near Itri on the 28th. A hot battle resulted, but the French were able to storm his position from three different directions, resulting in the defeat of Pezza's band, which lost more than one hundred killed and about 60 taken prisoner, all of whom were immediately shot by the French. Pezza himself was reported dead, but survived.

With the remnants of his band, Pezza fled eastwards over the mountains. He was soon operating near Sora in the Abruzzi, with two thousand men and two cannon, having joined forces with other guerrilla leaders. A much stronger French force converged on his base. Pezza failed to retreat in time, and the French closed in on 24 October, storming his base camp. Most of his men were killed or captured, and Pezza was again initially thought to be dead, but he had escaped, though wounded; it was, however, to no avail. On 1 November, while at Baronissi, near Avellino, he was betrayed and captured in a pharmacy by French Corsican troops under the command of Major Joseph Léopold Sigisbert Hugo, father of the novelist Victor Hugo.

The French offered Pezza an enormous bribe if he would join them. When he refused, they tried him on charges of banditry, and sentenced him to death. The French spurned an offer by Queen Maria Carolina to exchange 200 French prisoners for him, and on 9 November they hanged him in the Piazza del Mercato at Naples, ostensibly for banditry.

Pezza's last words reportedly were "It pains me that I am condemned as a bandit and not a soldier".

Pezza's death did not end the insurrection against the French, as it was not until 1811 that widespread resistance came to an end, and there were still sporadic outbreaks as late as 1815. Over 33,000 suspected guerrillas were arrested during the fighting, and thousands – men, women, and children alike – were killed.

Legacy

In addition to the works by Alexandre Dumas and Washington Irving, noted above, Pezza figures in a number of other artistic endeavors.

Daniel Auber's opera Fra Diavolo is founded on traditions associated with the legend, but has very little historical accuracy. Laurel and Hardy starred as "Stanlio" and "Ollio" in the 1933 feature film The Devil's Brother (sometimes titled as Fra Diavolo) based on Auber's opera.

There are several other films about Fra Diavolo, a complete listing of which may be found in the Italian Wikipedia site. The most important of these is Fra Diavolo, made in 1942 by Luigi Zampa and based on a play of the same name by Luigi Bonelli, later a prolific screenwriter. In the film, Pezza is a Robin Hood-like figure fighting the French.

The only Italian film about Pezza to be available in English is the 1964 Giovanni production, The Legend of Fra Diavolo, with an Italian cast but starring Tony Russel, which was released in the US by Globe Films International. The film is rather more realistic than the Bonelli effort.

Paul Féval, père used the character of Fra Diavolo in his Les Habits Noirs book series. In it, Michele Bozzo (sic) is the nearly immortal Colonel Bozzo-Corana, feared leader of an international criminal brotherhood.

Fra diavolo sauce is named after Pezza. 

This is a portrait image of the young Fra Diavolo, it was painted during the time of his early adult years. Since the man died in 1806, this image has long been in the public domain as per the attached license on Italian copyright laws.
 

Michele Pezza e inaugurazione statua di Fra Diavolo – Alta Terra di Lavoro

 


La canzone di fra Diavolo

Quell'uom dal fiero aspetto

guardate sul cammino

lo stocco ed il moschetto

ha sempre a lui vicin.

Guardate un fiocco rosso

ei porta sul cappello

e di velluto indosso

ricchissimo mantel.


Tremate!

Fin dal sentiero del tuono

dall'eco viene il suono

"Diavolo, Diavolo, Diavolo."

Tremate!

Fin dal sentiero del tuono

dall'eco viene il suono

"Diavolo, Diavolo, Diavolo."







Fra Diavolo (film 1942) -
Enzo Fiermonte interpreta Frà Diavolo





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